ESEMPI DI GENEALOGIA DISINVOLTA

Nel Tempo del copia e incolla, si assiste ad un proliferare di "scrittori" e liberi ricercatori ... si definiscono perseguitati, da chi ? Noto che pubblicano qualsiasi tesi gli frulli per la mente. Di per sé non sarebbe un difetto, ma succede che i libri si moltiplicano, correggendo di volta in volta indagini non sufficientemente approfondite. L'aspetto + inquietante è che, per tenere in piedi le loro teorie, finiscono coll'utilizzo di fonti a loro gradite, scartando il resto. Lo storiografo dovrebbe sforzarsi di mantenere una posizione di equilibrio. Capisco che abbiamo alle spalle millenni di storia appesantita da migliaia di interpretazioni di parte. Un vero labirinto che finisce col rimescolare il punto di arrivo.


Secondo le fonti Catare al suo arrivo in Francia Maria Maddalena stava aspettando il Terzo Figlio, Giuseppe (detto il Rama-Theo), che farà proseguire la Dinastia, ma di questo non abbiamo notizie certe. Attraverso l'interpretazione filologica delle fonti testamentarie possiamo invece definire una vita di Gesù diversa da quella proposta dalla Chiesa Romana. Il problema che ci si pone, prima di cercare suggestive ipotesi dinastiche, è comprenderne il motivo. La diffusione dei Vangeli, così come li conosciamo, avvenne dopo la legittimazione del Cristianesimo in Occidente, nel 313 d.C, con l'Editto di Milano. Il Primo Vescovo, nominato da Costantino nel 314 fu Silvestro, che fu incoronato durante una ricca cerimonia. In questo modo i cristiani avrebbero potuto sopravvivere ma in realtà Silvestro aveva accettato che il Cristianesimo rappresentasse le tradizioni pagane del Culto del Sole insieme ad altri insegnamenti di origine Siriana e Persiana che erano presenti a Roma. La Nuova Chiesa Romana fu così costruita per soddisfare tutte le fazioni influenti. Ma all'interno del Cristianesimo non vi era una linea unitaria: c'erano gli Gnostici, che insistevano che la materia era corrotta, i Manicheisti, che insegnavano che il materialismo era una malvagia invasione dello spirito sacro, i seguaci della tradizione Nazarena, i quali sostenevano la causa originaria di Gesù piuttosto che gli insegnamenti di Paolo (Gesù come potente signore celeste da venerare piuttosto che Messia portatore di un cambiamento per la società). I Nazarei, Cristiani Giudaici, controllavano molte chiese del Medio Oriente. Inoltre erano guidati dai famosi discendenti in linea di sangue dalla Famiglia di Gesù, i Desposyni (eredi del Signore). Nel 318 d.C una delegazione di Desposyni sbarcò a Ostia e da lì proseguirono fino a Roma, dove, nel Palazzo Lateranense appena costruito, gli uomini furono ricevuti in udienza dal vescovo Silvestro. I Desposyni affermarono con forza che la Chiesa doveva legittimamente avere il proprio centro a Gerusalemme e non a Roma, sostennero che il Vescovo di Gerusalemme doveva essere un vero Desposynos Ereditario. Le loro richieste caddero nel vuoto: per loro non c'era posto e gli insegnamenti di Gesù erano stati sostituiti da una dottrina che era stata modificata in modo da essere più consona alle esigenze imperiali. Costantino inoltre al Concilio di Nicea del 325, speculò sui Cristiani Paolini che attendevano prima o poi un secondo avvento del loro Messia, dopo aver fallito precedentemente (Gesù) nel rovesciare il dominio romano. Costantino approfittò di questo fallimento per diffondere l'idea che Gesù non era l'atteso Messia come si era creduto ma dato che era stato lui a dare la libertà ai cristiani all'interno dell'Impero, il vero salvatore era stato lui. Gesù e Dio dovevano così fondersi in una sola entità in modo che il Figlio fosse identificato con il Padre. Al Concilio di Nicea accadde quindi che Dio fosse formalmente definito Uno e Trino: una Divinità comprendente Tre parti coeguali e coeterne, Padre, Figlio e Spirito Santo. C'erano comunque alcuni vescovi che si opponevano a questo nuovo dogma. Molti delegati al Concilio erano teologi della vecchia scuola i quali sostenevano che Gesù era il Figlio e inoltre che il Figlio era stato fatto carne da Dio, ma non era Dio egli stesso. Il principale portavoce di questa fazione era un anziano prete libico di Alessandria, chiamato Ario. Seguaci di Ario (ariani) che in seguito saranno banditi. E fu così che designando Dio come il Padre e il Figlio, Gesù venne opportunamente messo da parte come una figura di nessuna importanza pratica. Adesso spettava invece all'imperatore essere considerato il dio messianico. Ora c'erano soltanto due oggetti ufficiali di culto: la santa Trinità di Dio e l'Imperatore: il neo designato salvatore del mondo. Chiunque contestasse, in qualsiasi modo, veniva subito dichiarato Eretico. Nel 391 d.C il nuovo imperatore Teodosio bandì tutte le forme di religione e ogni genere di rito religioso che non fosse quello della Chiesa Romana, pena la morte. Proibì in particolare i raduni di gruppi cristiani non ortodossi. Durante tutto questo tempo, tuttavia, la tradizione nazarena in Medio Oriente venne mantenuta. Di fatto i Nazarei erano i più puri fra i veri cristiani. Il loro approccio alla Trinità era semplice: Dio era Dio, Gesù era un uomo: un Messia Umano erede della Stirpe Davidica, e non potevano credere che Maria, madre di Gesù, fosse fisicamente vergine. Nestorio, patriarca di Costantinopoli dal 428, d'accordo con i Nazarei, sostenne che era chiaro che Gesù era un uomo, nato in modo assolutamente normale da un padre e da una madre. Di conseguenza l'idea Nazarena/Nestoriana che Maria fosse una donna come le altre fu condannata dal Concilio di Efeso nel 431 ed ella fu poi venerata come mediatrice (o interceditrice) fra Dio e i mortali. Lo stesso atteggiamento della prima Chiesa Romana verso le donne lasciava riflettere. Quinto Tertulliano sosteneva la regola per cui: "non è permesso a una Donna di parlare in chiesa, né le è permesso di battezzare, né di offrire l'Eucarestia, né di rivendicare per sé una parte in qualsiasi funzione maschile, meno che mai nell'ufficio sacerdotale". Tertulliano stesso seguiva semplicemente le opinioni espresse dai capi della Chiesa prima di lui, in particolare Pietro e Paolo. Nel Trattato Copto "Pistis Sophia" (La Saggezza della Fede) Pietro protesta contro la predicazione di Maria Maddalena e chiede a Gesù di farla tacere, di impedire di minare la sua supremazia. Gesù invece rimprovera Pietro e Maria più tardi confessa: "Pietro mi fa esitare. Ho paura di lui perché odia la razza femminile". Al che Gesù replica: "Chiunque sia ispirato dallo Spirito, deve parlare per decreto divino, sia esso uomo o donna". Opponendosi alla presenza di Maria fra i discepoli, Simon Pietro nel Vangelo Apocrifo di Tommaso disse loro: "Che Maria (Maddalena) se ne vada, giacché le donne non sono degne di vivere". Nel Vangelo Apocrifo di Filippo, Maria Maddalena è considerata il simbolo della Saggezza Divina. Tutti questi testi vennero tuttavia censurati ed eliminati dai Vescovi di Roma perché minavano il predominio del sacerdozio solo maschile. Invece fu dato grande risalto all'insegnamento di Paolo nel Nuovo Testamento: "La donna impari con silenzio, in ogni soggezione. Ma io non permetto alla donna d'insegnare, né d'usare autorità sopra il marito, ma ordino che stia in silenzio" (Timoteo 2:11-12) . Le Donne dovevano quindi essere escluse a tutti i costi. Altrimenti continuando così la presenza della Maddalena avrebbe finito col prevalere: come Moglie di Gesù, non soltanto era la Regina Messianica, ma anche la Madre dei Veri Eredi. Per secoli dopo la sua morte, il retaggio di Maria rimase la più grave minaccia per la Chiesa che aveva deciso in favore della successione apostolica (attraverso i Pontefici) rispetto alla discendenza messianica (attraverso la Casa di Gesù). L'ipotesi più credibile che a diffondere la novella dei figli di Gesù siano stati i movimenti ritenuti Eretici, come i Catari e i Templari. Entrambi sostenevano che Gesù non era morto sulla croce e non riconoscevano l'autorità temporale della Chiesa di Roma e cercarono, in diversi modi, di affermarsi in Francia come nuova guida spirituale a discapito della Chiesa Cattolica.



MARIA MADDALENA - Dalla 'Rivelazione' il viaggio che porterebbe Maddalena in Francia, a Ratis, in Provenza.



Qui di seguito è riportata la teoria sulla vita di Maria Maddalena. Ma il condizionale è d'obbligo. Tutti i testi che sostengono il legame tra Gesù e Maddalena si basano sul Vangelo Apocrifo (non autentico) di Filippo, ritrovato nel 1947 a Qumran, e non riconosciuto dalla Chiesa di Roma.
Maria Maddalena sarebbe morta nel 63 d.C, all'età di 60 anni, in quella che oggi è St.Baume, nella Francia meridionale. Maria non era semplicemente un nome ma un titolo di distinzione, essendo una variazione di Miriam (il nome della sorella di Mosè e Aronne). Le Miriam (Marie) partecipano a un ministero formale all'interno di ordini spirituali (Come nei Terapeuti Egiziani le Marie affiancano i Mosè). Mentre i "Mosè" guidavano gli uomini nelle cerimonie liturgiche, le "Miriam" facevano altrettanto con le donne. Maria Maddalena viene dapprima descritta nel Nuovo Testamento come una Donna "dalla quale erano usciti Sette Demoni" (Luca 8:2) e più avanti lo stesso Vangelo dice che era una peccatrice. Ma, oltre a ciò, viene ritratta in tutti i Vangeli come una leale Compagna Preferita da Gesù. Prima del matrimonio, le Marie erano soggette all'autorità del Capo degli Scribi, che al tempo di Maddalena, era Giuda Sicariota. Il Capo degli Scribi era anche il Demone Sacerdote "Numero 7", e i Sette "Sacerdoti Demoni" costituivano un gruppo formale di opposizione ai sacerdoti che rappresentavano le "Sette Luci della Menorah". Questi Sacerdoti avevano il compito di Sorvegliare le Donne Nubili della Comunità. Dopo il matrimonio Maddalena non fu più sottoposta a tale sorveglianza. Quindi "i Sette Demoni uscirono da Lei" e le fu consentito di avere rapporti sessuali secondo le regole spiegate prima. Come accennato, il suo non era un matrimonio qualunque e Maria fu soggetta a lunghi periodi di separazione dal marito: periodi durante il quale non veniva considerata una Moglie, ma una "Sorella" (in senso religioso). Nella società le sorelle avevano lo stesso rango loro assegnato nella comunità ed erano considerate vedove (donne menomate), un gradino sotto quello di "almah". Così un almah (vergine) si sposava e saliva al rango di madre, ma durante i periodi di separazione coniugale veniva retrocessa a un rango inferiore a quello originario di donna nubile. Il Padre di Maddalena era il Capo dei Sacerdoti (subordinato al sommo sacerdote) Siro il "Giairo". Il sacerdote Giairo officiava nella grande Sinagoga Marmorea a Cafarnao e la sua carica era Ereditaria, riservata esclusivamente ai discendenti di Giair (Numeri 32:41). Nel Nuovo Testamento Maddalena viene menzionata per la prima volta quando i Vangeli raccontano la storia della sua resurrezione come figlia di Giairo nel 17 d.C. Essere "resuscitata" (simbolicamente dalle tenebre eterne) si riferiva alla promozione ad un rango più elevato all'interno della "Via". Per Maddalena si trattava di una iniziazione spirituale: se le prime "Resurrezioni" per i Ragazzi avvenivano all'età di 12 anni per le Ragazze avveniva a 14. Maria Maddalena sposò dunque Gesù all'età di 27 anni (nel 30 d.C), rimase incinta nel dicembre del 32 d.C e l'anno seguente diede alla luce Tamar. Nel 37 d.C. diede alla luce Gesù il Giovane e nel 44 d.C, quando aveva 41 anni, nacque il suo secondogenito Giuseppe. A quel tempo Maddalena era a Marsiglia, in Francia. Il suo esilio venne raccontato da Giovanni, nella "Rivelazione" (12:1-17), in cui descrive Maria e suo figlio e narra della sua persecuzione, della sua fuga e della caccia al resto del suo seme (i suoi discendenti) condotta senza tregua dai Romani. Oltre a Maria Maddalena, fra gli emigrati in Gallia nel 44 d.C, c'erano Marta e la sua serva Marcella. C'erano anche l'apostolo Filippo, Maria Iacopa (moglie di Cleofa) e Maria Salomè (Elena). Il luogo dove sbarcarono in Provenza era Ratis, divenuto poi noto come Les Saintes Maries de la Mer. Tra le fonti scritte sulla vita di Maria Maddalena in Francia troviamo "La vita di Maria Maddalena", di Raban Maar (776-856), arcivescovo di Magonza (Mainz) e abate di Fuld. Una copia del manoscritto fu scoperta all'Università di Oxford all'inizio del 1400 e ispirò a William di Waynflete l'idea di fondare il Magdalen College nel 1448. "Sainte Marie Madelaine", del frate domenicano Père Lacordaire è un'opera particolarmente istruttiva, al pari de "La légende de Sainte Marie Madelaine" di Iacopo da Varazze, arcivescovo di Genova (n.1228). Il Culto più attivo della Maddalena s'insediò infine a Rennes-le-Chateau, nella regione della Linguadoca. Ma anche altrove, in Francia, sorsero molti santuari dedicati a S.te Marie de Madelaine, fra cui il luogo della Sepoltura a Saint Maximin-la-Sainte Baume, dove i monaci dell'ordine di San Cassiano vegliarono sul suo sepolcro e tomba in alabastro dall'inizio del 400. Un'altra importante sede del culto della Maddalena fu Gellone, dove l'Accademia di Studi Giudaici fiorì durante il IX secolo. La chiesa a Rennes-le-Chateau fu consacrata a Maddalena nel 1059 e nel 1096, l'anno della Prima Crociata, ebbe inizio la costruzione della grande Basilica di Santa Maria Maddalena a Vézelay. Fu qui che nel 1146 l'abate cistercense Bernardo di Chiaravallle predicò la Seconda Crociata al re Luigi VII, alla regina Eleonora, ai loro cavalieri e ad una congregazione di 100.000 persone. Nel redigere la Costituzione dell'Ordine dei Cavalieri Templari nel 1128, San Bernardo menzionò specificatamente il dovere di "obbedienza a Betania, il Castello di Maria e Marta". E' quindi molto probabile che le grandi cattedrali di "Notre Dame" in Europa, tutte sorte per volere dei Cistercensi e dei Templari, fossero in realtà dedicate a Maria Maddalena.

 



Ma finalmente dall'attenta lettura sempre per opera di Iacopo da Varazze della famosa "Legenda Aurea", uno dei primi libri stampati a Westminster da William Caxton nel 1483, emerge la Verità. Il libro è una raccolta di cronache ecclesiastiche che narrano dettagliatamente le vite di alcune figure di Santi. Molto venerata, l'opera veniva letta in pubblico regolarmente (spesso tutti i giorni) nei monasteri e nelle chiese medievali dell'Europa continentale. Ma leggiamo insieme i brani che raccontano la Vita di Maria Maddalena: "Maria nacque da una famiglia nobilissima che discendeva dalla stirpe regale; il padre si chiamava Siro e la madre Eucaria. Insieme al fratello Lazzaro e alla sorella Marta possedeva Magdala, che si trova vicino a Genezareth, Betania, vicino a Gerusalemme e una gran parte di quest'ultima città. Quando i fratelli si divisero fra di loro tali beni, Maria ebbe in sorte Magadala, donde prende il nome di Maddalena, Lazzaro ebbe una parte di Gerusalemme e Marta Betania. Maddalena era dunque ricchissima, quanto ricca altrettanto bella e non rifiutava al proprio corpo alcun piacere tanto che era da tutti chiamata la peccatrice. Cristo in quel tempo stava predicando lì vicino, ed essa, per divina ispirazione, si recò nella casa di Simon lebbroso dove Cristo si era fermato; Ma non osando, la peccatrice, mostrarsi nel contesto dei giusti rimase in disparte; lavò, con le sue lacrime i piedi di Gesù, li asciugò con i capelli e accuratamente li unse con l'unguento prezioso. Pensava frattanto il fariseo Simeone: 'Come può permettere un profeta di essere toccato da una peccatrice?'. Ma il Signore ne riprovò l'orgogliosa giustizia rimettendo alla donna ogni peccato. Costei è infatti quella Maria Maddalena a cui il Signore accordò ogni favore ed ogni senso di benevolenza: scacciò dal suo corpo sette demoni, l'accolse nella sua amicizia, si degnò di essere suo ospite ed in ogni occasione le fu difensore". Da un brano seguente: "quattordici anni dopo la passione del Signore, quando Stefano era stato già martirizzato e gli altri discepoli scacciati dalla Giudea, i seguaci di Cristo si separarono per le diverse regioni della Terra per diffondere la parola di Dio. Tra i Settantadue Discepoli c'era il beato Massimino a cui fu affidata da S.Pietro Maria Maddalena, Lazzaro, Marta, Marcella (la domestica di Marta) e il beato Celidoneo cieco dalla nascita e risanato da Cristo e molti altri cristiani furono posti dagli infedeli su di una nave e spinti in mare senza nocchiero perché vi perissero; ma per volere divino giunsero a Marsiglia dove non vi fu alcuno che li volesse ricevere nelle proprie case, cosicché dovettero ripararsi sotto il porticato di un tempio." Nel lungo brano successivo Maria Maddalena dopo aver visto entrare la gente del posto in un Tempio per sacrificare agli Idoli, iniziò a predicare la parola di Cristo. In tanti rimasero ammirati dalla sua eloquenza fino a quando arrivò il principe di quella provincia insieme alla moglie ad implorare dagli Dei la grazia di Dio. Qualche giorno dopo Maria Maddalena apparve in sogno alla moglie del principe e le disse: 'Voi possedete molte ricchezze ma lasciate che i santi di Dio muoiano di freddo e di fame'. Dopo il terzo sogno la donna decisamente impaurita decise assieme al marito di seguire il consiglio di Maria. Il Principe ospitò i Cristiani e dette loro il necessario per vivere. Un giorno il principe le chiese: 'Credi di poter difendere la fede che vai predicando?' E quella: 'Sono pronta a difendere la fede ogni giorno rafforzata dalla testimonianza dei miracoli e della predicazione di Pietro, Vescovo di Roma'. Disse allora il Principe assieme alla Moglie: 'Ecco noi siamo pronti a prestar fede alle tue parole se ci impetrerai un figlio da Dio che adori'. Allora la beata Maria Maddalena pregò Iddio per loro e la sua preghiera fu ascoltata perché la donna si trovò ben presto incinta. Allora il Principe decise di recarsi da Pietro per sapere da lui se era vero quanto Maddalena aveva detto di Cristo. Nel viaggio però la donna partorì per morire subito dopo nel bel mezzo di una tempesta. Il principe riuscì a terminare il viaggio e arrivò a Roma dove rimase due anni, istruito nella fede da San Pietro. Al ritorno via mare giunse vicino al colle dove aveva deposto il corpo della moglie e lasciato il figlio nato, che nel frattempo fu mantenuto in vita dalla Maddalena. E rivolgendosi a lei il principe le chiese il miracolo di restituire la vita alla moglie. La donna si svegliò e disse: "grandi sono i tuoi meriti beata e gloriosa Maria che mi hai aiutato nel parto e dopo, in ogni mia necessità". Poco dopo il principe salì sulla nave con la moglie e il figlio per approdare a Marsiglia. Appena arrivati trovarono la Maddalena che predicava con gli altri apostoli. A quel punto le si avvicinarono ai piedi in lacrime, le raccontarono l'accaduto e ricevettero il sacro battesimo. Abbatterono poi tutti i templi dedicati agli idoli situati a Marsiglia ed eressero chiese al signore e Lazzaro divenne vescovo di quelle città. Dopo poco la Maddalena e gli altri discepoli si recarono ad Aix in Provence dove con molti miracoli convertirono il popolo alla fede di Cristo e il beato Massimino fu ordinato Vescovo. Frattanto la beata Maddalena, desiderosa di dedicarsi alla contemplazione delle cose celesti si recò nel deserto e vi rimase per Trent'anni. Verso la fine, Jacopo di Varagine racconta: 'Al tempo di Carlo Magno, nell'anno 745, Giravolo, Duca di Borgogna, non riuscendo ad avere figli, donava gran parte dei suoi averi ai poveri e costruiva chiese e monasteri. Quando ebbe costruito il monastero di Vezelay, l'abate di questo convento su richiesta del Duca, mandò un monaco con una scorta alla città di Aix en Provence, per vedere se poteva portare via i resti di Maria Maddalena. Quando giunse nella predetta città trovò che era stata distrutta dalle fondamenta dai pagani ma scoperse per caso un sepolcro su cui una lapide di marmo stava ad indicare che lì dentro vi era il corpo di Maria Maddalena. Quando scese la notte il monaco ruppe la lapide e prese le ossa.' I lettori vanno informati che Jacopo da Varazze scrisse la 'Legenda Aurea' basandosi principalmente sui testi della 'Storia Ecclesiastica', della 'Storia Tripartita', 'La vita dei Santi Padri', 'I dialoghi di San Gregorio' e dei vangeli apocrifi. Nella Legenda sono così numerose le incongruenze cronologiche, storiche e geografiche. Nel caso della storia su Maria Maddalena è evidente che si tratti semplicemente di una parabola nella quale il cristianesimo vince su ogni avversità ed ostacolo e riesce a portare pace, giustizia e fratellanza in terre lontane. (La Francia) Dal punto di vista tecnico la prima perplessità emerge da un viaggio così lungo, dalla Palestina alla Francia, su una barca affollata di gente che per affrontare una distanza così lunga nel Mar Atlantico sarebbe dovuta essere grande, di ottimi materiali, quindi resistente e con un ottimo timoniere. Ma da quanto è stato scritto non c'erano piloti e gli infedeli, che si auguravano la morte dei cristiani di certo non si preoccuparono di farli viaggiare su una buona barca. Che si tratti di una favola si comprende dalle incongruenze del testo, dove Maddalena è prima in un luogo e dopo in un altro. Diversi autori hanno dunque costruito il 'fidanzamento' di Gesù e la Maddalena, e la storia dei loro figli in terra francese (da cui avranno poi origine i Merovingi) sul viaggio di Maddalena raccontato (da tutte le fonti) nelle modalità sopracitate. La 'Legenda Aurea', scritta dal 1255 al 1266, sarà divulgata attraverso i secoli e dalla quale diversi pittori prenderanno spunto per dipingere episodi del viaggio della Santa e di cui venne probabilmente a conoscenza anche Leonardo. Ma da qui tutto il resto è fantasia e utilizzo furbo della storia, quanto l'esistenza del Priorato di Sion, come si può leggere in questa pagina.


Come al solito l'Italia viene esclusa ma è bene ricordare ..... Morano va superba per aver inalberato il glorioso vessillo del SS. Redentore, fin dal 56° anno, quando moltissime città, attualmente rinomate, non esistevano ancora. Tutti concordano nell'asseverare che proprio nel 56° anno dell'era corrente, Morano abbracciasse la fede in seguito alla predicazione di Stefano di Nicea, discepolo di S. Paolo. Solo è permesso credere che fosse stato qualche anno dopo, mentre la storia dice che l'istesso S. Paolo sbarcò a Reggio nel 60° anno. Ad ogni modo, come Taranto e Reggio, città rinomate, Morano, fra Cossa e Thebe, città non oscure, fu sollecita ad abbracciare la fede di Gesù Cristo, al pari delle Calabrie, le quali in ciò forse non furono seconde ad altre regioni. Gli Apostoli ed i discepoli ebbero di mira di convertire prima le citta cospicue, ed in ciò abbiamo altra prova dell'importanza di Morano a quei tempi, come Taranto, Reggio, Cossa e Thebe, tutte rinomate città. Si aggiunge che fu costume degli Apostoli e dei di loro discepoli lasciare, in ogni città convertita, un vescovo per reggere la chiesa, fare le ordinazioni e la propaganda.
È provato che nel 342 vi risiedeva tuttavia quel Lucianus Episcopus Muranensis che votò al Concilio Romano, tenuto sotto Giulio Papa, per l'assoluzione di S. Attanagio, come riportato da Antonio Pagi ed Arrigo Valesio nelle note al Cardinal Baronio. Quando Morano cessasse di avere il Vescovo non si sa precisare; ma fu certo allorché si restrinsero le Diocesi. Ne' la privazione fece onta a questa chiesa, la quale restò con gli onori di Collegiata, mentre è noto nella storia della Chiesa che così non praticossi con tutte le altre. I Parroci di Morano infatti serbano ancora alcune insegne da Prelato, ed i Canonici, gli armuccini come quelli della Cattedrale di Napoli. Come riportato da Giannone, nell' Istoria Civile del Regno di Napoli, dice non esservi villaggio, il quale non pretenda che la sua chiesa. sia stata fondata da S. Pietro. Per Morano però non siamo in questo caso, giacché, se tutti affermano che la prima nostra chiesa fu fondata nel 56° anno da S. Stefano, nessuno ardì contrastarlo, neppure quando le attuali tre chiese parrocchiali, litigandosi per secoli la precedenza, non trascurarono arma alcuna per combattersi l'un l'altra; anzi la gran lite verteva appunto sul diritto di successione a quella Prima Chiesa. La storia dice che S. Paolo sbarcò a Reggio; vi si trattenne un solo giorno e predicò nella pubblica piazza; quivi fece strepitoso miracolo, e vi fondò la prima chiesa che affidò ad un Vescovo (S.Stefano). Narra pure la storia che S.Pietro, arrivato a Taranto, senza perder tempo, si presentò alla fontana, dove era accolta moltissima gente, e per avere occasione di predicare, bevve senza adorare l'Idolo, come usanza del paese. Ne nacque perciò quel chiasso che aveva preveduto; predicò con successo, e quivi all'istante i convertiti Tarantini, ad insinuazione dell'Apostolo, fondarono la prima chiesa retta da un Vescovo. Ciò dimostra, che, come era regolare, gli Apostoli ed i discepoli, dovendo predicare alle popolazioni e convertirle, sceglievano le città grandi ed i punti più popolati di esse. Predicavano alle turbe e facevano miracoli; ne seguiva la conversione ed il fervore, e nello stesso sito ove aveva avuto luogo la predica sorgeva una chiesa fatta alla meglio in brevissimo tempo e con la minima spesa, e se ne affidava la cura al Vescovo. Dove predicasse S. Stefano in Morano, non si sa; ma la Prima Chiesa, ancora esistente, ci accerta che predicasse anche esso nella piazza, a piccola distanza dalla stessa chiesa. Non voglio darmi l'aria di decidere su due piedi la questione, ma se è presumibile che S. Stefano predicasse in piazza e che la chiesa sorgesse nelle vicinanze di essa, esaminando i caratteri della stessa, la ravviseremo proprio per quella del primo secolo, antica sede vescovile. L'Antichissima Morano era compresa per intero fra le robuste mura, e contava una popolazione relativamente assai più numerosa di quello che non lo sia oggi. Ora, in una città ove le abitazioni si trovavano cotanto agglomerate, quale è il luogo che con maggior ragionevolezza può presumersi venisse prescelto dal Discepolo Stefano per le sue prediche, se non la piazza? La Piazza, il centro della città stessa e che in pari tempo offriva spazio sufficiente al pubblico. Quindi, o la chiesa che ne surse fu S. Maria delle Grazie là vicina, o non avrebbe avuto Morano la chiesa nel primo secolo, ma bensì soltanto dopo il quarto secolo, quando, al tempo di Costantino, ne sursero tante e tutte maestose, mentre umilissima è la chiesetta che prendiamo ad esaminare, da tutti chiamata, per definirla, del primo secolo. Sarebbe strano, anzi assurdo, credere che dopo una predica in piazza, dopo la conversione della città, volesse fondarsi la chiesa in altro punto, specialmente all'incomoda cresta del monte o nel pericoloso bosco, due punti ugualmente distanti dal centro dell'abitato. Poco discosto dalla piazza, sotto le mura della città e proprio vicino ad esse, si trovò il sito più confacente per erigervi la chiesa di pronta attuazione senza rilevante spesa. Ebbe aspetto anzi più di Grotta che di Chiesa. Tre lati sono scavati nella roccia e la sola prospettiva rimane scoperta Verso Oriente, requisito richiesto dai Sacri Canoni, non però assoluto, come l’esempio delle chiese di Roma o di altre città. Questa chiesetta in tutto ci rivela la sua antichità; spiega la sua portentosa durata dal primo secolo fino al XIX il durissimo materiale, l’ottimo nostro cemento e la base fatta su macigno. Morano fin dai tempi dei Greci e dei Romani, ebbe il privilegio di essere un Porto Franco (Privilegio conservato fino ai Savoia) per i Perseguitati per Credo Religioso e di Opinione, percui non sottovaluterei che possa essere il luogo di transizione del lungo viaggio della Maddalena da Gerusalemme a Marsiglia.
CONCLUSIONI - In nessun passo dei Vangeli è scritto che Maddalena fosse una 'prostituta', tutt'altro: dalle varie vite sulla santa scritte nei primi secoli dopo Cristo, sembra che Maddalena nacque in una famiglia importante, e suo padre Siro il 'Giairo' era il sacerdote che officiava nella grande sinagoga a Cafarnao. Un’informazione riportata da diversi autori nella quale si può supporre ci sia una mezza verità. Nata nel 3 d.C, sulla base di interpretazioni molto forzate sui vangeli apocrifi ma, nota importante, nessuno riporta notizie sul matrimonio, si sposerebbe con Gesù a 27 anni, nel 30 d.C. Nel 33 d.C nascerebbe (dalla lettura non di vangeli ma di fonti apocrife, romanzate) la figlia Tamar, nel 37 Gesù il Giovane. Entrambi non seguirono (e non si spiega il motivo) la madre nel viaggio che Maddalena avrebbe affrontato nel 44 d.C, per sfuggire alla persecuzione dei Romani, in cui ci sarebbero stati anche Marta, Marcella, l'apostolo Filippo, Maria Iacopa (moglie di Cleofa) e Maria Salomè (Elena). Il luogo dove sbarcarono in Provenza sarebbe Ratis, divenuto poi noto come Les Saintes Maries de la Mer. Maddalena quando partì sarebbe stata incinta di Giosuè, che sarebbe poi nato in territorio francese. Tra i testi medievali che riportano la notizia del viaggio 'La vita di Maria Maddalena', di Raban Maar (776-856), 'Sainte Marie Madelaine', del frate domenicano Père Lacordaire, 'La légende de Sainte Marie Madelaine', la 'Legenda Aurea' di Iacopo da Varazze o Varagine, arcivescovo di Genova (n.1228). Il culto più attivo della Maddalena s'insediò a Rennes-le-Chateau, nella regione della Linguadoca, dove la chiesa a suo nome fu consacrata nel 1059 e nel 1096. Su questo luogo di culto e sul radicamento nella zona della figura di Maddalena, nasce la speculazione nel 1900 su Rennes-le-Chateau e improbabili legami dinastici sostenuti da personaggi legati ad ambigui gruppi francesi esoterici a fine di notorietà e di lucro. Lo stesso luogo di sepoltura della donna non sarebbe nei dintorni di Rennes-le-Chateau ma, credendo per un attimo alla ‘Legenda Aurea’, basata su scritti dei primi secoli dopo Cristo, a Vezelay, in Borgogna, a sud di Auxerre, probabilmente nella Basilica di Santa Maria Maddalena. Gesù non avrebbe mai raggiunto Maria Maddalena in Francia per continuare a spostarsi in Medio Oriente fino alla sua morte per diffondere e instaurare un nuovo ordine. Su Giuseppe, il presunto figlio di Cristo nato in Francia, non si hanno documenti e cronache storico-religiose del tempo per poter affermare che da lui nacque la dinastia che sarebbe proseguita attraverso Aminadab e successivamente nei Merovingi. Come consuetudine medievale, gli avvenimenti storici nel tempo venivano plasmati nelle leggende, in tradizioni locali, in testi letterari, quelli che diffonderanno il ciclo del Graal, forma simbolica e allusiva per tramandare la presenza di Cristo nella storia. L'ipotesi più credibile, e ad avvalorarla è la pubblicazione della Legenda Aurea in tempi sospetti, che durante la nascita dei movimenti eretici in Francia, come i Catari e i Templari, si cercherà in tutti i modi di scalfire il potere temporale della Chiesa Romana insinuando il dubbio sugli avvenimenti storici del Cristianesimo per instaurare un nuovo ordine religioso, filo-cristiano, indipendente da Roma. Un tentativo che in passato venne già portato avanti dai Merovingi, poi estinti nel 751 d.C. A tal proposito va detto che per la teoria dinastica la scelta dei Merovingi come discendenti di Gesù è stata la più facile in quanto fu l'unica dinastia che rifiutò l'incoronazione del Re da parte della Chiesa di Roma. Tutta la storia della dinastia di Gesù non è nient'altro che una clamorosa opera letteraria, ma con chiari interessi di parte, che gioca sul filo della storia attraverso interpretazioni evangeliche e sui famosi papiri ritrovati a Qumran

LA LINEA DI SANGUE DEL SANTO GRAAL

LAURENCE GARDNER, Priore della Celtic Church's Sacred Kindred di St.Columbia, genealogista di famiglie reali e di cavalieri, conosciuto a livello internazionale. Noto come il Cavaliere Labhran di St.Germain, è attaché presidenziale all'European Council of Princes, ente consultivo costituzionale fondato nel 1946. E' formalmente addetto alla nobile guardia della casa reale degli Stewart, fondata a St.Germain-en-laye nel 1692 e storiagrafo reale giacobita.

Nel libro "La linea di sangue del Santo Graal" sono pubblicate le genealogie di discendenza messianica

STIRPE BRITANNICA L'ipotetica genealogia britannica iniziata con l'unione di Giacomo e di Anna e che porterebbe alla Casa Reale degli Stuart
Ipotetica discendenza arturiana secondaria
Anna=Giuseppe di Arimatea (San Giacomo)
Anna=Bran il Beato | Beli | Avallaci | Eugein | Brithguein | Dovun | Onwed | Anguerit | Angouloyb | Gru Dumn | Dumn | Guiocein | Cein | Tegid | Patern Persut | Octern | Cunedda Wledig ca.420 | Einina Yrth ca.460 | Cadwallan Llaw Hir | Maelgwin ca. 542 | Rhun ca 550 | Beli ca.580 | Iago ca.610 | Cadfan Gwynedd ca.620 = Acha, figlia del re Aele di Deira | Cadwallon II° Re di Gwynedd, m.634 = Elena figlia di Wibba | Cadwaladr il Beato Re di Gwynedd ,654 | Edwal Re di Gwynedd 664 ca | Rhodri Molwynog Re di Gwynedd 754 ca | Cinan Tindaethwy 754-816 | Gwynedd | Esylth | Merfyn Vrych, 825-844 | Rodri Mawr di Gwynedd 844-878 (Qui si estingue)
Ipotetica discendenza arturiana primaria. Anna = Giuseppe di Arimatea (S.Giacomo)
Anna = Bran il Beato | Panardun = Mario | Coell I° | Llleifer Mawr | Gladys = Cadwan di Cumbria | Coel II° di Colchester | Cunedd ca. 300 | Cursalen | Fer | Confer di Strathclyde | Gluim | Cinhil | Cynlop | Ceretic Guletic | Cinuit | Dyfnwal Hen | Ingenach = Brychan of Manau | Lluan = Gabran di Scozia ca.548 | Aedan Mac Gabran = Ygerna del Acqs | Artu m.603 = Morgana d'Avallon | Modred La linea s'interrompe con la figlia di Modred. L'ipotetica discendenza non passa dunque da Artù ma da Fredemondo uno degli eredi di Faramondo e Argotta. Dall'altro figlio di questi, Clodione, si sviluppa la linea merovingia. (Vedi dinastia francese)
Discendenza Casa Reale Stewart di Scozia
Fredemondo | Principe Nascine I° | Celedoin | Nascien II° di Septimania | Galains | Jonaans | Lancelot | Bors = Viviane II° del Acqs | Bors | Lionel | Alain | Froamido Conte di Bretagna | Frodaldo Conte di Bretagna ca 795 | Froumundo m.850 | Flothario | Adelrado | Froubaldo m.923 | Alirado | Froumundo ca.985 | Fretaldo ca.1008 | Donada = Finlaech Mormaer di Moray m.1057 | Macbeth | Alan Steward 1050-1097 ca | Emma ca 1070 = Walter Tahne di Lochaber | Alan di Lochaber 1088 - 1153 ca = Adelina di Uswetry | Walter Fitz Alan I° High Steward di Scozia m.1177 = Eschyne de Molle | Alan Fitz Walter II° High Steward m.1204 = Eve di Crawford | Walter Stewart II° High Steward = Beatrix di Angus | Alexander Stewart IV° High Steward m.1283 | Sir James Stewart V° High Steward m.1309 = Jill du Bourg di Ulster | Sir Walter Stewart VI° High Steward m.1326 = Marjorie Bruce | Re Roberto II° VIII° High Steward 1371-1390 = Elizabeth Mure di Rowallan | Roberto III° John Stewart Conte di Carrick 1390 - 1406 = Annabella Drummond | Giacomo I° 1406-1437 | Giacomo II° 1437-1460 = Mary de Gueldres | Giacomo III° 1460-1488 = Margaret di Danimarca | Giacomo VI° 1488-1513 = Margaret Tudor figlia di Enrico VII° | Giacomo V° 1513-1542 = Mary de Guise Lorraine | Maria Stuart Regina di Scozia 1542-1567 = Henry Stewart, Lord Danley | Giacomo di Scozia I° d'Inghilterra 1603 - 1625 = Anne di Danimarca e Norvegia | Carlo I° Stuart di Gran Bretagna 1625 - 1649 = Enrichetta Maria | Giacomo VII° di Scozia II° d'Inghilterra 1685 - 1688 = Maria Beatrice D'Este | Giacomo Francesco Edoardo Stuart III° d'Inghilterra m.1766= Maria Clementina Sobieska | Carlo Edoardo Luigi Filippo Casimiro Stuart m.1788 = Margherite O'Dea D'Audibert | Principe Edoardo Giacomo Stuart Conte Stuarton m.1845 = Maria Emmanuela Pasquini di Vaglio | Principe Enrico Edoardo Benedetto Stuart m.1869 = Agnes Beariz de Pescara Barberini-Colonna da Palestrina | Principe Carlo Benedetto Giacomo Stuart m.1887 = Louise Jeanne Francois Dalvray de Valois | Principe Giulio Antonio Enrico Stuart m.1941 = Maria Joanna Vandenbosch di Fiandra | Giulio Giuseppe Giacomo Stewart di Annandale 1906-1985. --E' indicata la linea principale ereditaria degli Stuart. Lungo questa genealogia (dai documenti genealogici della Royal House of Stewart) la discendenza merovingia passa attraverso Re Macbeth, Re di Scozia (1040-1057) ucciso da Malcolm, figlio di Duncan per far nascere intorno al 1150 la Casa Reale di Stewart. Tra i sovrani più famosi della dinastia, re Giacomo VI°, Mary Stuart, (in questo periodo si adotta il francesismo Stuart da Stewart) Carlo I°. La famiglia perde il trono di Gran Bretagna in modo definitivo nel 1688 con Giacomo VII°. I successivi eredi si sposarono con nobili di Case occidentali: polacche, italiane, francesi, belghe. La Casa Stewart sembra estinguersi con Giulio Giuseppe Giacomo Stewart di Annandale, morto nel 1985 che non lascia eredi maschi. Ma il giovane conte Micheal La Fosse (nato a Bruxelles nel 1958), figlio di Renee Julienne Stewart (n.1934, figlia di Giulio Giuseppe Giacomo) e di Gustave La Fosse (n.1935) conte de Blois, nel 1976 viene accolto in Scozia dove gli vengono conferiti i titoli reali di Principe Michele Giacomo Alessandro Stewart. Nel 1996 ha pubblicato il libro "Scozia, La monarchia perduta" nel tentativo di ricostituire la successione dinastica. Anche la linea genealogica degli Stewart si sviluppa sulla casa Merovingia, da Fredemondo, secondo figlio di Faramondo e Argotta. Non vi sono invece collegamenti diretti e attendibili dalla discendenza da Artu. Lo stesso matrimonio tra Anna e Bran il Beato, da cui discenderebbe Artu, sarebbe avvenuto tra Anna e un uomo ritenuto il primo a portare la cristianità nelle isole britanniche: un marito ideale da associare alla figura di origine cristiana di Anna. Si può quindi affermare che il "Sangreal" non ha origini dai tempi di Gesù ma dalla dinastia Merovingia, fondata da Meroveo nel 456 d.C.

la Famiglia Allargata di Gesu'------------------- La Ricerca del Santo Graal -------------------- Enigma Gesu'-Le Fonti Dissepolte

Non è difficile immaginare che Enrico VIII, nella foga di palesare una propria discendenza da David, Gesù, Elena e Costantino, per sganciarsi dal cristianesimo cattolico romano, abbia voluto dare una impronta tutta inglese alla nuova Chiesa Anglicana ignorando totalmente altre fonti storiche. (Esempio: Elena, principessa inglese discendente di Caractaco - fonti storiche dichiarano all'unanimità che Elena fosse nata in Bitinia, nulla di più lontano dall'Inghilterra.). "Flavia Iulia Helena, nata in Bitinia intorno al 250 d.C., era una donna di umili origini. Concubina di Costanzo Cloro (prima moglie secondo alcune fonti, ripudiata in un secondo tempo, secondo altre) da cui ebbe Costantino, venne proclamata Augusta dopo il 324 ed ebbe grande influenza sulla politica religiosa del figlio."

Capitolo I - Erode Gesù: il re senza corona di Alessandro De Angelis
Le prove storiche dell'esistenza di Gesù, Giuseppe e Maria

Non tutti sanno che la statistica è una scienza esatta, al pari della matematica di cui essa si avvale per le sue rilevazioni. Molte persone obiettano il fatto che molti dei nomi dei personaggi evangelici e storici di Giuseppe Flavio, usati in comparazione nel libro Sangue Reale: Gesù il figlio segreto del re Erode il Grande per dimostrare che Gesù era il figlio
del re Erode il Grande, erano molto comuni in quell'epoca, per cui – affermano – potrebbe essere una mera coincidenza il fatto che la Maria che cercò di avvelenare Erode nei testi di Giuseppe Flavio risulti imparentata con personaggi che si riscontrano anche nei vangeli ........
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BITINIA

Tratto da Wikipedia: "Diverse antiche città della regione si trovavano lungo le fertili coste della Propontide (ora nota come Mar di Marmara): Nicomedia, Calcedonia, Cio ed Apamea. La Bitinia comprendeva anche Nicea, famosa perché vi si tenne il primo concilio di Nicea e perché vi fu formulato il credo niceno-costantinopolitano". "Di Elena i dati biografici sono scarsi, nacque verso la metà del III secolo forse a Drepamim in Bitinia, cittadina a cui fu dato il nome di Elenopoli da parte di Costantino, in onore della madre. Elena discendeva da umile famiglia e secondo s. Ambrogio, esercitava l’ufficio di ‘stabularia’ cioè locandiera con stalla per gli animali e qui conobbe Costanzo Cloro ufficiale romano, che la sposò nonostante lei fosse di grado sociale inferiore, diventando così moglie ‘morganatica’." A mio parere Costantino non avrebbe avuto motivi per nascondere le origini materne.

STIRPE FRANCESE La teoria sulla Dinastia che porterebbe fino ai Merovingi e ai Conti di Razès.
Nel 1982 uscì 'Holy Blood, Holy Graal', il libro di Micheal Baigent, Richard Leigh, Henry Lincoln, tre famosi giornalisti della Bbc, che realizzarono un dossier sui movimenti eretici medievali, sulla stirpe carolingia, sulla vita di Gesù e sui libri testamentari. I tre autori, credendo autentici alcuni documenti che gli vennero forniti, ricostruirono la suggestiva storia della prosecuzione dinastica di Gesù. Successivamente al 1982 sono usciti centinaia di libri, alcuni decisi a contestare decisamente la tesi della prosecuzione dinastica, altri invece a rafforzare le ricerche sulla vita di Cristo attraverso due generi: lo studio sui papiri di Qumran e sul Vangelo Apocrifo di Filippo, un filone più narrativo e suggestivo, in cui i temi e le implicazioni sono i Catari, i Templari, l'Ordre de Sion e Rennes-le-Chateau. Ma tutte queste pubblicazioni, ognuna che cerca di trovare una nuova teoria, non fanno che confondere, non ci indicano la direzione giusta. Attualmente la difficoltà è così il saper distinguere tra l'editoria esoterico-popolare, con le sue pubblicazioni sui Templari e su Rennes-le-Chateau e sui testi che riportano invece una ricostruzione storica. Molte teorie che sono state elaborate sulla successione messianica e sui movimenti medioevali sono chiaramente suggestive ma non verificabili. La storia e i libri testamentari ci aiutano invece a dare delle interpretazioni e delle certezze per ricostruire un quadro generale della 'Queste du Graal' e comprendere cosa c'è di vero. Secondo la letteratura britannica accettata, l'attuale erede della Casa Reale di Stewart è il principe Albrecht di Baviera che avrebbe diritto ai titoli scozzesi in virtù delle ultime volontà testamentarie del fratello minore di Carlo Edoardo, il cardinale Enrico, duca di York. Questo testamento presumibilmente nominava Carlo Emanuele IV di Sardegna a successore degli Stuart. Attraverso vari matrimoni con discendenti femminili del fratello di Carlo Emanuele, Vittorio Emanuele I°, l'attuale Albrecht di Baviera è diventato l'erede comunemente citato, basandosi su una discendenza piuttosto tenue da Enrichetta, figlia di Carlo I°. Ma il fatto è che il testamento del cardinale Enrico Stuart non nominava Carlo Emanuele suo successore. Dal momento in cui l'Elettore di Hannover salì al trono come Giorgio I° di Gran Bretagna nel 1714, divenne politicamente conveniente sopprimere o nascondere una buona quantità d'informazioni su certe famiglie, valorizzando al tempo stesso il lignaggio di altre. La Casa di Stuart fu attaccata in modo particolare per giustificare la nuova linea di successione germanica. Carlo Edoardo Stuart sposò nel 1772 la principessa Luisa Massimiliana, figlia di Gustavo, principe di Stolberg-Guedern. Nel 1784, tuttavia, ottenne la dispensa papale per il divorzio in seguito alla relazione amorosa di Luisa con il poeta italiano Vittorio Alfieri. Gli archivi degli Stuart a Roma rivelano che nel novembre 1785 Carlo si risposò con la contessa De Massillan nella chiesa dei Santi Apostoli a Roma. Era Margherita Maria Teresa O'Dea d'Audibert de Lussan: cugina per discendenza del prozio di Carlo, il re Carlo II°. Nel novembre 1786, a trentasette anni, la contessa diede alla luce un figlio, Edoardo Giacomo Stuart, che divenne noto come il conte Stuarton. Sebbene non fosse un segreto in Europa, la notizia della nascita del legittimo figlio ed erede di Carlo Edoardo venne immediatamente soppressa dal governo degli Hannover a Westminster (Londra). Nel 1784 Carlo Edoardo aveva fatto testamento nominando suo erede il proprio fratello, cardinale Enrico, duca di York. Carlotta di Albany (1754), nata dall'unione di Carlo nella relazione con Clementina Walkinshaw, sarebbe dovuta essere la sola beneficiaria del patrimonio. Ma il testamento del padre venne annullato da un altro fatto redigere prima della sua morte. Al fine di consolidare la posizione del nuovo re, Giorgio III°, il parlamento georgiano nascose l'esistenza del testamento originario e pose fine al problema della popolarità degli Stuart in Gran Bretagna dichiarando estinto il ramo scozzese, che aveva tra l'altro contribuito alla scissione degli Stati Uniti durante la Guerra d'Indipendenza. Molti scozzesi esiliarono in Nord America. Qui si voleva creare un'alternativa alla monarchia e alla dittatura: un sistema repubblicano per liberare soprattutto la nazione inglese dal dispotismo della Casa di Hannover che regnava in Gran Bretagna. L'idea era un sistema repubblicano fondato sul principio della fratellanza, tuttavia una società ideale aclassista non può esistere in un ambiente, come quello inglese, che promuoveva l'ostentazione di eminenza e superiorità in base alla ricchezza e al possesso. In massima parte, i responsabili della Costituzione degli Stati Uniti e della sua ispirazione morale erano rosacrociani e framassoni: personaggi illustri come George Washington, Benjamin Franklin, Thomas Jefferson, John Adams e Charles Thompson. Quest'ultimo, che disegnò il Gran Sigillo degli Stati Uniti d'America, era appartenente all'"American Philosophical Society" di Franklin, l'equivalente del "Collegio Invisibile" della Gran Bretagna. Le figurazioni del sigillo sono direttamente legate alla tradizione alchimistica: l'aquila, il ramo di olivo, le frecce e i pentagrammi sono tutti simboli segreti di contrari: il bene e il male, maschi e femmina, guerra e pace, buio e luce. Sul verso (ripetuto sulla banconota americana) è raffigurata la piramide tronca, indicante la perdita dell'Antica Sapienza, recisa e costretta alla clandestinità. Ma sopra di essa vi sono i raggi di luce dell'eterna speranza, che avvolgono l'"occhio onniveggente", usato come simbolo durante la Rivoluzione Francese. La Costituzione Americana traccia un cammino ideale verso una forma di democrazia dove il governo del popolo è per il popolo, ignorando le distinzioni di classe, dove i ministri del Governo venissero eletti con la maggioranza dei voti popolari, ma che loro azioni fossero contenute entro i limiti della Costituzione. Poiché la Costituzione appartiene al popolo, il suo difensore (secondo l'idea di Gorge Washington) dovrebbe essere un monarca legato da un impegno verso il popolo e non verso la politica o la religione. Attraverso il naturale sistema ereditario (essere nato ed educato per quel compito), ogni successore assicurerebbe coerenza e una "ininterrotta continuità" di rappresentanza attraverso i successivi governi. A questo riguardo tanto i monarchi quanto i ministri sarebbero i servitori della Costituzione per conto della Comunità del Regno. Tale concetto di governo morale sta proprio al centro del Codice del Graal e rientra nelle possibilità di ogni Stato nazionale civilizzato, dove nessun ministro può pretendere di diffondere onestamente un ideale di uguaglianza nella società quando lo stesso possieda qualche forma di predominio nella società in cui opera. Il precetto del Sangreal va quindi inteso nella capacità di saper vivere per gli altri senza sentirsi umiliati: è l'educazione dell'uguaglianza e del servizio principesco, un eterno precetto che può creare maggiore armonia e unità.

La stirpe messianica. Gesù il Cristo, la sua sposa e la loro prole

La prole di Gesù - Nel mese di giugno dell’anno 30 d.C. era iniziato il periodo del fidanzamento dinastico con Magdala, Sacerdotessa e Superiora delle nazaree dell’Ordine di Dan, che assumeva, come futura regina, il rango di Miriam (Maria) e quindi è meglio conosciuta con il nome di Maria Magdalena. Circa tre mesi dopo era stato celebrato il loro matrimonio e la sposa aveva unto i piedi al sovrano coniuge nella casa di Simone. Poiché Magdalena non era rimasta incinta durante il periodo previsto dal codice reale, né in quell’anno né nel corso del successivo, bensì solo dopo tre anni, il matrimonio definitivo si celebrò nel marzo del 33 d.C., quando era già gravida di tre mesi. Fu lo stesso anno in cui Gesù entrò a Gerusalemme sul dorso di un’asina. Tutti gli ebrei nazionalisti e conservatori si opposero al tentativo del Messia di fare d’Israele una nazione unita, nella quale fossero compresi i gentili, i proseliti e gli altri gruppi analoghi di origine non ebraica. Dopo sei mesi nasceva una femmina, a cui venne dato il nome Tamar. Secondo le regole dinastiche, dopo la nascita di un neonato di sesso femminile, la regia coppia doveva attendere tre anni prima di tentare una nuova gravidanza e nel caso in cui fosse venuto alla luce un maschio vi era l’obbligo di attendere ben sei anni. Nel dicembre del 36 d.C. Gesù riprese il rapporto sessuale con la moglie e nel 37 d.C. veniva alla luce il primo figlio maschio, a cui venne dato il nome Gesù. Nel 46 il suo primogenito Gesù, di nove anni, andò a scuola a Cesarea. Tre anni dopo, celebrò il rito della Seconda Nascita in Provenza. Secondo l’usanza, era rinato simbolicamente dal grembo materno all’età di 12 anni: il suo “Primo anno” da iniziato. Alla cerimonia era presente suo zio Giacomo (Giuseppe d’Arimatea), che poi condusse il nipote nell’Inghilterra occidentale per un periodo. Nel 53 d.C. Gesù junior venne proclamato ufficialmente principe ereditario della sinagoga di Corinto e ricevette puntualmente il titolo di “Justus” che gli spettava, come principe ereditario davidico. Succedette così a suo zio, Giacomo il Giusto, come erede della corona reale. Quando compì 16 anni, Gesù Giusto divenne anche capo nazareno e come tale ebbe diritto di indossare la veste nera, come quella che portavano i sacerdoti di Iside, la Dea Madre Universale. Nel 43 d.C. Maddalena rimase di nuovo incinta e fu l’ultimo periodo di Gesù e, nel corso dell’anno seguente, partorì in terra straniera, ove si trovava in esilio, il secondogenito che prese il nome di Giuseppe.

Il culto di Maria di Cleofa. Per completare

E’ molto complesso risalire alla storia di questa figura mariana. Tuttavia, estendendo il proprio sguardo e spostandosi in Inghilterra, si riesce a comprendere che la sua derivazione è antica. Quindi, Maria di Cleofa, moglie di Zebedeo, rappresenta l’Anziana nella simbologia triplice di Maria. Una piccola carrellata di rimandi. L’epoca medievale è stata spesso indicata come il periodo che vide fiorire la “Merrìe England” , la dolce Inghilterra. La descrizione derivava dal fatto che Mary Jacob (Santa Maria La Zingara) era venuta in Europa nel 44 d.C. assieme alla Maddalena e, accanto al culto per quest’ultima, quello di Maria La Zingara era largamente diffuso durante il Medioevo in Inghilterra. Santa Maria Jacopa (moglie di Cleopa secondo Giovanni 19:25), era una sacerdotessa del I secolo e, a volte, viene chiamata Maria L’Egiziana. Il suo Giuramento Matrimoniale si chiamava il Merrìe, derivato in parte dal nome egiziano Mery (che significava “beneamato”). Da qui , probabilmente, deriva il verbo inglese marry (sposare). Al di fuori della dottrina cattolica, si riteneva che lo Spirito Santo fosse femmina ed era sempre associato all’acqua. Spesso raffigurata con una coda di pesce, Santa Maria era l’originaria merrìmaid (sirena), e le venne dato l’attributo di Marina. E’ ritratta accanto a Maria Maddalena (La Dompna delAquae) in una finestra della chiesa di St. Marie a Parigi. Agli albori del cristianesimo, Costantino bandì la venerazione di Maria la Zingara, ma il suo culto continuò e fu introdotto in Inghilterra dalla Spagna. Maria (Cleofa) Jacopa era sbarcata a Ratis (poi , Saintes Maries de la Mer) insieme a Maria Maddalena (Elena) Salomè, come descritto negli Atti della Maddalena e dell’antica Storia ms d’Inghilterra conservata negli archivi del Vaticano. Il suo emblema più significativo era la conchiglia di pettine, dipinta efficacemente insieme alla sua immagine in veste di Afrodite nella Nascita di Venere del Botticelli. Sacra prostituta e cultrice dell’amore, veniva raffigurata ritualmente dagli anglosassoni come “Regina di maggio” e i suoi danzatori, Mery’s Men, celebrano ancora i loro riti sotto il nome deformato di “Morris Men”.

TESTO

LA STIRPE MESSIANCA

Antichità Giudaiche Di Giuseppe Flavio Lo Storico Ebreo

NOTA BIOGRAFICA Nel 37 –38 d.C. Giuseppe nasce a Gerusalemme da Mattia discendente di nobile famiglia sacerdotale; per via materna è imparentato con il sommo sacerdote. Ancora giovanissimo diviene noto in città per la sua intelligenza e conoscenza della Legge. 56 - 59 A sedici anni comincia un tirocinio presso le più importanti scuole giudaiche del tempo (farisei, sadducei, esseni) alla fine decide per gli esseni e trascorre tre anni di probandato nel deserto alla sequela di un eremita esseno di nome Banno: verosimilmente compì i tre anni di probandato prescritti dalla regola degli Esseni (cfr. 1QS, VI, 13-23). 64 Viene eletto membro di una ambasciata inviata a Roma per perorare la causa di due sacerdoti che erano stati arrestati. L'ambasciata ha successo e i due imputati vengono rilasciati.Nell'occasione Giuseppe comincia a conoscere personalmente la potenza di Roma. 66 Alla fine di quest'anno gli è affidato il governo della Galilea e si trova ad affrontare, dalla parte dei rivoltosi, le legioni romane provenienti dalla Siria. Apparentemente la rivolta aveva acquistato consistenza e unitarietà d'intenti dopo il ritiro dalla regione del legato Cestio Gallo; in realtà i promotori rivoltosi erano profondamente divisi negli obiettivi. 67 A Jotapata si arrende alle legioni romane.Portato prigioniero davanti a Vespasiano gli predice l'ascesa all'impero. 69 Vespasiano viene proclamato imperatore, e ricordando la profezia del prigioniero giudeo, rende la semilibertà a Giuseppe. 70 Divenuto amico di Tito, figlio di Vespasiano, lo segue e lo assiste in qualità di interprete nelle operazioni militari dell'assedio di Gerusalemme,fino alla distruzione del tempio. 71 Parte alla volta di Roma in compagnia di Tito. Assiste al trionfo di Vespasiano e Tito e viene associato alla nobile famiglia dei Flavi ottenendo la cittadinanza romana. 75 - 79 Pubblica la Guerra Giudaica. 81 L'imperatore Domiziano succede a Tito e continua a proteggere Giuseppe garantendogli l'esenzione da imposte per i suoi possedimenti in Giudea. 94 - 95 A 55-56 anni termina le Antichità giudaiche. Negli stessi anni scrive Contro Apione, un'apologia dell'ebraismo, e la Vita. 96 Il 18 settembre viene assassinato Domiziano. 100 - 105 Con molta probabilità,è in questi anni che può essere collocata la morte di Giuseppe Flavio.

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Antichità Giudaiche Di Giuseppe Flavio

Guerra Giudaica - GIUSEPPE FLAVIO

CRONOLOGIA - 63 a.C. La tensione destinata a provocare la rivolta giudaica del 70 d.C. era cominciata cento anni prima, ai tempi della presa di Gerusalemme e della profanazione del tempio da parte di Pompeo che, distrutto lo Stato seleucidico, aveva ordinato lo Stato giudaico nel sistema dei territori vassalli di Roma. La situazione rimase tesa per l'ingerenza dei romani nella lotta tra il sommo sacerdote Ircano II e suo fratello Aristobulo. 47 a.C. Per volere di Cesare, viene nominato viceré della Giudea l'idumeo Antipatro, feroce ministro di Ircano II, contro cui si sviluppa il movimento nazionalistico di resistenza guidato dal galileo Ezechia. Nello stesso anno, questi viene massacrato da un corpo di spedizione agli ordini di uno dei figli di Antipatro, Erode. Il processo per la morte di Ezechia viene insabbiato grazie all'intervento di Sesto Giulio Cesare. 40 a.C. Ircano II viene spodestato da Antigono, figlio del morto Aristobulo, grazie all'aiuto dei parti. Erode fugge a Roma. 37 a.C. Con l'aiuto dei romani, che lo hanno nominato re di Giudea, Erode riconquista il paese; Antigono è ucciso. Protetto da M. Antonio e poi da Augusto, Erode viene posto a capo di un forte complesso comprendente, oltre alla Giudea, la Samaria, i territori di Nord-Est, le città costiere, Gadara e Hippos. 4 d.C. Erode muore e il regno è diviso tra i suoi tre figli Archelao, Erode Antipa e Filippo. 6 d.C. Si sviluppa il movimento degli Zeloti animato da Giuda figlio di Ezechia e scoppiano varie rivolte. 14 d.C. Morte di Augusto, elezione di Tiberio. 37 d.C. Muore Tiberio, viene eletto Caligola; amico di Erode Agrippa, nipote del grande Erode e fratello della moglie di Erode Antipa, Erodiade, cede a lui la tetrarchia di Filippo e nel 39 la tetrarchia di Erode Antipa. La Giudea resta incorporata nella provincia di Siria. La popolazione di Alessandria attacca, in nome del culto dovuto a Caligola, la comunità giudaica pretendendo che le statue dell'imperatore vengano introdotte nelle sinagoghe. 37 d.C. Nasce Giuseppe Flavio discendente, per parte di padre, dall'alta nobiltà sacerdotale, per parte di madre, dalla famiglia reale degli Asmonei. 40 d.C. Caligola ordina che la sua statua venga introdotta e adorata nel tempio di Gerusalemme. 41 d.C. Sollievo in Giudea per la morte di Caligola. Regno di Claudio, che desiste dai propositi di Caligola e conferma i privilegi della comunità giudaica in Alessandria. 44 d.C. Muore Erode Agrippa e tutto il territorio della procuratela di Giudea viene dato all'amministrazione romana. Nel 53 Claudio concede a Agrippa II, figlio di Erode Agrippa, la tetrarchia di Filippo e la potestà di nominare il sommo sacerdote.

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Guerra Giudaica - Giuseppe Flavio

La Segreta Vita Di Gesu'

LUOGO DI NASCITA DI CRISTOFORO COLOMBO

TRATTO DAL LIBRO "LA VERA STORIA DI CRISTOFORO COLOMBO" DEL FIGLIO FERNANDO COLOMBO

Fratelli Melita editori

Da qualche anno la questione della patria di Colombo ritorna periodicamente all'onore della discussione internazionale con ipotesi ed affermazioni impreviste e meravigliose. Esse debbono essere giudicate con severità, perché appaiono frutto di una profonda ignoranza o di insigne malafede. La tradizione designava Colombo come ligure e italiano sia che lo dicesse nato a Genova o a Savona, a Cogoleto o a Nervi, a Quinto o a Bogliasco, egli risultava sempre ligure; e se l'orgoglio municipale lo pretendeva anche nato nel piacentino, in Lombardia o nel Castello di Cuccaro nel Monferrato, egli era pur sempre considerato un italiano. Traendo pretesto da queste contese campanilistiche nostrane, gli stranieri intervennero nella discussione e, un pò alla volta, diedero origine a diverse tesi, per cui Colombo appare ora greco e ora inglese, ora francese, portoghese, spagnolo, catalano, corso, svizzero, etc. La Spagna non si accontenta di un solo Colombo spagnolo e ne possiede diversi, il Colombo gallego, quello estremeno, quello catalano... ogni giorno in Spagna fabbricano un Colombo nuovo. (curiosità: nel libro Fernando riporta che, per il clima malsano di Genova, la madre, scelse di partorire Cristoforo a Bettole, luogo d'origine della sua famiglia, assai più ameno).

L'ORIGINE (IMPROVVISATA) DEI COGNOMI: QUATTROCCHI - QUATTROCCHIO

Sembrerebbe tipicamente siciliano (in Calabria e Sicilia significa Giudici e Baroni) anche se presenta un grosso nucleo, probabilmente non secondario, in provincia di Roma, dovrebbe derivare da soprannomi originati dal fatto che il capostipite portasse gli occhiali. Salvino Armati sepolto in S. Maria Novella a Firenze, viene ricordato come l'inventore degli occhiali da vista, nel secolo decimo terzo. (nota: è difficile immaginare che ai tempi remoti a cui risalgono i documenti di Voghera, i reperti archeologici della Necropoli Quattrocchi di Enna del VI sec. A.C., il Lago Urio Quattrocchi ed i documenti del tribuno Paulus de Quatuor Oculi Signore di Roma "forse di epoca Romana o Merovingia", qualcuno portasse gli occhiali) . Nell' Araldica gli occhiali non sono rappresentati . Negli ultimi secoli precisamente dopo il 1644 (Bolla Pontificia di Urbano VIII a Flaminio Quattrocchio 1633) cominciò una lenta ma inesorabile mistificazione, quasi un anatema, nei confronti della famiglia Quattrocchio, abbinando il cognome al "segreto" (parliamoci a quattr'occhi) e negando la sua rilevanza. Ancora oggi la confusione è molto elevata ed è forse ciò che mi spinge a proseguire nella ricerca. N.B.: nel Dizionario Araldico di Guelfi Camaiani si legge "gli Occhi rappresentano la Giustizia, Iddio e la Custodia".

 

PIETRO CAVALLINI Artefice del Rinnovamento Romano della Tradizione Pittorica

Ricordato dal Vasari tra gli allievi di Giotto per mere ragioni campanilistiche (che volevano sostenere la superiorità della scuola toscana su quella romana), Cavallini pittore appartiene in realtà alla generazione precedente a quella del maestro fiorentino. Poche sono le notizie biografiche che lo riguardano, e anche quelle poche sono contraddittorie, fondate per lo più sulle testimonianze lasciate dal Ghiberti nei suoi Commentari. Nato a Roma intorno al 1240, Pietro apparteneva forse alla nobile famiglia dei Cerroni (residente nel rione Monti, nell'area di S. Pietro in Vincoli): ma questo dato è stato dedotto unicamente da un atto di compravendita del 2 ottobre del 1273 - ora nell'Archivio Liberiano di S. Maria Maggiore (Orig. Pergamena D, II, 48) - in cui è ricordato un Petrus dictus Cavallinus de Cerrònibus, che compare come testimone e nel quale si è voluto identificare il pittore romano, riconoscendo in Cavallinus una sorta di soprannome. Lavorò a Roma, nel Regno di Napoli e forse in Umbria. Non abbiamo dati certi riguardo alla sua morte, che presumibilmente avvenne dopo il 1325. Stefania Falasca, Intervista Bruno Zanardi .!!!
Nel cantiere medioevale i nomi non contavano I documenti mostrano che nella realizzazione di un ciclo pittorico lavoravano parecchi artisti, sotto la guida del capobottega. Bruno Zanardi ci riporta nella Roma della fine del 1200.
Sei anni fa, nel 1994, veniva portata a termine la scoperta degli affreschi del Sancta Sanctorum a Roma. Una scoperta eccezionale per la pittura italiana del Duecento destinata ad avere forti ripercussioni nella comprensione della storia dell’arte di quel periodo. A quell’importante restauro aveva lavorato Bruno Zanardi. Appena due anni più tardi, con la cura di Federico Zeri, Zanardi diede alle stampe un volume che segnò una svolta storica proprio nella comprensione dell’origine di tutta la pittura moderna occidentale: Il cantiere di Giotto. Un’analisi dettagliata delle Storie di san Francesco ad Assisi che mostra come questi affreschi videro poco, anzi nulla, la mano di Giotto, e che apre così un nuovo filone di ricerca il cui baricentro è significativamente diverso. Roma, appunto. A Bruno Zanardi abbiamo chiesto di commentare la nuova scoperta dell’Aracoeli. Allora, professore, una nuova scoperta di affreschi tardo duecenteschi a Roma. Cosa ne pensa?
BRUNO ZANARDI: È davvero troppo presto per trarre conclusioni da questi pochi frammenti di pittura, ma alcune osservazioni Possono essere fatte: innanzitutto bisogna dire che si tratta di una scoperta di estrema importanza sia perché ritrovamenti di cicli di affreschi di quest’epoca a Roma sono eventi rarissimi, sia perché riportano al centro dell’attenzione critica il problema di Roma, cioè di quella grande stagione pittorica che si è espressa a Roma alla fine del Duecento e che è stata sottovalutata.
Lei ha avuto modo di vedere questi affreschi?
ZANARDI: Sì. Posso dire che la qualità pittorica è in alcune parti altissima, molto simile a quella degli affreschi di Pietro Cavallini a Santa Cecilia in Trastèvere. Ci sono anche strettiSSime convergenze, dal punto di vista formale, con il ciclo Assisiate, tanto che alcune parti decorative e spaziali, come ad esempio la torre scorciata nella parete laterale sinistra, sono addirittura assolutamente identiche. Questa stessa torre si ritrova infatti citata nella Volta dei Dottori nella Basilica Superiore di Assisi.
È possibile quindi che gli affreschi dell’Aracoeli siano antecedenti quelli di Assisi?
ZANARDI: Guardi, a parte il fatto che fare un discorso di datazione adesso è assolutamente prematuro inoltre reperire documenti medioevali a riguardo è difficilissimo. Un caso eccezionale è stata la datazione sicura degli affreschi del Sancta Sanctorum perché a commissionarli è stato il papa Niccolò III, pontefice dal 1277 al 1280. La questione non ha comunque importanza, perché a mio parere il punto è un altro. Il punto è che si tratta di cantieri che parlano un linguaggio simile, per quanto si può vedere nei risultati formali; anzi, a mio avviso potrebbe trattarsi dello stesso cantiere, lo stesso cantiere che ha operato sia a Roma, nella chiesa francescana all’Aracoeli, sia ad Assisi, nella Basilica francescana, con alcune maestranze differenti.
Può spiegare meglio? ZANARDI: Voglio dire che, per affrontare correttamente lo studio di questi affreschi, si deve ragionare in termini di cantieri, perché nel Medioevo, si ragionava in questi termini. Nel cantiere medioevale, i nomi non contavano. E i documenti medioevali, (e non solo) ci dimostrano che, i pittori al lavoro nei cantieri erano sempre moltissimi. È chiaro che c’era un capobottega, ma questi lavorava di volta in volta con persone diverse, e dipendeva a sua volta, dagli architetti. E gli architetti, proprio perché lavoravano su ciò che era più costoso, rischioso e difficile, vale a dire la costruzione o il riadattamento delle cattedrali, erano anche quelli, che organizzavano il lavoro dei pittori, e degli scultori. Nel caso dell’Aracoeli non si può, ad esempio, non prendere in considerazione la figura di Arnolfo di Cambio, capocantiere per eccellenza,della Roma e della Firenze di fine Duecento, visto che, egli guida tutte le più importanti imprese di architettura condotte in quegli anni, in queste due città, e quindi probabilmente, anche quelle relative, alla chiesa dell’Aracoeli. È una realtà complessa, che tuttavia, può essere affrontata ragionevolmente, solo in questi termini, altrimenti, si fa una storia dell’arte, dei nomi, una visione evoluzionistica dell’arte, quella, in sostanza, ereditata dal Vasari, e che in troppi ancora continuano a fare. Se, è lo stesso cantiere, ad operare nelle due chiese francescane, di Assisi, e Roma, come lei dice, potrebbe essere, un’ulteriore conferma, che il ciclo degli affreschi delle Storie di san Francesco, non sia di Giotto . ZANARDI: Senta, non voglio riprendere ora, una disputa secolare, sul problema Giotto o non Giotto, ad Assisi, di difficile risoluzione, con implicazioni di argomenti insormontabili. Tuttavia, analizzando da vicino, la tecnica pittorica di quegli affreschi, e i modelli ,utilizzati per la realizzazione delle figure, si può vedere, l’opera di almeno tre diversi maestri, tre diversi pittori. Se da un lato, si Possono vedere, cantieri che parlano una lingua simile, tra Roma, e Assisi,dall’altro cantieri che parlano una lingua altrettanto simile in quel periodo a Firenze, non ce ne sono. Dunque, il problema delle Storie di san Francesco, è infinitamente più ragionevole pensarlo, in un ambito romano, che non in un ambito fiorentino, e giottesco, perché è ridicolo pensare, che una basilica di commissione romana, papale, affrescata nell’ultimo decennio del Duecento, possa essere dominata, da figure fiorentine. La cultura figurativa fiorentina, toscana, degli anni Ottanta del Duecento, è sostanzialmente, bizantineggiante; di gran qualità, ma arcaica. Il suo massimo livello, si esprime in Cimabue, e Giotto, come è noto, si è formato in questo ambiente. E, non poteva ancora il giovane Giotto, in quegli anni, aver maturato una sua lingua figurativa, tale da poter inchiodare a se stesso, tutti quelli, che gli giravano intorno. È la storiografia dei nomi, nella visione toscanocentrica imposta dal Vasari, sulle origini dell’arte moderna in Italia, ad insistere sulle Storie di san Francesco come opera, esclusiva di Giotto: una sopravvalutazione, che ha portato a delle conseguenze ridicole. Quali ad esempio ? ZANARDI: Come è noto e riconosciuto da tutti gli studiosi, ad esempio, ci sono delle differenze enormi tra gli affreschi delle Storie di san Francesco e quelli della Cappella degli Scrovegni a Padova (di cui ora si sta curando una mostra), questi ultimi unanimemente attribuiti a Giotto; e ci sono delle differenze enormi soprattutto con gli affreschi delle cappelle della Maddalena e di San Nicola nella Basilica Inferiore di Assisi. Gli storici dell’arte per affermare con insistenza che la leggenda francescana è opera di Giotto hanno dovuto dire che i grandi capolavori delle cappelle della Maddalena e di San Nicola non sono dell’artista (tutt’al più della sua bottega), fino a quando, recentemente, è stato ritrovato un documento del 1309 che attesta inequivocabilmente che quelli sono opera di Giotto. Ma il fatto paradossale di questa vicenda storiografica è che poi Giotto è veramente un genio, è lui veramente il genio della nuova lingua dell’arte occidentale, quello che si manifesta in tutta la sua straordinarietà nella Cappella degli Scrovegni, e nei capolavori delle due cappelle, nella Basilica Inferiore di Assisi. Ma non è quello delle Storie di san Francesco, che restano, rispetto a questi capolavori eccelsi, ancora rozze. Allora, tornando a quanto dicevamo della Firenze di quel periodo, se l’arte toscana di quegli anni era ancora sostanzialmente bizantineggiante, a Roma non era così. A Roma, in quegli anni, c’erano degli artisti che dipingevano con un’abilità altissima ed erano innovativi dal punto di vista del verismo e del naturalismo. E certo è che il giovane e talentuosissimo Giotto, venendo a Roma sul finire del secolo, ha visto queste opere straordinarie, che erano davvero un’altra cosa, rispetto a quelle della sua Firenze, rispetto, a Cimabue, e ha visto come lavoravano questi pittori, con i quali non poteva non confrontarsi. Chi erano questi Artisti Romani ???
ZANARDI: Si conoscono solo alcuni tra i tanti: Pietro Cavallini, Filippo Rusuti, Jacopo Torriti. Il fatto che se ne conoscano pochi è dovuto alla ragione che dicevo prima, cioè che i nomi nei cantieri a quell’epoca non interessavano e, in altra misura, alla sfortunata penuria di opere e notizie documentarie conservatesi, ma certo anche al citato ferreo mito toscanocentrico. Di Pietro Cavallini, ad esempio, sappiamo, come scrive Lorenzo Ghiberti, «che fu in Roma maestro dottissimo in fra tutti gli altri maestri». Vasari ci dà qualche notizia riguardo alla sua vita, dicendo che è vissuto a lungo e che era «divotissimo e amicissimo de’ poveri». Sappiamo che Cavallini a Roma ha fatto grandi opere in molte chiese importanti: a San Pietro, a Santa Maria in Trastèvere, a Santa Cecilia, nella chiesa di San Francesco a Ripa, a San Crisògono, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, all’Aracoeli. Si tratta di decine e decine di metri quadri di mosaici ed affreschi. E quel poco che purtroppo oggi si può vedere di questo grande pittore (come, ad esempio, l’affresco del Giudizio universale nella Basilica di Santa Cecilia in Trastèvere, datato 1292-93), è di un realismo impressionante.Le sue figure di una grandezza straordinaria non sono più Icone, hanno la presenza plastica delle opere anticoromane. Ma già negli affreschi del Sancta Sanctòrum che risalgono, rispetto a questa opera del Cavallini, a più di dieci anni prima, si Possono vedere elementi di innovazione, elementi realistici, di verismo, saggi di prospettiva e tentativi di caratterizzazione dei volti. Dunque il Realismo nasce a Roma !!! ZANARDI: Il dato di fatto, è che nell’arco di un trentennio, a Roma si rifanno le decorazioni di quasi tutte le chiese,e di tutte e quattro le basiliche patriarcali, cioè delle chiese più importanti della cristianità. E si rifanno in questo modo. Ma se è vero che il nuovo linguaggio nell’arte si preannuncia a Roma, quali Possono essere le ragioni ??? ZANARDI: Il dòminus della vicenda credo vada ricercato nella presenza dell’arte anticoromana e tardoromana. Bisogna pensare che cosa era Roma in quello scorcio di secolo, colma di statue antiche, di tombe di epoca classica scoperchiate con dentro dipinti di un verismo assoluto, di un’abilità prospettica assoluta, pitture eseguite con una perfezione formale assoluta come solo la civiltà classica ha raggiunto; e poi c’è la presenza massiccia dell’arte paleocristiana, i mosaici, gli affreschi delle catacombe. Una fonte inesauribile di confronto, un’abilità e un virtuosismo tecnico con cui questi artisti si sono misurati. Tuttavia il fatto dell’introduzione di questi elementi nelle raffigurazioni si intreccia con quello della committenza. Ad un certo punto si comincia a richiedere di cambiare il repertorio delle immagini. Si chiede ai pittori di non fare più delle raffigurazioni simboliche come erano quelle della cultura bizantina. E si deve pensare che i committenti spendevano somme enormi. Il rifacimento di Jacopo Torriti dell’àbside di San Giovanni in Laterano, ad esempio, viene pagato la bellezza di duemila fiorini d’oro. Se dunque un’opera veniva pagata tanto, doveva rispettare quel valore nella resa formale. I mosaici costavano una fortuna, e nella maggior parte dei casi le decorazioni erano eseguite in mosaico. A Roma insomma c’erano i soldi, e il mercato, come si dice, aguzza l’ingegno. Federico Zeri diceva che questa grande rivoluzione è maturata a Roma, perché era logico che un cambiamento del genere avvenisse in quella che era la capitale del mondo cristiano; ed aggiungeva che le probabili ragioni di questo ritorno alla tridimensionalità, ai dati empirici, fisici, alla cura degli aspetti corporali, siano da identificare nella terribile minaccia rappresentata da certe eresie gnostiche che in quegli anni stavano prendendo piede in Italia. ZANARDI: Può darsi che Zeri avesse ragione nel dire che il passaggio dalla pittura medioevale a quella moderna potrebbe essere legato in qualche modo al tentativo della Chiesa di opporsi alle dottrine gnostiche; è uno dei possibili fattori che potrebbero spiegare perché gli artisti vengono chiamati a cambiare il repertorio delle immagini. Bisogna poi ricordare che l’intero rifacimento delle decorazioni nelle chiese romane si svolge alla vigilia del primo Giubileo della storia, indetto da Bonifacio VIII. Tuttavia i grandi cambiamenti non avvengono per andare contro. E questi mutamenti potevano non avvenire a Roma. Non è detto che tutto ciò doveva per forza accadere a Roma. Benedetto Antèlami, per esempio, all’inizio del 1200, quindi quasi un secolo prima del periodo in questione, fa a Parma delle sculture di un realismo straordinario copiando opere tardoromane di provincia. Dunque, restiamo semplicemente al dato e prendiamo finalmente in considerazione, anche alla luce di questo nuovo ritrovamento nella Basilica di Santa Maria in Aracoeli, quello che è successo qui a Roma in quegli anni, in quegli ultimi anni del Duecento. (1 novembre 2000). "L’Aracoeli dei Pittori Romani". Il ritrovamento di un eccezionale affresco nella chiesa, che fu per secoli il cuore della vita cittadina di Roma, ha riacceso un antico dibattito. Dove iniziò la rivoluzione pittorica avvenuta a cavallo tra il XIII e il XIV secolo in Occidente? Diceva Roland Barthes che davanti alle opere d’arte, quelle vere, l’unica cosa che puoi dire è che sono belle. E aggiungeva che le parole, anche i concetti più articolati e profondi, risultano sempre delle approssimazioni. Non gli si può dare torto. Basta vedere certe immagini di Giotto. La scena della Natività nella Cappella degli Scrovegni a Padova ad esempio, il particolare della nascita di Gesù. Come si può spiegare quell’intensità nei gesti, quello sguardo una tenerezza struggente Si tratta di un capolavoro. Proprio come quello che sta venendo alla luce in una delle più note chiese romane: "Santa Maria in Aracoeli", in Campidoglio. Qui, in questa splendida chiesa francescana, per secoli cuore della vita cittadina di Roma, in quella che sembrava la cappella più modesta, dedicata a san Pasquale Baylon, e che fino a ieri era dominata dal dipinto di un pittore spagnolo della seconda metà del Seicento, è stato ritrovato un affresco della fine del Duecento. Una Madonna col Bambino tra i santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista che rifulgono ancora per l’oro purissimo che fu steso sulle aurèole rialzate delle sacre figure. Più in là una figura di Cristo accompagnato da angeli e da san Pietro, ed ancora dei festoni sorretti da putti alati, la torre di una città perfettamente scorciata, di colore rosso, del tutto analoga ad una presente nella Basilica Superiore di Assisi. Sono solo frammenti, appena un quindicesimo del totale, di un grande affresco che ricopre interamente le pareti della cappella e che è ancora nascosto sotto le ridipinture e gli stucchi. Ma questi primi Frammenti, giunti a noi in condizioni quasi perfette, già bastano a far ritenere che si tratta di un’opera eccelsa del nostro Medioevo. La scoperta è recente. Il giovane studioso, esperto di pittura romana del Duecento, cui va il merito di questo importante ritrovamento, è Tommaso Strinati, figlio di Claudio Strinati, soprintendente ai Beni storici e artistici di Roma. All’inizio di aprile, Strinati, coadiuvato da Claudia Tempesta, responsabile dei restauri alla chiesa dell’Aracoeli, e da Marina Righetti, direttrice della scuola di specializzazione in Storia dell’arte medioevale e moderna dell’Università La Sapienza di Roma, ha iniziato ad investigare su alcune cappelle della navata destra dell’Aracoeli,e sul transetto dove è attestato che lavorò un grande pittore romano di fine Duecento, Pietro Cavallini, del cui lavoro sono rimaste poche tracce, e di cui è andato completamente distrutto l’affresco absidale demolito nel Cinquecento. Gli studiosi si sono soffermati sull’ultima cappella della navata destra dove si ritiene possibile un intervento di Arnolfo di Cambio e dove trent’anni fa erano già stati fatti dei saggi di restauro. Quei saggi rilevarono la presenza di una decorazione in affresco di epoca medioevale, ma i lavori non furono proseguiti. Alla fine dello scorso luglio la scoperta, dietro la tela d’altare, della Madonna col Bambino. Strinati, seppure con grandiSSima cautela, ha già espresso delle ipotesi a riguardo. «Il soggetto mariano che lascia supporre un ciclo di affreschi dedicato alla Madonna» afferma, «credo rappresenti una dormitio Virginis. La tecnica pittorica, la tessitura cromatica con la quale è eseguito l’affresco, mi riferisco soprattutto al volto del Bambino, caratterizzato da una fortissima presenza plastica, fa ritenere possibile la mano di un pittore di strettissimo ambito romano, cavalliniano forse, per le forti analogie sia con le figure dipinte da Pietro Cavallini nella Basilica di Santa Cecilia in Trastèvere, sia con il grande anonimo detto il Maestro d’Isacco nella Basilica Superiore di Assisi; e ritengo non azzardata, anche se prematura, una datazione agli inizi del 1290». «Le pitture», aggiunge inoltre, «per la loro ricchezza, lasciano supporre un patronato gentilizio, ad esempio dei Colonna. Ci vorranno tuttavia alcuni anni prima di riportare alla luce l’intera decorazione e quindi formulare plausibili risposte». Ma se i lavori sono appena cominciati, la discussione è già aperta. Con tutti i dibattiti e le polemiche del caso. L’8 novembre si sono riuniti all’Aracoeli gli esperti in occasione della presentazione ufficiale del ritrovamento presieduta dal ministro dei Beni culturali Giovanna Melandri. Già, perché queste prime tracce riemerse dal nero scatolone del tempo mostrando strette analogie con le Storie di san Francesco ad Assisi, vanno a toccare un campo minato, il vero casus belli per eccellenza della storia dell’arte. Da circa un secolo, infatti, due fazioni, la scuola di pensiero toscana e quella romana, si combattono sostenendo, una, che il suo autore è Giotto e quindi che la nuova lingua dell’arte italiana nasce a Firenze, l’altra, che il suo autore è un pittore romano, e quindi quella stessa nuova lingua nasce a Roma a partire dal grande anonimo detto il Maestro d’Isacco, dalle scene di quel suo soggetto che restano nella Basilica Superiore di Assisi. Casus belli che proprio in questi ultimi anni, dopo la scoperta a Roma degli affreschi del Sancta Sanctorum con le tesi avanzate dalla storica dell’arte Angiola Maria Romanini e soprattutto dopo gli ultimi studi compiuti da Bruno Zanardi e Federico Zeri sulle Storie di san Francesco ad Assisi, ha visto riaccendersi la battaglia. Ma non si tratta solo di dispute specialistiche. Non si tratta solo di andare ad aggiungere un nuovo capitolo alla storia dell’arte, bensì di scompaginare totalmente tutta una visione, una lettura che da secoli, a partire dal Vasari, vede in Giotto il primo indiscusso inventore del nuovo moderno linguaggio della pittura occidentale, il faro isolato della rinascita italiana. Se sarà dunque accreditata la datazione antecedente agli affreschi delle Storie di San Francesco ad Assisi, e se vi sarà riconosciuta la mano di un pittore romano come Pietro Cavallini, il primato di Giotto non sarà più tale. E non sarà Firenze ma Roma a detenere questo primato. «Purtroppo, della pittura romana, della scuola romana di quel periodo si conosce pochissimo» spiega Strinati. «Eppure dal 1250 al 1300 Roma assiste ad una stagione che deve esser stata straordinaria. Basta pensare che nell’arco di un ventennio vengono rifatte le decorazioni di tutte e quattro le basiliche patriarcali e di tutte le più importanti chiese di Roma. Cantieri enormi in cui lavoravano decine di maestranze, delle quali non sappiamo nulla o quasi. Di alcuni pittori come Filippo Rusuti, Jacopo Torriti, Pietro Cavallini non si conoscono che poche opere. Perché se della pittura di Giotto moltissimo si è conservato, anche se si tratta di opere posteriori alla leggenda francescana, della pittura romana di fine Duecento, contemporanea al ciclo francescano, non è rimasto quasi nulla». Secoli di renovationes Urbis uniti a qualche disastro, come l’incendio che ha demolito la Basilica di San Paolo, hanno infatti provocato la distruzione di chilometri quadrati di mosaici e affreschi, lo smembramento di centinaia di monumenti e la manomissione fino alla cancellazione di decine e decine di architetture. Vale a dire la sostanziale cancellazione dell’immenso cantiere di architettura, scultura e pittura che fu Roma alla fine del Duecento, alla vigilia del primo Giubileo del 1300 indetto da Bonifacio VIII, dove vengono a lavorare decine e decine di artisti e dove convergono anche noti maestri toscani tra cui Cimabue, Arnolfo di Cambio e Giotto. Da qui soprattutto l’estrema importanza e rarità di questo ritrovamento. Potranno, dunque, questi affreschi, che rimettono con forza l’accento sulla questione romana, far luce su quella grande stagione pittorica che si è espressa a Roma alla fine del Duecento? Potranno far chiarezza su quegli stretti legami che uniscono Roma ad Assisi? E non sarà proprio l’Aracoeli un laboratorio avanguardistico dove si incontrano maestranze toscane e romane sviluppando quelle soluzioni che si ritroveranno ad Assisi? E non sarà Cavallini il maestro di Giotto, il pittore romano dal quale Giotto impara a dipingere figure di straordinario realismo? Tutte domande che forse potranno trovare una risposta anche dalla definitiva riscoperta del ciclo completo degli affreschi dell’Aracoeli, augurando che non valga, almeno in questo caso, quanto diceva Socrate: «I prodotti della pittura ci stanno davanti come se vivessero, ma se li interroghi, mantengono un maestoso silenzio». "La chiesa di Santa Cecilia in Trastèvere" . Difficilmente si potrebbero trovare chiese medievali in Roma più rilevanti per capolavori d'arte di questa bellissima chiesa trasteverina. La vicenda del martirio di Cecilia, nobile romana, è notissima, e rammemorata dalla scultura di Stefano Maderno sotto l'altar maggiore di cui diremo oltre. La basilica sorge sulle fondamenta di una casa romana, tuttora visibile, che la tradizione vuole essere quella della famiglia di Cecilia, e che scavi recentissimi hanno rivelato essere stata prestissimo adibita al culto cristiano, con tracce di un raro fonte battesimale, il che testimonia dell'importanza del luogo di culto cristiano fin dalla tarda antichità, luogo di culto la cui prima menzione risale peraltro al 499. La costruzione della basilica ancor oggi visibile è opera di Pasquale I (817-824), che la fece splendidamente decorare, mentre il portico, il campanile e una parte del convento sono opera di Pasquale II (1099-1118). Una seconda, ricca fase decorativa dell'edificio si ebbe intorno al 1290, con gli affreschi di Pietro Cavallini e il ciborio di Arnolfo di Cambio. Ulteriori restauri si ebbero nel quattrocento e nel cinquecento, oltre al ritrovamento sensazionale all'epoca, del corpo della santa nel 1599, su cui ci soffermeremo più avanti. Una forte modifica dell'interno fu effettuata nel 1724, ma soprattutto lasciò il segno l'intervento del 1823, quando le colonne delle navate, per motivi statici, furono racchiuse in pilastri in muratura, alterandogli equilibri spaziali dell'interno. A cavallo fra l'ottocento e il novecento scavi e restauri hanno rimesso in luce la casa romana sottostante e gli affreschi del Cavallini. Sulla piazza di Santa Cecilia si affaccia il monumentale ingresso settecentesco al quadriportico, dubbiosamente attribuito a Ferdinando Fuga; il quadriportico originario di accesso alla chiesa è in realtà oggi un bel giardino al centro del quale è stato collocato un grande vaso romano. Gli edifici sui due lati del giardino sono occupati a destra da un monastero di suore francescane, a sinistra da un monastero di benedettine, alle quali è affidata la basilica di Santa Cecilia. Il portico della chiesa conserva sull'architrave un fregio musivo del XII secolo riccamente policromo, dove sono raffigurate tra l'altro Santa Cecilia e altri santi e sante. Sotto il portico molti monumenti funebri, tra cui spicca quello del cardinale Paolo Emilio Sfondrati (m. 1618), opera di Girolamo Rainaldi, le cui sculture furono eseguite su disegno di Pietro Bernini, padre di Gian Lorenzo. L'interno è a tre navate di cui quella centrale particolarmente spaziosa e luminosa, separata da quelle laterali dai pilastri che, come detto, racchiudono le colonne antiche, intervento ottocentesco che per altro si intona con la sistemazione settecentesca, sopratutto della volta, al cui centro è l'affresco con l'Incoronazione di Santa Cecilia, eseguito da Sebastiano Conca nel 1725. La navata è separata dal presbiterio da una splendida balaustra composta da marmi pregiati, del 1600 circa. Oltre questa, il celeberrimo ciborio, capolavoro d'arte gotica, opera di Arnolfo di Cambio, su cui è stata ritrovata la firma dell'artista e la data del 1293. Sotto l'altare, il sepolcro di Santa Cecilia con la statua della santa, opera di Stefano Maderno, che ne ritrasse il corpo così come era stato ritrovato al momento degli scavi effettuati nel 1599, fatto che produsse un enorme clamore. La santa, con il profondo taglio sul collo eseguito dal carnefice e al quale sopravvisse tre giorni, accenna con le dita delle mani al mistero della Trinità. Nel catino absidale è conservato il mosaico dell'epoca di Pasquale I raffigurante il Redentore benedicente con, a sinistra, i Santissimi Paolo e Cecilia, e Pasquale I (che sulla testa porta il nimbo quadrato, a significare che era in vita al momento dell'esecuzione del mosaico, e reca nelle mani il modellino della chiesa in offerta); a destra i Santissimi Pietro, Valeriano e Agata. La basilica, nelle navate laterali e nelle cappelle, è ricca di numerose altre opere d'arte, tra cui, a destra, nell'ambiente del calidarium, dove Santa Cecilia, secondo la tradizione fu esposta ai vapori bollenti prima della decollazione, due opere di Guido Reni, i Santissimi Valeriano e Cecilia, e, sull'altare, la Decollazione della santa; sempre a destra, la quattrocentesca cappella dei Ponziani, la settecentesca cappella delle reliquie, opera del Vanvitelli, e una cappella col monumento funebre del cardinale Rampolla del Tìndaro, scenografica composizione (1929). Dalla navata sinistra si può accedere al chiostro romanico (XII secolo) del convento, e salire al coro delle Monache, che corrisponde al sottostante vestibolo interno, dove nell'anno 1900 è stato riscoperto il Giudizio universale di Pietro Cavallini, massimo capolavoro della pittura medievale romana, eseguito intorno al 1293, e che si situa nel momento di passaggio tra la grande tradizione bizantina e la nascita della pittura "moderna" ad opera di Giotto. L'affresco in origine si estendeva su tutta la controfacciata della chiesa insieme ad altri sulle pareti della navata centrale, tra le finestre e le arcate del colonnato,ora coperti dai rifacimenti settecenteschi e di cui si può vedere l'inizio del coro. Negli anni in cui fu ritrovato il Giudizio universale, fu scavato l'ampio complesso archeologico sottostante, al quale si accede sempre dalla navata sinistra, un insieme di costruzioni che vanno dalla tarda repubblica al IV secolo Dopo Cristo, in cui rimangono tra l'altro dei pavimenti in mosaico bianco e nero. Dagli ambienti romani si può vedere la singolare cripta neobizantina fatta costruire dal cardinale Rampolla del Tìndaro, su progetto dell'architetto Giovan Battista Giovenale (1901), dove, da una finestrella sopra l'altare, sono visibili i sarcòfaghi che racchiudono i corpi di Santa Cecilia e degli altri santi qui seppelliti. L'antistante piazza di Santa Cecilia conserva alcune case medievali, peraltro assai pesantemente restaurate nel nostro secolo. "San Paolo fuori le Mura": 1277-1285 Purtroppo nulla è sopravvissuto della prima attività del pittore, che intervenne nella decorazione ad affresco di San Paolo fuori le Mura, perduta in seguito all'incendio che nella notte tra il 15 e il 16 luglio del 1823 danneggiò la basilica in modo gravissimo. Di tale decorazione rimangono soltanto copie del secolo XVII, tra cui le più importanti sono quelle eseguite intorno al 1634 per conto del cardinal Francesco Barberini, poi raccolte nel manoscritto Barberino Latino, 4406 della Biblioteca Apostolica Vaticana. Gli affreschi, per i quali si presuppongono due fasi (una al 1277-1279, l'altra intorno al 1285), erano disposti lungo la navata centrale su due registri sovrapposti di ventidue riquadri ciascuno. Sulla parete sinistra erano rappresentate scene tratte dagli Atti degli Apostoli, con particolare riguardo a episodi della vita di San Paolo; sulla parete destra scene tratte dall'Antico Testamento; qui il pittore seguì le tracce di un ciclo preesistente e risalente forse alla metà del V secolo (tanto che l'intervento di Cavallini è stato definito più un 'restauro' che un'opera originale), di cui anzi conservò un intero riquadro, riconoscendo pertanto, con coscienza critica desueta a quei tempi, un singolare valore a quanto rimaneva dell'antica pittura. Sotto i riquadri si stendeva una serie di ritratti papali entro clipei, mentre in alto, tra le finestre, erano affrescate grandi figure di apostoli e profeti. Unici frammenti superstiti dell'originale impianto decorativo sono alcuni clipei con i busti di pontefici, oggi staccati e conservati nella Pinacoteca della basilica ostiense. "Santa Maria in Trastevere". Un'opera di sicura mano dell'artista è costituita dai sei episodi a mosaico relativi alla vita della Vergine posti sotto il catino absidale di Santa Maria in Trastevere, nonché dallo scomparto votivo con la Madonna tra i Santissimi Paolo e Pietro ai cui piedi è il committente, il cardinale Bertoldo Stefaneschi, domicellus alla corte pontificia. Nello scomparto dedicatorio, ancora nel secolo scorso, era visibile una iscrizione con il nome dell'artista e la data, così da rendere certa l'attribuzione al Cavallini. Il ciclo inizia da sinistra sulla parete accanto all'abside con la scena della Natività della Vergine, per proseguire nel catino con l'Annunciazione, la Nascita di Gesù, l'Adorazione dei Magi, la Presentazione al Tempio,la Dormitio Virginis. Ogni scena è commentata da una iscrizione metrica. Tutta la decorazione trasteverina poggia sull'ordine e sulla misura, sulla semplicità monumentale della composizione e sulla sua verosimiglianza; la costruzione dell'ambientazione abbandona i modelli bizantini e si trasforma in qualcosa di reale, fatto di architetture e di spazi vissuti e credibili. La tecnica del mosaico tende ad adeguarsi a quella dell'affresco: usando filari di tessere minute, Cavallini mira a ottenere la stessa fluidità della pennellata, modulando i colori in una serie di tenuissimi trapassi che vedono contrapporsi alle note chiare nelle emergenze plastiche quelle scure nelle profondità delle pieghe; si tratta di un evidente richiamo alla grande arte paleocristiana in cui la ricchezza del panneggio era il mezzo per rendere efficacemente la presenza corporea. Sulla questione della cronologia dell'opera, si è sempre fatto riferimento ad una data letta nel secolo scorso dal Barbet de Jouy (1251) e corretta dal De Rossi (1291) sul pannello votivo che fu eseguito naturalmente alla fine del lavoro. Ma anche la datazione al 1291 non trova la critica completamente concorde ; recentemente infatti è stata espressa l'opinione che i mosaici di Santa Maria in Trastevere debbano essere spostati più avanti, dopo l'esecuzione degli affreschi di Santa Cecilia in Trastevere, vale a dire tra il 1293 e il 1300. Va infine detto che a Cavallini è stato anche attribuito (ma senza fondamento) un 'restauro' sul volto della Madonna Regina nel mosaico della calotta absidale del secolo XII.
"San Pietro in Vaticano". Dice Vasari: "Costui, dunque, essendo discepolo di Giotto, et avendo con esso lavorato nella nave di San Pietro fu il primo che dopo li illuminasse quest’arte e che cominciasse a mostrar di non essere stato indegno discepolo di tanto maestro Dice Ghiberti: e vedesi dalla parte dentro sopra le porte 4 evangelisti di sua mano, in santo Pietro di Roma di grandissima forma ..e due figure molto eccellentemente fatte e grandissimo rilievo, ma tiene un poco della maniera antica cioè greca". Della vecchia basilica nulla è rimasto tranne alcuni frammenti di mosaico che rappresentano due angeli provenienti forse dalla navicella della basilica che Giotto, secondo il Vasari, avrebbe dovuto eseguire, "ma la fattura è così Cavalliniana che è comprensibile l’idea che Giotto si sia servito, non certamente di Cavallini assente da Roma, ma forse dei suoi allievi ai quali affida le figure di contorno".

 

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