GENOVA

SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA Atti di Guglielmo da Sori. Genova - Sori e dintorni(1191, 1195, 1200-1202)a cura di Giuseppe Oreste - Dino Puncuh - Valentina Ruzzin

1200, gennaio 9, <Genova>, in domo Bertoloti de Monelia Alberto Quattrocchio, figlio di Rubaldo Quattrocchio, dichiara di aver ricevuto in beni immobili l’equivalente di 12 lire a titolo di dote della moglie Maria, figlia di Bertolotus di Moneglia, accreditandole sui propri beni l’equivalente di 12 lire a titolo di antefatto. Nel margine esterno: « XII ». Il documento è barrato con linee oblique parallele. Ego Albertus Quattuor Oculi, filius Rubaldi Quattuor Oculi, confiteor accepisse pro dote et patrimonio Marie, sponse mee, filie tui Bertoloti de Monelia magistri, medietatem omnium rerum mobilium et immobilium seseque moventium illorum omnium que pater tuus Iohannes Lociolus de Comilio habebat et possidebat in Comilio et pertinentiis et in Monelia et 88 poteris invenire pro libris XII et inde me bene quietum et solutum voco et volo ut sint ei salve in bonis et rebus meis habitis et habendis sine omni mea et omnium per me contradictione. Et facio et nomine antefacti dono eidem Marie, predicte sponse mee, tantum in bonis meis et rebus habitis et habendis quod bene valeat l(i)b(ras) XII denariorum Ianuensium et volo ut de ista donatione faciat ipsa quicquid voluerit pro more et consuetudine civitatis Ianue sine omni mea et heredum meorum atque omnium per nos contradictione, per te patrem suum Bertolotum recipientem hanc donationem nomine ipsius. Actum in domo predicti Bertoloti de Monelia. Testes Willelmus Bullus, Vivianus Quattuor Oculi, Trancledus de Monelia, filius Villani de Comolio, Albertus Barberius. MCC, VIIII die ianuarii.

1200, agosto 14, <Genova>, in domo que fuit Iohannis Fedaçarii Ermellina, vedova di Giovanni Fedaçarii Çucarelli, dona al genero Giovanni Baxabarlla l’equivalente di 10 lire in diversi beni immobili nei pressi di Maxena, a titolo di dote della figlia Dolce. Una lacerazione perpendicolare al testo, che attraversa l’intera carta, interessa tutto il documento con perdita di testo, recuperato attraverso una riproduzione fotografica e reso in corsivo (v. Introduzione). Nel margine esterno: « n(on) ». (Cart. 3/II, c. 121 r.) Ego Ermellina, uxor quondam Iohannis Fedaçarii Çucarelli, confiteor debere tibi Iohanni Baxabarlle, genero meo, libras X denariorum Ianuensium pro dote Dulcis, uxoris tue, filie mee, in solutum quarum tibi do, trado et libero peciam unam terr plenam et vacuam in qua sunt olive XI, loco qui dicitur in Insula, apud Maxenam, cum pertinenciis et commoditate sua; coheret ei inferius terra ecclesie de Maxena, superius flumen, a latere Malvini et ab alia parte hospitalis. Item do tibi in solutum alteram peciam terre plenam et vacuam apud Maxenam, videlicet duas partes domus et terre meas et tercia pars est ecclesie; coheret inferius et superius terra ecclesia, ab alia parte Butari et ab alia parte Balduini Cagnacii. Et in la costa peciam unam terra plenam et vacuam infra clausum; coheret superius via publica, inferius Alberti de Pelegrina, a latere ecclesia et ab alia parte Oberti de Vignolo Item alteram peciam subtus viam plenam et vacuam; coheret superius via publica, inferius ecclesi et ab alia parte Oberti de Vignolo et ab alia parte Alberti Pelegrini. Has itaque terras superius determinatas do tibi Iohanni Baxabarlle predicto, cedo et trado in solutum predictarum librarum X dotis uxoris tue Dulcis, filie mee iam dicte, et confero faciendum quicquid volueris nomine proprietatis sine omni mea et heredum meorum atque omnium per nos contradictione. Quas terras tibi et heredibus tuis et cui tu dederis aut habere statueris per me meosque heredes semper legittime defendere et auctoriçare promitto contra omnes personas et nullatenus impedire sub pena dupli stipulata de tanto quanto valent aut melius valuerint. Quare et ob evictionem duple omnia bona mea habita et habenda tibi pignori obligo et specialiter patrimonium meum et raciones meas. Possessionem autem et dominium ex predictis terris tibi tradidisse confiteor et faciens hec consilio propinquorum meorum Willelmi de Paxiano et Viviani Quattuor Oculi, renuncio senatus consulto Velleiano, iuri ypothecarum et legi Iulie omnique iuri. Actum in domo qua stant, que fuit Iohannis Fedaçarii predicti. Testes Rogianus botarius, Vegius calegarius, Vivianus Quattuor Oculi et Willelmus de Paxiano. Anno Domini MCC, indictione II, XIII die augusti.

– Albertus Quattuor Oculi, f. (figlio) Rubaldi Quattuor Oculi:
107; eius uxor: v. Maria, f. Bertoloti de
Monelia.

– Maria f.(figlia) Bertoloti de Monelia, ux. Alberti
Quattuor Oculi: 107.


- Petrus Quattuor Oculi: v. Albertus, Rubaldus, Vivianus.


–Rubaldus Quattuor Oculi, eius filius: v. Albertus
Quattuor Oculi.

– Vivianus Quattuor Oculi: 107, 310

Documenti Inediti riguardanti le Due Crociate di San Ludovico IX Re di Francia, raccolti ordinati ed illustrati da Luigi Tommaso Belgrano - Editore: Genova Luigi Beuf 1859

Guglielmino De-Mari accusa a Giovanni Pagano la ricevuta di Lire 600 di Genova , e ne promette il cambio in lire 400 torinesi ... pro quibus nomine cambii tibi uel Ruffo Lauanderio aut Wilielmo Quatuor Oculi seu Rogerio Molinario de placentia uel alteri ...

Archivio storico italiano di Deputazione toscana di storia patria - 1846
VITA DEL VICERE' DON PIETRO DI TOLEDO SCRITTA DA SCIPIONE MICCIO

Sono tanti al tempo d'oggi i vascelli che frequentano la scala di Levante, che hanno posto quelle mercanzie in grandissimi prezzi, e per conseguenza in reputazione straordinaria: e prima, dove si poteva smerciare pannine e drappi in baratto, ora é difficilissimo, volendo reali, e anche di buona stampa , altrimenti in bazzarro tagliano a mezza gamba. Non credo anche, che troppi si arrisicassero a partir di qua con dette monete mesturate : perché noleggiano e' vascelli con obbligo di darli il carico affermativamente ; e se non trovassero da esitare il danaro, non potrebbero complire il suddetto obbligo , e sariano necessitati pagar le navi di vóto per pieno , cosa di gran rilievo. E se per il tempo addietro é riuscito alle zecche del Granduca di Urbino, Mantova , Modena, et anco di Venezia , esitarne quantità ; V. S. abbia per certo, che il mondo é mutato; perché, com'é detto, subito si ricorre alla coppella : e forse ne sono stati causa i Franzesi : perché l'anno 1607 andorno a San Giovanni d'Acri in Soria per caricare de' grani, dove era stato prima Bernardo Zurrer Raugeo, con la nave Quattrocchi, e avea pagato di giuli di Modena, che dopo partito furno conosciuti per quel che erano ; et essendovi capitati certi vascelli franzesi, li svaligiarono di quanto avevano, per risarcirsi della mala moneta. Sicché, come in Levante capita danaro nuovo, non mancano delle lor diligenze. 20 Marzo 1612.

Politiche finanziarie e fiscali nell'Italia settentrionale (secoli XIII-XV)
di Patrizia Mainoni, Università di Milano - 2001

Il libro sulle politiche finanziarie e fiscali nell'Italia settentrionale presenta le caratteristiche degli appaltatori del secolo XIII-XV. Esponenti di famiglie aristocratiche non disdegnavano di partecipare agli appalti delle gabelle dalle quali traggono guadagni considerevoli, investiti in operazioni che controllano dall'interno della amministrazione municipale, rischiando in prima persona il proprio patrimonio. Elenco degli appartenenti al Collegio dei mercanti del 1378. Fra queste famiglie dalla fisionomia spiccatamente mercantile vanno annoverati: Oliari, Marenchi, Quattrocchi, Malchiavelli, De Burla, Palmani, Lancefani, Caselli, Passera, Soprani.

ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME LXIV MISCELLANEO STORICA 31 Dicembre 1934 - NASCITA DEL SISTEMA BANCARIO: INTORNO AL COMMERCIO DI STOFFE, ZENZERO E ALTRE DERRATE

.
I Genovesi, il più delle volte sono mercanti non specializzati nel cambio, e le altre loro attività sono piuttosto coordinate che non subordinate ad esso. In loro è rimasto qualche cosa del mercante - marinaio dei primi tempi, che nel viaggio d’andata non sa con certezza dove approderà (dopo il luogo di destinazione, tutte le commende aggiungono ancora « exinde quo Deus mihi melius administraverit »; e dopo il porto designato per effettuare il pagamento, tutti i cambi marittimi avvertono: « vel ubicumque portum fecerit ») nè con quale carico tornerà indietro (sono ben rari nella nostra serie i contratti dove sia prestabilita la merce da portare al ritorno). Ormai, però, s’è sviluppata a Genova come altrove la figura del capitalista che non si muove di persona ma finanzia altri che si muovano per lui, e a sua volta accetta finanziamenti da altri ; sono rimasti l’individualismo, l’elasticità, la varietà degli affari propria del grande traffico marittimo, ma ognuno tende a raggruppare le fila del proprio commercio in modo che si completino tra loro, che in ogni luogo le merci da vendere pareggino per valore quelle da comprare, e che i mezzi di trasporto siano gestiti in proprio; in breve, ci troviamo spesso di fronte a una integrazione del commercio commercio a catena che precede di poco l’integrazione dell'industria.
Un esempio tipico è quello di Simone Gualterio (o Gualtieri), l’attività del quale ci è documentata da dodici dei nostri atti. Egli vende materia prima ai lanaioli lombardi (1321. 16 genovine di lana lavata, certamente importata dalla Barberia o dalla Siria) e zenzero a Lagny (per dir meglio, un suo parente vi ha depositato dodici balle di questa derrata, e Simone incarica un agente d’una grande società Piacentina di ritirarle, non sappiamo se perchè le venda o perchè siano rimaste invendute); d’altro canto compera panni franceschi per 556. 5 genovine e accomanda zafferano e seta per 770. 3 genovine; per i trasporti di terra, dallo Champagne a Genova, si affida al Piacentino Musso Calderario (cui rilascia una procura generale), per i trasporti di mare compera tre quartieri d’un bucio (pagandoli 360 genovine); (17 marzo. Simone Gualterio fa procura a Musso Calderaro e a Guglielmo Quattrocchio di Piacenza per ricevere da Pierre Blondel (Petro Brondello) di Lagny 12 balle di zenzero depositato presso di lui da Lanfranco Gualterio suo parente. Finalmente. Troviamo tra i cambiatori i banchieri Leccacorvo e soci, e Lanfranco di San Giorgio; per contro il banchiere Giovanni del Pozzo dà denaro a cambio. Per esempio la grande società di Giovanni Pagano, Musso Calderario, Feliciano Feliciani, Guglielmo Quattrocchio etc., creditrice di somme importanti dal Tesoro di Francia per la Settima Crociata (Belgrano, Documenti inediti riguardanti le due Crociate di S. Ludovico IX re di Francia, Genova 1859, passim), oltre a ricevere e a dare denari a cambio, vende vai e panni, dà denaro a mutuo; uno di loro dà in affitto terreni (P 113) e compra parecchie case nei sobborghi di Piacenza (P 117); altri due partendo per le fiere di Champagne vengono incaricati, da persone estranee alla società, di varie commissioni certo non gratuite, tra le quali parecchie riscossioni e il ritiro di mercanzie depositate laggiù (F 42, 81, 196). Similmente Ugo Burrino e soci oltre a qualche cambio, effettuano vendite di panni (F 24, 28, 45, 203, 210) e di pelli (F 59); Antonio Bicuollo e Guglielmo Rato oltre al cambio vendono feltri (P 72) e panni; Oberto de Cariis e soci oltre al cambio vendono panni (F 64, 167) etc. pag. 189
11 marzo. — (Simone) fu Martino D’Oria fa procura a Musso Calderario, Guglielmo Quattrocchio e Silvestro P . . . . lamberto per esigere da frate Guy de Basenville precettore del Tempio L. 125 tornensi mandate da fra Raynault de Viquier (Raynaldus de vicherio) Maestro del Tempio (per lettere sigillate del 1° maggio 1252). È da notare che proprio il Leccacorvo riceve denaro a cambio per conto dei Bonsignori, essi stessi tra i più forti cambiatori del tempo: e questo indizio ci mostra come il cambio fosse ormai diventato in molti casi una speculazione pura e semplice sul denaro. Su questa evoluzione della figura del capitalista cfr. anche Byrne, Genoese shipping in thè twelfth and. thirteen Centuries, New York 1930; e Genoese trade cit. Arriveremo all’integrazione d’industria, verso la fine del secolo, con gli Zaccaria (cfr. Lopez, 50). Riceve a cambio denaro per 2319 provisine e ne dà a cambio per 1000 provisine. In casi come quest’ultimo è evidente che il cambio non è più un mezzo per avere a disposizione su piazza estera la quantità di moneta del luogo occorrente a pagar gli acquisti che vi si fanno: non soltanto perchè il Gualterio poteva pagare almeno una parte de’ suoi acquisti alle fiere di Champagne con lo zenzero e le altre derrate che vi esportava, ma sopratutto perchè se gli fossero occorsi denari provisini che si poteva procurare soltanto per mezzo di cambiatori, non si sarebbe impegnato a fornirne egli stesso ad altri. Insomma, ormai il cambio serve sovente a speculazioni laboriose e complesse: è una forma di prestito che approfitta dell’instabilità e incertezza dei corsi del denaro per mascherare l’interesse, o una specie di gioco in borsa dove il guadagno tocca ad uno o all’altro dei contraenti a seconda che il corso della moneta estera rialzi o peggiori. Naturalmente sul parente che ha depositato lo zenzero a Lagny, Lanfranchino; e sono probabilmente suoi parenti anche Vincigente e Giacomo Gualterio, rispettivamente suocero e marito di quella Giovannina Basso che deve ricevere per dote 650 genovine. Lo stesso si può dire per la banca Bonsignori e per molti altri cambiatori. Invece in un contratto che non ha questo scopo speculativo, e nel quale il cambio cambio inverso, della provisina in genovina è contemplato soltanto in caso di necessità quando manchi la moneta pattuita, per neutralizzare gli effetti di eventuali sbalzi nel corso della provisina si dice che il cambio verrà effettuato « ad cursum secundum quem provenissi tunc valebunt in Francia » . Per altri casi il Lattes, Gen. nel dir. cambiario, pensa che questa clausola di rifusione al corso del giorno sia un principio di quei « cambi con la ricorsa che offrirono più tardi il modo di compiere le più lucrose e le più condannate speculazioni, che distrugge ogni diversità di moneta e di luogo e riconduce il denaro al creditore nel luogo stesso dove lo sborsò, nella moneta ivi corrente ». Ma in la ricorsa, ossia il « nuovo cambio in senso contrario » era pattuito solo qualora non fosse possibile pagare sulla piazza estera e con moneta estera: non era dunque Io scopo ultimo del contratto, ma solo un modo di pagamento da adottarsi in caso d’impedimento alla modalità pattuita. Per chiarire con quanta attenzione si seguisse (e si cercasse di prevedere e sfruttare) ogni rialzo o ribasso del corso val la pena di ricordare un passo d’una lettera d’un mercante Senese stabilito a Troyes indirizzata a un altro Senese nel 1265. « Domino Simone chardinale prochacia quanto può di fare choliare lo dicino que si die paghare per lo fato di re Charlo; e credo que ne sarà cholto una grande quantità di chie a la chandelora presente; e credo que ’l deto rey ne farà molti vendare per avere la muneta a Roma e in Lonbardia. E se ciò fuse, sì pare qu’ e’ provesini dovrebero ravilare. D’altra parte le gienti d’esto paiese que venghono in aiuto del deto rey, sì credo que sieno ora in Lonbardia et àno grande tesoro di muneta e di chanbiora cho loro: de la quale credo che dispendarano una grande quantità, sì que tornesi e chanbiora vi dovranno esere a grande merchato... e se vedete via di poterne trare utilità, si lo prochaciate di fare sin d’ora » {Lettere volgari del sec. XIII scritte da senesi, Bologna 1871, cit. anche in Sapori, art. Cambiatori in Enciclopedia Italiana VIII).
Questa trasformazione non è generale nè completa: anche il fatto che molti cambiatori si occupino al tempo stesso di commercio dei panni francesi dimostra che Io scopo originario permaneva e che il denaro versato a cambio su piazza estera (sia pure come risultato di altre speculazioni) in ultima analisi serviva a pagare merci acquistate su quella piazza. Un esempio dove il cambio non ha visibilmente altro scopo oltre a quello primitivo di trasferire valute di qualità diversa da quella in uso al luogo di partenza, è quello del sassarese Dorbino Pina: il quale per far arrivare al figlio studente a Bologna il classico « vaglia di papà » affida a cambio al lucchese Viviano Zambrino sei genovine che quegli entro quindici giorni trasmetterà a Bologna cambiate in dodici bolognine e mezzo, documenti dell’attività bancaria sono nella nostra serie numerosi e interessanti. La tecnica delle operazioni è ormai giunta a maturità e le funzioni economiche si vanno avvicinando a quelle della banca moderna. Il banchiere dispone del capitale sociale, dei conferimenti di soci temporanei. Per i cambi in provisine è utile osservare che quattordici di essi sono pagabili alle fiere di maggio di Provins, otto alle fiere di Bar-sur-Aube: e questo dimostra, se non erro, che queste fiere dovevano protrarsi oltre la fine di febbraio e il principio di marzo, malgrado quanto dicono il Bourquelot, Etudes sur les foires de Champagne in Mémoires de l’Académie des Inscriptions et Belles Lettres, Paris 1865, e il De Marez, La lettre de foire à Ypres au XIIIe siècle, in Mémoires de l’Acad. Royale des sciences et des beaux-arts de Belgique, Bruxelles 1900, 77 a meno che anche questi cambi, come molti altri contratti, avessero termine un anno) e uno alle fiere di Lagny-sur-Marne e quindi a lunga scadenza, perchè esse non dovevano tenersi che al principio dell’anno seguente. Lagny d’altra parte è nominata in due altri documenti; invece nella nostra serie non vi sono accenni a Troyes nè alle sue fiere che si tenevano ogni anno in novembre e dicembre. La banca a Genova è stata ottimamente studiata dal punto di vista economico dal Sayous (Les mandats de Saint Louis sur son Trésor et le mouvement international de capitaux pendant la VII0 Croisade, in Revue Historique 1931 e sopratutto Les opérations des banquiers italiens en France et aux foires de Champagne pendant le XIII siècle, ibidem 1932) e dal punto di vista giuridico dal Di Tucci op. cit. che si estende anche ai secoli XIII e XIV), per non parlare di un breve studio del Sievekino in History of thè principal publics banks, Aja 1934 e delle classiche pagine del Goldschmidt, Universalgeschichte des Handelsrecht, Stoccarda 1891. Poiché in massima sono d’accordo con le conclusioni del Sayous e del Di Tucci, mi limito a far notare quei lati dell’attività bancaria che dai documenti del marzo 1253 ricevono maggior luce, rimandando agli studi citati per un esame più largo dell’attività bancaria Genovese. Dei fondi a lui affidati in deposito fruttifero. L’abitudine di valersi delle banche per depositi anche a breve scadenza, per pagamenti e per riscossioni era già allora così diffusa, che troviamo un padron di casa che fa depositare a una banca dagli inquilini il prezzo dell’affitto; e un castellano al servizio del Comune Genovese che incarica un’altra banca di riscuotere dalla pubblica amministrazione il suo stipendio e gli altri suoi crediti; un terzo vi deposita denari destinati a pagare un debito che scade soltanto a Natale, perchè nel frattempo non rimangano infruttuosi. Eppure tali versamenti, allora come oggi, non erano senza pericoli e senza legami; è vero che si poteva dare a mutuo denaro depositato in banca, ma d’altro canto si rischiava talora di vedersi restituire con riduzioni quasi del novanta per cento somme versate anche soltanto in custodia. Tutte le banche più importanti e i banchieri più ragguardevoli di Genova compariscono nei nostri documenti: i Pinelli, Lanfranco di San Giorgio, il Puteo, Pasquale Balneo, Pasquale Butino, Niccolò Tortorino, Corrado e Niccolò Calvo, Guglielmo Leccacorvo e soci. Quest’ultimo (e i suoi associati Giacomo Ravaldo, Leonardo Rozo, Obertino Coxano, Giacomo Diano) in quattordici contratti della nostra serie dispongono di 1434. 15. 4 genovine 1200 delle quali provenienti dalla società di Tedisio, Opizone e Niccolò Fieschi nipoti di papa Innocenzo IV di 48. 7. 6 pisanine e di 400 provisine; un quindicesimo atto è una quitanza generale verso un monastero. Dall’insieme dei documenti la loro attività apparisce non troppo diversa da quella delle banche moderne: finanziano il grande. Vedi gli esempi sesto e settimo della nota 58 (P 86); inoltre societas e deposito sono ricordate più volte in contratti bancari successivi. Per contro non abbiamo versamenti a commenda (e anche il Di TUCCI, non conosce che un atto di questo genere). Naturalmente bisogna distinguere i versamenti in societas dalle associazioni costitutive della banca. (transazione in 23 lire in luogo di 200!); per fortuna, però, questa era l’eccezione, e quello stesso Niccolò Calvo che dava il 10 per cento agli eredi di Fazio Lombardi restituì invece integralmente (almeno la quitanza non accenna a falcìdie) il denaro depositato da Altilia di Pegli (Pinelli); (Lanfranco); (Puteo); (Balneo); (Butino); (Tortorino); (Calvo); P 29, 37, 38, 54, 63, 64, 65, 68, 73, 74,99, 100, 101, 102, 114 (Leccacorvo e compagni), inoltre Gerardo Amico banchiere di Piacenza in P 86, Ugolino e Capitino banchieri Senesi in Francia , Filippo Calderario banchiere probabilmente imparentato con Musso Calderario di Piacenza in F 202. S’intende che taluni degli atti citati si riferiscono a banchieri ma non contengono operazioni inerenti alle loro banche. Commercio marittimo e l’industria con commende e mutui, fungendo da mediatori tra il capitale e la richiesta, e di quando in quando stipulano contratti di cambio. Al commercio e all’industria tessile con tutte le loro derivazioni si riferiscono direttamente o indirettamente ben settantacinque documenti della nostra serie: cifra che basta da se sola ad avvertirci della grandissima importanza di questa parte dell’attività economica a Genova. Le vendite più frequenti e cospicue sono di panni franceschi, fiamminghi e inglesi. Più spesso di tutti sono ricordati i panni di Châlons, il centro principale dell’industria laniera nello Champagne, ai quali sovente vanno uniti nei contratti i panni di Saint-Quentin. Continua l’importazione dei rinforzati e degli altri panni di Arras, che aveva conseguito uno dei quattordici contratti, dieci sono commende per tutti i paesi del Mediterraneo, dalla Corsica alla Tunisia, dalla Siria alla Spagna; uno è un mutuo a tre drappieri, un altro è un mutuo a un Bergamasco, probabilmente un industriale della lana; gli altri sono di Pisa e ner Bar-sur-Aube. Vendite o commende di panni di lana: Vendite di cotone e cotonate: Vendite d’allume e altre materie prime per la tintoria: Trasporto di lana e di panni: Venditori di’drappi, di cotonate, lanaioli, cimatori, tintori nominati con l’appellativo professionale, oltre che nei contratti precedenti: (Châlons), 24 (Châlons e Saint-Quentin per L. 66. 16 gen.), 28 (una pezza di Châlons verde per L. 13. 8. 4), 45 (Châlons e Saint-Quentin per L. 65. 10), 201 (quattro pezze di Châlons verde per L. 61. 4. 6), P 16 (Châlons verde e bleu). Alla fine del secolo precedente una pezza di Châlons verde si pagava da 11 a 17 genovine (cfr. Reynolds, The market...), cosicché tenendo conto del deprezzamento della moneta possiamo dire che nel Duecento questi panni fossero un poco diminuiti di prezzo. Per altre vendite di panni di Châlons (anche bruni) a Genova nei secoli Xll e XIII (che sono frequentissime) oltre al Reynolds vedi le opere citate dello Schaube e del Rosso, e Bratianu, Actes des Notaires génois de Pera et de Caffa, Bucarest 1927,Al principio del Quattrocento secondo le Leggi Genovesi del Boucicault, la pezza di Châlons doveva misurare 10 canne e 3 palmi, ed era una delle più grandi (Monumenta Historiae Patriae, Leges Genuenses,). L’identificazione di jalo-nos (oltrove Jhalonos, Çaalonos, Zallaonos) con Châlons e di Sangutinos o Sanguntinos con Saint-Quentin è proposta dal Reynolds: la prima è foneticamente inoppugnabile, la seconda parrebbe più incerta: ma mi sembra che tolga ogni dubbio un documento dove si parla di sanifuintinos (pubbl. in Di Tucci, 111).grande sviluppo alla fine del secolo Xll grazie all’organizzazione degli intraprendenti mercanti Artesiani, che aveva le sue maglie distribuite in tutta l'Alta Italia. Più sporadiche sono le compere di panni di Douai, d’Ypres, di Valenciennes, di Provins, di Sens, e dei panni franceschi probabilmente, ma dei quali non saprei indicare la provenienza precisa. E non mancano acquisti di panni inglesi comuni e rinforzati. Centro d’irradiazione dei tessuti d’Occidente verso Genova e l’Italia erano le fiere di Champagne; ma per quale via essi venivano trasportati di là a Genova? Uno sguardo all’atlante ci suggerirebbe di primo acchitto che l’itinerario dovesse valicare le Alpi in uno qualunque dei passi conosciuti nel Medio Evo, e tagliando la pianura Padana (per esempio atte, 1,132 che la parola derivi da stamen forte. Si pensi che taluni contratti Genovesi (p. es. P 87) scrivono panni staminifortis; si ricordi il quadro che I’Ashley, Englische Wirt-schaftsgeschichte (trad. ted.), Leipzig 1896, fa dell’insufficiente attrezzatura industriale Inglese nel 1258 e anche più tardi: è mai possibile che il nome di una città Inglese si imponesse a prodotti fabbricati ad Arras, a Malines, a Como (poiché tutte e tre queste città producevano stanforti, e anzi quelli di Arras erano molto più diffusi di quelli Inglesi), con un esempio unico nella storia medievale perchè se non prendo abbaglio nessun’altra città del Ponente impone il proprio nome a stoffe fabbricate altrove? E osservo di passaggio che una delle più importanti famiglie d’Arras che trafficavano nei panni si chiamava « de Stanforte (Reynolds, Marchants of Arras 503 sgg.). Stanforti d’Arras in F 134 (8 pezze), 210 (per 106 genovine, insieme con altri panni franceschi), P 87. Panni d’Arras in F 205 (per 103 genovine), P 139 (due pezze bianche e due sanctimoslerii per L. 43. 9. 8 gen.), 144 (sette pezze con altre due di biffa per L. 102. 4. 6 gen.). Per il commercio dei panni d’Arras nel sec. XII e la sua organizzazione cfr. i due articoli cit. del Reynolds, e Schaube, 479 sgg. (Allora ogni pezza si pagava da L. 3. 2. gen. a 4.4, e dunque molto meno dei panni di Châlons, ma nel 1253 i prezzi erano quasi uguali per entrambe le qualità). (3 pezze per L. 54. 4 .6 gen.) P 6 (2 pezze di brunetta). Cfr. Reynolds The market, 840. Nel Quattrocento la pezza di Douai doveva misurare dieci canne (Mon. Hist. Pat., Leges Genuenses, 558). P 51 (sei canne e un palmo di brunetta per L. 7. 13 gen.) Nel secolo XII la pezza di brunetta si pagava da L. 12 a 14 (Reynolds) e nel XV la misura regolamentare per le vergate d’Ypres era di 11 canne, per un’altra qualità di 6 (Leges Genuenses). (2 pezze per L. 9.10 gen.): era dunque una qualità andante. Cfr. Reynolds 844. P 143 (3 pezze per un prezzo del quale restano a pagare L. 14. 6 gen.) Nel secolo XII la pezza di brunetta di Provins si pagava 16 genovine, quella verde saliva fino a 18 (Reynolds); nel XV la misura regolamentare era di 9 canne (Leges Genuenses). Era una qualità relativamente cara. PER SAPERNE DI PIU'

I Libri iurium della Repubblica di Genova
di Dino Puncuh, Antonella Rovere, Sabina Dellacasa, Italy. Ufficio centrale per i beni archivistici - 1992

... Guillelmus Quatuor Oculi balisterius...

Archivio di Stato di Genova > Archivio Segreto > Abazia di San Siro

Guillelmus Quatuor Oculi de Mugnanico. Ruolo nel doc: Testimone ...Abbazia di San Siro

Sede: Genova - Altre denominazioni: Collegio dei Governatori - Periodo di attività: secc. IX° - XIX° - Ambito geografico di competenza: Genova - Si tratta di una delle più antiche abbazia del territorio genovese, forse cattedrale di Genova prima della costruzione di San Lorenzo; fu retta dai monaci benedettini dal 974 al 1575, quando ad essi subentrarono i chierici regolari teatini, poi cacciati in seguito alla rivoluzione nel 1797.

 

Inventario: Pergamene del monastero di San Siro (951 - 1651)

1272, dicembre 31, Genova - Il monastero di San Siro concede in enfiteusi a Isabella, vedova di Rolando di Castelletto, "executoris palacii burgi", una terra situata a Genova, nei pressi di Fossatello, nella contrada "Ansaldi de Vitali", sulla quale insiste una casa di proprietà della stessa Isabella, contro la corresponsione di un canone annuo di 4 soldi.
Datatio: Anno dominice nativitatis M°CC° septuagesimo tercio, indictione XV, die ultima decenbris, inter nonam et vesperas. Originale Supporto: Pergamenaceo mm 220 x 209 - La pergamena presenta due fori d'infilzatura, tracce di rigatura a piombo e macchie di umidità sparse, che non pregiudicano la lettura del testo. Stato di conservazione: Discreto
Lingua e scrittura: Latino. Minuscola notarile del periodo gotico.
Segni di convalida: Sottoscrizione del notaio corredata dal signum tabellionis in forma di Ego monogrammato.
Cfr.: Ed. Le Carte del monastero di San Siro vol. III, a cura di Marta Calleri, Genova, 1997, n 748. Condizioni di accesso: Consultabile in sede. (de): v. Guillelmus Quatuor Oculi, Iacobus de Plano, Iohannes calegarius;v. anche Gamelario,Noello.
Ogerius de Insulis - Autore - Petrus Papiensis - Autore - Raimundus - Autore - Iacobus de Plano de Mugnanico - Destinatario - Paganus de Serra - Estensore
Guillelmus de Montesigalo - Testimone
Guillelmus Quatuor Oculi de Mugnanico - Testimone
Guillelmus Urso de Cisino - Testimone

Toponimi: Gamelario (loc. di Mignanego, Genova) Mugnanico, Munianico (Mignanego, Genova)

 

LE CARTE DEL MONASTERO DI SAN SIRO

O r i g i n a l e , A.S.G., San Siro, n. 498. La pergamena presenta tracce di rigatura a piombo e macchie di umidità sparse, che non pregiudicano la lettura del testo.? In nomine Domini. Nos frater Ogerius, abbas monasteri Sancti Syri Ianuensis, frater Arguixius prior, frater Enricus, frater Iohannes, / frater Petrus Papiensis, frater Raimundus, frater Guillelmus, fratres et monaci dicti monasterii, nomine dicti monasterii et pro ipso monasterio, / locamus et titulo locacionis concedimus tibi Iacobo de Plano de Mugnanico terras dicti monasterii positas in territorio / Mugnanici, loco ubi dicitur Ga[melario], quas tenere consueverat a dicto monasterio Obertus Gamellaria, uni quarum / cum domo supraposita coheret a tribus partibus terra ecclesie.Sancti Laurentii Ianue, a quarta parte terra dicti monasterii; item / tenutam de Noello quam tenebat Guillelmus de Noello, cum vinea, castagneto et iuribus suis, cui coheret ab una parte / terra Iohannis calegarii de Mugnanico et ab alio latere terra monasterii Sancti Thome et totum id quod tenere consueverat Obertus / Gamelaria a dicto monasterio, ad tenendum et usufructandum hinc ad annos decem proximos, te dante et solvente nobis/seu successoribus nostris annuatim, nomine pensionis, libras sex et soldos decem ianuinorum et capones duos in festo sancti Stephani. / Et ad istam pensionem, nomine dicti monasterii, promittimus tibi dictas terras et domum usque ad terminum dimittere et non au/ferre nec inpedire nec pensionem acrexere, sed pocius ab omni persona legitime defendere expensis propriis dicti monasterii, / remissa necessitate denunciandi, alioquin penam dupli dicte pensionis de bonis dicti monasterii tibi stipulanti / promittimus. Pro pena vero et pro predictis omnibus et singulis attendendis et observandis omnia bona dicti monasterii / habita et habenda tibi pignori obligamus. Versa vice ego dictus Iacobus promitto vobis dictis abbati et monacis, recipien/tibus nomine dicti monasterii, dictas terras et domum usque ad terminum tenere et non dimittere, meliorare et non dete/riorare et domum continue habitare et dare et solvere vobis annuatim, nomine pensionis, in festo sancti Stephani, / seu successoribus vestris libras sex et soldos decem ianuinorum et capones duos, alioquin penam dupli dicte pensionis vobis / stipulantibus promitto, et pena conmissa cadam a iure locacionis. Pro pena vero et pro predictis omnibus et singulis atten/dendis et observandis omnia bona mea habita et habenda vobis pignori obligo et pena conmissa liceat vobis dictis ab/bati et monacis dictas terras libere alii locare et ex eis facere prout vobis videbitur sine requisicione alicuius / iudicis sive magistratus decreto, sine omni mea omniumque pro me contradicione. Insuper ego Andreas, faber / de Magnerri, promitto vobis dictis abbati et monacis, recipientibus nomine dicti monasterii, me facturum et curaturum ita / quod dictus Iacobus de Plano attendet et observabit omnia et singula que vobis superius promisit aut ego de meo attendam et obser/vabo et inde proprium et principalem attenditorem et observatorem, debitorem et pagatorem me constituo, sub dicta pena / et obligatione bonorum meorum, abrenuncians iuri de principali et omni capitulo generali et speciali et omni iuri. Actum Ianue, in clau-/ stro dicti monasterii, anno dominice nativitatis M°CC° septuagesimo tercio, indictione XVa, die ultima decenbris, inter nonam et / vesperas.Testes Guillelmus Urso de Cexino, Guillelmus Quatuor Oculi de Mugnanico et Guillelmus, clericus et / familiaris dicti abbatis. Plura instrumenta unius tenoris fieri rogaverunt: hoc factum est pro dicto monasterio. (S.T.) Ego Paganus de Serra notarius rogatus scripsi.


La Finanza Nasce in Italia

Il sovrano si rivolge al mercante e con atteggiamento benevolo e disponibile gli chiede: «Che cosa posso fare per voi?» Il mercante risponde: «Maestà, dateci buona moneta e strade sicure, al resto pensiamo noi» ... Kant

Premessa - C'è stato un tempo in cui le obbligazioni erano scritte in genovese, i banchieri internazionali parlavano toscano, gli assicuratori veneziano, le monete più solide erano il ducato veneziano, il fiorino emesso dalla zecca di Firenze e il genovino. Era il tempo in cui gli italiani insegnavano al resto del mondo come accedere al credito senza incorrere nei fulmini ecclesiastici sull'usura, come consolidare il debito pubblico, come far fruttare i risparmi e come evitare di farsi rovinare da un naufragio. Era il tempo in cui il fallimento di una banca gettava sul lastrico centinaia di famiglie; in cui gli italiani – chiamati indistintamente lombardi e considerati usurai – incorrevano nelle ire dei re e nell'indignazione dei popoli, pesante fardello che sarebbe in seguito passato sulle spalle degli ebrei. Era la fine del Medioevo e l'inizio dell'Età moderna, quando i banchieri per lasciare ai posteri un buon ricordo di sé finanziavano i più illustri artisti della loro epoca: gli Scrovegni chiamano Giotto a Padova, come faranno vent'anni più tardi i Bardi e i Peruzzi nella fiorentina basilica di Santa Croce, e i Medici trasformano Firenze uno dei più importanti scrigni d'arte dell'umanità intera. L'Italia dà alla finanza moderna quasi tutti gli strumenti di cui ancora oggi ci serviamo: l'assegno, la girata, la cambiale, la lettera di cambio, lo scoperto, le obbligazioni, l’assicurazione, la riassicurazione e, passando per la @ di internet, la partita doppia, codificata da Luca Pacioli nel suo Summa de aritmetica del 1494, un geniale matematico francescano amico di Leonardo da Vinci, per non parlare di un altro matematico, Fibonacci che, nel 1202 col suo Liber abaci fa conoscere all’Europa lo zero e la numerazione araba. La partita doppia figura, peraltro, già in un documento genovese del 1340 e rappresenta per l’economia quello che il sistema copernicano significa in astronomia. Genova, Piacenza, Lucca, Siena, Firenze, Venezia e poi ancora Genova sono queste le tappe dell'evoluzione bancaria. Non per nulla le banche più antiche del mondo sono il Monte dei Paschi di Siena (fondato nel 1472) e la banca Carige che affonda le sue radici nel Monte di pietà di Genova aperto nel 1483. I genovesi, forse i più geniali di tutti, danno il là a procedure che saranno in seguito sviluppate dagli altri.

La Moneta - Sul finire della Repubblica romana e durante tutto l’Impero il sesterzio era la moneta (nome derivato da Giunone Moneta) più diffusa in Europa e in Asia. Durante la Repubblica il sesterzio era una moneta d'argento, e veniva coniata sporadicamente. Con la riforma monetaria di Augusto il sesterzio divenne una moneta di grandi dimensioni e d'oricalco (una lega simile all'ottone, di color giallo oro). Il sesterzio rappresentò meglio di ogni altra tipologia monetale romana la grande capacità artistica e interpretativa degli incisori, livelli che non vennero mai più raggiunti fino all'avvento del conio industriale. I sesterzi rappresentavano, anche, un formidabile mezzo di propaganda e informazione (ad esempio, le provincie più lontane potevano conoscere il nome del nuovo imperatore o nuove vittorie dell'impero proprio dal conio dei nuovi sesterzi), questo in virtù della qualità del conio, delle notevoli dimensioni e della sua grande diffusione. Con la fine dell’Impero la moneta scompare; nel medioevo non se ne sente il bisogno, per procurarsi beni si usa il baratto anche se i grandi mercanti internazionali usano il mancuso (o dinar) arabo o l’iperbero (o nomisma o bisante) bizantino che hanno una circolazione scarsa di numero ma molto estesa nello spazio. Questa situazione dura fino a quando appaiono nel tessuto sociale europeo commercianti e artigiani per i quali il baratto risulta assolutamente inefficace. Così Carlo Magno tra il 781 e il 794 decide di coniare una moneta che inizia a circolare nel suo vastissimo impero; nasce cosi il denaro (deriva dal nunnus denarius romano equivalente a 10 assi o 4 sesterzi); con una libbra di argento si coniavano 240 denari e la gente cominciò a chiamare lira, appunto da libbra, i 240 denari. Per comodità viene creato un sottomultiplo fittizio della lira il soldo (dal latino solidus) che equivale a 12 denari cosicché 1lira=20 soldi=240 denari. Agli albori dell’anno mille l’Italia settentrionale è l’area economica più sviluppata d’Europa e le zecche di Milano, Pavia, Verona e Lucca forniscono i denari necessari a far girare l’economia europea. Ma con il passare degli anni gli stati post carolingi consentono alle proprie zecche di introdurre nel denaro quantità sempre minori di argento cosicché il denaro lentamente si svaluta e i vari stati scoprono il principio della svalutazione competitiva, che in Europa durerà fino alla nascita dell’euro. Tra il X e il XII secolo nasce in Italia la Borghesia; sono gli anni in cui Amalfi, Pisa, Genova, Firenze e Venezia si impongono come empori internazionali. Il denaro carolingio non risponde alle esigenze dei nuovi commerci e ciascuna città comincia a battere moneta propria. Inizia Genova con un proprio denaro nel 1138, nel 1184 Venezia fa battere alla zecca di Verona un proprio conio e successivamente Firenze apre una propria zecca per produrre moneta. Ma il denaro anche se mantenuto con il corretto quantitativo di argento è inadeguato per pagare merci preziose o grandi quantitativi di mercanzie; Genova e Venezia, quasi contemporaneamente, coniano il grosso una moneta d’argento quasi puro; il grosso genovese pesa un grammo e mezzo, quello veneziano due grammi. Il grosso entusiasma i mercanti di tutta Europa, pertanto lentamente ogni zecca europea inizia a coniare il proprio grosso. La nuova moneta non è adatta per un uso quotidiano così a Venezia si conia l’obolo che equivale a mezzo denaro; l’obolo per distinguerlo dal grosso inizia ad essere chiamato piccolo, nome che è rimasto tutt’oggi in Sicilia dove i soldi sono chiamati piccioli. Nel 1252 Genova conia una moneta d’oro, il Genovino, qualche mese dopo Firenze conia il Fiorino; entrambe le monete pesano tre grammi e mezzo e hanno un titolo di 950 millesimi. Termina, così, il periodo del monometallismo monetario inaugurato da Carlo Magno quattro secoli prima. Nel 1284 anche Venezia avvia la coniazione aurea con il Ducato, moneta che nasce “tam bona e fina quanto il fiorino”. Il Ducato conquista la fiducia dei mercanti d’Europa e specialmente del medio oriente e dell’Asia e la manterrà inalterata per secoli. L’intervallo di tempo che va dalla fine dell’Impero romano fino all’era napoleonica è coperto tra l’una e l’altra, principalmente, da due sole monete d’oro, prima dal bisante dei bizantini e poi dal ducato dei veneziani. Nel 1544 il ducato prende il nome di zecchino con una purezza di 997 millesimi (da cui l’espressione di oro zecchino). Il nuovo conio ha una tale successo che la zecca realizza sacchetti sigillati di zecchini che restano intatti nel tempo come se fossero appena coniati. Tutte le zecche d’Europa e alcune zecche orientali coniano monete auree ricalcanti o il ducato o il fiorino. Presto non è più solo il metallo a costituire una merce ma lo diventa anche la moneta e quando la moneta si trasforma in merce il mercante diventa banchiere.

I Banchieri - Il percorso che porta alla nascita del credito passa attraverso la costituzione di società tra mercanti. La più antica di cui si abbia notizia risale all’829 e vi partecipa il doge di Venezia, Giustiniano Partecipazio, il primo gentiluomo e proprietario terriero che abbia investito parte delle sue ricchezze in attività speculative sul mare. A quel tempo i soci erano chiamati “compagni” da cui si fa derivare il termine inglese di company. A Genova, invece, questo tipo di commenda viene chiamata societas antesignano della moderna Spa. A quei tempi il maneggio del denaro avviene sopra un banco da cui derivano i termini di banca e di banchiere. Nel XIV secolo si trova spesso l’espressione bancum est ruptum per indicare il fallimento del banco da cui la parola bancarotta. L’attività bancaria moderna vede la luce tra Piacenza, Lucca, Siena, Roma, Milano e Genova all’inizio del XII secolo; nel trecento e quattrocento prevale Firenze, mentre nel cinquecento e seicento la palma torna a Genova. Nel XVI secolo la finanza esce dall’Italia e si trasferisce progressivamente a Bruges, Anversa, Amsterdam e Londra. Un personaggio fondamentale per la nascita della finanza è il cambiavalute; nelle città italiane circolano monete dei vari stati con concentrazioni di metalli preziosi variabili da moneta a moneta e solo i cambiavalute conoscono i loro rapporti di cambio. E’ oggetto di disputa tra specialisti se nasca prima il banchiere o il cambiavalute, fatto sta che, nel 1150, Genova appalta “il diritto di cambiare moneta, per ventinove anni, a un consorzio di banchieri locali”; è il primo documento conosciuto che parli di banche e banchieri. Gran parte delle transazioni tra banchieri e mercanti avviene sulla parola e il nome di banchiere è sinonimo di onestà e affidabilità; banchiere è la persona cui si dà creditum da cui l’accezione moderna di credito. La prima famiglia di grandi banchieri fu quella dei Pierleoni. Il personaggio che dette l'avvio all'ascesa della famiglia fu, nel decimo secolo, il banchiere ebreo Baruch (Benedetto) che si accattivò la protezione papale fornendo alla Santa Sede cospicui aiuti finanziarî. Battezzato in seguito, col nome di Benedetto Cristiano lasciò l’attività al figlio Leone. Questi continuò per la via tracciata dal padre e si mantenne fedele alla Santa Sede. Da lui nacque Pietro (Petrus Leonis, onde il cognome della famiglia), che morì tra il 1124 e il 1130, lasciando dieci figli, tra cui Pietro (poi antipapa Anacleto II). L'aumento della loro potenza suscitò l'ostilità delle altre famiglie romane, in particolare dei Frangipane, che cercarono in ogni modo di ostacolarne l'ascesa, nonostante fossero a essi imparentati. Va ricordato l'atteggiamento indipendente di Giordano Pierleoni che, in occasione della rivolta popolare del 1143, si dimostrò sostenitore del popolo e giunse persino a percuotere papa Lucio II. Nel quattordicesimo secolo l'influenza dei Pierleoni scemò benché vari suoi membri continuassero a occupare cariche pubbliche. I primi banchieri che operarono nel XII secolo provenivano da Piacenza e Milano. Queste le famiglie principali. Piacenza: Andito, Anguissola, Arcelli, Bagarotti, Baiamonte, Bracciaforte, Burrini, Capponi, Cavessoli, Guadagnabene, Leccacorvo, Negroboni, Pagano, Quattrocchi (Guglielmo Quattrocchio operante sulla piazza di Parigi), Bustigaccio, Scotti, Speroni. Milano: Amiconi, Borromei, Castagniuoli, Da Casale, Da Fagnano, Del Maino, Della Cavalleria, Dugnano, Serrainerio, Vitelli. Una famosa famiglia di banchieri Senesi fu quella dei Chigi. Si ritiene che discendesse da un ramo dei conti dell'Ardenghesca, signori di Macereto nel contado senese. I documenti la presentano nel XIII secolo in Siena, dove la famiglia, che era di banchieri, acquistò nobiltà nel 1377 e tenne pubblici uffici. Nel XV secolo, la famiglia si divise nei due rami di Mariano e di Benedetto. Mariano (1439-1504) fu un banchiere famoso, ricostruì il palazzo di Via del Casato in Siena, commise al Perugino la celebre tavola del Crocifisso per l'altare della famiglia in S. Agostino; Sigimondo (1479-1525), suo figlio, genero di Pandolfo Petrucci e persona autorevole a Siena, adornò il palazzo con i dipinti del Sodoma ed eresse la principesca Villa delle Volte. Ma più famoso fu un altro dei figlio di Mariano, Agostino il Magnifico, nato circa il 1465, morto a Roma nel 1520. Appaltatore di saline e dell'allume della Tolfa, tesoriere della Chiesa, dalla sua casa di Roma annodò relazioni commerciali con tutta l'Europa: ebbe ventimila dipendenti, raccolse una sostanza che si disse salire a 800.000 ducati, porse aiuto alle imprese guerresche di Cesare Borgia, all'esiliato Cosimo dei Medici, alle prodigalità di Leone X. Dai Senesi ebbe in dono Portercole (1507). Spiegò uno sfarzo non mai veduto; ma fu amico di letterati, del Bembo, del Giovio, dell'Aretino; aprì una tipografia che diede alle stampr il Pindaro, primo libro greco stampato in Roma (1515); commise a Raffaello e al Sodoma la decorazione della celebre villa fuori di porta Settimiana, che, acquistata nel 1579 dai Farnese, ha il nome di Farnesina; fece decorare da Raffaello la cappella di S. Maria della Pace, e ancora da Raffaello fece disegnare e da lui e da Sebastiano del Piombo dipingere la cappella di S. Maria del Popolo, dove fu sepolto. Decaduto questo ramo della famiglia; il banco fu chiuso (1528). Giova notare che l'attuale Palazzo Chigi prende il nome proprio dalla omonima famiglia. Orlando Bonsignori (si ha notizia della sua morte nel 1273) è stato un banchiere che occupa fra i banchieri del duecento e non solo senesi, una posizione apicale, sia per l'enorme patrimonio finanziario costruito ed investito, sia per le valenze politiche che la sua attività aveva sviluppato; la sua banca diventa la banca dei papi ed è spesso confrontata allo Ior di oggi. Orlando è un banchiere a tutto tondo e la sua banca, la Gran Tavola, può essere considerata l'antesignana della banca universale. Dopo la morte di Orlando, le redini della banca passano in mano al figlio Fazio, ma la spietata concorrenza dei nuovi banchieri fiorentini e l'incapacità degli eredi di mantenere le relazioni con cui Orlando aveva accresciuto il suo prestigio personale, portano la Gran Tavola verso un progressivo fallimento. Il fallimento dei Bonsignori trascina anche la potentissima compagnia dei Ricciardi di Lucca che era arrivata ad essere una delle più importanti società mercantili e bancarie del duecento. L’influenza dei banchieri lucchesi prosegue con la famiglia Rapondi. Essa, già dalla fine del tredicesimo secolo aveva relazioni commerciali con le Fiandre, rese più frequenti e proficue quando la Società dei Rapondi, vendendo i manufatti serici di Lucca e acquistando gioielli, oreficerie, codici e opere d'arte fiamminga, poté esercitare anche il cambio e il prestito ed assumere uffici finanziari, appalti e forniture per i duchi di Borgogna, e per le corti di Parigi e d'Avignone. Il centro degli affari di questa compagnia, in continua relazione con le principali famiglie lucchesi dei Guinigi, dei Cenami e dei Buonvisi, fu Bruges. Dino Rapondi è la figura rappresentativa del mercante e del finanziere lucchese, per la varietà e la molteplicità degli affari economici, per l'autorità delle funzioni pubbliche nel governo della Fiandra, per gli avvenimenti politici da cui trasse profitto per costruire la sua fortuna e ostentare il lusso del suo hôtel di Parigi, sulla strada della Vieille-Monnaie. Partecipò, come consigliere delle finanze, alle vicende della famiglia di Borgogna, alle trattative di matrimonio tra Filippo l'Ardito e Margherita di Fiandra, al riscatto di Giovanni, loro figlio, dopo la disfatta di Nicopoli. Il ramo dei Rapondi, che ottenne da Carlo IV imperatore il titolo comitale palatino, prese parte, fino quasi al termine della repubblica di Lucca, agli avvenimenti cittadini, ricoprendo le prime cariche pubbliche. Con la fine dei Rapondi Lucca esce dal palcoscenico europeo. In campo bancario Genova non sta ferma e vede rifulgere l’astro del piacentino Guglielmo Leccacorvo; il suo banco, da un documento del 1244, è il primo che possa definirsi moderno (per esempio consente scoperti di conto), ma la sua fortuna derivò dall’essersi legato alla famiglia dei Fieschi, onnipotente a Genova, e quando Sinibaldo Fieschi diventa papa col nome di Innocenzo IV i rapporti si fecero ancora più stretti. Il banco Leccacorvo fallisce nel 1259 dopo la morte di Guglielmo. La bancarotta fu figlia dei drammatici avvenimenti politici che sconvolsero Genova in quegli anni, proprio mentre il banco era in fase di espansione. Alcuni storici affermano che alla morte di Guglielmo si scatenò il panico e i clienti corsero alla Banca, ancora solida, per ritirare i propri risparmi. Il panico tra i creditori sarà una delle cause principali del fallimento di molte banche di quei tempi. I più grandi banchieri del trecento non furono, però, né lucchesi né genovesi ma bensì senesi. Le più importanti famiglie di Siena, i Salimbeni, i Tolomei, i Piccolomini sono tutte famiglie di banchieri, anche se la più importante fu quella dei Bonsignori che erano, però, di modeste origini. A Siena non accade quello che successe a Lucca e anche dopo il fallimento dei Bonsignori la città continuerà a calcare la scena bancaria seppure non più da protagonista. Il Monte dei Paschi nasce nel 1472 come banca della Repubblica e nel 1624 il granduca di Toscana concede, a garanzia dei depositi, le rendite dei pascoli demaniali della Maremma, detti “Paschi” da cui il nome attuale dell’Istituto. Ed ecco che arriva il turno di Firenze con i Peruzzi e i Bardi, e, a livello inferiore, con gli Acciaiuoli, i Pucci, i Frescobaldi, i Guadagni nel trecento e i Medici nel quattrocento. I Peruzzi sono un’antica famiglia di Firenze, notevole per la parte che prese alla vita politica della città per tutto il tempo del reggimento comunale, e per l'importanza che ebbe nella vita economica durante un intero secolo, dalla metà del XIII alla metà del XIV. Dell'antichità della casata fanno testimonianza versi di Dante (Par., XVI, 126), che ricollegano il nome di "quei della Pera", col nome della porta per cui si entrava nel piccolo cerchio della prima Firenze; e assai addietro negli anni ci riportano anche le dirette attestazioni documentarie, che provano la personalità storica di Amideo. Da costui, vissuto all'inizio del Duecento, partono i due grandi rami della famiglia: di Filippo e di Arnoldo. Più che per la partecipazione alla vita politica, il nome di questa casata è passato alla storia per l'importanza della compagnia mercantile, che fu, nella seconda metà del sec. XIII, una prima compagnia di Filippo di Amideo, a far parte della quale entrarono nel 1300 i figli di Arnoldo, dando vita a quella grande società che per la larghezza del campo d'azione, per la forza dei capitali, per l'audacia delle iniziative fu detta con orgoglio dal Villani, che ne fece parte, una colonna della cristianità. Sotto la guida degli eredi di Filippo e di Arnoldo, la compagnia si dedicò a ogni sorta di affari, al commercio, all'industria, alle operazioni di banca, impiantando succursali nei principali punti di traffico, e nei grandi centri politici (in Italia a Barletta, a Genova, a Napoli, a Pisa, a Venezia, in Sardegna, in Sicilia, e all' Estero ad Avignone, a Bruges, a Cipro, a Londra, a Maiorca, a Parigi, a Rodi, a Tunisi), alla direzione delle quali avvicendò un personale numeroso e di prima qualità, che dà la misura della grandiosità e della precisione dell'organizzazione. Naturalmente, data la situazione politica dell'Europa nel primo cinquantennio del sec. XIV, che vide la lotta tra Angioini e Aragonesi e l'inizio della guerra dei Cento anni, i campi di azione più proficui apparvero il Mezzogiorno d'Italia, l'Inghilterra e la Francia; ed è appunto a Napoli, a Londra e a Parigi che i rapporti fra i sovrani e la compagnia Peruzzi raggiunsero una tale entità che si può dire che essa, da sola o in unione con le consorelle dei Bardi e degli Acciauoli, abbia avuto in pugno le finanze di quei principi; soprattutto in Inghilterra, dove Edoardo III finì per abbandonare ai mercanti fiorentini la riscossione di tutti i proventi del regno in restituzione dei prestiti enormi ottenuti per le spese della corte e per le esigenze delle guerre in Scozia e contro la Francia. Se le accennate ragioni, a cui si deve aggiungere il fatto dell'esportazione della lana dall'Inghilterra e del grano dal regno di Napoli, e delle operazioni di compravendita di merci, di cambio di monete nelle fiere di Champagne (il successo di tali manifestazioni commerciali era dovuto principalmente alla sicurezza che i conti di Champagne garantivano ai mercanti e alla loro posizione geografica. Situate a metà strada tra il Mediterraneo e il Mar Baltico, divennero infatti il cardine del commercio europeo per circa due secoli), avevano fatto assumere tanta importanza alle succursali londinese, parigina e napoletana, ciò non toglie che anche le altre sedi fossero attivissime: e soprattutto quella di Rodi, dove i cavalieri dell'Ordine gerosolimitano attinsero largamente ai forzieri dei Peruzzi. In breve volgere di tempo la compagnia si trovò impegnata a fondo nelle vicende politiche dei varî settori dove esplicava la sua attività, mentre il comune di Firenze richiedeva dai suoi mercanti, e specie dalle grandi banche, contribuzioni sempre più gravose per far fronte ai nemici, e per attuare il piano di espansione territoriale imposto da quelle stesse condizioni che fatalmente avviavano a passare dall'organizzazione repubblicana alla signoria. Fu così che mentre i bilanci sociali del primo trentennio del Trecento dettero utili altissimi, a partire dal bilancio del luglio 1335 cominciarono le perdite, che, divenendo sempre più gravi, portarono al clamoroso fallimento del 1343. Dice il Villani che, allora, dal re d'Inghilterra i Peruzzi avanzavano 600.000 fiorini d'oro e da quello di Napoli 100.000, mentre il re di Francia li aveva cacciati dal regno confiscando tutti i loro beni. Le cifre sono sicuramente esagerate, e lo studio diretto dei documenti del tempo tende a ridurle: ma non di tanto però, che esse sole non bastino a provare la straordinaria vastità delle operazioni dei Peruzzi, e a giustificare come il fallimento di questa potente società, seguito a breve distanza dal crollo di altre imprese bancarie (i Bardi e gli Acciaiuoli ad esempio), e infine dal dissesto della folla dei mercanti minori, abbia segnato un punto decisivo nella storia economica e nella storia politica di Firenze. Giova notare che nel momento di maggior fulgore la Banca aveva 15 filiali e novanta dipendenti. Nel 1332 Piero di Gualterotto Bardi acquistò per 10.000 fiorini d'oro i possedimenti a nord di Prato dai Conti Alberti, in particolare il castello di Vernio, dando origine al ramo nobile dei Bardi di Vernio. Simone de' Bardi, detto Mone, sposò Beatrice Portinari, figlia di un banchiere. E’ questa la Beatrice amata da Dante Alighieri. A Firenze i Bardi avevano le proprie case sulla strada che da essi prende il nome, la via de' Bardi in Oltrarno, in particolare a palazzo Canigiani, originariamente palazzo de' Bardi. Nel 1427, risiedevano a Firenze 60 nuclei familiari appartenenti ai Bardi, 45 dei quali abitavano nel quartiere Oltrarno. Questo dato dà l'idea della coesione familiare, che risultava utile anche negli affari; la stessa coesione che caratterizzò i Peruzzi. La famiglia Bardi ebbe diverse rivali. Nel maggio 1345 ebbe uno scontro armato con i Peruzzi e molteplici furono gli scontri con i Buondelmonti. La rivolta contro i signori di Firenze del 1343 colpì la loro famiglia, che ebbe la propria residenza assalita e saccheggiata dalla folla. Due anni dopo (1345) Re Edoardo III d'Inghilterra si rifiutò di restituire loro i debiti contratti per la Guerra dei Cento anni costringendo la loro compagnia a dichiarare il fallimento assieme ad altre importanti compagnie, come quella dei Peruzzi, e innescando un processo a catena che coinvolse gravemente l'economia fiorentina. Giovanni Villani scrisse che la quantità di fiorini d'oro prestata al monarca inglese "valea un reame": lo storico stesso, che aveva preso parte alla stipula del prestito, ne pagò le conseguenze venendo incarcerato. Al massimo del suo splendore la compagnia dei Bardi era una delle più ricche d'Europa, superiore anche a quella dei Peruzzi. Aveva numerose filiali in Italia (Ancona, Aquila, Bari, Barletta, Castello di Castro, Genova, Napoli, Orvieto, Palermo, Pisa, Venezia) e in tutto il continente (Avignone, Barcellona, Bruges, Cipro, Costantinopoli, Gerusalemme, Maiorca, Marsiglia, Nizza, Parigi, Rodi, Siviglia, Tunisi). Tra il 1310 e il 1345 la Compagnia impiega ben 346 persone. Con i Peruzzi e gli Acciaiuoli essi ebbero di fatto il monopolio delle finanze pontificie. Per dare un esempio dell'efficienza della loro "holding", nel 1336 essi ricevettero dalla loro filiale di Avignone l'incarico da parte di Papa Benedetto XII di inviare agli armeni, assaliti dalle popolazioni turche, il corrispettivo di diecimila fiorini d'oro in grano. Detto fatto: il 10 aprile arrivò l'ordine, poche settimane dopo gli agenti italiani dei Bardi comprarono il grano sulle piazze di Napoli e Bari tramite le loro filiali, e prima della fine del mese, navi cariche delle vettovaglie erano già salpate verso il Mar Nero. Per capire le ragioni del repentino crollo dei Bardi è necessaria un'analisi della struttura della compagnia commerciale. Ciascuna filiale, sulla carta, era come un'agenzia indipendente che aveva il diritto di stipulare affari, di fissare i prezzi e di autoregolamentarsi. Tutte queste agenzie, tuttavia, erano legate tra loro da un accordo di solidarietà che, quindi, faceva sì che non fossero troppo esposte ai capricci dei singoli mercati e che potessero lavorare in modo coordinato. Un tale modello organizzativo, evidentemente, offriva una notevole flessibilità alla struttura che, tuttavia, si vedeva tutelata in tutte le sue parti dalla solidarietà interna. Era, inoltre, possibile decidere i punti vendita delle merci a seconda dei vari valori di mercato locali, massimizzando così i profitti. Fu questa la forza della compagnia, ma anche la sua debolezza. Nel caso in cui una filiale fosse fallita trovandosi con un profondo rosso, infatti, le altre sedi avrebbero dovuto aiutarla a ripianarne i bilanci. Ciò, tuttavia, poteva portare ad un pericoloso effetto domino avente come il risultato la bancarotta di tutte le filiali della compagnia. Fu ciò che avvenne nel 1343. Le sorti familiari non tornarono più allo splendore del passato, ma i Bardi mantennero comunque uno spessore di rilievo nella vita fiorentina. Dai Bardi di Vernio nacque la Contessina de' Bardi, moglie di Cosimo de' Medici e nonna di Lorenzo il Magnifico. Nel 1576, grazie a una donazione di Francesco I de' Medici, tornarono nel palazzo in via de' Bardi. I Bardi tennero tenacemente i loro possedimenti presso Vernio opponendosi al dominio della Repubblica fiorentina prima e del Granducato di Toscana poi, mantenendo un regime feudale. Solo con il Congresso di Vienna del 1815 venne abolita qualsiasi giurisdizione di tipo feudale e la contea di Vernio venne unita legalmente al Granducato di Toscana. Lo shock per i fallimenti Peruzzi e Bardi fu tale da impedire a chiunque di prendere il loro posto per un mezzo secolo, ovvero fino alla fondazione del Banco Medici nel 1397. Ma giova osservare che il Banco Medici non raggiungerà mai le dimensioni di quelle dei Peruzzi e dei Bardi, non avrà mai un ruolo da protagonista nell’economia europea come fu quello dei primi due. La stessa Firenze non raggiungerà mai la prolificità di banche nel periodo dell’apogeo dei Peruzzi e dei Bardi; ben 88 banchi, contro i 33 del’epoca medicea.

SORI

 

SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA Guglielmo da Sori Genova - Sori e dintorni (1191, 1195, 1200-1202) a cura di Giuseppe Oreste - Dino Puncuh - Valentina Ruzzin

1200, agosto 14, Genova, in domo que fuit Iohannis Fedaçarii Ermellina, vedova di Giovanni Fedaçarii Çucarelli, dona al genero Giovanni Baxabarlla l’equivalente di 10 lire in diversi beni immobili nei pressi di Maxena, a titolo di dote della figlia Dolce. Una lacerazione perpendicolare al testo, che attraversa l’intera carta, interessa tutto il documento con perdita di testo, recuperato attraverso una riproduzione fotografica e reso in corsivo (v. Introduzione). Nel margine esterno: « n(on) ». (Cart. 3/II, c. 121 r.) Ego Ermellina, uxor quondam Iohannis Fedaçarii Çucarelli, confiteor debere tibi Iohanni Baxabarlle, genero meo, libras X denariorum Ianuensium pro dote Dulcis, uxoris tue, filie mee, in solutum quarum tibi do, trado et libero peciam unam terram plenam et vacuam in qua sunt olive XI, loco qui dicitur in Insula, apud Maxenam, cum pertinenciis et commoditate sua; coheret ei inferius terra ecclesie de Maxena, superius flumen, a latere Malvini et ab alia parte hospitalis. Item do tibi in solutum alteram peciam terre plenam et vacuam apud Maxenam, videlicet duas partes domus et terre meas et tercia pars est ecclesie; coheret inferius et superius terra ecclesie, ab alia parte Butari et ab alia parte Balduini Cagnacii. Et in la costa peciam unam terram plenam et vacuam infra clausum; coheret superius via publica, inferius Alberti de Pelegrina, a latere ecclesie et ab alia parte Oberti de Vignolo. Item alteram peciam subtus viam plenam et vacuam; coheret superius via publica, inferius ecclesi et ab alia parte Oberti de Vignolo et ab alia parte Alberti Pelegrini. Has itaque terras superius determinatas do tibi Iohanni Baxabarlle predicto, cedo et trado in solutum predictarum librarum X dotis uxoris tue Dulcis, filie mee iam dicte, et confero faciendum quicquid volueris nomine proprietatis sine omni mea et heredum meorum atque omnium per nos contradictione. Quas terras tibi et heredibus tuis et cui tu dederis aut habere statueris per me meosque heredes semper legittime defendere et auctoriçare promitto contra omnes personas et nullatenus impedire sub pena dupli stipulata de tanto quanto valent aut melius valuerint. Quare et ob evictionem duple omnia bona mea habita et habenda tibi pignori obligo et specialiter patrimonium meum et raciones meas. Possessionem autem et dominium ex predictis terris tibi tradidisse confiteor et faciens hec consilio propinquorum meorum Willelmi de Paxiano et Viviani Quattuor Oculi, renuncio senatus consulto Velleiano, iuri ypothecarum et legi Iulie omnique iuri. Actum in domo qua stant, que fuit Iohannis Fedaçarii predicti. Testes Rogianus Botarius, Vegius Calegarius, Vivianus Quattuor Oculi et Willelmus de Paxiano. Anno Domini MCC, indictione II, XIII die augusti.

SORI STORIA

L'origine di Sori è assai incerta: alcuni ne hanno ipotizzato l'origine greca. È infatti probabile che una popolazione del centro della Grecia l'abbia fondata intorno al VII secolo a.C.: la popolazione si era insediata nella zona e aveva fondato altri paesi nel territorio dei Liguri tra cui Marsiglia e Nizza, ora ambedue in territorio francese. Quasi certamente il piccolo paese con il suo porticciolo fu utilizzato anche dai Romani anche se non ve ne sono testimonianze. Le prime documentazioni risalgono al 1143, con la citazione dei "Consoli di Sori", e ancora nel 1190, o comunque nel XII secolo, quando il borgo fu sottoposto alla cura della pieve di Recco nell'allora giurisdizione dei vescovi di Milano. Rientrò ben presto nell'orbita di Genova, così come i vicini borghi del Golfo Paradiso annessi dapprima nella podesteria del Bisagno e, dal 1606, nel neo istituito capitaneato di Recco. Da questo periodo storico i borghi di Sori e Pieve Ligure furono aggregati nell'unica municipalità feudale di Pieve di Sori. Nei secoli successivi il paese si arricchì grazie ai traffici commerciali e alla marineria, ma come molti paesi della Liguria incontrò le numerose scorribande dei pirati Saraceni nel XVI secolo. Il 1º luglio del 1548 il paese fu completamente saccheggiato, distrutto ed incendiato e 134 persone furono rapite; il paese non poté resistere alla furia di 1500 pirati. Nel 1754 il paese fu occupato dalle truppe austriache e intorno al 1800 le montagne sovrastanti furono teatro di cruente battaglie tra gli austriaci e l'esercito di Napoleone Bonaparte. Con la nuova dominazione francese le quattro municipalità di Sori, Pieve di Sori, Canepa e Sant'Apollinare rientrarono dal 2 dicembre 1797 nel Dipartimento del Golfo del Tigullio, con capoluogo Rapallo, all'interno della Repubblica Ligure. Dal 28 aprile del 1798 con i nuovi ordinamenti francesi, Sori rientrò nel III cantone, come capoluogo, della Giurisdizione della Frutta e dal 1803 centro principale del VI cantone della Frutta nella Giurisdizione del Centro. Nel 1804 la municipalità di Sori aggrega la comunità di Sant'Apollinare. Annesso al Primo Impero francese dal 13 giugno 1805 al 1814 venne inserito nel Dipartimento di Genova. Nel 1815 fu inglobato nel Regno di Sardegna, così come stabilì il Congresso di Vienna del 1814 anche per gli altri comuni della repubblica ligure, ed è in questo periodo che Sori vide un'ulteriore rinascita per la realizzazione, tra il 1816 e il 1818, dell'attuale tracciato della via Aurelia migliorando così i collegamenti stradali. Rientrato successivamente nel Regno d'Italia dal 1861, venne infine raggiunto dalla ferrovia nel 1870. Dal 1859 al 1926 il territorio fu compreso nel VI mandamento di Recco del circondario di Genova dell'allora provincia di Genova. All'inizio del Novecento vengono costruiti l'asilo, la scuola elementare e media e l'acquedotto comunale.

 

PORTO VENERE

LE CARTE PORTOVENERESI DI TEALDO DE SIGESTRO 1258-59 GENOVA 1958 - GEO PISTARINO - NOTARI LIGURI DEI SECOLI XII E XIII

* Ego Ricobonus, filius Iohannis de Valdecelsa, in presencia et voluntate dicti patris mei, promito tibi Balduineto, filio quondam Guilielmi de Enrigoço, recipienti nomine et vice Pagani de Çino de Petra Caranti, quod habebo et tenebo in perpetuum ratum et firmum quod dictus pater meus facere debet cum dicto Pagano de quadam pecia terre posita in territorio Sigestri, ubi dicitur in Valle de Cabiono, cui coheret superius terra uxoris quondam Nichole Rubei, inferius valis, ab uno latere terra heredum Guilielmi de Guaço et consortum et ab alio similiter terra heredum Guilielmi de Gauço, quam dictus pater meus sibi dare debet pro canbio alterius pecie terre ipsius Pagani que est in territorio de Petra Caranti, ubi dicitur in Giara, cui coheret superius terra heredum Grigorii speciarii et fratrum, inferius terra heredum Godencii Comitis de Rapallo, ab uno latere via et ab alio terra Balduini de Cafarello, quam dictus Paganus eidem patri meo dare debet pro canbio terre supradicte, promitens tibi, nomine dicti Pagani, predictum canbium ratum et firmum habere et tenere et contra non venire et nullam de cetero magis facere requisicionem vel querimoniam seu placitum ipsi Pagano vel suis heredibus vel alicui persone pro eo, ego vel heredes mei vel alius pro me, aliquo iure vel modo seu aliqua alia occasione; et omne ius quod in illa habeo tibi, nomine dicti Pagani, penitus remito et omniffariam abrenuncio. Alioquin penarn dupli de quanto contrafactum foret tibi stipulanti spondeo, rato manente pacto. Et pro predicta autem pena et supradictis observandis universa bona mea habita et habenda tibi pignori obligo. Iuro insuper corporaliter ad sancta Dei evangelia omnia predicta et singula adtendere et observare et nullo tempore contravenire, faciens hec omnia in presencia et voluntate dictis patris mei et consilio Oberti guardatoris de Sancto Donato et Oberti Quatuor Oculis, guardatoris potestatis Ianue, quos meos propinquos et vicinos appello; et confiteor me esse maiorem annis XX. Testes Obertus guardator de Sancto Donato et Obertus Quatuor Oculos guardator et Symonetus filius Balduini de Statali. Actum Ianue, in domo qua habitat Balduinus de Statali, die XXVII ianuarii, die lunis, inter nonam et vesperas, MCCLVIIII , inditione prima.
* Ego Jacobinus de Albavera de Portuvenere, filius quondam Çunçiboni, per me et meos heredes facio tibi Grimaldino de Veçano quondam Guglielmi de Grimaldo finem et refutacionem et omnimodam remisionem et pactum de non petendo de omni iure, racione et actione, reali et personali, utili et directa et mixta, quod vel quam habeo vel habere possem seu visus sum habere et mihi conpetit vel conpetere posset in medietate unius pecie terre pro indivisa, que iacet loco ubi dicitur in Petra Plana, quam a te tenebam, cui toti coheret ab uno latere costa, ab alio terra quam tenent heredes quondam Barixarii pro filiis quondam Taiaferri de Veçano, superius via, in ferius rocha ; quam tinelli, et refutacionem promitto tibi ratam et firmam habere et tenere et cuntra nou venire et nullam de cetero magis facere requisicionem vel querimoniam seu placitum adversum te vel heredes tuos vel ad ­ versus aliaui personam pro te, ego vel heredes mei vel alius pro me, aliquo iure vel modo seu aliqua alia occasione. Alioquin penam librarum decem ianuinorum tibi stipulanti spondeo, rato manente pacto. Et pro predicta autem pena et supradictis observandis universa bona mea habita et habenda tibi pignori obligo. Possesionem et dom inium dicte medietatis tibi tradidisse et remisisse confiteor. Quam finem et refutacionem tibi faeio pro solidis viginti ianuinorum . quos proinde a te accepisse confiteor et de quibus me bene quietum et solutum a te voco, renuncians exceptioni non numerate et non accepte pecunie, doli in factum, condicioni sine causa. Juro insuper corporaliter ad sancta Dei evangelia omnia ut supra dictum est adtendere et observare et nullo tempore contra venire. Testes Ioannes de Astrico scriba, Amiguetus de Pignono. habitator Portusveneris, Salvetus de Corsi. Actum in pontili turris de porta de Plaçia Portusveneris, die quarta marcii intrantis, die martis. post conplectorium, MCCLVIIII, inditione prima.

I Cavalieri Templari Cenni di Toponimia Templare

Molti degli Insediamenti Templari in Italia sono andati distrutti oppure se ne è persa traccia. Si possono fare alcune ipotesi basandosi sui toponimi dei luoghi, ma occorre tener presente che i Templari provvedevano alle intitolazioni solo nel caso di costruzione ex-novo, mentre lasciavano il nome originale nel caso di subentro o di donazioni di chiese o di ospizi. Ciò premesso si possono fare alcune osservazioni: - Il Titolo attribuito più frequentemente alle loro chiese è "Santa Maria" seguita da un qualche appellativo (ad es., S. Maria del Tempio, S. Maria dei Franconi, ecc.). Gli altri santi più frequentemente usati erano gli Apostoli, San Giovanni Battista, Santa Maria Maddalena, San Lazzaro di Betania, San Bernardo, San Ilario da Poitiers, San Giorgio, San Tommaso Becket, San Gregorio Magno, San Pellegrino da Tallerona, San Dionigi di Parigi, San Nicola di Myra e Santa Caterina d'Alessandria.
Altri toponimi che possono evidenziare un insediamento sono: Colombera, colombara, palombara: ha il duplice significato di a) luogo dove stanno i colombi b) edificio posto in luogo elevato; in Terrasanta i Templari appresero dagli Arabi l'uso dei colombi viaggiatori. Tale Toponimo si trova sempre nelle immediate vicinanze di insediamenti Templari. Nell'ottica templare indica una torre di avvistamento provvista di colombaia; commenda: toponimo appartenente all'Ordine dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme (o Cavalieri di Malta), attribuito, dopo il 1400, agli ex possessi templari assorbiti da detto ordine; Grancia, grangia, granza, granziera, ganzaria, grasceta, rance e derivati: fattoria o insediamento rurale di conventi, ordini religiosi e ordini monastico-militari; usato dai benedettini e cistercensi nelle loro zone di bonifica e sfruttamento rurale ed in seguito usato dai Templari, data la stretta relazione tra i due ordini (i Cistercensi sono una osservanza benedettina); Hospitale, ospitale, ospedaletto, ospizio, spedale: deve intendersi come ospizio o luogo di tappa; si trova, di solito, fuori le mura della città od addossato ad esse per essere in grado di accogliere i pellegrini anche dopo la chiusura delle porte d'accesso alla città; Lebbrosario, lebbroso, lazzaretto, San Lazzaro: luogo di segregazione nel quale venivano alloggiati gli ammalati di lebbra; esistette una stretta collaborazione tra i Templari e l'Ordine di San Lazzaro: quest'ultimo raggruppava i cavalieri crociati che, in Terrasanta, venivano colpiti dalla lebbra; indossavano un mantello bianco con la croce verde e partecipavano ai combattimenti finché il morbo permetteva loro di combattere; Mason, masone, magione e simili: dal latino "Mansio" e, per i templari, dal francese "Maison" (casa); mulino (seguito dalla specifica "del Tempio" o dal titolo di uno o più santi: ogni precettoria importante od ospizio aveva il suo corso d'acqua e relativo mulino (non è specifico dei Templari); Pellegrino, San Pellegrino: si trova di solito lungo i più importanti percorsi di pellegrinaggio medievale; si trovano spesso presso insediamenti templari, dove, nuclei di "erranti di Dio" decisero di interrompere il pellegrinaggio e di stanziarsi; Peschiera, piscaria, piscatoria e simili: stagno creato artificialmente per allevare il pesce; a causa dell'alto consumo di pesce da parte dei Templari ogni precettoria, autosufficiente, ne creava una nel caso non ci fossero già quelle naturali; Tempio: questo toponimo è sempre abbinato al nome di qualche santo o a specifiche proprietà templari (il già citato S. Maria del Tempio, oppure Casa del Tempio, Costa templare, mercato del Tempio); è da verificare se il toponimo è preesistente al medioevo trattasi di riferimento al tempio pagano.
Tratto dall'articolo "I Templari in Italia ? Solo indizi!", di Fernando Cova

La Spedizione dei Mille

QUATTROCCHI SALVATORI FRA I VOLONTARI DEL BATTAGLIONE MEREU

BORDIGHERA

BORDIGHERA E I MOTORI

La recente occasione della conferenza rievocativa sull’avventura della Scuderia delle Palme di Bordighera, che mi ha visto protagonista insieme a Daniele Audetto, ha ravvivato con il suo successo l’interesse per le vicende motoristiche della nostra città. In particolare per l’automobilismo agonistico che merita di essere raccontato e conosciuto anche dalle più giovani generazioni (ma sarà gradito anche da chi quelle epoche le ha vissute). Il racconto inizia dall’immediato dopoguerra. Nel 1948, mentre ad Ospedaletti si realizza il circuito che da vita al Gran Premio di Sanremo delle vetture Grand Prix (non esiste ancora la denominazione Formula 1) con la partecipazione di Manuel Fangio, Piero Taruffi, Gigi Villoresi, Alberto Ascari ed i più noti campioni internazionali dell’epoca, a Bordighera viene indetto un raduno automobilistico con prova di selezione e classifica che già assume la denominazione di Raduno delle Palme. Animatore dell’iniziativa è Marcello Soleri, un commercialista locale la cui famiglia gestiva la tabaccheria ancor ora sita in Corso Vittorio Emanuele nel “budello” dopo la Chiesa di Terrasanta. Le auto, provenienti da varie regioni d’Italia seguendo una tabella di marcia con vari controlli, arrivano in un sabato di marzo sul lungomare. Qui vengono registrate ed incolonnate, ed il giorno successivo si svolge la prova di selezione cronometrata. La partenza è in via Marconi, accanto al mercato coperto e le, auto ad una ad una, percorrono la salita della via dei Colli fino alla spianata panoramica nota poi per la presenza del bar Carillon. All’altezza del Comune però devono svoltare sulla piazza De Amicis, superare con le ruote anteriori una linea in un varco tra le balle di paglia, fermarsi, innestare la retromarcia, effettuare all’indietro un arco di 180 gradi fino a superare con le ruote posteriori un’altra linea in un secondo varco tra le balle di paglia e ripartire verso la salita. All’altezza del Capo una chicane di balle di paglia serve a ridurre la velocità e poi su verso il traguardo. La prova in salita, determinante, viene vinta dal locale Gazzano con una Fiat 110 Sport.
Una nota curiosa: Gazzano è l’ideatore e titolare del bar Carillon lì sulla linea del traguardo. La manifestazione riscuote un notevole successo: partecipazione molto numerosa e grande spettacolarità, specialmente nell’arena di Piazza De Amicis con una folla, assiepata sulle terrazze del palazzo comunale e sulla collina del Capo, che assiste alle evoluzioni delle auto: e non manca qualche ribaltamento. Nei due anni seguenti, 1949 e 1950, si disputa la gara in salita da Bordighera a Seborga. Il percorso segue il tracciato di Via degli Inglesi. Non si è ancora verificata la frana che farà crollare parte della strada e quindi non esiste la variante attuale sul lato Ovest della collina che ora conduce al casello autostradale. Una chicane di balle di paglia all’altezza del Capo serve a ridurre la velocità e quindi i rischi per i passanti. Sono epoche pionieristiche e le regole di sicurezza sono molto blande, sia per le auto che per i pedoni. Ed ancora la partecipazione è importante. Nel 1952 con una intuizione davvero precoce nasce il Rally delle Palme. La vicinanza con il Rally di Montecarlo influenza evidentemente gli organizzatori. Dal 1950 in Italia esiste soltanto il Rally del Sestriere che si fregia di questa denominazione. La formula prevede una serie di coefficienti per equiparare le prestazioni delle vetture e l’albo d’oro riporta la vittoria della Fiat 1100 di Paolo Butti che precede le due Lancia Aurelia di Aldo Valeri ed Emilio Beretta. Nel 1953 la seconda edizione del Rally delle Palme registra la vittoria del bordigotto Luigi Taramazzo, con l’Alfa Romeo 1900, che precede le due Lancia Aurelia B20 di Colombo e Giraudi. La vittoria di Taramazzo è importante perché ci propone il nome di un pilota gentleman che non solo è stato un protagonista importante della nostra città ma è stato riconosciuto come tale ai vertici dell’automobilismo italiano. Ed a lui dedicheremo una prossima puntata di questa breve storia dell’automobilismo agonistico bordigotto che doveva poi sfociare nell’avventura della Scuderia delle Palme. Grazie anche al traino dei suoi successi . Per la cronaca: il Rally delle Palme ebbe una terza edizione nel 1955 con tre vetture a pari merito: una Fiat 1900, una Fiat 1100 ed una Lancia Appia, quella di Ignazio Quattrocchi che sarebbe poi diventato uno specialista di queste gare. Il rally delle Palme venne poi ripreso dal 1981 per tre edizioni organizzate da Imperia Corse. Ma questa è un’altra storia.
Un’amara annotazione. Oggi la capacità alberghiera di Bordighera probabilmente non riuscirebbe ad accogliere degnamente le oltre 500 persone che un Rally porta con se per almeno due o tre giorni! Un appello: se qualcuno che legge queste note avesse informazioni o foto di quelle manifestazioni degli anni ’40 e ’50 gli saremmo grati se ce lo comunicasse. Nella foto l'Alfa Romeo 1900 di Luigi Taramazzo vincitore del Rally delle Palme nel 1953.
Renato Ronco

 

Indagine sulle gallerie della Liguria. Anno 2011 Pubblicazione a cura di: Ferrera Paola Magliani Angelo Stipcevich Antonella


REGIONE LIGURIA - Settore Affari Giuridici e Statistica. Dirigente Dott.ssa Emanuela Bacci. Via Fieschi,15. 16121 – GENOVA

Quattrocchi - Quattrocchi De Franchi Genova-La Spezia - RFI - Rete Ferroviaria Italiana

Codice galleria Nome galleria Strada Lunghezza
178_33 Vallon d'Arme Autostrada A10 - Direzione Francia 1609
178_34 Vallon d'Arme Autostrada A10 - Direzione Italia 1594
178_143 Seglia - Variante SS20 Variante SS1 - Bidirezionale 1571
96_68 San Giacomo NSA. n. 306 - di Sanremo 1564
178_137 Bussana - Variante SS1 Variante SS1 - Direzione Francia 1546
178_124 Del Monte Autostrada A10 - Direzione Italia 1543
222_2 San Lorenzo al Mare Strada Ciclabile Area 24 1500
96_66 Madonna dell'Uliveto NSA. n. 342 - Variante di Chiusavecchia 1484
245_13 Pian del Lupo Sud Autostrada A12 1484
95_234 Quattrocchi Genova-La Spezia 139 - Rete Ferroviaria Italiana - 95_237 Quattrocchi De Franchi Genova-La Spezia 1464

"La Notte dei Pipistrelli" - Leivi - Parco giochi Quattrocchi

La Notte dei Pipistrelli - Comune di Leivi (Sestri Levante) - Parco Quattrocchi. Come nasce un piccolo pipistrello? Quante specie ci sono in Liguria? Cosa mangiano? Ma è vero che si attaccano ai capelli? Come fanno a volare? Ma possono davvero mangiare fino a 2000 zanzare in una notte? A queste ed altre domande risponderà la Mara Calvini, studiosa ed esperta di pipistrelli che ci introdurrà nel mondo silenzioso (per noi) e buio (sempre solo per noi) di questi piccoli, interessanti ed utili mammiferi che abitano le nostre città e le nostre campagne. Muniti di un bat detector, e di un po' di fortuna, potremo ascoltarli mentre cacciano e imparare un po' del loro modo di vivere e condividere gli spazi con noi. L'attività è aperta a tutti e gratuita. L'attività si svolgerà in parte in luogo illuminato, in parte su strada vicinale asfaltata ma buia, che sarà percorsa alla ricerca dei pipistrelli per poterli ascoltare: è utile portare una torcia a mano o frontale. L'appuntamento è alle ore 20.30 presso il parco giochi Quattrocchi, a sinistra, circa 500m dopo la Chiesa di San Rufino, percorrendo la panoramica salendo dalla circonvallazione di Chiavari in direzione del Bocco di Leivi. Per chi arriva dal Bocco di Leivi il parco rimane sulla destra, circa 500m dopo aver imboccato la panoramica (Via San Rufino).


 

Indice
America del Nord Quattrocchio e Quattrocchi
America del Sud Quattrocchio e Quattrocchi

Araldica Quattrocchio Quattrocchi
Basilicata Quattrocchio Quattrocchi
Biografia Gilberto Quattrocchio
Calabria Quattrocchio Quattrocchi
Campania Quattrocchio Quattrocchi
Curiosita Quattrocchio Quattrocchi
Emilia Ferrara Quattrocchio Quattrocchi
Esempi di genealogie disinvolte
Francia-Tunisia Quattrocchio Quattrocchi
I miei genitori: Gildo Quattrocchio e Emanuela Cuomo
Liguria Quattrocchio Quattrocchi
Lombardia Quattrocchio Quattrocchi
Marche Quattrocchio Quattrocchi
Piemonte Quattrocchio Quattrocchi
Puglia Quattrocchio Quattrocchi
Lazio Quattrocchio Quattrocchi
Roma Quattrocchio Quattrocchi
Roma Famiglie imparentate con Quattrocchio Quattrocchi
Roma curiosità Quattrocchio Quattrocchi
Sator-Cistercensi-Terdona-storia e mito
Sicilia Quattrocchio Quattrocchi
Simboli Quattrocchio Quattrocchi
Toscana Quattrocchio Quattrocchi
Umbria Quattrocchio Quattrocchi
Veneto Quattrocchio Quattrocchi
Quattrocchio Quattrocchi nel terzo millennio

Spanish and English text Quattrocchio Quattrocchi

 

email per contattare Gilberto

altri siti di Gilberto:

Artista

Artslant

Facebook

Community

Video Youtube

Video Gilberto Google

Colordrum Multimedia Factory

© copyright Olaf GILBERTO QUATTROCCHIO - PATRIZIA PRODAN