PALERMO - CORLEONE - SANTAGATA
MAZARA DEL VALLO - MAZZARINO - ENNA-NECROPOLI
CALASCIBETTA - GIARRE - MESSINA - CATANIA - MASCALI
MISTRETTA-LAGO - CASTEL DI LUCIO
LIPARI-PANORAMA-QUATTROCCHI
ACI CATENA - ACIREALE - BAFIA DI CASTROREALE
TERMINI IMERESE - CALTANISSETTA - SIRACUSA
PATERNO'- REGALBUTO - RIESI - CEFALU'

 

PALERMO

 

PROFILI DI SPEZIALI SICILIANI TRA XIV E XVI SECOLO Daniela Santoro


2 Asp, Protonot., reg. 2, c. 218v (12.1. 1356); G. Cosentino, Codice diplomatico di Federico III di Aragona re di Sicilia (1355-1377), Tipografia di Michele Amenta, Palermo, 1885, doc. XCV, p. 71: Federico IV dava disposizioni per verificare se nel testamento di Nicolò de Sergio le 6 onze di oro in questione fossero state destinate alla figlia di Nicolò Quattrocchi Speziale, legatasi ai traditori del re. 3 Asp, R. Canc., reg. 13, c. 208r (3.8.1376). 4 Asp, R. Canc., reg. 20, cc. 104v-106r (24.7.1392). 5 P. Sardina, Palermo e i Chiaromonte: splendore e tramonto di una signoria, Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta Roma, 2003, pp. 167 s. 6 Asp, R. Canc., reg. 10, c. 8 (23.9.1366) e Asp, R. Canc., reg. 11, cc. 52-53r (23.12. 1367). Figlio di Giovanni, Michele Iacobi era proprietario di beni nel quartiere Porta Patitelli (lì probabilmente si trovava la spezieria del figlio di Michele, Aloisio), e tra il 1353 e il 1356 nominato giudice «ydiota» della corte pretoriana di Palermo. Seguono le sue orme e diventano mercanti e speziali i tre figli Aloisio, Giovanni, Antonio: sulla famiglia Iacobi, legata ai Chiaromonte, e su Michele, cfr. P. Sar. Federico IV assegnava un legato di 6 onze; a Enrico de Merlo, in virtù dei suoi «servicia», erano concesse 2 onze d’oro sui proventi delle gabelle nuove di Siracusa. Una storia interessante quella di Enrico, capace di gestire in modo continuativo un legame con i sovrani che si succedono - dai quali riesce a ottiene cariche e privilegi – e a rimanere sulla breccia da Federico IV ai Martini. Con una concessione di Federico IV del febbraio 1375 e un compenso di 6 onze l’anno, Enrico era diventato credenziere delle gabelle nuove di Siracusa: avuta testimonianza della sua ‘fama’ e intenzionato a ricompensarlo, il sovrano, rimosso il precedente titolare Rainaldo Sicco, gli aveva affidato l’ufficio di credenziere, cioè di ufficiale preposto ai controlli finanziari e fiscali; il privilegio veniva confermato dai Martini nel febbraio 1391 «de speciali gracia» (viste le precedenti lettere di concessione indirizzate al siracusano Rainaldo Cannamella), e «tamquam benemerito» in virtù dei «servicia» a Federico IV, a Maria «ac successive nostris magestatibus prestita». Ed era, probabilmente, la disponibilità di denaro contante a consentire a uno speziale vicino ai Chiaromonte, Onorio de Garofalo – dichiarato traditore dai Martini, i suoi beni erano stati confiscati dopo la decapitazione di Andrea Chiaromonte – di recuperare il rapporto con i sovrani e ottenere da loro perdono, reintegrazione nei propri beni, riabilitazione sociale.
Abbreviazioni: AcfuP = Acta Curie felicis urbis Panormi; Asp = Archivio di Stato di Palermo; Aspn = Archivio storico per le province napoletane; Asso = Archivio Storico per la Sicilia Orientale; Bcp = Biblioteca Comunale di Palermo; Protonot. = Protonotaro del Regno; R. Canc. = Real Cancelleria; Tabulario di S. Maria Maddalena = Tabulario di S. Maria Maddalena di Valle Giosafat e S. Placido di Coloner . 1 Asp, R. Canc., reg. 79, cc. 56 v.-58 r. (8.5.1443). Mediterranea Ricerche storiche Anno IV - Aprile 2007.

Compensi: Aielli o Ajelli Alaria, vedova di Maneschi Luigi, indennità, lire 4855. Rossi Luigi, agente delle imposte, lire 3360. Rolla Laura, vedova di Annibali Antonio, lire 454,97. Mercatelli Prisca ed Albina orfana di Luigi, lire 183,74. Quattrocchio Benedetto, procuratore del Re, lire 3854. De Lucia Alessandro, cancelliere di protura, lire 1170. agenta Biasina Gio. Batta, guardia di finanza, lire 200. Ferrero Carlo, vice segretario di ragioneria nelle Intendenze, lire 1808. Nasia Bartolomeo, brigadiero di finanza, lire 420. Alete Francesco, maresciallo di finanza, lire 763,33. Rizzardi Cristina, vedova di Santi Francesco, indennità, lire 3376. Quartaroli Antonio, impiegato daziario, lire 1728. A carico dello Stato, lire 561,04. A carico del Comune di Forli, lire 1166,30.

FILIPPO QUATTROCCHI SCULTORE
L'Artista
Filippo Quattrocchi Gangitanus sculptor (1734~1818) -di Salvatore Farinella

L’ambiente artistico-culturale e la famiglia

Terzogenito di Gandolfo Santo Quattrocchi e Rosalia Nicosia, Filippo nacque a Gangi nel febbraio del 1738; modesto borghese, il padre cercava di sbarcare il lunario per crescere la numerosa famiglia di otto figli in una casa terrana del quartiere di San Paolo confinante con le mura urbiche. Nonostante ciò il buon Gandolfo vantava amicizie eccellenti: testimone alle sue nozze erano stati infatti il non ancora barone don Francesco Bongiorno ed il ricco don Francesco Vitale, un borghese in odore di nobiltà. La famiglia della madre di Filippo proveniva invece da Caltanissetta e si era insediata a Gangi alla fine del primo ventennio del secolo; figlia di mastro Salvatore Nicosia, Rosalia poteva contare sui due fratelli Nicolò, attivo falegname, e Giovanni modesto pittore che viveva agiatamente grazie all'affitto dei suoi apparati effimeri. Schiere di artisti ed artigiani forestieri di ogni sorta, grazie all’attiva committenza ecclesiastica e delle confraternite, avevano riempito di opere le chiese di Gangi fin dalla metà del Seicento. In questo ambiente prolifico di opere e di artisti, già patria dei due Zoppo di Gangi, nella prima metà del XVIII secolo Filippo Quattrocchi formerà il proprio bagaglio culturale, grazie anche al mecenatismo dei fratelli Francesco Benedetto e Gandolfo Felice Bongiorno; frequentatori della Palermo dell'epoca essi importarono infatti i gusti e le tendenze artistiche del periodo, chiamando ad operare artisti di chiara fama e fondando l'Accademia degli Industriosi, collegata a quella del Buon Gusto di Palermo, fra i cui associati si notavano diverse personalità del panorama culturale siciliano. L'adattamento di un loro fabbricato a teatro pubblico consentì poi ai due fratelli Bongiorno di patrocinare spettacoli teatrali. Alla presenza di artisti rinomati faceva eco quella di maestri locali facevano la propria parte, dal pittore Matteo Garigliano ai Nicosia, intagliatori lignei e pittori familiari del Quattrocchi. In questo ambiente in continuo fermento artistico e culturale Filippo Quattrocchi , ebbe modo di mettere a punto la propria formazione.

Nella città di Gangi (Palermo) gli è stata dedicata una strada: Via Quattrocchi.

Sicuramente suo figlio e continuatore della sua arte fu Francesco Quattrocchi (1779-1861), di cui si espone un ritratto proveniente dalla Biblioteca Comunale di Palermo. Con ogni probabilità Francesco lavorò a bottega con Filippo fino alla maggiore età; tuttavia è possibile ritenere che il figlio collaborasse col padre anche dopo l'emancipazione da questi e l'acquisizione di una propria autonomia. Di certo Francesco imparò l'arte da Filippo tanto da essere ben apprezzato e a volte addirittura confuso con lo stesso artista gangitano; i suoi interessi artistici furono tuttavia più ampi, essendosi occupato oltre che di scultura lignea anche di modellazione in stucco e di scultura in marmo. A sua firma è infatti la figura a stucco dell'Eterno Padre eseguita intorno al 1801 nella cappella del Crocifisso posta nel transetto sinistro della cattedrale di Palermo; opera che per vari aspetti appare accostabile al medesimo soggetto presente nel gruppo della Madonna degli agonizzanti attribuito a Filippo Quattrocchi ed esposto nella seconda Sezione della mostra, circostanza che non esclude una partecipazione di Francesco in quest'ultima opera. Di Francesco, autore di pregevoli opere come l'Immacolata di Termini Imerese o l'Ascensione di Gesù al cielo di Nicosia e forse dell'Immacolata di Marineo (quest'ultima attribuita anche alla mano del padre Filippo e comunque tutte opere non presenti nella mostra per indisponibilità da parte dei possessori), vengono qui esposte solamente tre opere: Gesu' nell'orto degli ulivi, gruppo del 1837 attribuito allo scultore e proveniente da Gangi, il documentato San Giuseppe di Campofranco e l'attribuito Cristo risorto di Tusa. Di Alberto Quattrocchi (1784-1811), inedito figlio di Filippo, (Alberto Palazzo Bongiorno) non vengono esposte opere poiché egli fu scultore in marmo e in stucco vissuto appena l'arco di ventisette anni; un ritratto del pittore Giuseppe Patania proveniente dalla Biblioteca Comunale di Palermo lo ritrae di aspetto giovanile e delicato, potendosi forse riconoscere in questa effige il modello di alcune opere del padre. Fin da giovanissimo egli ebbe l'estro della scultura ma fu affascinato dal marmo più che dal legno; allievo del pittore Antonino Manno a Palermo, espresse il desiderio di recarsi a Roma per studiare l'arte classica nel vortice del nuovo gusto artistico che allo scadere del XVIII secolo prendeva piede anche in Sicilia. A Roma giunse all'età di 23 anni e fu allievo di Antonio Canova. In quel periodo la città eterna, che aveva ceduto da tempo il primato di capitale del neoclassicismo a Parigi ed alla città di Milano, era ancora tuttavia la protagonista indiscussa del nuovo stile che basava i propri presupposti sulla riscoperta dell'arte greca e romana rinvigorita dai nuovi rinvenimenti archeologici di Ercolano, Pompei, Paestum e Tivoli; e Roma era pur sempre la sede delle maggiori opere d'arte del mondo classico. L'invasione delle truppe francesi del 1809 costrinse Alberto ad abbandonare la città ed a fare ritorno in patria. Qui continuò a scolpire in marmo, mettendo in pratica i suoi apprendimenti romani; elaborò infatti il modello in gesso del gruppo di Psiche e Cupido rifinendolo di tutto punto (emulando forse lo stesso soggetto realizzato in marmo dal Canova fra 1787 ed il '93, sistemato nella casina campestre del principe Wilding Butera all'Olivuzza ed oggi perduto. A Palermo il giovane Quattrocchi ebbe nel canonico Rosario Gregorio (1753-1809), illustre studioso di storia medievale, un amico e protettore tanto che alla sua morte glie ne commissionarono un busto marmoreo da collocarsi nella chiesa di San Matteo. Nel 1810 partecipò al concorso indetto dal Senato di Palermo in occasione della nascita dell'erede al trono Ferdinando II, per la realizzazione di un monumento da erigersi nella Villa Giulia; Alberto Quattrocchi produsse un'idea così originale da procurargli la commissione dell'opera da parte del Senato, opera per la quale eseguì il modello in creta e gesso. Una lenta febbre lo colse nel febbraio del 1811 portandolo alla morte il 20 di quello stesso mese. Ebbe solo il tempo di ultimare due angeli in stucco nella cappella della casina reale della Ficuzza, lasciando tuttavia incompiuto il monumento per l'erede al trono.

IL BORBONE PER L'ESECUZIONE DEL COMPLESSO STEMMA ARALDICO DETTE INCARICO A FRANCESCO QUATTROCCHI (CASERTA-NAPOLI-TRAPANI )

Nel volume "Itinerario per le vie, piazze, vicoli e cortili di Palermo" è segnalato il Dio Padre di stucco di Francesco Quattrocchi nella Cappella dell'Eucarestia.

I Manoscritti di Agostino Gallo Notizie di Artisti Siciliani Palermo dal 1778 fino al 1832
Trascrizione e Note di Angela Mazzè - Angela Anselmo - Maria Carmela Zimmardi

La Pittura in Sicilia. I Principi Normanni e Svevi ci lasciarono invero pochi monumenti di Pittura con colori a gomma a toni d’uovi sopra tavole ingessate. In due madonne una del tempio di S. Simone e l’altro di Monte Vergini lo stile grandeggia goffamente, ma pure è nostro e del tutto contrario di quello secco di Cimabue e di altri pittori che si osservano in Italia e di alcuni in particolare nel Cimitero di Pisa. Un trittico nella chiesetta di Gesù e Maria presso quella di Santa Cuma ha la singolarità di mostrare l’arte in progresso sebbene vi si legga l’anno segnato 1222 anteriore a Cimabue ed a Giotto. Un altro quadro sopra asse, quasi della stessa epoca, vi fu fatto osservare dal nostro egregio scultore Villareale che conservavasi nell’interno del monistero di S.ta Caterina e con gran croce istoriata a figure sacre, scorgeasi nel Parlatorio del Cancelliere e un Crocifisso dipinto alquanto posteriore si conserva in Termini. Le quali opere mostrano un carattere proprio siciliano sia per la vivace espressione e sia alcune per l’ingrandimento delle forme che in Italia riteneansi ancora secche e cadaveriche. La varietà delle Scuole appo noi ebbero ragione verso la metà del secolo XV e in progresso. Opere pubbliche fatte in Palermo dal 1778 fino al 1832 Quella scuola trascorse in Palermo e in essa si sono distinti Marino, il quale esegue anche bene ritratti in cera ed è buono scultore in legno. In quest’arte poi si elevarono Girolamo Bagnasco e Francesco Quattrocchi poco dopo la metà del secolo corrente e ornarono di statue molte chiese di Palermo e dell’interno dell’isola. Ne’ volti della Vergine Maria e di altre sante e sé in quelle di vecchi di gran carattere è improntato il tipo siciliano e particolarmente in quello femineo la rotondità, il piccante e la grazia delle nostre donne. Il Bagnasco anche si distinse anche nei pastori, nei bassi rilievi di altari guidato bensì dai disegni del suo amico Giuseppe Patania e il Quattrocchi nei volti senili dei santi ed elevossi nel suo Cristo morto, figura al naturale nella chiesa della Solidad in Palermo. Era egli operosissimo infaticabile artista e in pochi giorni nel 1860 fece molte statue per macchine disposte dalla nostra città per onorar la venuta del nuovo re Vittorio Emanuele ed una colossale in una notte e poche ore del giorno seguente, onde diffaticatosi di troppo ne morì. Nelle opere di questi due valorosi artisti vi ha sempre il Tipo Siciliano, che par che sia stato esclusivo di quelli di Palermo, onde possono meritare il vanto di originalità fino a Giuseppe Patania di cui ora ragioneremo. Costui, nato in Palermo nel 1780 figlio di un misero sarto cominciò a disegnar da se e per pochi mesi migliorò sotto il celebre Giuseppe Velasques e allontanatosene per il brusco trattamento del medesimo gli disse: Sarò pittore senza di lui. E lo fu. Perocchè nel procacciarsi da vivere, cominciò a dipingere per poca moneta cartelloni da teatro e progredendo coll’esercizio in questi dipinti di grande effetto e in piccoli ad olio imitante l’antico divenne grado grado artista di prim’ordine principalmente per l’invenzione, per la grazia e facilità di pennello. Riuscì in tutti i generi, nel paesaggio e vieppiù ne’ ritratti e nei disegni a penna, ammirati dallo stesso celebre Camuccini in Napoli presso il marchese Gargallo alla mia presenza. Lasciò ai suoi eredi disegni di storia patria, profana, mitologica e della vita di Gesù tutti di sua originale composizione e vivace espressione circa 500 carte, di cui metà furono da me acquistati. Francesco Quattrocchi, scultore e decoratore palermitano attivo nella prima metà del XIX secolo. E tutti questi artisti non imitatori degli esteri hanno un tipo siciliano Il Bagnasco anche si distinse anche ne’ pastori, ne’ bassi rilievi di altari guidato bensì da’ disegni del suo amico Giuseppe Patania e il Quattrocchi ne’ volti senili de’ santi ed elevossi nel suo Cristo morto, figura al naturale nella chiesa della Solidad in Palermo. Era egli operosissimo infaticabile artista e in pochi giorni nel 1860 fe’ molte statue per macchine disposte dalla nostra città per onorar la venuta del nuovo re Vittorio Emanuele ed una colossale in una notte e poche ore del giorno seguente, onde diffaticatosi di troppo ne morì. Nelle opere di questi due valorosi artisti vi ha sempre il Tipo Siciliano, che par che sia stato esclusivo di quelli di Palermo, onde possono meritare il vanto di originalità fino a Giuseppe Patania di cui ora ragioneremo Costui, nato in Palermo nel 1780 figlio di un misero sarto cominciò a disegnar da se e per pochi mesi migliorò sotto il celebre Giuseppe Velasques e allontanatosene per il brusco trattamento del medesimo gli disse: Sarò pittore senza di lui. E lo fu. Perocchè nel procacciarsi da vivere, cominciò a dipingere per poca moneta cartelloni da teatro e progredendo coll’esercizio in questi dipinti di grande effetto e in piccoli ad olio imitante l’antico divenne grado grado artista di prim’ordine principalmente per l’invenzione, per la grazia e facilità di pennello. Riuscì in tutti i generi, nel paesaggio e vieppiù ne’ ritratti e ne’ disegni a penna, ammirati dallo stesso celebre Camuccini in Napoli presso il marchese Gargallo alla mia presenza. Lasciò a’ suoi eredi di questi disegni di storia patria, profana, mitologica e della vita di Gesù tutti di sua originale composizione e condotti con diligenza e vivace espressione circa a 500 carte, di cui metà furono da me acquistati. 1826 Fu ristorata la Porta Nuova dopo il tremuoto del 1823 e decorata nell’interno di vasi, trofei, ed iscrizioni dal capo maestro Patricolo. I due genj che sostengono lo stemma reale nell’interno della porta furono modellati da D. Francesco Quattrocchi. Furono ritrovati e ristorati gli antichi sepolcri che credonsi dell’epoca saracena verso la Porta di Ossuna. Ivi vicino la casa di Gastone fu costruito l’ospedale degli etici tisici. All’occasione della venuta di S.M. Ferdinando III nel 1798 fu eseguito il mosaico nella parte esterna della Cappella Palatina, rappresentante Ferdinando III. e la Regina Carolina. Nell’ante sagrestia di detta Cappella furono fatti scolpire due bassi rilievi da D. Liberto Quattrocchi palermitano rappresentanti il battesimo del defunto principe D. Ferdinando figlio del Re Francesco, e di Maria Clementina seguito nel 1800, e l’altro del principe D.Ferdinando attuale Re seguito nel 1810. Nell’altro bassorilievo dello stesso scultore si scorgono gli stessi sponsali della real principessa Maria Cristina con Carlo Felice principe ereditario di Sardegna seguito nel 1807, e l’altro della real principessa Maria Amalia sposata con Ludovico Filippo duca d’Orleans nel 1809 Nel Real Palazzo fu costruita la Specola astronomica dall’architetto D.Giuseppe Venanzio Marvuglia sotto la direzione del celebre abate Piazzi. Fu traslocato l’Ospedale militare di S. Giacomo nella Casa di S.Francesco Saverio. Quattrocchi Liberto, scultore, nato a Palermo nel 1782, ivi morto nel 1811. Una nota biografica è reperibile in Agostino Gallo, Lavoro cit. p. 249-250. Più noto come Osservatorio astronomico, è ubicato sulla Torre Pisana del Palazzo Reale. Edificato nel 1791, al tempo del viceré Caramanico, vi si accede dalla loggia più alta del cortile Maqueda 1823. Fu demolita la chiesa della Kalsa, di disegno arabo normanno, e nobilitata la strada del principe di Butera. Fu spianato il passaggio superiore delle Mura delle Cattive, e fattovi un giardino pensile, e decorato di statue, vasi, e sedili per opera dell’architetto Raineri. I Quattro Telamoni de’ due ingressi furono scolpiti da piccolo Bagnasco. 1825 Fu riunito allo Spedale Grande quello di Santo Bartolomeo, e destinatone l’edifizio a’ projetti. La riforma fu fatta dall’architetto Raineri, il gran bassorilievo da D. Vincenzo Riolo, le statue di stucco del cornicione da Niccolò Bagnasco. Il ritratto di Francesco, e le due figure laterali da Francesco Quattrocchi. È stato destinato l’antico palazzo di Pietraperzia dietro S. Cita a Monte di Prestamo sotto il titolo di S. Rosalia.Cfr. Angela Mazzè, L’edilizia sanitaria. parte II, cit., p. 129, 133 e sgg Furono restaurati li quattro campanili a guglia di stile arabo-normanno da Fra Felice di Palermo cappuccino; e altro costruitovi dello stesso stile da Don Emmanuele Palazzotto. Fu rifatto l’interno del Duomo di Palermo sul disegno dell’architetto Fuga, ed eseguito con modificazioni notabilissime dall’ architetto Marvuglia. I pesantissimi genj di stucco, che sostengono le armi reali, e il Padre eterno furono modellati da Francesco Quattrocchi. La volta fu dipinta dal pittore Mariano Rossi da Sciacca. Il quadro dell’Assunta, e di S. Ninfa da Velasques. Il fonte battesimale fu scolpito da D. Filippo Pennino. I due grandi alti rilievi nella Cappella di S. Rosalia furono scolpiti da D. Valerio Villareale. Lo Spedale de’ Convalescenti a lato a quello de’ Sacerdoti, dell’Ospedale Grande I Quattro Telamoni dei due ingressi furono scolpiti dal piccolo Bagnasco. 1825 Fu riunito allo Spedale Grande quello di Santo Bartolomeo, e destinatone l’edifizio a projetti. La riforma fu fatta dall’architetto Raineri, il gran bassorilievo da D. Vincenzo Riolo, le statue di stucco del cornicione da Niccolò Bagnasco. Nicolò Bagnasco, scultore, nato a Palermo nel 1791, ivi morto nel 1827. Notizie biografiche sono reperibili in Agostino Gallo. Un altro giorno vidi scolpiti ad alto rilievo in legno da Francesco Quattrocchi alcune figure mitologiche nelle botteghe in via Toledo del duca di Serradifalco, e conobbi nello stile di essere ricavati da’ disegni in grande del Patania. Me lo richiese, egli adirato si tacque. Ho capito, e vieppiù s’adirò. Erano eseguite sui suoi disegni che far soleva di notte e a porte chiuse pe’ suoi scolari, e amici artisti.

Da Fabio pittore a Ludio - Fondazione Claudio Venanzi


La nascita della Scuola Normale a Palermo
Scritto da Francesco Paolo Pinello

Indirizzi e metodi di insegnamento nuovi e popolari nella Palermo della seconda metà del Settecento.
Un giudizio critico dello storico gangitano Francesco Alajmo e Passalacqua, a difesa del maestro gangitano Don Alberto Quattrocchi e della sua scuola popolare a Palermo, contro la scuola popolare, sempre a Palermo, del canonico Giovanni Agostino de Cosmi da Casteltermini, del quale parla in una sua opera anche lo storico gangitano padre Giustino Cigno, inserendolo però tra i più autorevoli e potenti filogiansenisti siciliani dell’epoca. Lo storico gangitano padre Giustino Cigno, autore assai importante per lo studio del Giansenismo nell’Italia Meridionale della seconda metà del Settecento, pare che sia stato colpito (forse proprio a causa di tali sue ricerche!), da parte dei suoi stessi concittadini gangitani, da una sorta di cancellazione dalla memoria collettiva (damnatio memoriae), ben più grave (perché dovuta anche a altre cause!) di quella che, in questi ultimi decenni, ha avuto per oggetto Francesco Alajmo e Passalacqua. Eppure, se proprio di storici dobbiamo parlare, i più importanti storici gangitani, a oggi, sono stati padre Giustino Cigno (professore di Storia Ecclesiastica) e Francesco Giunta (professore di Storia Medievale). Un posto di riguardo meritano Santo Nasello e Francesco Alajmo. Potrei qui citare anche altri meritevoli e valenti autori gangitani sui quali però, per il momento, non scriverò.
Ma entriamo subito nel merito del presente articolo e vediamo cosa scrive Francesco Alajmo e Passalacqua, che di professione era direttore didattico, a proposito del maestro sacerdote gangitano Don Alberto Quattrocchi e del canonico (giansenista) Giovanni Agostino De Cosmi da Casteltermini. Non farò qui il riassunto di ciò che egli ha scritto ma, per onorare la sua memoria e la sua opera di ricerca, riporterò direttamente ciò che egli ha pubblicato, citando in nota la fonte, nei dovuti modi. Premetto soltanto che Alajmo, in ciò comunque esagerando, nel suo scritto, ipotizza un debito di Agostino De Cosmi nei confronti del gangitano Alberto Quattrocchi e descrive negativamente la figura di De Cosmi, senza rivelare la sua appartenenza al giansenismo (forse non per una mera dimenticanza!) e senza citare, né direttamente né indirettamente, quanto scritto ampiamente sull’argomento, qualche decennio prima, dal suo illustre storico compaesano, professore di storia ecclesiastica, Giustino Cigno. Don Alberto Quattrocchi, filosofo e pedagogista, «fratello degli scultori Filippo e Gaetano nacque in Gangi da Gandolfo Quattrocchi e da Rosalia Nicosia nel 1760. Ricevette i primi rudimenti dell’umane lettere dallo zio sac. Alberto (morto in Gangi il 25 agosto 1772), il quale intuendo nel nipote una intelligenza svegliata e gran vocazione al sacerdozio lo mandò a continuare gli studi nel seminario arcivescovile di Messina. Consacrato prete e addottoratosi in filosofia, si provò, ritornato in Gangi, nel laboratorio dei fratelli a maneggiare lo scalpello. Ma la sua inclinazione agli studi anziché all’arte lo chiamava all’insegnamento, onde si trasferì a Palermo dove ben presto conosciuto ed apprezzato come maestro con l’autorizzazione del Vicerè, D. Francesco di Acquino, principe di Caramanico, nel 1785 aprì una pubblica scuola [popolare] nella chiesa di S. Cristoforo impartendo lezioni a contribuzione volontaria ai numerosi allievi che la frequentavano. Il geniale maestro per maggior rendimento nel profitto dispose la scolaresca in gruppi di capacità; cioè classi, con indirizzo comune per ogni gruppo adoperando la lingua italiana per facilitare il metodo istruttivo, e facendosi aiutare da altri volenterosi maestri che insegnavano sotto la sua direzione. Sorgeva così in Palermo una scuola con un indirizzo nuovo ed un metodo pure nuovo su cui i maestri delle scuole primarie dei collegi cominciavano a porre attenzione. Alla vigilia di vedere la sua scuola apprezzata dal Governo e di raccogliere con reggio, e regolare stipendio il frutto delle sue fatiche pedagogiche, un altro competitore, il canonico G. Agostino De Cosmi da Casteltermini spalleggiato e protetto dalle autorità borboniche del tempo, bene intuendo il nuovo metodo scolastico del Quattrocchi, riuscì con nomina reale del 1788 a soppiantarlo nell’ordinamento delle scuole di Palermo, fondendole tutte con unico indirizzo normale e ottenendo dal governo pieno e lodevole riconoscimento di pubblico maestro con regolare stipendio. Il Quattrocchi allora protestò invano nell’interesse della sua scuola [popolare] e delle sue fatiche in precedenza riconosciute, ma poi rendendosi conto dell’operato pretezionistico [pretensioso] del De Cosmi, si limitò di presentare un’istanza al governo di Ferdinando IV per avere se non altro a parità di merito riconosciuta come pubblica la sua scuola [popolare] e di essere stipendiato. Ma la sua protesta fu considerata come atto di ribellione, la sua difesa quale sfrontata audacia ai danni del De Cosmi, la sua istanza fu respinta, la scuola fu avversata ed ostacolata dal [pretensionismo] sfacciato del competitore, al punto da indurre quel povero maestro a chiuderla, e per procacciarsi da vivere, chiese al governo che lo provvedesse d’una cappellania della R. Dogana, ed anche questa gli fu negata, motivo questo che prova l’odio del De Cosmi contro il Quattrocchi. Così la povera vittima venne sacrificata alla prepotenza. In questo modo l’attività del geniale pedagogista Anguineo [gangitano] cessò, e l’istituto magistrale di Palermo, prima detto Scuola Normale – ove le cose fossero andate con rettitudine, non il nome del De Cosmi dovrebbe portare, ma quello di Alberto Quattrocchi – Andate a credere alla storia! Con questo però non intendiamo dire che il De Cosmi non fosse un uomo di studi e un pedagogista meno del Quattrocchi. Oltre ad essere una mente filosofica di prima linea, fu un latinista come pochi ce ne sono stati in Sicilia, e meritava ai suoi, tempi di essere tenuto in considerazione; ma per il fatto della precedenza e della genialità dei nuovi metodi scolastici introdotti a Palermo, la preferenza della nomina alla direzione generale avrebbe dovuto darsi al Quattrocchi e non a lui, il quale del Quattrocchi aveva ben saputo copiare ed attuare. Che cosa fece allora Gangi in difesa delle buone ragioni di tanto suo geniale e illustre figlio? Con la solita indolenza, nulla. Come altri comuni dell’isola nel 1790 si limitò a chiedere al governo di avere anche essa le nuove scuole con intendimento forse d’affidarne la direzione al Quattrocchi. La richiesta fu negativa. Il dotto maestro morì dimenticato a Gangi nel 1826, per essere ricordato nel 1888 in una biografia sul De Cosmi scritta dal notaro Gaetano Di Giovanni da Casteltermini, con un profilo di prete intrigante e facinoroso che per invidia e pretensione di elevarsi diede filo da torcere al De Cosmi. Ma il Di Giovanni per accreditare tutto ciò, a scopo campanilistico s’intende, non ebbe la coscienza di storico di valutare fatti e circostanze, militanti a favore del Quattrocchi e non del De Cosmi; il quale non per conto proprio, in quel crescente dissidio tra lui e il Quattrocchi ebbe di mira l’orgoglio e la forza di chi lo proteggeva e non il sentimento della giustizia e della sincerità». Ma vediamo adesso cosa scrive l’altro storico gangitano, padre Giustino Cigno (O. M. Cap.), su Giovanni Agostino De Cosmi. Non farò neanche qui il riassunto di ciò che egli ha scritto ma, per onorare anche la sua memoria e la sua opera di ricerca, come ho già fatto per Francesco Alajmo e Passalacqua, riporterò direttamente ciò che egli ha pubblicato, citando in nota la fonte, nei dovuti modi. «Il canonico Giovanni Agostino De Cosmi, nativo di Casteltermini, ebbe la sua formazione intellettuale nel seminario e nell’ambiente agrigentino. Anch’egli, come quasi tutta la gioventù della sua diocesi, che studiava nel seminario, e nell’annesso collegio dei santi Agostino e Tommaso, subì l’influenza di ecclesiastici “tacciati di giansenismo”. Il De Cosmi esplicò la sua attività soprattutto a Catania ed a Palermo. A Catania, egli insegnò filosofia nel seminario e teologia all’Università; a Palermo, fu l’organizzatore delle “scuole normali”, dove ancor oggi, si conserva vivo il ricordo della sua opera, specialmente attraverso l’“Istituto magistrale De Cosmi”. Le tendenze politiche del De Cosmi, volgevano verso la democrazia ed il liberalismo, e tutta la sua azione mirò, come quella del Genovesi a Napoli, all’elevazione morale e materiale del popolo, ciò è dimostrato anche dalle sue memorie. In filosofia, egli segue Leibnitz e Locke; in teologia, dice di essersi formato alla scuola dei portorealisti, e segnatamente del Fleury, del Pascal e del Nicole. Nelle Memorie, il De Cosmi c’informa ch’egli venerava le dottrine di S. Agostino, mentre abborriva i casisti ed i lassisti [Gesuiti], e le “nuove invenzioni dei molinisti” sulla grazia sufficiente [Gesuiti]. “Il sistema della dilettazione vittoriosa, egli scrive, mi è sembrato il più accomodato alla debolezza del mio modo di intendere”. Circa la bolla Unigenitus [che condannava 101 proposizioni del giansenista Quesnel], se, da una parte, la diceva “rispettabile”, dall’altra, non la riconosceva come regola di fede. Così ripudiava le cinque proposizioni di Giansenio [la cui paternità di Giansenio era contestata dai giansenisti], ma non già tutte le dottrine di coloro, che erano tacciati da giansenisti. In De Cosmi fu ammiratore di Van Espen e di Hontheim, appoggiò le riforme del vicerè Caracciolo, e difese i privilegi delle chiese siciliane, ed i diritti dello Stato contro la Curia di Roma. Più tardi, egli elogerà Pietro Leopoldo, il grande protettore del maggiore esponente del giansenismo italiano, Scipione dei Ricci, per le ardite riforme ecclesiastiche introdotte in Toscana. Ebbene, tutto, nella vita e nelle vicende del De Cosmi, tende a dimostrarci che egli non dubitò un solo istante, della bontà della causa per cui combatteva, sebbene un anonimo lo avesse accusato come “miscredente”, che “guastava il capo alla gioventù”, accusa contro cui egli reagì energicamente. E quando, con i moti rivoluzionari e gli eventi successivi, mutarono governi, sistemi politici e programmi, il pedagogista siciliano, nonostante i sospetti e le molestie di cui fu bersaglio, rimase saldo nelle sue opinioni. In quanto al suo pensiero religioso, se è indubbia la sua simpatia per le dottrine di Port-Royal, e per le idee gallicano-quesnelliste [antiromane e anticurialiste], è altresì certo che le sue opere non contengono affermazioni ereticali, e non furono, perciò, censurate; mentre egli si mantenne sempre in armonia con le autorità ecclesiastiche. Il De Cosmi non fu dunque un ribelle, non fu un giansenista nel senso stretto della parola, ma filogiansenista innegabilmente. Ebbene, queste notizie, per quanto incomplete, ci lasciano intravedere che, ad Agrigento, doveva serpeggiare una notevole corrente giansenistica, almeno negli ambienti ecclesiastici. Ce ne dà conferma il fatto che, dopo l’abolizione dell’Inquisizione, quasi a supplire la vigilanza esercitata dalla medesima contro gli errori, durante l’episcopato del cardinale Branciforte, s’introdusse in quella diocesi il giuramento antigiansenistico, per coloro che dovevano salire al sacerdozio, o dovessero ricevere benefici o cariche di qualche importanza. Il formulario esigeva la sottomissione a diverse bolle pontificie, segnatamente alla Unigenitus. Tuttavia, questo giuramento non durò a lungo, perché la Corte di Napoli, temendo che esso introducesse lo spirito dell’abolita Inquisizione, ordinò che fosse senz’altro soppresso.


FAMIGLIA-FLORIO

Nell’800 il leone fu il simbolo di molte attività della famiglia Florio , come il famoso Marsala e vi venne riprodotto in una bella scultura opera di Delisi posta al cimitero di S.Maria di Gesù. Infatti quando Vincenzo Florio volle rinnovare la sede della sua attività al Garraffello chiamò lo scultore Quattrocchi e gli fece realizzare una grande insegna raffigurante un leone febbricitante in legno scolpito. Nell’altro leone che si trovava nella Cappella Sepolcrale di famiglia c’è lo stemma della famiglia Lancia o Lanza, che raffigura un leone coronato.

Storia della marina mercantile delle Due Sicilie (1734-1860) - di Lamberto Radogna - 1982

Il 10 ottobre 1861, con atto pubblico rogato notaio Giuseppe Quattrocchi, Vincenzo Florio, assieme al figlio Ignazio, costituì la sociatà in accomandita per azioni "I.&V. Florio - Vapori postali" col capitale di L. 6.000.000.

Archivi di Architettura a Palermo

Almanacco italiano - 1924

4°Targa-Florio-Moto-1000cc-Quattrocchi.

Real Segreteria di Stato presso il Luogotenente Generale in Sicilia
Ripartimento Polizia
Repertorio anni 1819, 1820, 1821


23 nov 1821 - Sull'anonimo del Comune di Mascali che in ordine alle passate vicende, reputa degni di vigilanza i seguenti individui:
1. Ferlito Antonio - 2. Quattrocchi Filippo - 3. Quattrocchi Lucio - 4. Barbagallo Sebastiano - 5. Fiamingo Sebastiano - 6. Mangano Andrea - 7. Gentile Pietro - 8. Cosentino Mariano - 9. Trombetta Antonino - 10. Grasso Leonardo supplente Giudice del Circondario.
13 nov 1821 - Rimette denunzia di Don Francesco Sansone di Mascali sulla setta dei Carbonari ivi istituita alla quale sono ascritti il Prosegreto Don Filippo Quattrocchi e suoi dipendenti cioè gli Ufficiali di Tratta e Dogana, nonché gli amministratori di quella Real Contea, il Sacerdote Don Rosario Barbagallo e Don Paolo Patanè.

Real Segreteria di Stato presso il Luogotenente Generale in Sicilia Ripartimento Polizia Repertorio anno 1833

176 16 773 3 giu 1833 Id ricorso anonimo di Messina contro Guglielmo Toscano Ispettore commissario, e suppliche dei seguenti individui, Liotta Salvatore, Lopes Carmelo, Quattrocchi Giuseppe, Rol Giacomo.
176 16 774 3 giu 1833 Id supplica di Andrea Altieri chiedente permesso di pubblicare in Palermo un Giornale di Scienze - lettere - arti - commerci e politica
176 16 775 3 giu 1833 Sulla supplica di Don Giuseppe Liguori condannato all’ergastolo nel forte Garzia

DIARIO DI SICILIA

Introduzione
Questo secondo volume relativo agli avvenimenti in Sicilia riguarda il periodo fra il 1831 ed il 1840, anni segnati dall’avvento al trono di Ferdinando e da una politica di centralizzazione dello Stato che fu la causa principale di un crescente malcontento nell’Isola. Di esso il sovrano sembrò non rendersi mai conto o meglio di non volersene rendere conto ingannato in questo dall’azione di due suoi ministri il Del Carretto ed il Sant’Angelo, rispettivamente ministri della Polizia e dell’Interno. Le pagine che seguono, costituite dai rapporti dei ministri plenipotenziari di Sardegna a Napoli e dei Consoli a Messina e Palermo, mettono in evidenza il malessere dell’isola, illustrano i principali eventi politici e sociali che la riguardano ed anche fatti di cronaca minuta.
Palermo, 8 Ottobre 1831 … Tre giorni sono da questa Polizia venne arrestato un Medico addetto all’Ospedale Militare della presente Città di cognome Gabriele, siccome uno dei complici, e forse dei principali autori dell’attentato che qui si commise nella notte de 1.mo Settembre ultimo scorso. Avuto lo stesso sentore che la Polizia dirigevasi per catturarlo, prese estesa quantità d’oppio onde avvelenarsi, fu ciò in tempo scoperto, per manifestazione da esso stesso fattane, gli furono apprestati gli opportuni rimedii, ed è fuori pericolo. Sempre più si conferma la voce generale, che nessun capo di estesi mezzi avesse parte nella trama e vuolsi che siano i Capi il detto Medico, il di Marco, il Quattrocchi, e qualche altro di eguale sfera, che ancora non è arrestato, ma si pretende, che i perturbatori avessero segrete intelligenze coi detenuti in queste pubbliche carceri e con quelli per condanna ai ferri i quali riuscendo ad evadere avrebbero coadiuvata la criminosa impresa … Olivieri.
Palermo, 26 Ottobre 1831 … Ieri dopo pranzo da questo Consiglio di Guerra di guarnigione elevato in Commissione Militare, si è proferita la sentenza contro gli autori, e complici dell’attentato commessosi la notte del primo settembre ultimo, ed i prevenuti erano nel numero di 28, 27 cioè presenti ed uno contumace. Li nominati Gaetano Romanino, Gerolamo Cordella, Domenico di Marco, Giuseppe Maniscalco, Paolo Balucchieri, Gio Batta Vitale, Vincenzo Ballotta, Ignazio Rizzo, Francesco Scarpinato, Filippo Quattrocchi, Salvatore Zarzana presenti e Salvatore Ramacca assente vennero condannati alla pena della fucilazione, e gli altri … a diversi gradi di ferri. L’esecuzione della sentenza contro i condannati alla pena di morte, siccome autori di misfatto di Lesa Maestà, venne eseguita questa mattina alle ore 14 d’Italia nel piano dei Quattroventi, poco distante dalle Carceri della Quinta Casa ove i medesimi erano rinchiusi.

Nell'Archivio di Stato di Torino fondi militari - fascicolo 13618 - è riportato Gaetano Quattrocchi di Palermo combattente in Sicilia 1848-60.

I MOTI DEL 1848

 

GARIBALDI DI GIUSEPPE GUERZONI VOL^II (1860-1882)
CON DOCUMENTI EDITI E INEDITI E 7 PIANTE TOPOGRAFICHE. Seconda edizione.

DA MARSALA AL FARO. E tuttavia l' insurrezione poteva dirsi sbaragliata, non vinta. Le squadre ritiratesi nei dintorni continuavano bravamente la resistenza, e ne erano principali: quella di Piana de' Greci comandata da Luigi Piediscalzi; quella di Corleone guidata dal marchese Firmaturi ; quella di Termini condotta dal Barrante e da Ignazio Quattrocchi ; quelle di Ventimiglia, di Ciminna e Villafrati organizzate da Luigi La Porta ; infine quelle dei distretti d' Alcamo e di Partinico capitanate dai fratelli Sant'Anna ; le più numerose di tutte. Quanto al rimanente dell'Isola poi, appena corse l'annunzio del 4 aprile, tutte le maggiori città si apparecchiarono, secondo le forze e la possibilità, a secondare il moto, e quali con protesta solenne, come Messina ; quali levandosi in aperta rivolta, come Girgenti, Noto, Caltanissetta. Trapani; non conseguendo, è vero, in alcun luogo alcun successo decisivo; ma dove scacciando o bloccando i piccoli presidii, dove inviando la più belligera gioventù a ingrossare le squadre alla campagna, dove organizzando, come a Trapani, le guardie nazionali, persino col consenso dell' Intendente borbonico, alimentavano, se non potevano afforzarlo, il fuoco dell'insurrezione, al quale mancava bensì la forza di divampare in incendio struggitore, ma s'appiccava con cento fiammelle in cento luoghi, molestando gli oppressori e facendo testimonio della vitalità degli oppressi. E Palermo stessa quantunque spopolata de' suoi più animosi, dagli arresti e dalle stragi e soffocata dallo stato d'assedio, e minacciata dai Consigli di guerra permanenti, e tenuta d'occhio da ventimila soldati e da una sterminata sbirraglia, non voleva permettere che i Salzano ed i Maniscalco potessero impunemente spacciare nelle loro gride: la popolazione palermitana estranea ed indifferente al moto sfortunato del 4 aprile; talché, a smentire l'artificiosa calunnia, il 13 aprile versavasi tutta quanta nelle vie e nelle piazze a testimoniare con migliaia di voci i suoi sentimenti d'odio al Borbone, a gridare Italia e Vittorio Emanuele, a sfidare con ogni maniera di scherni e di sfregi il superbo vincitore, il quale, sbalordito da tanta solennità di manifestazione, né osando inferocire contro una sì grande moltitudine inerme, dovette rassegnarsi a patire in pace la fiera disfida.

Santa Margherita di Belìce nella storia siciliana: genesi del Gattopardo - di Salvatore Scuderi, Giuseppe Scuderi - 2003

...che il Consiglio deliberasse volere l'annessione al governo istituzionale di Vittorio Emanuele II. Con entusiasmo e trasporti di gioia il Consiglio accolse la richiesta del Presidente ed ha deliberato: "Vogliamo l'annessione al regno costituzionale di Vittorio Emanuele". Ed ha eletto il Sig. Domenico Quattrocchi da Palermo, conosciuto ottimo patriota affine di presentare al sommo dittatore Garibaldi il voto di annessione al regno.

I Moti di Palermo del 1866: verbali della commissione parlamentare di inchiesta
di Magda Da Passano, Italy. Parlamento. Camera dei deputati - 1981

Caterina Quattrocchi Abadessa di Santa Rosalia con altra Monaca. Esse furono strappate dal loro chiostro all'improvviso e violentemente dalla truppa, ...

 

Ruberie dei Mille, Ippolito Nievo e la prima strage di Stato

La STORIA NEGATA. L'Altro Risorgimento

La Vera Storia dell'Unità d'Italia

Ciminna - Comune della provincia di Palermo

Tribuna dell’Ecce Homo - Fu edificata nel 1794 con una donazione del frate don Salvatore Bufalo dei Minori Conventuali. Ingrandita nel 1798 ad opera di Giuseppe Guarneri (Corleone, 19 settembre 1736 - documentato a Ciminna fino al 1798), presenta un fronte con un arco a tutto sesto chiuso da una ricca cancellata in ferro battuto, affiancato da due esili paraste sormontate da un timpanotriangolare. Nell’altare di marmo, del 1795, trova posto la statua il legno policromo dell’Ecce Homo realizzata da Giacomo Quattrocchi nel 1802.

Monografia del dott. Vito Graziano su Ciminna. Memorie e documenti.Sulla storia del Risorgimento in Sicilia

E mentre il gen. La Masa, mandato da Garibaldi per ogni dove a suscitarvi e organizzarvi la rivoluzione, raccoglieva uomini e armi a Mezzoiuso, Villafrati, Bolognetta e Misilmeri, Luigi La Porta riorganizzava in Ciminna la sua squadra e la mattina del 17 maggio partì alla volta di Caccamo con la bandiera tricolore spiegata e la musica cittadina. Ivi in principio fu accolto festosamente, ma poi quegli abitanti, temendo qualche rappresaglia, condussero la squadra dentro una chiesa col pretesto di alloggiarla. Quindi la tennero a bada, e nel frattempo richiamarono da Termini la guardia nazionale caccamese, che vi si era recata per aiutare quei cittadini ad impadronirsi del castello.Ma fu costretto a licenziare gl'individui inermi e partì con quelli armati ed altri di Caccamo. Passò per Termini, Trabia ed Altavilla, dove si unì ai signori Barranti, Quattrocchi, Loreto Grimi, D'Anna e Sunseri, provenienti da Termini, e con essi si diresse al campo di Gibilrossa. Di là il 27 maggio 1860 prese parte all'entrata di Palermo, dove il La Porta si distinse nell'assalto di Porta Maqueda.

Memorie e Documenti - Ciminna dal sec. XIX sino ai nostri giorni - Dr Vito Graziano

Ora torno a raccontare i fatti, che in quel tempo si svolsero in Ciminna. La dimane del 28 aprile venne da Termini un grosso distaccamento di soldati col capitano Giuseppe Sa-lemi e compagni d'armi, avvisati dalla guardia urbana Domenico Arena, ch'era partito da Ciminna la stessa notte degli avvenimenti. Fu ordinato il disarmo generale e nella pubblica piazza furono distrutti tutti i fucili consegnati, ma due giorni dopo i soldati lasciarono il paese e questo rimase nella più completa anarchia. Le persone ricche fuggirono in altri paesi per salvare almeno la loro vita, e da allora in poi gli omicidi e i furti furono frequenti. In mezzo a tanti disordini non mancarono in Ciminna quelli, che tennero sempre alti i sentimenti del dovere e della libertà. La rivoluzione, che il domani del 4 aprile Maniscalco aveva detto di avere afferrato pei capelli, era divampata di nuovo. I Mille erano sbarcati a Marsala e coll'aiuto delle squadre siciliane del Coppola e dei fratelli S. Anna avevano vinto a Calatafimi. E mentre il La Masa, mandato da Garibaldi per ogni dove a suscitarvi e organizzarvi la rivoluzione, raccoglieva uomini e armi a Mezzoiuso, Villafrati, Bolognetta e Misilmeri, Luigi La Porta riorganizzava in Ciminna la sua squadra e la mattina del 17 maggio partì alla volta di Caccamo con la bandiera tricolore spiegata e la musica cittadina. Ivi in principio fu accolto festosamente, ma poi quegli abitanti, temendo qualche rappresaglia, condussero la squadra dentro una chiesa col pretesto di alloggiarla. Quindi la tennero a bada, e nel frattempo richiamarono da Termini la guardia nazionale caccamese, che vi si era recata per aiutare quei cittadini ad impadronirsi del castello. Allora il La Porta fu costretto licenziare gl'individui inermi e partì con quelli armati ed altri di Caccamo. Passò per Termini, Trabia ed Alta villa, dove si unì ai signori Barranti, Quattrocchi, Loreto Grimi, D'Anna e Sunseri, provenienti da Termini, e con essi si diresse al campo di Gibilrossa.14 Di là il 27 maggio prese parte all'entrata di Palermo, dove il La Porta si distinse nell'assalto di Porta Maqueda.15 La città di Palermo, riconoscente al valore di Luigi La Porta e della sua squadra, battezzò col suo nome una nuova piazza e nel primo cinquantenario del 27 maggio 1860 pose a Porta Maqueda la seguente iscrizione: Ai XXVIII maggio del MDCCCLX - Qui vittoriosamente pugnando Contro le borboniche schiere irrompenti
Gl'insorti E i volontari dell'VIII compagnia Duce Luigi La Porta Affidavano alla storia II nome della Porta Maqueda
Ora distrutta.

DIPARTIMENTO DI STUDI CULTURALI ARTI STORIA COMUNICAZIONI - ALTARI E ARREDI SACRI NELLA SICILIA OCCIDENTALE AL TEMPO DEI NEOSTILI. LETTURA ICONOGRAFICA TRA TEOLOGIA E ARTE SALVATORE TORNATORE

Filippo Quattrocchi (Gangi, 1738-Palermo 1818) , artefice delle testine angeliche, dei tre bassorilievi (nella mensa e nella predella) e dei perduti quattro angeli-telamoni che reggevano la mensa dell'altare maggiore della chiesa di S. Matteo di Palermo (1798-99) . La fattura di queste figure è molto accurata nei dettagli delle vesti, nei gesti e nelle movenze ricercate che rimandano alla coeva scultura monumentale della seconda metà del XVIII secolo di stampo barocco classicista, di memoria marabittiana. In particolare l'evangelista Giovanni sembra ripreso dall'omonima opera di Camillo Rusconi della Basilica di S. Giovanni in Laterano. Potrebbe essere avanzata l'ipotesi di attribuzione allo scultore Filippo Quattrocchi che, nel 1799, esegue gli intagli lignei dell'altare maggiore della chiesa di S. Matteo di Palermo (cfr. scheda n. 7, infra). “uno dei più noti interpreti della scultura lignea monumentale della seconda metà del Settecento” .
Francesco Quattrocchi (1779-1861), figlio di Filippo, autore dell'altare maggiore della chiesa di S. Giovanni Battista di Ciminna (1811) 346 e della tribuna dell'altare maggiore della chiesa del convento dei Cappuccini di Palermo (1856),
insieme all'ebanista Francesco Paolo Paladini . Ciminna (Pa), chiesa di S. Giovanni Battista. L'altare fu commissionato nel 1811 dai rettori della chiesa del SS. Crocifisso (in realtà la chiesa di S. Giovanni Battista), nella persona di don Michele Cascio, vicario foraneo, allo scultore palermitano Francesco Quattrocchi (1779-1861) per la cifra di 253 onze (V. Graziano, Ciminna, 1911, p. 180; R. Sinagra, Quattrocchi Francesco, in L. Sarullo, Dizionario …, vol. III, 1994, p. 277; G. Cusmano, La Chiesa di San Giovanni…, 2000, p. 73; Appendice documentaria, doc. 7, infra). Già nel 1805 i superiori del convento incaricarono l'architetto fra Felice da Palermo di redigere un progetto per la costruzione di una conca, al fine di trasferire il simulacro della Madonna sull'altare maggiore, al posto delle reliquie, ma non si potè attuarne la realizzazione per mancanza di fondi (P. A. Gaetani da Casteltermini, Cenni storici sul taumaturgo…, 1905, pp. 118-
119). Nel 1854 il P. Provinciale Giuseppe Maragioglio da Salemi riprese il progetto e incaricò l'architetto Torregrossa di approntare il disegno. Il primo marzo del 1855 il Re delle Due Sicilie Ferdinando II elargì ben seicento ducati che permisero di accelerare l'esecuzione dell'opera, ufficialmente iniziata il 19 marzo 1855 con atto notarile. Il Paladini ricevette 210 onze (630 ducati), il Quattrocchi 180 onze (540 ducati). La conca doveva essere completata entro il 20 novembre 1855 (P. A. Gaetani da Casteltermini, Cenni storici sul taumaturgo…, 1905, pp. 123-124) ma polemiche interne al convento fecero slittare la data di consegna e finalmente il 17 aprile 1856 il simulacro della Vergine veniva
collocato nella nuova macchina dell'altare maggiore. Sotto il simulacro fu posta una targa in argento con la seguente iscrizione: "L'anno 1856, 26 di Ferdin. II Borbone.."
Da notare anche la fattura dei volti idealizzati e delle acconciature a ciocche inanellate. L'ignoto scultore, forse siciliano, sembra conoscere la cultura figurativa palermitana a cavallo tra XVIII e XIX secolo. Questi faceva parte di una importante famiglia di scultori specializzati nell'intaglio ligneo di cui il massimo esponente fu Filippo (Gangi, 1738-1818).

CORLEONE

Sicilies: Webster’s Quotations, Facts and Phrases
di Icon Group International, Inc. - 2008

Vito Quattrocchi, di famiglia corleonese, è considerato negli Stati Uniti una autorità nel campo dello "Stiletto Fighting", arte marziale, tradizione della famiglia Quattrocchi, ispirata al patrono degli spadaccini San Michele Arcangelo.

DIZIONARIO TOPOGRAFICO DEI COMUNI COMPRESI ENTRO I CONFINI NATURALI D'ITALIA
di Attilio Zuccagni-Orlandini - 1861

CORLEONE (Sicilia) Prov. di Palermo : circond. di Corleone; mand. di Corleone. Sulle pendici di un colle alle cui falde apresi un' amena pianura con ubertosi terreni trovasi la città di Corleone, creduta da alcuni l'antica Schera. Nacquero in essa distinti medici, letterati e teologi Popolazione 12,897.

WIKIPEDIA STORIA DI CORLEONE

Dalle origini al XII secolo "Animosa Civitas", titolo conferitole da Carlo V in occasione della sua visita a Corleone il 12/1/1556, fu sempre in prima linea in tutte le guerre che si combatterono in Sicilia. Non è facile risalire alle origini, forse, perché Corleone ebbe vari insediamenti fin da quando i più modesti gruppi umani si costituirono nell'isola. Le varie presenze di questi popoli: Sicani, Elimi, Fenici sono state confermate dai reperti archeologici ritrovati . Almeno ventitré secoli fa si chiamò Schera di cui parlano Cicerone, Cluverio e Tolomeo e, probabilmente, dovette piegarsi ai romani durante la seconda guerra punica. Forse sorgeva nella zona che sovrasta la Corleone di oggi e che si chiama ancora " Vecchia". Tale nome fà riferimento ad una montagna che si erge per circa 1000 s.l.m. e dista circa due km dall'odierno centro abitato. Il nome Corleone deriva da un antico Qurlian, forse di origini arabe, ma la forma attuale risale al XVI secolo. Nel 1080 veniva conquistata dai Normanni e nel 1095 fu annessa alla diocesi di Palermo. Circa cento anni dopo fu annessa alla nuova diocesi di Monreale.
Dal XIII secolo al XVII secolo Nel XIII secolo l'imperatore Federico II deportò i Musulmani a Lucera in Puglia e ripopolò la città con una colonia di Lombardi guidata da Oddone de Camerana. Già nel XIV secolo esisteva la cinta muraria che, collegando il Castello Soprano al Castello Sottano, racchiudeva al suo interno il primo nucleo abitativo ancor oggi visibile nel tessuto del centro storico. Tra il secolo XV e il XVI l'abitato si espande oltre le mura che vengono demolite non avendo più nessuna funzione difensiva. Durante la rivoluzione dei Vespri siciliani la città si schierò con Palermo contro gli Angioini determinando la loro cacciata dalla Sicilia. Tra il 1440 ed il 1447 la corona spagnola vendette la città e i suoi privilegi a diversi signori feudali, Federico Ventimiglia, i Chiaramonte, e altri, determinando un forte decadimento economico e sociale della città costretta a riscattare la sua libertà fino agli inizi del XVII secolo.

CONTESSA ENTELLINA

Nella Chiesa di S. Rocco, nella prima nicchia a sinistra entrando si può ammirare la statua di S. Eligio con i paramenti vescovili. Non si conosce l’autore né quando questa statua sia stata collocata nella chiesa di S. Rocco. Di origine francese, vissuto nel secolo VII, è nominato vescovo di Noyon nel 641. La sua festa ricorre il primo dicembre ed é patrono degli orefici, dei maniscalchi, dei contadini. Santo leggendario come maniscalco e come orefice, è consigliere del re. Gli vengono attribuite numerose opere d’arte. Noto anche come S. Eligio di Eloi, in molti comuni della Sicilia, così anche a Contessa e nei paesi limitrofi, é più noto come “Sant’Alòi”, protettore degli animali da soma. Dal 1960 in una nicchia della parete destra della chiesa di S. Rocco é esposta una statua della Madonna di Fatima, fatta ivi collocare dal parroco papas Jani Di Maggio. Nella parete frontale, dietro l’altare, in una nicchia é collocata una Statua di legno della Immacolata Concezione, scolpita nel 1854 dall’artista palermitano Francesco Quattrocchi. La statua è ordinata dal parroco della chiesa greca papas Spiridione Lo Jacono ed è pagata 28 onze. Nell’archivio della parrocchia greca esistono documenti che riguardano la statua dell’Immacolata, in particolare una autodifesa di Spiridione Lo Iacono sulla corretta utilizzazione del denaro raccolto per comprare la statua. Un intervento di restauro sulla statua é effettuato nel 1954. Nell’arco che segna il confine tra la parte dei fedeli ed il presbiterio, sulla volta, si legge in greco “ìkos mu, ikos prosevchìs” (la mia casa, casa di preghiera).

Il comune di Contessa Entellina costituisce il più antico insediamento albanese in Italia. Nasce intorno al 1450, quando un gruppo di esuli albanesi costruì l'abitato vicino alle rovine remote di un piccolo casale preesistente, il Casale di Comitissa o Vinea Comitissae, popolato da soldati albanesi provenienti dal Casale di Bisiri (Mazara) dove avevano prestato servizio per il re di Napoli dal 1448. Dal XV al XVIII secolo si rifugiano in Italia molti albanesi per sfuggire alla dominazione ottomana e conservare la fede cristiana, che fondano o ripopolano circa 100 località nel centro-meridione d'Italia. I capitoli di nascita ufficiali, della concessione dei feudi, sorsero nel 1520, anno in cui ebbe avvio la riedificazione, la valorizzazione e il popolamento degli albanesi provenienti dall'Albania meridionale e nella seconda ondata migratoria dalla Morea. Questi albanesi, di elevata estrazione sociale, non vollero sottomettersi al giogo turco ne rinnegare la loro religione cristiano-bizantino. Fuggirono e sbarcarono sulle coste centro meridionali d'Italia.

SANT'AGATA DI MILITELLO


Il patrimonio storico culturale del Museo Etno Antropologico dei Nebrodi a Sant'Agata di Militello

 

Primo nucleo storico di S. Agata è il Castello Gallego il cui attuale aspetto risale al XVI secolo. Al castello è annessa la settecentesca Chiesa dell’Addolorata quale cappella di palazzo. Fu costruita insieme alla residenza dei principi Gallego e completata intorno alla metà del XVIII sec.. Presenta un fronte preceduto da gradinata, all’interno un’aula in cui è appena accennata la partitura in campate (altari laterali) e presbiterio rialzato oltre l’arco trionfale. All’interno della chiesa si trova una grande tela raffigurante il “miracolo di San Biagio” datata 1862 realizzata da D’Antoni, e il Crocifisso attribuibile a Filippo Quattrocchi caposcuola di una famiglia di artisti nativi di Gangi vissuti tra il '700 e l’800. Di questo scultore è tipico il ricorso alle perle vitree per la realizzazione degli occhi, la resa minuziosa dei particolari, il modellato dai tratti taglienti. Del XVIII sec c’è anche una statua lignea della Madonna addolorata.

Il Comune di Sant'Agata di Militello si trova quasi a metà strada tra le città di Messina e Palermo. Di notevole rilevanza storica sono i diversi palazzi gentilizi presenti. Costruiti intorno la metà del diciannovesimo secolo dalle famiglie aristocratiche della zona, quali gli Zito discendenti dai conti di S. Marco, i Faraci baroni del Prato,i nobili, Gullotti e Cardinale. Gli Zito edificarono i loro palazzi nel quartiere della chiesa madre, i Faraci in via Roma, i Gullotti, Cardinale e Ciuppa sulla Via Nazionale. Tutti questi edifici presentano al loro interno pregevoli stucchi tardo barocco e liberty. Il porto di Sant'Agata sarà uno dei 3 porti hub della Sicilia. Lo specchio d'acqua utilizzabile è di 282.000 m². All'interno del porto, in condizioni di sicurezza, potranno ormeggiare 1094 natanti.

MILITELLO ROSMARINO


Dell’imponente castello normanno oggi restano solo dei ruderi. Dalla planimetria regolare era circondato da una cinta muraria che lo isolava sul colle ove sorgeva. Era in rapporto visivo con i castelli di San Marco, Capo d’Orlando e San Fratello. Aveva un portale marmoreo grandi magazzini e stanze, carceri ed una Chiesa interna. E’ andato in rovina dopo il 1860. La Chiesa di San Domenico (già chiesa dell’Annunziata) risale al 1512 e fu voluta dal Barone Enrico Rosso che con essa sancì l’avvento del primo rinascimento a Militello. In essa è custodito il monumentale marmoreo sarcofago della moglie Laura. Il portale della Chiesa è in pietra calcarea riccamente decorata con figure e simboli esoterici. Il frontone arricchito con elementi barocchi reca una iscrizione del 1709 “Paradisi Porta” ed un rilievo, simbolo domenicano, col cane recante una fiaccola accesa. In essa sono presenti altre sepolture, statue (quella lignea del ‘700 di San Vincenzo Ferrer, attribuita a Filippo Quattrocchi), quella marmorea quattrocentesca della Madonna dell’Aiuto e tele barocche (raffiguranti la Madonna della Lettera, la Madonna della Neve e Santa Scolastica. Bellissimo l’altare ligneo di San Domenico (1638) ed il prezioso tabernacolo con la sovrastante cantoria in legno policromo dipinto con angeli musici. Posto su un colle che si affaccia sulla Valle del fiume Rosmarino, Militello ha origini romano-bizantine e poi arabe, si è sviluppato in epoca medievale e in particolar modo sotto la dominazione dei normanni (anno 1000) che vi edificarono un castello al tempo di Ruggero il Guiscardo (1081) . Durante l’ottocento molte famiglie abbandonarono Militello per S.Agata dando inizio ad un declino demografico che si aggravò ulteriormente fino agli anni 50 con l’emigrazione verso il nord dell’Italia ed all’estero.


MAZARA DEL VALLO

Museo Civico Comunale

Sito all'interno dell'ex convento dei gesuiti, ora centro polivalente di cultura, è suddiviso in due sezioni: l'archeologica, che comprende anche alcuni materiali provenienti da scavi archeologici in contrada Roccazzo, e la moderna, costituita in massima parte dalle opere grafiche dello scultore mazzarese Pietro Consagra. Si trova al piano terra del Seminario Vescovile. La maggior parte delle opere esposte sono suppellettili liturgici e parametri sacri appartenenti alla Cattedrale e sono pregevole espressione di arte sacra, opera di maestri argentieri palermitani e trapanesi. L'iter espositivo va da Francesco regno (1386) agli inizi del Vescovado di Gaetano Quattrocchi (1900). Il Seminario sarà ancora abbellito nel lato occidentale per volere del vescovo Gaetano Quattrocchi (1900 - 1903). Nel Museo Diocesano, al Seminario vescovile, sono esposti argenti e suppellettili liturgiche di straordinaria bellezza, che vanno dal XIV al XIX secolo. Croci, reliquiari, ostensori, pissidi, pianete e piviali, commissionati dai munifici vescovi di Mazara, testimoniano la raffinata abilità e la vasta produzione di maestri argentieri e orafi spagnoli e toscani, palermitani e trapanesi.
Il Duomo di Mazara del Vallo è un tipico esempio della prima architettura arabo-normanna in Sicilia a tre navate. L'aspetto attuale della cattedrale risale al 1690 (Vescovo Francesco Maria Graffeo). Il prospetto si deve ai Vescovi Gaetano Quattrocchi e Nicolò Maria Audino, promotori del rifacimento della precedente facciata. I loro stemmi figurano sotto le statue del SS. Salvatore e della Madonna.

Acta sanctae sedis:Ephemerides Romanae a SSMO D. N. Pio PP. X authenticae-di Catholic Church. Pope 1902

Pagina 263 - Titularem Ecclesiam Episcopalem Europen.sub Archiepiscopo Hierapolitano, vacan. per traslationem R.P.D. Caietani Quattrocchi ad Sedem Cathedralem Mazariensem, favore R.P.D. Volfanghi Radnai, Presbyteri dioceseos...

 

Arcivescovo Don. Gaetano Quattrocchi (nato 16 Giu 1850 È morto 8 giugno, 1903)

Mons.Can.co Don Vincenzo Quattrocchi, Cameriere Segreto di S.S.Pio X, Vicario Foraneo, fratello di Gaetano

Famiglie e Personaggi Illustri - Articoli tratti da "Mazzarino e i Mazzarinesi" a cura di Vito Ficarra 1973

Mons. Vescovo Gaetano Quattrocchi - Nacque a Mazzarino il 16 giugno 1850. A sedici anni indossò l’abito clericale e sette anni dopo, nel 1873, fu ordinato sacerdote. Il 30 maggio dell’anno successivo, Mons. Gerbino, Vescovo di Piazza Armerina, lo nominò Segretario Vescovile e Professore di Filosofia e Diritto. Il 30 maggio 1878 Revisore di Libri; il 15 ottobre 1887 Rettore e Professore del Seminario Vescovile di Piazza Armerina; due anni dopo Canonico Teologale della Cattedrale della stessa città. 30 maggio 1890 Vicario Generale di 5. E. Mons. Mariano Palermo, Vescovo di Piazza Armerina Il 28 maggio 1895, 5. 5. Leone XIII lo nominò Cameriere Segreto. Il 26 febbraio 1896 ebbe la nomina a Vescovo Titolare di Europo e Amministratore Apostolico di Mazzara. In quella occasione venne nella nostra città, dove tenne la prima cresima, consacrando, altresì, l’altare maggiore della Parrocchia Matrice. 15 giugno 1900: Vescovo residenziale di Mazzara. 1 aprile 1903 Arcivescovo titolare Serre e Amministratore Apostolico di Mazzara. L’8 giugno 1903 lasciò questa terra e volò agli eterni riposi. Sin dal momento della sua morte, un comitato cittadino composto dal Cav. Avv. Antonino Bartoli Sindaco, Presidente, dal Can. Gaetano Jannì, parroco, vice-presid., dai Can. Giuseppe Siciliano e Nicolò Pardo, dall’Avv. Filippo Paraninfo Faraci, vice-Pretore, e dal Sig. Filippo La Marca, si diede da fare formulando una petizione che venne coperta da ben 5.500 firme per essere presentata insieme alla deliberazione unanime del Consiglio Comunale, e con le altre del Clero Secolare e Regolare, dei Circoli: l’Amicizia, l’Unione, delle Società dei Maestri, dei Lavoratori di Zoifara, Democratico Cristiana, di Reciproca Beneficenza, e di Miglioramento Agricolo, inoltrata alla Camera dei Deputati, perché la Venerata Salma dell’Illustre Prelato venisse sepolta nella Chiesa Matrice di Mazzarino.

EPIGRAFE SCRITTA SULLA PERGAMENA TUMULATA NELL’URNA I.M.I.

Si chiudono in quest’urna i resti mortali di S. E. Rev.ma Mons. Arcivescovo Don Gaetano Quattrocchi nato da Ferdinando e da Gaetana Lavore in Mazzarino il 16 giugno 1850, battezzato lo stesso giorno dal Sac. D. Vincenzo Bellanti. Percorsi rapidi, i gradi dell’Ecclesiastica Gerarchica, fu Vescovo di Mazzara, Arcivescovo di Serre. Pio, Sommo, Giusto, moriva onusto di meriti, nella città natale l’8 giugno 1903 e veniva sepolto nel Cimitero Comunale Madonnuzza. Per unanime voto cittadino, manifestato da una petizione con cinquemila cinquecento firme, e da varie deliberazioni del Consiglio Comunale, del Clero e di tutti gli Enti locali, auspice l’On. Avv. Rosario Pasqualino Vassallo, da Riesi Deputato del Collegio di Terranova, al Parlamento Italiano, e il Cav. Avv. Antonino Bartoli, Sindaco della Città, il Governo di S. M. Vittorio Emanuele III di Savoia, ne autorizzò il trasloco in questo Duomo, con Decreto dato in Roma dal ‘Ministro degl’Interni il 10 gennaio 1907. Ad appagare il voto del popolo concorse il fratello dell’Estinto, Mons. Can.co Don Vincenzo Quattrocchi, Cameriere Segreto di 5. 5. Pio X, Vicario Foraneo di questa Città, coadiuvato da Monsignor D. Mario Sturzo, Vescovo di Piazza, da questo Parroco D. Gaetano Jannì, dagli Avv. Luigi Zoda e Filippo Paraninfo Faraci, dai Can.ci Giuseppe Siciliano e Nicolò Pardo, dal Sig. Filippo La Marca e da altri insigni Cittadini. La traslazione è avvenuta oggi nelle forme le più solenni con l’intervento del Vescovo di Piazza, del Rappresentante il Vescovo di Mazzara, di varie rappresentanze di queste due Diocesi, di tutte le Autorità locali, e dell’intero popolo. La famiglia superstite, composta dai fratelli: il prelodato Mons. Vincenzo, Francesco, Giuseppe, Rocco e dalle sorelle nubili Serafina e Carmela, a perpetuo ricordo, eresse al Venerato Estinto, il marmoreo monumento e istitui in questo Altare di S. Pietro, una Cappellania di Sante Messe, spargendo fiori e lacrime.

Altre Famiglie venute a Mazzarino e che si distinsero: i Perno di Siracusa; i Paraninfo di Licata e poi i Quattrocchi (di cui si ricorda Mons. Gaetano, consacrato Vescovo nel 1896); i Nicoletti, i Morana, gli Strazzeri dei principi di S. Elia, gli Sperlinga, gli Zanchì, i Petruzzello, i Montalto, gli Artale, i Guerrini e poi le famiglie Iacona, Iannì, Stivala, Giarrizzo, Colaianni Giuiusa, Bognanni, Bonaffini, ecc..

Il Piano del Collegio. La seconda maggior piazza di Mazara del Vallo

Il D’Orville, in visita a Mazara, osservò la lapide e sostenne che essa fu dedicata dai Mazarienses al vincitore della seconda guerra punica nella quale gli abitanti parteciparono come alleati dei Romani. - La chiesa si presentava a forma ellittica con otto coppie di colonne tuscaniche, distanziate dalle pareti appena un metro e mezzo, e con sette altari, tre per lato e il maggiore al centro. Vicino a questo altare esisteva un passaggio che conduceva dalla chiesa all’atrio del Collegio. Afferma il Safina che a memoria degli uomini era considerata meritatamente come chiesa modello in fatto di culto religioso. In seguito al decreto di espulsione dei Gesuiti, il vescovo Ugo Papé, nel 1780, donò la chiesa ai P.P. Minimi di San Francesco di Paola. Nel 1885 il fondo per il culto affidò la chiesa al Comune e il sindaco dell’epoca, Girolamo D’Andrea, assunse l’obbligo della continuazione delle funzioni religiose. Nel 1901, il vescovo Gaetano Quattrocchi, per la temporanea chiusura della Ecclesia Maior normanna per lavori di restauro, chiese al Comune e ottenne che la chiesa del Collegio fungesse da Cattedrale. E in questa chiesa, nel dicembre del 1902, il vescovo Quattrocchi, durante lo svolgimento della funzione religiosa, fu colpito da apoplessia cerebrale che lo costrinse alle dimissioni nel mese successivo; e, sempre in questo tempio, fu accolto da popolo e clero festanti il nuovo vescovo Nicolò Maria Audino. Negli anni seguenti la chiesa fu chiusa al culto e trasformata in sala di riunioni consiliari, in cinematografo, in asilo di profughi, in sala di comizi elettorali finché nel dicembre del 1933 crollò dopo anni di vane richieste di restauro da più parti. Oggi si conserva solo la struttura esterna.

Mazara del Vallo - Via Gaetano Quattrocchi

MAZZARINO

Giornale della Reale Società ed Accademia veterinaria italiana - Candeletti 1909

Elezione a Presidente del Venerabile Dott. Quattrocchi Antonino, medico veterinario comunale, Mazzarino. (Caltanissetta). Eletto Presidente nel 1909

Serafina Quattrocchi la Prima Donna Sindaco in Sicilia.

Serafina Quattrocchi (Mazzarino, 26 novembre 1901 - 12 febbraio 1985) è stata la prima donna sindaco in Sicilia. Nel 1946 si candida con la Democrazia Cristiana alle prime elezioni amministrative del dopoguerra ed è la più votata. Il 9 aprile 1947 è eletta sindaco di Mazzarino ed amministra il Comune fino al 1951. Serafina Quattrocchi fu eletta grazie alla convergenza sul suo nome dei voti dei consiglieri della Democrazia Cristiana e dei consiglieri di minoranza del Partito Comunista Italiano. Terminati gli studi elementari nella sua città, frequenta l’Istituto Tecnico a indirizzo agrario di Terranova di Sicilia (attuale Gela), conseguendo il diploma nel 1919 con ottimi risultati. Si trasferisce quindi a Piazza Armerina per frequentare la Regia Scuola Normale, e nel 1921 consegue l’abilitazione all’insegnamento elementare. Nel 1922 pubblica un libretto dal titolo “La Società e i tempi moderni”, in cui affronta i problemi delle relazioni tra capitale e lavoro. Durante la guerra consegue infine la laurea in lettere presso l’Università di Messina. Mazzarino in quegli anni era uno dei più importanti centri agricoli siciliani. Nel 1921 aveva superato i venti mila abitanti, mostrando una notevole vitalità culturale in seno alle sue numerose organizzazioni sociali e politiche. Mazzarino era inoltre un centro caratterizzato dalla presenza di molte donne che nei primi decenni del '900 avevano acquisito ruoli e funzioni importanti come medici, farmacisti, notai e insegnanti. In questo ambiente era cresciuta Serafina Quattrocchi e qui aveva avuto l’occasione di intessere relazioni e rapporti culturali con figure importanti del cattolicesimo democratico italiano come Luigi Sturzo, il fratello Mario Sturzo, vescovo di Piazza Armerina, Salvatore Aldisio, ministro nei governi De Gasperi e Giuseppe Alessi, primo presidente della Regione Siciliana. La formazione politica di Serafina Quattrocchi ebbe inizio nelle associazioni cattoliche. Sin dal 1926 svolse vari ruoli come dirigente dell’Azione Cattolica e come membro provinciale dell’Associazione Italiana Maestri Cattolici (Aimc). Nella difficile situazione del dopoguerra con molta dignità e con spiccato senso pratico, Serafina Quattrocchi seppe coltivare efficacemente una rete di rapporti politici con la Provincia di Caltanissetta e con la nascente Regione Siciliana per avviare il rilancio economico, sociale e morale della sua città. Nel 1951 prese la parola a Roma al Convegno nazionale delle amministratrici della Democrazia Cristiana e con legittimo orgoglio rivendicò di “aver ricostruito il Municipio distrutto dalla folla in tumulto, pavimentato le principali strade; di avere avviato la costruzione del nuovo ospedale, di due edifici scolastici per la scuola dell’obbligo, di case per i senza tetto, dell’acquedotto e della fognatura, delle colonie estive per i bambini”. Grazie al suo impulso fu possibile predisporre una casa di accoglienza per i poveri, creando a Mazzarino l’istituto del “ Boccone del Povero. Il 21 dicembre 1951 la Direzione Centrale della Democrazia Cristiana la chiamò a far parte della Consulta Nazionale per gli Enti Locali, organismo presso il quale operò sino al 1953. Il 2 Giugno 1954, il presidente della Repubblica le conferì il titolo di Commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana, per l’attività svolta nel campo dell’assistenza sociale e in quello educativo e politico. Sempre nel 1954 fu nominata membro della Commissione regionale per gli Asili infantili. Nel 1961 fu eletta consigliere provinciale di Caltanissetta e svolse il ruolo di Assessore alla Pubblica Istruzione per l’intera legislatura. Nella foto il sindaco di Mazzarino Serafina Quattrocchi è ripresa alla sinistra di Alcide De Gasperi, durante una sua visita a Roma in Campidoglio. Grazie al dott. Giuseppe Fanzone di Mazzarino per le informazioni concesse.

I Partigiani Siciliani - 520 Nomi

Quattrocchi Salvatore di Carmelo, nato a Mazzarino (Cl) il 24/4/1921, Patriota, 3° div. Garibaldi “Pajetta”- 118° brigata “Servadei” ( Piemonte) , nome di battaglia “Lupo”.

ENNA

Museo Archeologico Enna-Palazzo Varisano, piazza Mazzini 1
Età greca arcaica
VII-VI
sec. a.C. Ceramica,
terrecotta (terrecotte figurate, oggetti di uso comune), metalli (utensili in ferro, fibule e monili in bronzo), monete Contrada Realmese,
Contrada Quattrocchi,
Valle Coniglio (Calascibetta), Capodarso, Cozzo Matrice, Rossomanno (Enna) 1 Pisside indigena a quattro piedi, necropoli Quattrocchi, VI sec. a.C.

2 Stamnos indigena dipinta a scacchiera, necropoli Quattrocchi, VI sec. a.C.

3 Cratere indigeno dipinto, fortificazioni di Capodarso, fine VI sec. a.C.

4 Scodellone triansato dipinto a motivi geometrici, necropoli Cozzo Matrice, metà VI sec. a.C

CONTRADA QUATTROCCHI - ENNA - NECROPOLI QUATTROCCHI

Percorsi pochi metri dal Duomo, si giunge a piazza Mazzini dove il primo piano dell'antico palazzo Varisano ospita le cinque sale del Museo Archeologico Regionale. Qui sono esposti numerosi reperti archeologico i rinvenuti in diverse contrade del territorio ennese. Nella sala ci sono esposti i ritrovamenti dell'età del Rame di contrada Malpasso, quelli di contrada Carcarella e alcune fruttiere, fibule in bronzo e una coppia ionica ritrovate a Realmese e risalenti all'età del Ferro. Esposti sempre in questa sala sono i ritrovamenti di altre due aree archeologiche, di contrada Quattrocchi e del centro indigeno di Campodarso. La sala II è interamente dedicata all'archeologia e alla tipografia antica di Enna preistorica, classica e medievale. La Sala III è dedicata, invece, alla situazione storico-archeologica dell'area del lago di Pergusa. Qui, il sito meglio documentato è quello di Cozzo Matrice. All'area archeologica di Rossomanno (VII-VI secolo a.C.) è dedicata la sala IV. In alcune vetrine di questa sala sono esposti anche reperti ritrovati ad Assoro, Agira, Troina, Cerami e Pietraperzia. Aree archeologiche queste ultime, che trovano spazi espositivi anche nella sala V.

SHARDANA SHAKALASA - I POPOLI DEL MARE - ALESSANDRO DI LENARDO - LEONARDO MELIS

 

LA VOCE DEI CITTADINI NUMERO SPECIALE RICORRENZE IL 25 APRILE ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE DAL NAZI-FASCISMO N. 4 ANNO XIV APRILE 2013


Alle ore 8 del 15 dicembre 1944, legati ognuno nella propria sedia bendati, stringendo fra le mani una piccola croce che i religiosi gli avevano regalato, furono fucilati, e, dopo i tre condannati furono con le sedie ancora dove si trovavo legati, sepolti. Un’altra testimonianza ci viene offerta da un certo Brugnoli Vittorio di Parma, che il 21 Luglio del 1945, scriveva al Sindaco di Enna, per raccontare l’ assassinio del capo partigiano Vincenzo Di Mattia nella primavera del 1944, che definiva Eroe. Il nome di Di Mattia, figura nella lapide che si trova al monumento dei caduti in guerra.Inoltre si ritiene giusto dare risalto che circa 20 ennesi parteciparono alla guerra di liberazione, fra questi Salvatore Argento, ex notaio, Enrico Càccamo, ex Vice Sindaco nelle prime legislature del dopo guerra, Vincenzo Quattrocchi, già Presidente Provinciale dell’ ANPI di Enna, Salvatore Calcara, Mario La Paglia. Fra i caduti, si ricorda anche Antonio Di Dio. Diede il nome ad una divisione autonoma della Repubblica dell’ Ossola.Come anche occorre ricordare il Comandante partigiano “Nicola Barbato, nonché Pompeo Colajanni, che con a capo di 20.000 uomini fu il liberatore di Torino. Il Comune di Enna, molti anni fa, gli diede la Cittadinanza onoraria, per le sue origini di Enna, ma anche come più volte consigliere comunale, Fu anche Sottosegretario alla guerra nei governi dopo la liberazione, presidente dell’ANPI Prov. le di Enna, poi eletto Vincenzo Quattrocchi.

ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO - Il popolo al confino. La persecuzione fascista in Sicilia di SALVATORE CARBONE e LAURA GRIMALDI Prefazione di SANDRO PERTINI

Nel giugno 1941 l'autorità di PS ebbe il sospetto che elementi di Falenno, in accordo con altri di Sambuca di Sicilia e Burgio, avessero progettato di dar vita ad un movimento di carattere antifascista -comunista. Successivamente, essendo diventati più frequenti i contatti tra di loro e avendo manifestato l'intenzione di fare viaggi di propaganda nei vari centri dell'isola e di prendere contatti con elementi dell'Italia settentrionale, furono arrestati undici indiziati a Palermo, mentre altri venivano fermati a Sambuca e Burgio. Risultarono implicati:, Ottavio Bicchierai, Giuseppe Di Chiara, Carlo Magno e Giovanni Sparacino, proposti per il confino ; Vincenzo D'Angelo, Baldassarre Ferraro, Antonino Guarisco, Onofrio Ilardi, Angelo Lapponi, Andrea Maggio, Giuseppe Montalbano, Antonino Pendolo, Antonino Ferrone e Agostino Tumminia, proposti per l'ammonizione ; Vincenzo Quattrocchi proposto per la diffida. Vedi la biografia di Giuseppe Di Chiara. (b. 492, cc. 24, 1942) Indice dei nomi citati nelle biografie. Quattrocchi Vincenzo - Bicchierai Ottavio; Di Chiara Giuseppe;
Giuliano Michele; Imbrociano Giuseppe; Magno Carlo;


CALASCIBETTA

Enna e provincia: laghi, torri e castelli - 2001 - Calascibetta (Contrada Quattrocchi)

Gentili G.V.:Calascibetta (Contrada Quattrocchi). Tombe sicule a camera del tipo "Licodia"- NSc.Ser.8,15(1961-1963),201-216.

GIARRE

GIARRE - SICILIA-PALAZZO-QUATTROCCHI - La cittadina faceva parte della contea di Mascali, concessa in feudo al vescovo di Catania da Ruggero II nel 1124. Il toponimo deriva infatti dalle giare in cui venivano raccolte le decime dovute al vescovo su tutti i prodotti della terra. Il Duomo è un'imponente costruzione neoclassica, con due torri campananie gemelle, di forma squadrata. L'arteria principale è via Callipoli, fiancheggiata da bei negozi e da residenze signorili, tra i quali è degno di nota il Palazzetto Bonaventura (n° 170), in stile liberty. Al n° 154, Palazzo Quattrocchi è caratterizzato da decorazioni in stile moresco.

VIA QUATTROCCHI A GIARRE

L'area oggetto dell'intervento di recupero è posta nella zona a nord-est di Giarre, si estende dal confine del centro storico di corso Italia sino alla zona di nuova espansione residenziale ed è compresa tra le vie Quattrocchi, Tommaseo, Rosina Anselmi, corso Messina e via Santissima del Carmelo. Recupero dell'area compresa tra le vie Teocrito, Quattrocchi e Don T. Leonardi, ricadente in zona "A" di piano, attualmente occupata da vecchi fabbricati inutilizzati; è prevista la demolizione dei fabbricati esistenti e la realizzazione di un complesso edilizio, a più elevazioni, che modifica l'impianto urbanistico dell'area, pur mantenendo il volume, la superficie e l'altezza massima esistenti.

IL CENTRO STORICO DI GIARRE

È un comune di circa 28.000 abitanti della città metropolitana di Catania. Nonostante la storia della città sia relativamente recente, il centro storico, sviluppatosi nei secoli scorsi lungo le due direttrici perpendicolari delle attuali via Callipoli e corso Italia, rappresenta la maggiore attrattiva turistica della città, e piazza Duomo ne è sicuramente il cuore pulsante. L’intera zona è costituita da strade di basalto lavico ed edifici patrizi sette-ottocenteschi; tra questi risaltano alcuni prospetti liberty come quelli di Palazzo Bonaventura e Palazzo Quattrocchi. A pochi metri dal Duomo, in piazza Monsignor Alessi, è ubicato il monumento ai Caduti eretto nel 1929 sul luogo che aveva precedentemente ospitato una fontana artistica opera dello scultore Antonio De Francesco, trasferita nell’area di Villa Margherita.

MESSINA

PROFILI DI SPEZIALI SICILIANI TRA XIV E XVI SECOLO

G. Cosentino, Codice diplomatico di Federico III di Aragona re di Sicilia (1355-1377)

"..il quale «a puericia sua», a Messina «habitacionem et mansionem propriam tamquam compatriota civitatis eiusdem tenuerit et habuerit, partecipans semper et comunicans» con gli altri fedeli messinesi «in honoribus et oneribus universitatis nostrorum fidelium predictorum». Se, sino a quel momento, Nicola era stato trattato da cittadino messinese e dunque esentato dal pagamento dei diritti di dogana ultimamente alcuni dei gabelloti avevano sostenuto che lo speziale fosse tassabile «allegantes ipsum magistrum Nicolaum in dicta civitate non dum uxorem duxisse et propterea tamquam rendabilem in solucionibus dohanarum et aliorum iurium predictorum haberi et tractari debere»; in seguito all’intervento di re Ludovico, Nicola Quattrocchi avrebbe goduto delle immunità spettanti ai messinesi «nonobstante quod dictus magister Nicolaus non dum uxorem duxerit» a Messina. Era ancora grazie a un privilegio regio ( Federico IV dato a Messina nel 1372) Asp, R. Canc., reg. 3, cc. 105v-106 (5.3. 1347).

GIORGIO ATTARDI MESSINESI INSIGNI DEL SEC. XIX SEPOLTI AL GRAN CAMPOSANTO (Epigrafi - Schizzi Biografici) Seconda Edizione
a cura di GIOVANNI MOLONIA PARTE I.

EPIGRAFE

21 FEBBRAIO 1862 - 20 FEBBRAIO 1913
ALL'AVV. GIUSEPPE QUATTROCCHI
PRESIDENTE DELLA DEPUTAZIONE PROVINCIALE
VISSUTO COME UN ROMANO ANTICO
DI FEDE REPUBBLICANA
IN TEMPI DI UNIVERSALE INCOERENZA
MOSTRANDO CON L'ONESTA' DELLA VITA
AGLI AVVERSARI AGLI AMICI
AI FIGLI
CHE LA VIRTU' NON E' NOME VANO
CON L'ANIMO STRAZIATO
PER LA PRECOCE AMARISSIMA DIPARTITA
LA VEDOVA E I FIGLI
Q.M.P.
(Nel monumento in sito distinto, presso la vasca
circolare dell'ingresso principale).

REGIA UNIVERSITA' DI MESSINA.

Acquaviva Francesco di Antonio, nato a Molfetta (Bari) il 19 gennaio 1860. Adinolfi Oreste fu Francesco, nato a Salerno il 23 luglio 1904.... Passanisi Giuseppe di Giovanni, nato a Vizzini (Catania) il 23 agosto 1903. Quaglia Alfredo di Giovambattista, nato ad Isola del Liri (Frosinone) il 21 novembre 1905. Quattrocchi Francesco di Giuseppe, nato a Messina il 31 agosto 1894. Reale Amedeo di Antonio, nato a Napoli il 29 agosto 1905. Rizzuto Antonino di Francesco, nato a Tunisi il 19 settembre 1903. Ribaudo Vincenzo di Liborio, nato a Mistretta (Messina) il 3 gennaio 1903....

CATANIA

Storia della Medicina - Autore:Bernabeo A.R.Editore:ESCULAPIO-Anno:1996

Descrizione:Da empirismo a scienza applicata.La necessità di studiare i processi formativi della Medicina nei suoi aspetti pratici e scientifici ha acquisito fisionomia propria sul finire del XVII secolo con l'Histoire de la Medecine pubblicato nel 1696 dal ginevrino Daniel de Le Clerc. In Italia la cultura storico medica ha preso avvio con l'Introduzione alla Storia della Medicina Antica e Moderna del catanese Rosario Scuderi Quattrocchi, uscita a Napoli nel 1794, e con la proposta di Antonio Scarpa (16 novembre 1798) di istituire anche in Italia, come già in Francia, un Corso di Storia Ragionata della Medicina......

La Sicilia nel Settecento: Atti del Convegno di studi tenuto a Messina nei ...
Assessorato dei beni culturali e ambientali e della pubblica istruzione - 1986

... il di 21 maggio 1807 in morte del dottor D. Rosario Scuderi-Quattrocchi, ... Elogio di Monsignor Corrado Maria Deodato, vescovo di Catania recitato da ...

GIORNALE DI SCIENZE LETTERE E ARTI PER LA SICILIA
DIRETTO DAL BAR. V. MORTILLARO
PALERMO - ANNO 1840

Nel secolo XVIII , secolo avventuroso di molti sublimi ed eccellenti personaggi, nacque da Gaetano e da Venera Quattrocchi onesti, ed agiati genitori , il nostro Cavaliere Scuderi Quattrocchi il 7 Luglio 1781 in Viagrande rinomato comune per aver dato al mondo uomini di chiaro, e glorioso nome!
L'ottimo suo zio paterno, l'illustre, autore dell'opera sull'estinzione del vaiuolo, il Professore di medicina pratica nella Regia Università di Catania, il Protomedico Fracesco Maria Scuderi, preconoscendo il sommo ingegno ,si impegnò ad informargli lo spirito nel sapere. Egli corrispose alle premure dell'affettuoso suo zio. Divenuto adulto, e svincolatosi dalle pastoje grammaticali, correva nell' Atene di Sicilia, in Catania, a studiar Filosofia e Retorica, sotto la scorta del dotto, Canonico Giovanni Sardo. E siccome erasi fisso in mente di propagare il suo nome per le stampe, tanto pel possente impulso del suo brillante ingegno, quanto pel nobile spirito di emulazione, che gli destava il suo dottissimo fratello Rosario, che qual'aquila generosa alto spiccando il pensiero, erasi renduto di alta rinomanza Europea per la celebre sua opera « Introduzione alla Storia della Medicina » volle prima far capitale del melodioso idioma italiano, onde poter essere ammirato, sia come aureo scrittore, che come nobile autore. Si diè a svolger quindi , notte e giorno i classici tutti, apparò i diversi significati delle parole, le proprietà de' vocaboli, e l'uso a ben farne; studiò in somma la vera filosofia della lingua, cosicché allorquando spiccavansi le parole dalle sue labbra saresti rimasto, se parlava un nazionale Toscano, un Sanese, o pure un Siciliano. Ma a più gloriosa meta erasi diretto lo Scuderi. Apertosi nella Regia Università di Catania il concorso d'economia, agricoltura, e commercio, e spronato dall' amor della gloria , si accinse al difficile cimento ,con dodici valorosi emuli a' fianchi. Bello, preciso, arricchito delle cognizioni necessarie, di sennatezza filosofica fornito . Cosicché tutti i componenti la Deputazione nell'anno 1808 ad unanime voto Professore della Catanese Università lo salutarono. Ne gioiva Catania, ne gioiva la Sicilia, perché si coronava il merito, perché si arricchiva quel cospicuo, e vetusto Ginnasio d'un valente, d'un dotto, d'un sommo Professore ! Salito a tant'alto onore diede alla luce « La Dissertazione sulla maniera di perfezionare l'agricoltura pratica, e particolarmente la Siciliana, e le Dissertazioni agrarie riguardanti il Regno della Sicilia » amendue pubblicate in Catania l'anno 1811, le quali per quanto pregio racchiudono, non eran però, che le foriere di una sua egregia opera di tal genere, che doveva in seguilo stampare. Allora Ferdinando I Borbone conoscendo le possenti qualità dello Scuderi Quattrocchi, l'invitò a compilare un'opera sull'Economia, che fosse adatta a'giovani discenti di legge. Ed egli che avea pronto tutto il capitale per questo vasto edificio, frutto de' suoi immensi studi, e del suo ingegno straordinario, corrispose a' saggi disegni del Monarca, e nel 1827 in Napoli dalla stamperia reale pubblicò quella sua eccellente opera col modesto titolo di "Principi di Civile Economia". Tutte le più cospicue Accademie de' due emisferi lodarono a cielo una tale fatica; l'Accademia Reale delle scienze di Napoli ne diede il parere in questi termini: "Segnerebbe a di lui gloria l'epoca della Introduzione di una scienza nuova nella fecondissima Trinacria"; ed il celebre Economista Say scrisse nella Rivista Enciclopedica di Parigi un onorevole articolo per lo nostro Scuderi, articolo che tornerà mai sempre luminoso in di lui favore, «Che quest'opera contribuisce ad illuminare una nazione sopra i suoi veri interessi ». Eletto intanto dalla scientifica assemblea de' Gioenj a Segretario, scrisse egli due Relazioni accademiche ." Trattato dei boschi dell'Etna", inserita negli atti della stessa Accademia dell'anno 1828, e nel Giornale di scienze, lettere, ed arti per la Sicilia. Pubblicò pure negli atti dell'Accademia de' Georgofili Firenze, di cui era membro, ed indi fu ristampato negli Annali d'Agricoltura Italiana di Giambattista Gagliardo un suo dotto trattato sul buon governo dei boschi. Da' boschi passando alle campagne vergò una memoria sulla coltivazione delle campagne sassose; un'altra sulla rimondatura de' pini, (amendue pubblicate negli Annali del Gagliardo) una terza sulla rendita rurale venuta in luce nel Giornale di scienze, lettere, ed arti della quale dandone un favorevolissimo saggio la Biblioteca Italiana, venne poscia citata dal più robusto pensatore del secolo XIX Melchiorre Gioja nella sua Filosofia della Statistica; ed una quarta accettissima in Italia sulle rotazioni agrarie. Pubblicò ancora nel 1838 in Catania un suo aureo discorso sopra una pianta da tiglio Trifolium pratense purpureum, il quale tanto utile tornava alla scienza naturale, che tradotto in francese fece parte degli Atti Accademici del congresso scientifico di Clermont - Ferrand. Dopo d'avere scritto sull'economia, dopo d'aver parlato e sui boschi, e sulle campagne, e sulle piante, passa alla popolazione , e parla sul censo statistico della stessa, e sul progresso della popolazione di Sicilia, stampato in Catania nel 1835, ed inserito in molti giornali. Nel 1838 stampò un Discorso sull'aratro Grangè, con cui esorta tutti gli agricoltori a porlo in uso.Il Re Ferdinando II, preconoscendo che tornava di sommo utile, e a' dotti, ed agl'indotti, ed agli artisti tutti, esservi nella nostra bella Catania una società economica per dare incoraggiamento alle arti, ne compì l'opera scegliendone per Presidente, e Direttore il nostro elogiato Scuderi; ed egli corrispondendo a' voti del Monarca ne sostenne con sommo impegno, ed onore l 'incarico addossatogli. Abbiamo parlato del dotto Economista, Agronomo , Naturalista , e dello Storico, favellarci adesso del Poeta tragico, e del Poeta lirico. Diede alle stampe tre pregevoli tragedie I' Eumenide, il Fingal, e l' Erissena rappresentata poscia in Messina con felice successo nel giorno sette Marzo 1818, e con pari incontro nel 1834 a Roma. Il giornale enciclopedico di Napoli lauda molto queste tragedie, ed in Firenze se n'è data una seconda edizione. I più esimi Letterati Italiani insomma ne hanno esternata la più vantaggiosa, e felice opinione. Scrisse pure il Vespro Siciliano, alto, e scabroso lavoro, col quale diè prova di tutto il suo ingegno, e della sua fantasia, del pari, che della sua non ordinaria perizia in così eccelsi, e magnifici componimenti. Questa fu l'ultima tragica fatica dello Scuderi.
Nel 1813 in Palermo stampò un volume di sue poesìe fra le quali "la salita sul nostro famoso Etna", lumeggiata co' veri tratti della più brillante, ed erudita poetica fantasia. Scrisse un "Carme sul bello" in vari giornali decantato, argomento sublime, e proprio soltanto de' dotti maestri dell'arte: vari Inni, una cantica "L'Indica Luce" due componimenti per l'immortale, ed insigne Bellini, ed alcuni cenni sopra il Padre della Poesia Italiana.
Essendo perdutamente adoratore delle vetuste Deità pagane , che la mitologia tanto ci consagra , pubblicò nel Giornale di scienze lettere, ed arti un Dialogo di argomento romantico titolato "Pacuvio, Bonifacio, e Porfirio". Per quanto si sforza a sostenere una falsità conosciuta da tutti i sapienti del secolo decimonono, altrettanto è rara composizione. Resosi così di fama Europea venne ascritto onorevolmente quasi in tutte le Accademie italiane, e straniere; fu Vicedirettore dell'Accademia Gioenia di Catania, socio corrispondente dell'Accademia Reale delle scienze, e del Reale Istituto d'incoraggiamento di Napoli, dell'Accademia Colombaria Fiorentina, della Società Senkenbergiana de' curiosi della natura di Frankfort sul Meno, dell'Agraria di Pesaro, della Società di Storia Naturale di Francia, e di quella di Boston in America, e di tante altre, che per amor di brevità tralascio. Tenne letteraria corrispondenza coi più dotti dell'età sua. Nel dì 12 gennaro del 1832 fu decorato dalla Croce di Cavaliere del Real Ordine di Francesco Primo; onore compartito a' più cospicui letterati del regno. Nel 1813 sedè in Palermo membro del Parlamento rappresentante del Distretto di Catania. Nei 1828 fu Consigliere Provinciale, e nel 1829 elevato al grado onorevole di Consigliere d'Intendenza della Valle di Catania ne sostenne con laude i doveri come integerrimo, forte, e saggio magistrato. Amò il giusto, ed il retto; non macchiò mai la su nobile anima di qualche turpe azione; non defraudo alcuno di quegli onori, che si meritava, come mai sempre osservossi ne' sani, ed imparziali giudizi, che senza prevenzione alcuna profferiva negli scabrosi cimenti dei concorsi alle letterarie cattedre. Non avviliva alcun competitore, o alcun giovane, anzi gli additava i sentieri, gli compartiva delle laudi, e l' incoraggiava a proseguire con sommo impegno nell'apertasi carriera. Amabilissimo nelle maniere, gentile ne' tratti, e dolce, e cortese nell'espressioni. Amava sempre il pubblico bene, e se ne rendeva il garante, il sostegno in tutte le occasioni, che da lui dipendevano. Era di giuste membra , aveva alta e larga la fronte, occhio penetrante e vivo, pelle tra il bianco, e l'olivastro, di corpo asciutto; somma serietà letteraria, difficile al riso, con petto elevato incedeva, comechè a cose sublimi aspirasse. In grembo alla nostra sacrosanta Religione dagli uomini di lettere, dagli amici, non che da' suoi parenti compianto cessò di vivere in Catania il giorno quattordici gennaro 1840. Con solenne funebre pompa fu tumulato in Viagrande.

VIAGRANDE (Catania) - Il paese è caratteristico per la sua eleganza ed è caratterizzato dalla maggior parte da ville e dall'assenza di palazzoni. Il territorio comunale si estende da San Giovanni La Punta quasi fino all'inizio del centro abitato di Zafferana Etnea. Viagrande fa parte del comprensorio catanese, infatti è usato un dialetto di tipo catanese, anche se il suo centro abitato è pressoché unito a quello di Aci Sant'Antonio, dove viene parlato un dialetto di tipo acese. Viagrande ha al suo interno il Monte Serra, antico cono vulcanico, il più basso dal livello del mare, famoso per il suo omonimo parco naturale.

IMPRESE E CAPITALI STRANIERI A CATANIA TRA 800 E 900.
Gaetano Calabrese
LA COSTRUZIONE DELLA CIRCUMETNEA

Approvata la legge 29 luglio 1879, n. 5002, con la quale il Governo si impegna a concedere, con il concorso di sei decimi della spesa complessiva, alle province e ai comuni, da soli o riuniti in consorzio, 1530 Km di ferrovie secondarie, gran parte delle province italiane, per dotare il proprio territorio di mezzi rapidi di locomozione, progettano di realizzare linee ferroviarie. Vi è una vera corsa in tutto il paese per usufruire dei vantaggi che le ferrovie apportano ai commerci e alla sicurezza del territorio. Nella provincia di Catania, il ceto mercantile e parte delle élites politiche locali mirano a costruire una ferrovia che tocchi i paesi siti sulle faldedell’Etna, da Adernò e Randazzo fino a raggiungere Riposto, allo scopo di attrarre verso il porto di Catania le merci provenienti da alcune delle zone più ricche della Sicilia orientale: Adernò, che con i suoi prodotti agricoli e mineralogici occupa 1/15 del movimento del porto di Catania, e Giarre - Riposto il cui commercio vinicolo e del legname confluisce prevalentemente verso Messina.
Il 15 febbraio 1884 l’Assemblea dei delegati elegge nove amministratori (Floristella, Raddusa, Gagliani, Vagliasindi, Quattrocchi, Scuto, Fiamingo, Pizzarelli, Sciacca) e un presidente (marchese di Casalotto). Nella stessa seduta il marchese di Sangiuliano fa pervenire una lettera da Roma (3 febbraio 1884) nella quale esprime il suo punto di vista sul progetto: “Anzitutto, io reputo necessario che senza il menomo indugio s’ottemperi alle modificazioni richieste ... e si esegua la revisione e riduzione dell’estimativo, ... Raccomando pure che, senza
Il 23 maggio 1889 il Governo accorda al Consorzio, ed in rappresentanza di esso alla Società siciliana di lavori pubblici, la costruzione e l’esercizio di una ferrovia a scartamento ridotto denominata circumetnea. Il contratto è stipulato tra il Governo (rappresentato da Giolitti e Finali), il Consorzio (Grassi, Quattrocchi, Leonardi, Fiamingo) e Robert Trewhella. Il concorso a carico dello Stato ammonta a 6/10, compreso il materiale mobile, sul costo totale di lire 15.300.000, mentre quello del Consorzio a 4/10, da pagarsi in nove anni (nove rate annuali senza interessi) a decorrere dal 1893.

Banchieri e politici a Catania. Uno scandalo di fine Ottocento di Giuseppe Barone

L'union sacree della borghesia commerciale e finanziaria si era riprodotta in seno al consiglio provinciale per evitare il crollo della Cassa Principe Umberto. Fino al 1883 l'oculata direzione di Vasta Fragalà aveva assecondato la graduale espansione dell'istituto in sintonia con il ciclo ascendente degli affari, ma da quel momento le pressioni speculative per un allargamento indiscriminato degli sconti e la gestione poco «trasparente» di Scammacca avevano incrinato la solidità del bilancio, indebolitasi nel 1887 anche per il panico dei risparmiatori che si erano affrettati a ritirare ben 5 milioni di depositi. Di fronte alla drammatica alternativa di chiudere gli sportelli o di prestare sufficienti garanzie personali per ottenere un maggior riscontro da parte degli istituti d'emissione, l'assemblea straordinaria degli azionisti aveva deciso di battere questa seconda strada rinnovando interamente il consiglio d'amministrazione, la cui presidenza era affidata a Vincenzo Trigona duca di Sinagra affiancato dai baroni Giuseppe Zappala Tornabene, Silvestro Cannizzaro, Giuseppe Vagliasindi, Lorenzo Vigo Gravina e dai proprietari-imprenditori Giuseppe Sollima, Niccolò Modo, Giacomo Fiamingo. Poiché la Cassa Principe Umberto funzionava da tesoreria dell'amministrazione provinciale, occorreva evitare ad ogni costo le conseguenze di un fallimento che avrebbe potuto rovinare le finanze degli enti locali e dei consorzi intercomunali per la viabilità e le costruzioni ferroviarie. E grazie all'accorta mediazione del segretario generale alla provincia, Giovanni Leonardi,si sottoscrivono in fretta e furia le basi dell'accordo: i nuovi amministratori avrebbero offerto avalli personali per 1 200 000 lire alla Banca Nazionale e al Banco di Sicilia, ed in cambio la maggioranza liberale s'impegnava a far passare in consiglio provinciale una delibera che li avrebbe sollevati da ogni rischio. In definitiva, i fondi pubblici della finanza locale venivano ipotecati a garanzia delle scoperture private della banca. Nelle due successive sedute del 13 aprile e del 22 maggio 1888 il consiglio provinciale ratificava la decisione, raddoppiando addirittura l'obbligazione a 2 400 000 lire per fronteggiare la progressiva crisi di liquidità della cassa. Entrambe le delibere erano palesemente illegittime, non solo perché forzavano un'interpretazione estensiva della legge comunale e provinciale ma soprattutto per aver partecipato alle votazioni azionisti e parenti degli amministratori della cassa, dallo stesso Vagliasindi a Casalotto, da Tedeschi a Quattrocchi, al marchese Di San Giuliano cugino del duca di Sinagra; il prefetto Colmayer questa volta non era andato troppo per il sottile ed aveva subito apposto il visto di legittimità alla pratica... De Felice sa di giocare una partita decisiva contro nemici potenti che hanno il pieno sostegno del governo centrale, ma lancia ugualmente il guanto di sfida. La seduta del consiglio del 4 gennaio diventa perciò incandescente: alla requisitoria del leader socialista contro «le dissipazioni della finanza e la ripetuta violazione del codice penale» da parte della precedente giunta, il deputato Bonaiuto risponde per le rime «pronto a dare soddisfazione anche col coltello alla mano», e a stento l'intervento di Di San Giuliano riesce a sedare il tumulto dopo che la maggioranza ha approvato la mozione di Edoardo Pantano con cui si affida ad una commissione presieduta da De Felice l'inchiesta sulle passate gestioni. lo stesso Crispi a dare precise istruzioni volte a paralizzare l'attività amministrativa del blocco popolare: «spero avrà annullata deliberazione di codesto consiglio comunale che sopprimeva scuole serali per affidarne il servizio alle società operaie — telegrafa al prefetto il 19 aprile — poiché sotto maschera della democrazia tale atto è una manifestazione della barbarie nella quale cadrebbe il paese se i socialisti vincessero». Qualche giorno dopo la situazione si ripete per la nuova pianta organica degli impiegati comunali: «se il consiglio avesse modificato l'organico per economia — scrive a Colmayer — non avrei nulla in contrario. Se lo ha fatto, come si ha da credere, per cambiare il personale antico ella potrebbe annullare la deliberazione». E il prefetto esegue a puntino, se sul totale di 16 delibere inviate dal municipio di Catania a tutto aprile 1890, nessuna ottiene il visto di legittimità con i più speciosi rilievi. L'ostracismo sistematico decretato dalle autorità governative si spiega anche con il braccio di ferro ingaggiato in consiglio provinciale in merito alla discussa fideiussione rilasciata alla Cassa Principe Umberto. La vittoria dei candidati democratici nelle elezioni provinciali aveva ribaltato gli equilibri politici del consesso: nell'adunanza del 6 dicembre 1889 De Felice aveva bollato come «falso e tendenzioso» il rapporto Tenerelli sulla situazione finanziaria della cassa, e neppure gli azionisti Casalotto, Sollima e Quattrocchi erano riusciti a far rinviare la nomina di una commissione d'inchiesta,che come presidente della deputazione Auteri Berretta aveva voluto per salvare dal disastro i depositi della Tesoreria provinciale. I risultati delle indagini sono clamorosi,poiché la commissione accerta che il patrimonio della banca era già interamente distrutto nel 1888, quando la Provincia aveva avallato le firme degli amministratori. Le illegalità erano numerose e penalmente rilevanti: ad esempio, le norme vigenti sulle casse di risparmio vietavano tassativamente la nomina ad amministratori di membri della giunta provinciale amministrativa, ed invece nel consiglio della Principe Umberto figuravano componenti della deputazione e della G.P.A.; lo statuto della cassa ammetteva lo sconto di effetti con almeno due firme solvibili e per non più di sei mesi, ed invece il portafoglio dell'istituto era pieno di cambiali inesigibili, come quelle sottoscritte da Mario Grecuzzo, che senza una formale apertura di fido aveva potuto prelevare(e mai restituire) 194 000 lire. Soprattutto era stato disatteso l'obbligo per gli azionisti di non contrarre debiti con la banca da loro stessi amministrata: nei tabulati della contabilità figuravano, infatti, Torresi Scammacca con una scopertura di 130 000 lire per una «partita di limoni» mai saldata, la fallita Impresa Viveri Militari per 103 000, il «castelletto» di Strano Battaglia dalle 30 000 iniziali era cresciuto a 122 000. Prima ancora che il testo della relazione sia reso noto, gli amministratori della Principe Umberto diffondono un memoriale calunnioso contro i commissari, mentre Casalotto e il deputato Quattrocchi si dissociano pubblicamente dalle «partigianerie» dell'inchiesta. Il dado è però tratto, e nella seduta del 12 marzo 1890 con 20 voti a favore e 16 contrari il consiglio provinciale decide di annullare la fideiussione alla cassa e di denunciare al governo le deliberazioni del 13 aprile e 22 maggio 1888 perché «palesemente illegali per incompatibilità personali e perché estranee alla competenza di codesto ente»... Banchieri e Politici a Catania. Uno scandalo di fine Ottocento

Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia 16 Giugno 1939 ordine cavalleresco - Algeri Marino

Quattrocchi dott. Salvatore sostituto procuratore del Re Catania.

BEATI MARIA E LUIGI BELTRAME QUATTROCCHIO

Notizie tratte da MOIA, Luciano “Beati Genitori”, ed. Ancora, 2001, pp. 35-44

Luigi Beltrame nacque a Catania il 12 gennaio 1880; adottato da uno zio senza figli, che gli dà il suo cognome, Quattrocchio, si trasferisce con lui a Roma dove studia Giurisprudenza. Qui conosce Maria Luisa Corsini, figlia unica di quattro anni più giovane. Luigi fu avvocato generale dello Stato; Maria, una scrittrice assai feconda di libri di carattere educativo. Il Papa li ha beatificati il 21 ottobre 2001, nel ventesimo anniversario della Familiaris Consortio. In quell’occasione, per la prima volta nella storia della Chiesa abbiamo visto elevata alla gloria degli altari una coppia di sposi, beati non “malgrado” il matrimonio, ma proprio in virtù di esso. Il padre Carlo, funzionario di prefettura di origini friulane, era stato trasferito in Sicilia subito dopo la proclamazione del Regno d’Italia. Poi, sempre per ragioni di carriera, la famiglia passa a Guastalla, poi a Casalmaggiore, infine ad Urbino. Quando si tratta di iniziare gli studi universitari, Nel 1898 si iscrive alla Facoltà di Legge dell’Università di Roma, dove si laurea nel 1902 con una tesi sull'Errore nel diritto penale”. 24 giugno 1884: Maria Corsini nasce a Firenze. La sua è una delle famiglie più antiche della città. Tra gli antenati conta anche un papa, Clemente XII, al secolo Andrea Corsini. Il padre di Maria, Angiolo, è ufficiale dei Granatieri di Sardegna e viene quindi trasferito spesso da una città all’altra. Nel 1893 la famiglia Corsini approda a Roma.Nel 1899 Maria e Luigi cominciano a frequentarsi grazie alla comune amicizia delle famiglie.Il 25 novembre 1905 si sposano nella basilica di Santa Maria Maggiore.Il primo bambino, Filippo (oggi don Tarcisio), nasce il 15 ottobre 1906. La secondogenita Stefania, detta Fanny (suor Maria Cecilia) viene al mondo il 9 marzo 1908 e il 27 novembre 1909 nasce il terzo figlio, Cesare (oggi padre Paolino). Il 6 aprile 1914 nascerà la quarta figlia, Enrichetta , al termine di una gravidanza difficilissima. Crescendo abbracceranno tutti la vita religiosa.Nel 1910 Luigi entra nell’Avvocatura erariale e percorrerà questa strada fino ai massimi vertici, diventando, a metà degli anni trenta, Viceavvocato generale dello Stato. Ma nel 1939 Luigi rifiuterà la promozione ad Avvocato generale dello Stato, per evitare di essere inserito d’ufficio nelle gerarchie del fascismo.

STABILIMENTI BALNEARI A CATANIA

Lido Arcobaleno di Quattrocchi Sarina Lido Arcobaleno - VIALE KENNEDY PRESIDENTE 19 - Catania

 

MASCALI

La Storia di Ottavio Quattrocchi

È morto il 14 Luglio 2013 a Milano Ottavio Quattrocchi. Aveva 76 anni e in Italia quasi nessuno sapeva chi fosse, ma in India era un uomo celebre e la notizia della sua morte ha avuto grandi attenzioni. Era amico intimo della famiglia Gandhi, uomo d’affari, mediatore e intermediario: ed è stata la figura centrale di uno dei più gravi scandali politici della storia indiana recente ". Venne inseguito in tutto il mondo dalle autorità indiane per quasi vent’anni, prima che le accuse contro di lui venissero archiviate nel 2005. Ottavio Quattrocchi era nato a Mascali, in provincia di Catania, nel 1938. Arrivò in India la prima volta negli anni ’60, come rappresentante della Snamprogetti, la società di ingegneria dell’ENI. Nel 1974 Quattrocchi e la sua famiglia cominciarono a frequentare la famiglia Gandhi, la dinastia che domina la politica del paese da prima ancora che il paese nascesse. In poco tempo divennero amici di Rajìv Gandhi, di sua madre Indira, all’epoca primo ministro dell’India, e della moglie italiana di Rajìv, Sonia: come scrisse un giudice indiano, «cibo italiano e altri regali venivano spesso scambiati tra le due famiglie. Quattrocchi divenne molto vicino a Rajìv e sua moglie». Lui stesso disse in un’intervista: «Sono orgoglioso di essere amico dei Gandhi». Ma questa amicizia aveva anche altri risvolti, oltre ai regali, almeno secondo alcuni giornalisti, politici e magistrati indiani. Vishwanath Pratap Singh, ministro delle finanze sotto il governo di Rajìv e poi suo successore, disse che lo stesso Rajìv era intervenuto per spingerlo a concedere un appuntamento a Quattrocchi e che negli accordi che riusciva a ottenere c’era l’ombra dei suoi legami «con funzionari e politici». Alcuni giornali indiani scrissero che l’influenza di Quattrocchi sul primo ministro era così elevata che quando entrava in un ufficio «i funzionari si alzavano in piedi». Secondo alcuni giornalisti, Quattrocchi in diversi anni di attività sarebbe riuscito a far ottenere dal governo indiano circa 60 progetti alla Snam. Per quanto in molti abbiano sollevato sospetti sul metodo con cui questi appalti venivano assegnati, Quattrocchi non venne mai indagato. Almeno fino allo scandalo Bofors. Nel 1984 il ministero della Difesa indisse una gara per assegnare una fornitura di nuovi cannoni all’esercito indiano. Il cannone prodotto dalla francese Sofma venne giudicato il prodotto più adatto. Nei test aveva dimostrato di essere in grado di sparare fin quasi a 30 chilometri, una delle condizioni che l’esercito indiano aveva richiesto per la fornitura . L’ordine, nonostante le proteste dell’esercito, venne invece assegnato all’azienda svedese Bofors,che produceva un cannone con una gittata massima di poco più di 20 chilometri. Lo scandalo cominciò nel 1987, quando una radio svedese trasmise un’inchiesta in cui si accusava la Bofors di aver pagato tangenti per vendere i propri cannoni. In poco tempo i giornalisti indiani pubblicarono alcuni brani dei diari dell’amministratore della Bofors in cui era scritto: «Il coinvolgimento di Q. potrebbe essere un problema per via della sua vicinanza a R.» Per l’opposizione e per molti giornalisti Q. non poteva che essere Quattrocchi e R. il suo amico e allora primo ministro Rajiv Gandhi. il suo amico e allora primo ministro Rajìv Gandhi. Lo scandalo costò a Rajìv le elezioni del 1989, che vennero vinte dal suo ex ministro delle finanze Singh, che nel frattempo era stato cacciato dal governo ed espulso dal partito, secondo alcuni proprio perché aveva cominciato ad indagare sugli appalti per la difesa, tra cui quello per i cannoni Bofors. Le elezioni del 1989 furono una delle peggiori sconfitte nella storia del Congresso Nazionale Indiano, il partito di Rajìv ora al governo e presieduto dalla sua vedova Sonia. Le indagini sullo scandalo intanto procedevano lentamente e soltanto nel 1993 una banca svizzera rivelò il nome del titolare del conto sul quale gli investigatori ritenevano fossero passate le tangenti: si trattava di Ottavio Quattrocchi. Il Central Bureau of Investigation indiano chiese il permesso di interrogarlo e che gli venisse sospeso il passaporto. Poco prima di venire interrogato, la notte tra il 29 e il 30 luglio 1993, Quattrocchi partì da Nuova Delhi e raggiunse Kuala Lumpur, in Malèsia. Da quel giorno cominciò una specie di gara intorno al mondo tra Quattrocchi e la Central Bureau Indiana. Quattrocchi rimase per alcuni anni in Malèsia, poi tornò in Italia e quindi si spostò in Argentina. Quasi ovunque andasse la CBI cercava di ottenere la sua estradizione, ma senza mai riuscirci. Ad esempio, nel 2003, non riuscì a presentare i documenti per l’estradizione entro i termini fissati perché non aveva preso in considerazione una settimana di vacanza dei tribunali malesi. Quando in Argentina Quattrocchi venne arrestato per un mandato di cattura dell’Interpol, la CBI non riuscì a ottenere l’estradizione perché aveva presentato alcuni documenti sbagliati. Il giudice argentino condannò l’agenzia a pagare le spese del processo. Alcuni giornalisti indiani hanno sostenuto che spesso la Central Bureau of Investigation, agì di proposito con lentezza e inefficienza nel presentare le varie richieste.Il caso Bofors continuò a rientrare nel dibattito politico indiano ogni volta che nuovi documenti venivano pubblicati o quando la CBI o qualche altra autorità investigativa tentava un procedimento legale. Nel 2005 se ne tornò a parlare perché il nuovo governo guidato dal partito di Sonia Gandhi scongelò due conti bancari di Quattrocchi su cui erano depositati diversi milioni di dollari. La CBI era contraria allo scongelamento, ma prima che la Corte Suprema potesse decidere il denaro era già stato ritirato. All’epoca, Sonia Gandhi e il governo vennero duramente criticati dall’opposizione. Dopo 24 anni dall’inizio dello scandalo e quasi più di 20 dall’apertura delle prime indagini nei confronti di Quattrocchi, il caso venne chiuso il 4 marzo del 2011, quando un tribunale archiviò tutte le accuse. Nell’ordinanza lunga 73 pagine, il giudice scrisse che la CBI, nonostante avesse speso parecchie energie per circa 21 anni, «non è stata in grado di produrre una qualunque prova legalmente solida per dimostrare le sue accuse. Inoltre, per le indagini sul caso di Quattrocchi , che avrebbe ricevuto tangenti per 640 milioni di rupie , la Central Bureau of Investigation indiano ha speso fino al 2005 circa 2,5 miliardi di rupie, il che è un incredibile spreco di denaro pubblico».
Fonte di notizie ilpost.it.


Il Comune di Mascali

Mascali Abitanti: 11.009 Superficie: 38 kmq Altezza s.l.m.: 18 m Distanza: 34 km da Catania : nel versante orientale dell'Etna, presso la costa ionica (è il più a valle dei comuni del Parco dell'Etna). Mascali storia Cenni storici: Antiche le origini del nome. Ne parla Strabone nel 45 a.C. indicandola col nome di Maschàle. Per alcuni storici l'antica Mascari sarebbe la continuazione di Etna, fondata da Gerone dopo la distruzione di Catania; per altri storici Mascari era il nome di alcuni popoli che si erano stabiliti a sud del territorio orientale del vulcano. Altri ancora sostengono che Mascali derivi dal greco Mascalis che significa "dei rami", cioè boscoso. La contea di Mascali fino alla metà del XVIII secolo è stata proprietà dei vescovi di Catania. Sotto il Principe di Capua, a partire dal XVII secolo, è divenuta un centro di interesse economico. Le concessioni delle terre furono avviate dai vescovi Massimo e Bonadies. Il paese conobbe un notevole sviluppo e la prevalente massa di reddito prodotta scaturiva dall'agricoltura. La terra era in gran parte coltivabile ed il terreno ritenuto come uno dei più fertili della Sicilia grazie anche alla presenza di numerosissime sorgive. Il prestigio che andò assumendo pian piano era legato alla potenza dell'amministratore Real contea, che disponeva della più ampia autorità in tutto il territorio. Mascali è stato più volte danneggiato da colate laviche, ultima quella del 1929 che lo distrusse quasi totalmente. Economia: Prodotti agricoli: agrumi (limoni in particolare), uva, cereali, mandorle. Industrie ed Imprese: cartiere, molini, pastifici, piccole industrie metalmeccaniche, fabbriche di materiali da costruzione. Beni monumentali:Moderna è la grandiosa Matrice, a cupola, di forme classicheggianti. Nell'abitato vi è inoltre una chiesetta di rustiche forme settecentesche. Mascali oggi: Oggi è un centro di villeggiatura estiva, ha una sviluppata coltivazione agrumicola e viticola e vi operano piccole industrie operanti nei settori cartieri, molinitori e dei materiali da costruzione. Biblioteche e Musei: Biblioteca comunale. Ricorrenze: 6 novembre: festeggiamenti in onore di San Leonardo, patrono di Mascali. Agosto: sagra del mare. Progetto Etn@online Posizione

 

ACI CATENA

SALVATORE QUATTROCCHI. Nacque in Aci Catena il 16 Settembre 1736 da Michele ed Agata Barbagallo - morì 11 dicembre 1821. Col nome di Euremo Malvetide fu annoverato fra i Palladi di Catania. Il distintivo del suo poetare è la forza in tutti e tre gli idiomi dei quali si valse in espressioni e concetti. Lirico e cantore, molto apprezzato, si applicò alle mediche scienze, ad imitazione del Redi, non deposta la cetra.

ACIREALE

Accademia di scienze, lettere e belle arti degli Zelanti e dei Dafnici

L'Accademia di scienze, lettere e belle arti degli Zelanti e dei Dafnici è un'accademia con sede ad Acireale (CT). Fondata nel 1671 viene considerata come la più antica di Sicilia ed una delle più antiche d'Italia. L' importante biblioteca e pinacoteca Zelantea, oggi comunale, deriva da essa il nome. Le opere dei soci sono annualmente raccolte e pubblicate nei volumi Memorie e Rendiconti.

BAFIA di CASTROREALE

QUATTROCCHI-TOMBE-SICILIA (BAFIOTI) - articolo di Nino Quattrocchi


Oggi dell’antica chiesa di S. Carlo purtroppo non rimane più alcun segno. Resistono, invece, i sotterranei con il loro sofferto carico di generazioni e generazioni di genti bafiote. In quelle cristiane tombe, infatti, ci sono tuttora gli avi degli Aliberti, dei Barresi, dei Bellinvia, dei Bello, dei Biondo, dei Bonvegna, dei Buglisi, dei Calcagno, dei Canzano, dei Catalfamo, dei Celi, dei Chillari, dei De Pasquale, dei Donato, dei Fazio, dei Gemelli, dei Genovese, dei Germanò, dei Guerrera, degli Italiano, dei Lo Presti, dei Mirabile, dei Motta, dei Papale, dei Paratore, dei Piccolo, dei Presti, dei Prestipino, dei Puglisi, dei Quattrocchi, dei Rao, dei Rappazzo, dei Ravidà, dei Recupero, dei Rundo, degli Scilipoti, dei Sofia, degli Stroscio, dei Torre, dei Trifilò, dei Triolo, dei Trovato. E chissà di quante altre famiglie ancora.
Identificata dagli storici con l'Antica Città Sicana di Krastos e con il leggendario castello Artemisio, Castroreale affiora con certezza alle vicende della storia a partire dall'età Normanno-Sveva, quando l'insediamento originario appare come semplice casale con la denominazione di Cristina o Crizzina.

MISTRETTA

LAGO URIO QUATTROCCHIO

Foto: Roberto Patroniti

Il Lago Urio Quattrocchio (1030 m.s.l.m.), è un piccolissimo laghetto di forma circolare, molto piacevole da visitare poiché ospita diverse specie di uccelli acquatici. Si trova nel territorio comunale di Mistretta(Messina), alle pendici del Monte Castelli. E' circondato da un'area attrezzata. Da qui parte la dorsale dei Nebrodi, la quale arriva a Floresta.

URIO LAKE

Sax soprano: Alessandro Zangrossi - Musica di Gilberto Quattrocchio (free download mp3)

Urio Quattrocchio un Preziosissimo Tesoro del Patrimonio Naturalistico di Mistretta.


Urio Quattrocchio è un piccolo grazioso lago di forma ellissoidale posto alle pendici del monte Castelli su un’altitudine di 1030 metri. Occupa una posizione strategica poiché si trova all’inizio della Dorsale dei Nebrodi. Si raggiunge percorrendo per circa 6 chilometri la statale 117 che da Mistretta conduce a Nicosia. Imboccando il bivio alla sinistra della strada si giunge direttamente al lago dove la sua veduta è spettacolare e di grande effetto. Attorno al lago, uno steccato, costruito con legni recuperati sul luogo, ne delimita il perimetro. L’area è attrezzata con casette di legno, con servizi igienici, con semplici mezzi di conforto in maniera tale da rendere il luogo una piacevole meta ai visitatori amanti della Natura che intendono trascorrere un periodo di soggiorno fra i boschi e all’aria aperta. La Natura incontaminata mostra un’atmosfera primitiva, pacifica, silenziosa. Spesso il laghetto ospita gruppi di scout provenienti da diverse province della Sicilia. Il laghetto è circoscritto da un percorso in parquet, mentre una strada in pietra consente ai visitatori di raggiungere i tavoli e i sedili di legno. Il lago ospita una numerosa fauna selvatica. Sono presenti piccoli mammiferi, martore, donnole, volpi, roditori, fra gli anfibi è presente la rana, fra i rettili è probabile incontrare la graziosa testuggine palustre. Vicino al silenzioso lago Quattrocchio, quindi, non è difficile sentire il gracidio delle rane, osservare il volo degli uccelli acquatici, notare il rettile passeggiare, trovare l’appagante ristoro in una dimensione più naturale. Molte sono le specie di uccelli acquatici. Tutte queste specie di animali là vivono indisturbati. Anche se le piante acquatiche coprono quasi interamente tutta la superficie dell’acqua, tuttavia fra di esse si sente palpitare la vita. Qui la Natura è protagonista suprema e la mano dell’uomo è intervenuta poco nella modificazione del paesaggio. Attorno al lago un piacevole spettacolo è offerto dai boschi di Pini, di Abeti, di Faggi, di Querce caducifoglie. Fra le specie xerofile è presente il Cardo del Valdemone. Superato il laghetto si incontra un bellissimo abbeveratoio in pietra locale con la fonte quasi rotonda, sosta obbligatoria per gli animali: cavalli, giumente, muli, asini, ormai rari, che si dissetavano assieme ai loro padroni dopo il lungo cammino attraverso i boschi e prima di arrivare in paese. Oltrepassata questa fontana, l’escursione naturalistica oltre il lago Urio Quattrocchio potrebbe continuare fino ad incontrare il fitto bosco ove esemplari maestosi di Faggio sono consociati ad altre specie come il Cerro e il Rovere. Bellissime da ammirare sono le numerose siepi di agrifoglio. Le drupe di perle vermiglie dell’agrifoglio ravvivano il grigiore invernale e tingono di rosso vermiglio la bianca neve. A proposito dell’agrifoglio una fiaba racconta: un bambino, che abitava in una casetta sperduta nel bosco e che andava sempre in cerca di legna per accendere il fuoco nel suo focolare, un giorno inciampò in una pianta di agrifoglio. Appoggiandosi alle foglie irte e spinose, si punse il palmo della mano. Il sangue fuoriuscì abbondante. Spaventato, invocò più volte il dio del bosco perché gli venisse in aiuto, ma invano. Un elfo, apparso improvvisamente, lo medicò e lo accompagnò a casa. Il bambino, guarito dalle ferite, ritornò sul luogo della caduta. Con gran sorpresa, notò sull’albero spinoso moltissime perle rosse. Intanto che era immerso nei suoi pensieri, gli apparve il dio del bosco che così gli parlò: Mi hai chiamato ed io ho inviato un elfo perché ti aiutasse. Per premiarti della tua fede ho fatto trasformare le gocce del tuo sangue in lucide drupe rosseggianti. Solo tu potrai usare questa pianta per guarire dai tuoi mali, ma essa sarà molto dannosa per tutti gli altri uomini. Quindi sparì nel bosco.

CASTEL DI LUCIO

CASTEL DI LUCIO - Sicilia - di Pasquale Passarelli, Adele Falasca - 2005

L'abitato, su uno sperone roccioso dominante la valle del torrente Tusa, ... della Bottega Quattrocchi, risalente al XVI secolo; l'oratorio di S. Carlo ...

Storia - L’originario nome era “Castelluccio” dal piccolo castello che si trovava sulla rocca. Fu soggetto a Francesco I Ventimiglia dal 1330, data in cui doveva avere la consistenza di un villaggio attorno alla fortezza. Nel 1267 non risulta citato nel censimento della Chiesa di Cefalù riportato in un diploma di Papa Alessandro III, il che ci fa supporre che se ci fosse stata preesistenza doveva trattarsi solamente di un incastellamento o fortificazione di epoca Saracena. Assunse notevole importanza sotto il dominio dei Ventimiglia per la sua posizione strategica di controllo della vallata del fiume Tusa, essendo collegato visivamente con la torre di Migaido e questa a sua volta con Pettineo. Dal 1480 al 1634 furono molti i Signori di Castelluccio: Matteo Speciale, Nicola Siracusa, i Lercano, gli Ansalone, i Timpanaro ed i Cannizzaro. Di questi ultimi Francesco nel 1726 fu nominato con diploma di Carlo VI primo Duca di Castelluccio. Nel XVI secolo si contarono 1617 abitanti in 346 case, nel XVII secolo l’incremento della popolazione fu lieve, 1695 abitanti e 528 case. Non vi furono variazioni rilevanti nel XVIII secolo.

EOLIE-LIPARI-PANORAMA QUATTROCCHI

Da Lipari, la strada conduce al Belvedere dei Quattrocchi, che offre un bel panorama su Vulcano, e passa in seguito per Piano Conte. Da li', potrete recarvi alle Terme di S. Calogero le cui acque salso-solfato-bicarbonato-sodiche, che sgorgano ad una temperatura di 600 C., sono molto efficaci per il trattamento delle malattie della pelle, per l'artrosi e per i reumatismi. Vicino alle sorgenti si trova una grotta sudatoria che risale all'epoca romana. È possibile anche fare l'ascensione del Monte 5. Angelo (594 m.) da Piano Conte in un'ora circa. Bellissimo panorama su tutta l'isola e su Vulcano. Dopo Piano Conte la strada raggiunge il nord dell'isola e il pittoresco paesetto di Quattrocchi situato in mezzo ai vigneti. Si può ritornare da Acquacalda e Canneto, dalla strada già descritta, ma nessun autobus ne fà il giro completo .http://digilander.libero.it/muleweb/damessin.htm

8 SETTEMBRE-Lipari Pellegrinaggio da Lipari al Santuario di Quattrocchi -- http://www.ilcerchiomagico.com/agenda.html

TERMINI IMERESE

CENNI E DOCUMENTI STORICI - RIVOLUZIONE 1860 - IGNAZIO QUATTROCCHI


Termini non fu scorata dall'infausta notizia; il 5 aprile alzava la bandiera tricolore; il 6 sosteneva un inutile cannoneggiamento del forte soprastante; spedì due guerriglie numerose, comandate l'una dai signori Ignazio Quattrocchi e Liborio Barranti, e l'altra dal signor Loreto Grimi da Altavilla, nelle pianure di Palermo, ben provviste d'armi munizioni e denaro: inviò proclami nei vicini paesi, ed aiutò con ogni mezzo la rivoluzione che fervea nei d'intorni della capitale e di Carini. Quando costretti i nostri a retrocedere ed occupare le montagne che circondavano la suddetta capitale, sopraffatti dal numero dei soldati e dagli sgherri del dispotismo, ebbe Termini a soffrire (25 aprile) la presenza dell' insolente e vile Primerano comandante una colonna di 1200 uomini, artiglieria e cavalli, la quale di già era stata preceduta tre giorni prima (il 22) da due altre compagnie, che con tutta mala fede ci spogliò di tutte le armi (400 e più fucili) cotanto necessarie in quei supremi momenti. L'anno 1860, il giorno 17 maggio in Termini. Scrutinio per il Comitato del Distretto e Città di Termini .... 1. il sig. dottor D. Liborio Arrigo; unanimità di voti per tutti i ceti e per le votazioni particolari num. 287 voti. — 2. Sig. doti or D. Agostino Quattrocchi, votazione unanime di tutti i ceti, meno del ceto de' marinari, e per votazioni particolari 284 voti.—3. Sig. D. Salvatore Coppola, votazione unanime di tutti i ceti, meno del celo dei marinari, e per le votazioni particolari numero 268 voti.
19 maggio 1860 — Deliberazione. Il Comitato delibera:
1. Per dare assetto agli affari di guerra, il Comitato ha scelto dal suo seno il signor D. Liborio Arrigo col titolo di Presidente del Dipartimento della Guerra del Comitato distrettuale di Termini, e per membri dello stesso i signori Giuseppe Cangi, e il dottor Agostino Quattrocchi.
2. l sudetti restano incaricati per tutto ciò ch'è relativo a quel ramo di pubblico servizio, nonchè pel pagamento delle squadre, e di ogni genere che dovrà farsi col mandato a firma degli stessi. S. Coppola Presidente — (seguono le firme).
20 maggio 1860. Signore — Alle ore 15 d'Italia è giurito il corriere con un invito del giorno d'oggi stesso, per partire subito le guerriglie comandate dai sig. Barranti e Quattrocchi, e questi presentatisi a questo comitato hanno dichiarato di essere pronti a partire, e giungeranno in Altavilla domani sul far dell'alba, 21 maggio corrente. Le serva per sua intelligenza. Firmati : Ignazio Quattrocchi, Liborio Barranti. Il Comitato : ( seguono le firme ). Al Comandante Luigi La Porta.
21 maggio 1860. Signore — Questo Comitato le invia una squadra comandata dal signor Giuseppe D'Anna da Trabia composta di più che 200 uomini, provveduti d'armi, munizioni e denaro. Ieri le abbiamo spedito altre due guerriglie comandate da' signori Liborio Barrante, Ignazio Quattrocchi, sacerdote Nicolo Sunseri e signor Loreto Grimi, ben provvisti d'armi, munizioni e denaro.
24 maggio 1860. Si domanda al Presidente d'Altavilla il verbale della proclamata Dittatura. Poi si soggiunge : Sentiamo che la guerriglia di costà sia partita unitamente a Barranti, Quattrocchi, Sunseri, La Porta, che Dio li coroni dell'alloro immortale della vittoria, affinchè un dì i più tardi nipoti abbino il contento di dire, che anco i loro padri combatterono la redenzione d'Italia. Il Presidente.
6 giugno 1860. Era il meriggio e le chiavi non comparivano, si videro negli spalti i carcerati. Il popolo si slanciò di repente sull' opere avanzate, cominciò una baruffa pei fucili contorti e spezzati lasciati colà a bella posta per far nascere un cittadino conflitto; restarono però delusi, perchè nulla accadde di sinistro. il Comitato mandava il Dr. Agostino Quattrocchi a mettere la tricolore bandiera su quell'albero stesso, dove momenti prima sventolava la napoletana. Allora le campane suonarono a stormo, ed i musicali strumenti salutarono in mezzo alle fragorose evviva il sospirato vessillo tricolore. — La Fregata non era partita, e nel Castello lutto fu messo in soquadro. I regii portarono seco cannoni e tutto quanto era munizione di guerra, gittando solo in mare non poche palle di cannone. Alle 4 poni. la fregata salpate le ancore, avviavasi alla volta di Messina dopo d'avere spedito una lancia parlamentare a consegnarci le chiavi.
7 giugno 1860. Signore — Si presenta a lei il signor Giuseppe Balsamo naturala di questa con animo di seguire a prestar costà la sua opera in difesa della patria, come fin' ora l' ha prestato degnamente in questa, finchè i regi che stavano rinchiusi nel forte minacciavano continuamente di tentare delle sortite in Città, onde spegnere la rivoluzione siciliana. Io lo raccomando caldamente qual giovane egregio e valoroso. Lo stesso ufficio si fece pei signori come sotto: Signor Paolo Gullo d'Antonino — Sig. Antonino Dominici — Giovanni Quattrocchi fu Giuseppe — Biagio Ganci di Giuseppe.
26 maggio 1860. Una commissione straordinaria , ordinata dal comando generale di Gibilrossi fu spedita a Cefalù, onde fare riattivare la esazione delle tasse, e fare dichiarare Garibaldi Dittatore di Sicilia durante la guerra. Questa commissione composta dai signori Rosario Salvo, Liborio Arrigo ed Agostino Quattrocchi, si portò sul luogo il giorno 26 maggio, e adempì con zelo e patriottismo a questa missione.
Altavilla 21 maggio 1860. Signore — Accusiamo la recezione dell'officio n. 48, chiedente la deliberazione per la Dittatura dell'Illustre Generale Garibaldi Aiutante di Campo di S. M. Vittorio Emmanuele II. Trovandosi l'ora avanzata e non utile alle operazioni da praticare, saremo domattina a perfezionare e spedire il deliberato con pedone. — Questa mattina è partita di qua la vostra squadra comandata da Quattrocchi, Barranti e Sunseri, ed un'altra piccola di Baucina, si diressero per Casteldaccio e Bagheria, ove trovasi il comandante Frena, e di là si porteranno in Misilmeri.
Il Presidente: Antonino Sanfilippo Vice Presidente: Giovanni Notar Sant'Angelo.

Collezione di leggi, decreti e disposizioni governative compilate dall'avvocato Nicolò Porcelli, 1860

ITALIA E VITTORIO EMMANUELE


Giuseppe Garibaldi
Comandante in capo le forze Nazionali in Sicilia. In virtù dei poteri a lui conferiti, Sulla proposizione del Segretario di Stato della Sicurezza Pubblica; Udito il consiglio dei Segretari di Stato,- Decreta: Art. 1. Il signor Ignazio Quattrocchi è nominato Comandante dei Militi a Cavallo del Distretto di Termini, ai sensi del Decreto d'istituzione, e del regolamento che vi fa seguito. Art. 2. Il Segretario di Stato per la Sicurezza Pubblica e quello delle Finanze sono incaricati dell'esecuzione del presente Decreto. Palermo, 3 luglio 1860. Firmato — G. Garibaldi. Il Segretario di Stato della Sicurezza Pubblica L. La Porta. Per copia conforme Il Segretario di Stato : Gaetano Baita.

PELLICCIARI - IL RISORGIMENTO DA RISCRIVERE

Quarta conferenza del ciclo di otto che il Centro Studi Civitanovesi di Civitanova Marche ha organizzato nell'ambito delle iniziative dedicate al 150 Anniversario dell'Unità d'Italia. La conferenza si è tenuta Sabato 20 novembre 2010, alle ore 21.30, presso il teatro Pier Alberto Conti di Civitanova Marche. Relatore la prof.ssa Angela Pellicciari. Sul tema della Falsa arretratezza della Chiesa Cattolica e la Cancellazione e l'Appropriazione dei Beni degli Ordini Monastici. Ha introdotto e concluso il dott. Alvise Manni, presidente del Centro Studi Civitanovesi. Ripresa e editing di Sergio Fucchi 2010.

VIDEO

RISORGIMENTO DA RISCRIVERE

Storia della Rivolta del 1856 in Sicilia:

Organizzata dal Barone Francesco - di Franco Spiridione - 1899

Pagina 27...rispose: Porterai una lettera al medico Agostino Quattrocchi. Ricevuta difatti la lettera il Dina partì per la sua destinazione...

Ricordi di un trentatre: il capo della massoneria universale. 1. ed - di Domenico Margiotta - 1895

 

Lotte politiche in Sicilia sotto il Governo della Destra: (1866-74) Paolo Alatri Giulio Einaudi editore, 1954 - 676 pagine - Pasquale Quattrocchi Massone Internazionalista.

Ma il Ministero doveva avere buone fonti d'informazione, come è dimostrato dal pepato scambio di lettere col prefetto, che in un primo tempo aveva insinuato trattarsi di anonimi senza valore : intanto in Sicilia, per incarico del Consesso delle logge tenuto al Teatro Argentina di Roma,... messa accusa di Tre Fratelli, oltre che Massoni fossero internazionalisti, erano Michele Friscia, Saverio Guardino e Pasquale Quattrocchi: ...A questa progettata costituente massonica guardò con viva preoccupazione il Mazzini, sempre allarmato dalle tendenze più radicali che si andavano facendo strada negli organismi fino allora da lui diretti o influenzati. Cosi il 29 maggio 1870 scriveva a Camillo Finocchiaro-Aprile Gran Maestro loggia di Palermo (in S.E.I., edit. naz.) accusando Pasquale Quattrocchi Gran Maestro loggia di Termini Imerese di appoggiare ancora Garibaldi e di appartenere alla Massoneria Internazionalista Americana (Repubblica) a discapito di quella Inglese Nazionalista (Monarchia).

 

Rebels & Mafiosi: Death in a Sicilian Landscape - Pagina 196- James Fentress - 2000 -

... that this informer was a certain Salvatore Marino from Monreale, for we know that it was Marino who told the police the details of Mazzini's plot for an insurrection. Marino constitutes ... It was Tajani who, in his 1875 speech, identified Marino as the "mole" who had informed the police about Mazzini's plot in 1870. He described him ... Also arrested was Pasquale Quattrocchi, a pharmacist from Termini Imeresi described in an 1871 police report as a "mafioso of the 1st category."* Shortly ...

'Massoneria e Risorgimento' Intervista ad Elena Bianchini Braglia

Massoneria e Società Segrete nel Risorgimento italiano
La Croce e il Compasso. A Trent'anni dalla dichiarazione Vaticana sulla Massoneria

VIDEO

1. Massimo Introvigne - Che cos'è la Massoneria. Il Problema delle Origini e le Origini del Problema.


2. Marco Invernizzi - Massoneria e società segrete nel Risorgimento italiano


3. Giancarlo Cerrelli - Le Tappe Magisteriali e la portata Giuridica della "Dichiarazione sulla Massoneria" del 1983

 

PEDIGREE CHARTS OF ANCESTORS

Battaglia, Maria Battaglia, Fasone, Graziano, Vaianisi, Quattrocchio Vaianisi, Vincenza or Quattrocchi, Domenica.

ALBERO GENEALOGICO FAMIGLIA ARMANDO QUATTROCCHI - ELSA PERUTO

La Scalinata di Via Roma

Scalinata monumentale realizzata alla fine del XIX secolo. Su di essa prospettano alcuni edifici storici tra cui la torre medievale ed il Collegio dei Gesuiti, già adibito a Tribunale. Iniziando la salita subito a sinistra, l’occhio attento del passante si imbatte in un compatto blocco di pietra (forse un ex portale) che in un prospetto reca incisa una frase dedicata alla Madonna quasi a volerci ricordare, se mai ve ne fosse stato bisogno, che Termini è città mariana. A questo proposito è giusto ricordare che le tre processioni dell’Immacolata, la cui festa nella nostra città è particolarmente solennizzata, attraversano tutte la via Roma; oltremodo spettacolare e “a scinnuta ra Maronna ranni” ovvero del simulacro ligneo del Quattrocchi che si conserva nella Chiesa Madre e che l’otto di dicembre, in solenne processione, la percorre lentamente in discesa tra le lodi dei fedeli e le grida invocanti dei portatori che sorreggono il peso del fercolo reso ancor più instabile e pesante dal dislivello del percorso.

CALTANISSETTA

Nell'anno 1855 il pittore Gaetano Quattrocchi realizzò un'opera di San Michele che fu definita raffaellesca e che influenzò le immagini dei santini in ambito nisseno.

Società Nissena di Storia Patria - Caltanissetta
già Officina del Libro Luciano Scarabelli

Negli anni quaranta emerge il Patriota Riesino più importante: Giuseppe (Peppino) Quattrocchi . Nato a Riesi nel 1827 da una cospicua famiglia e imparentato con le famiglie Pasqualino e Inglesi, aveva tutte le possibilità di appoggiarsi al potere borbonico. Nel 1847 viene inviato al soggiorno obbligato (allora domicilio forzoso) a Caltanissetta

SIRACUSA

Nuova architettura italiana - di Agnoldomenico Pica - 1936
Casa-Quattrocchi Siragusa
193 Ortensi (Dagoberto) 102 Pagano (Giuseppe)26 Quaroni 96 Quattrocchi 21 Querzoli (R.) 104 Rapisardi (Gaetano) 21

MELILLI - PRESEPE VIVENTE

Melilli (SR). 2008 - Il "Convento dei Padri Cappuccini” rinnova l'appuntamento con il presepe vivente. Fortemente voluto dal dinamico Fra Rocco Quattrocchi, con il patrocinio dell'Amministrazione Comunale, il Presepe Vivente coinvolge i giovani volontari “Amici di San Francesco”, che danno vita alla rappresentazione della società del tempo di Gesù.

PATERNO'

Fondo: Tabulario dei monasteri di S. Nicolo l'Arena di Catania e di S.Maria di Licodia, conservato presso Biblioteche Riunite Civica A. Ursino Recupero

 

Denominazione Data Topica Paternò - Estremi Cronologici sec. XIV - 1322, giugno 15 Regesto 1322, giugno 15, indizione V, Paternò Pietro de Marca, abate dei monasteri di Santa Maria di Licodia e dei Santi Leone e Marco, concede ad enfiteusi perpetua a Guglielmo de Montalto detto Trumbetta abitante di Paternò, due casali adiacenti ex parte meridie posti nel borgo di Paternò per la somma di 2 onze da corrispondere annualmente nel mese di febbraio nel giorno della festività di San Leone. Giacomo de Quatuoroculis, Iudex Terre Paternionis, non sottoscrive l'atto. Viene dedotto dal testo. Natura giuridica del documento Enfiteusi.

 

Quattrocchi. “Quattr’occhi”: 1) scherzosamente chi porta gli occhiali (De Felice); 2) “persona molto avveduta” (Caracausi). • Attestaz.: Angelus Quatuoroculi, Sicilia, 1310.

mp3

i_2000 Cognomi_di_Paterno

Archivio storico multimediale del mediterraneo


Documentale 1322 giugno 15 indizione V Paternò Pietro de Marca abate dei monasteri di UD410000081 162 Identificazione Regesto Attori Trascrizione Compilatori Bibliografia Multimedia Denominazione Data Topica Paternò Estremi Cronologici sec XIV 1322 giugno 15 Regesto 1322 giugno 15 indizione V Paternò Pietro de Marca abate dei monasteri di Santa Maria di Licodia e dei Santi Leone e Marco concede ad enfiteusi perpetua a Guglielmo de Montalto detto Trumbetta abitante di Paternò due casali adiacenti ex parte meridie posti nel borgo di Paternò per la somma di 2 onze da corrispondere annualmente nel mese di febbraio nel giorno della festività di San Leone Codice di identificazione UD410000081 162 Segnatura archivistica perg 162 Segnatura archivistica precedente 1 60 G 35 Estremo Remoto sec XIV 1322 giugno 15 Estremo Recente sec XIV 1322 giugno 15 Indizione V Data Topica Paternò Soggetto produttore De Notario Francisco Petrus Tipologia del materiale scrittorio Pergamenaceo Forma del documento Chirographi Secolo di produzione XIV Stato di Conservazione Buono Toponimi Paternò Catania Sicilia Italia Consistenza 1 c Dimensione altezza 245 mm Dimensione larghezza 350 mm Traditio Originale Numero delle carte bianche N R Strumenti di ricerca o di corredo pergamena 163 Presenza di sigilli assente Note Giacomo de Quatuoroculis - iudex terre Paternionis non sottoscrive l'atto. Viene dedotto dal testo.

Regalbuto, Catenanuova e Centuripe


Cognomi di Regalbuto, Catenanuova e Centuripe


Scritto da Francesco Miranda
cognomi nobili dal significato parlante, come Alberico Dicor Quattuoroculi,

Quattrocchi - Cognome nobile dal significato parlante, come Alberico Dicor Quattuoroculi, oppure – Albertus Quattuor Oculi, figlio di Rubaldus Quattuor Oculi: eius uxor: nell'anno 1200, 9 gennaio sposa Maria, figlia di Bertoloti de Monelia. - Petrus Quattuor Oculi: v. Albertus, Rubaldus, Vivianus. (Genova). Questo Cognome è diffuso in 390 comuni di varie regioni italiane: Sicilia, Lazio, Lombardia, Piemonte, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Toscana, Liguria, ecc. In Sicilia è presente in tutte le province, in particolare Catania, Messina, Palermo, Caltanissetta, Enna (nei comuni di Enna, Nicosia, Catenanuova, Villarosa, Barrafranca, Sperlinga, Centuripe, Calascibetta, Piazza Armerina). Quattrocchi è un cognome augurale, propiziatorio, nel senso “che sia molto avveduto”(Caracausi, Blunda), ma può anche derivare da soprannome attribuito scherzosamente a persona che porta gli occhiali (De Felice). In passato il termine veniva usato anche in senso figurativo per indicare chi rivelava confidenze personali o segreti senza testimoni, “ a quattrocchi”(De Criscito Web). Tracce storiche e personaggi - Tracce di questa cognomizzazione si trovano già in Studi su Federico II nel Regno di Sicilia (1220-1250)1249: "iudex Leo de Quattuor Oculis (un signore che giurò fedeltà a Federico II). libro rosso della Università di Trani (1231/1266) Ioannes Quatuor OculiStephanus de Quatuoroculi — Iudex Leo de Quatuor Oculis dal 1310, in Sicilia, nel libro rosso della Università di Trani troviamo citato Iudex Ioannes Quatuor oculi. Nelle Pergamene del Duomo di Bari, 1343-1381 - Pagina 314. fil. v. Petrus. Iulianus de Quatuor Oculis iac. Luigi Beltrame Quattrocchio (Catania 12/1/1880 – Roma 9/11/1951) – nato Beltrame, fu adottato da uno zio senza figli, che gli diede il suo cognome, Quattrocchio. Avvocato generale dello Stato, per la sua integerrima vita al servizio del prossimo, venne beatificato, insieme alla moglie Maria Corsini, scrittrice di libri di carattere educativo, il 21/10/2001 da papa Giovanni Paolo II. Fabrizio Quattrocchi (Catania 9/5/1968 – Baghdad 14/4/2004) – noto per essere stato rapito ed ucciso in Iraq, dove lavorava per una compagnia militare privata. Medaglia d’oro al valore civile alla memoria(Wikipedia).

Cognomi di Regalbuto Catenanuova Centuripe

RIESI

Società Nissena di Storia Patria - Caltanissetta

Negli anni quaranta emerge il patriota riesino più importante: Giuseppe (Peppino) Quattrocchi. Nato a Riesi nel 1827 da una cospicua famiglia e imparentato con le famiglie Pasqualino e Inglesi, aveva tutte le possibilità di appoggiarsi al potere borbonico. Il padre, Luigi, un medico originario di Mazzarino, si era trasferito a Riesi e aveva sposato Donna Maria Anna Pasqualino Inglesi figlia del notaio Francesco Pasqualino e sorella degli avvocati Luigi e Onofrio; quest’ultimo poi divenuto Giudice Comunale e successivamente Sindaco di Riesi dal 1856 al 1859. Famiglie, quindi, stabilmente e autorevolmente inserite nel potere borbonico. Ma il ragazzo, di vivo ingegno e di carattere ribelle, aveva altre idee. Ancora studente liceale, viene affiliato alla società segreta riesina ma, a Palermo, dove studiava, per la frenetica e imprudente attività politico-sovversiva, nel 1844, viene arrestato e inviato al confino a Favignana per sei mesi. Liberato, si iscrive in legge all’Università di Catania ma anche qui nel 1846 viene arrestato e successivamente inviato a Riesi e sorvegliato speciale. Nel 1847 viene inviato al soggiorno obbligato (allora domicilio forzoso) a Caltanissetta, mentre nello stesso anno in paese infuria l’epidemia di tifo petecchiale. Scoppiata la rivoluzione a Palermo il 12 gennaio 1848 ed essendo scappate le truppe borboniche, la ribellione popolare diede luogo a saccheggi, omicidi, vendette personali, devastazioni ecc. A Riesi tutti i “civili”, spaventati dalle confuse notizie che arrivavano dalla capitale, realizzarono subito la controrivoluzione prima della rivoluzione, perché si attivarono armando i loro adepti per proteggere le loro persone e le proprietà, costringendo così i pochi liberali, che temevano per le loro vite, a darsi alla latitanza nelle campagne.In paese non successe nulla, come tramandano le tradizioni orali del Ferro,confermate dalle ricerche archivistiche del Testa che attestano una tranquilla e ordinaria attività amministrativa del Comune in quei giorni. Ma tra il 22 e il 29 gennaio 1848 si ribellano anche Girgenti, Catania e Caltanissetta, dove subito si costituisce un Comitato di Difesa e Sicurezza Pubblica. A questo punto i “civili” riesini capiscono che si devono adeguare alla nuova situazione e scendere a compromesso con i liberali, anche se li considerano pericolosi visionari e ciò per prevenire tumulti, devastazioni e omicidi provocati forse da rivoluzionari che potrebbero venire da fuori a dar loro man forte. Fanno sapere in giro che sono disposti a fare un Comitato come quello di Caltanisseta e così, ai primi di febbraio, tornano i liberali con alla testa il ventunenne Quattrocchi, guardati con fiduciosa simpatia dal popolo che spera sempre nelle rivoluzioni per migliorare la sua situazione economica. Così insieme organizzarono un “Comitato di Difesa e Sicurezza pubblica” formato da una quarantina di cittadini ragguardevoli, quasi tutti legati ai Borbone, ma dovettero eleggere presidente il giovane Quattrocchi, riconosciuto capo della rivoluzione a Riesi e accogliere anche due cospiratori, l’avv. Calogero Accardi e il sig. Salvatore Di Lorenzo. Il Quattrocchi voleva realizzare subito le idee liberali postulate dalla rivoluzione. Ma ciò era quello che quel comitato voleva evitare e, avendo il Quattrocchi insistito, veniva sfiduciato e come presidente veniva eletto, l’8 febbraio, l’imprenditore solfifero Giuseppe Faraci. ... Rassegna di Storia, Lettere, Arte e Società già Officina del Libro Luciano Scarabelli

Era ben naturale che i figli dei ricchi, degli agiati e persino degli operai benestanti andassero fuori a studiare. I padri facevano enormi sacrifici pur di riuscire i figli, ma le difficoltà erano immense. Senza mezzi dì comunicazione, con le sole trazzere regie, coi dirupi e scoscesi negli accorciatoi, con le piene del Salso, a quei tempi era un problema molto difficile il viaggiare in cavalcature. Aggiungete a tutto questo il pericolo degli amici, cioè i briganti, che trovandosi alla passata vi domandavano o la borsa o la vitae spesse volte vi levavano e la borsa e la vita. Gli è vero che c’erano i Compagni d’armi che sorvegliavano le campagne, ma costoro erano ladri di notte sbirri di giorno cioè complici dei ladri. Il governo borbonico aveva la massima di reclutare i vagabondi dei paesI per non farli rubare, vestendoli da militi a cavallo, ma quegli erano l’uno e l’altro e salvo a pagare una grossa taglia per aver salva la vita, i Compagni d’armi facevano quel mestieraccio. Vestivano in divisa con una lunga sciabola, armati di moschetto e pistola, andavano a cavallo e nei paesi del Governo dei Borboni rappresentavano la forza pubblica. Detti sbirri, amici degli amiici, odiavano i liberali. A Riesi ce n’erano una mezza dozzina. Tutto questo lo abbiamo detto incidentalmente, per provare come il viaggio degli studenti e dei loro padri, ai tempi dei quali scriviamo, era un serio rischio. Bello l’esempio i Don Giuseppe Correnti, il quale andò a chiudere i due suoi figli Antonino e Giuseppe a Bronte (prov. di Catania) e mai volle farli venire a Riesi, malgrado l’ardente desiderio della madre, fino a che terminassero il Ginnasio. A Bronte vi era un rinomato Collegio dei gesuiti e molti vi andavano per studiare, ma si andava anche a Caltagirone, Piazza Armerina, Caltanissetta, Catania e Palermo. I laureati adunque, ritornati in paese esercitavano con onore la loro professione. E bene sapere che i loro guadagni non erano tanto famosi e per lo piu vivevano del proprio. Ci si informa che un medico nelle famiglie ricche, pagato ad anno, aveva dieci lire e spesse volte domandava l’anticipo di sei mesi; una visita agli ammalati era tre turi, pari a una lira e 25 centesimi; nelle famiglie povere un galletto che costava una lira o qualche altro regaluccio. Alcuni di essi laureati nel 1840 fondarono la Società segretaLa Giovane Italia” a cui faceva capo il grande pensatore genovese Giuseppe Mazzini, l’apostolo della libertà italiana. I primi furono: il Dott. Don Giuseppe Matera, il Dott. Don Gaetano Giuliuna, l’avv. Don Calogero Accardi, il farmacista Don Salvatore Bartoli, il negoziante Don Salvatore Di Lorenzo, mastro Rosario Puzzanghera, lo zolfataio Leopoldo Turco il falegname Michelangelo Mazzapica e i contadini Calogero Chiolo, Rocco Scimeca e un certo Santo Balbo. Anima della Società segreta era il giovane studente Giuseppe Quattrocchi del fu Dott. Luigi e Mara Anna Pasqualino, nato nel 1830 Nipote del Giudice Don Onofrio Pasqualino, che fu il più piccolo dei figli di Don Francesco e Caterina Inglesi; il giovane Quattrocchi da ragazzo fu inviso allo zio per l’ingegno, la politica e la vivacità. Il Dott. Matera, nato nel 1809, era figlio di mastro Vito e Saveria Sarpietro. Contrariamente alla volontà del padre che lo aveva mandato a Caltagirone a perfezionarsi nel mestiere di chiavettiere, il figlio fuggi a Catania dove, studiando, si laureò in medicina. Il Dott. Giuliana. figlio del Massaro Salvatore e di Filippa Giuliana, nacque nel 1810. L’avv. Accardi era figlio del Massaratto Giuseppe e di Provvidenza Verso. Nacque nel 1807 e studiò legge a Catania. Irruente nelle difese, era un uomo coraggioso. Il farmacista Don Salvatore Bartoli, figlio di mastro Giacomo, cretaio, e di certa Di Benedetto, nacque nel 1818. Contrattò matrimonio con Crocifissa Di Lorenzo ed apri la sua farmacia in via Grande. Di Lorenzo fu un negoziante di tessuti. Venuto da Lipari. sposò qui Maria Catena Butera e fece fortuna, fabbricandosi la casa in via Grande. I membri della Società segreta si riunivano in una cameretta di certa Maria Lupo nel cortile del piano del Crocifisso che dava nel Corso. Ivi la notte si congiurava, leggendosi le lettere di Mazzini e di Garibaldi. Si dice che le lettere erano scritte col sugo di limone e che bruciandosi la carta, il contenuto si leggeva perfettamente bene, indi si distruggevano. Ben presto però la polizia borbonica venne a sapere i nomi degli affiliati della Giovane Italia, che erano spiati continuamente. il giovane Quattrocchi, trovato sospetto, fu arrestato a Catania e mandato a domicilio coatto a Favignana, per sei mesi. Lo zio avv. Don Luigi Pasqualino vi andò a tenergli compagnia cercando di dissuaderlo, ma Peppino, negando, si mantenne serio. Siccome lo zio era un pezzo grosso della Polizia, cosi lo liberò. Venuto a Riesi, abbracciò la madre cercò i compagni e’ riparti per Catania, onde continuare a frequentare l’Università ramo legge. A Catania una volta in una villa si incontrò con Mazzini che lo baciò alla presenza degli affiliati catanesi. La Società segreta qui era terribilmente avversata dal potere giudiziario, di cui era Giudice, dopo la morte del fratello l’avv. Don Onofrio Pasqualino; dal potere amministrativo i cui Decurioni si aggiravano fra i Martorana, i La Marca, i Debilio e i Pasqualino; dal Clero con a capo l’Arciprete D’Antona che era una potenza e dalla baronia, i cui amministratori erano qualche cosa. Gli altri civili, se non facevano della politica, erano ligi ai su detti signori; il popolino seguiva i grandi, e perciò i liberali erano odiati e chiamati dei pazzi. La lotta era impari; la politica fra travedere e intravedere giunge alla personalità; la sbirrugliaborbonica era a disposizione dei Comandanti, quindi i liberali erano continuamente bersagliati, perseguitati; ma quei sognatori che seguivano la politica generale dell’Unità italiana, stavano fermi, la ridevano sotto i baffi e lasciavano dire e lasciavano fare. I Borboni, usavano tutti i mezzi per reprimere il movimento della Società segreta in tutta Italia lavorava con accanimento; il foglio di Mazzini su la Giovane Italia arrivava ovunque; in questo estremo lembo vi penetrava e si leggeva, sebbene nascostamente. Le lotte politiche così si acuivano: gli sbirri facevano il loro mestiere spiare e rapportare. Il vecchio Dott. Rosario Vassallo col Sig. Faraci, per quanto se ne stessero in disparte, disapprovavano la condotta dei clerico giudiziario-baronali. il 1848 . Scoppiata la Rivoluzione in Palermo ai 12 di Gennaio di quell’anno memorabile 1848 con a capo il Conte Ruggiero Settimo e l’Avv. Giuseppe La Masa per avere lo Statuto dal Governo delle Due Sicilie, i Comuni dell’isola avendo saputo che le truppe borboniche fuggirono, insorsero. Il momento fu grave. La ribellione dappertutto diede luogo ai saccheggi, agli omicidi, alle vendette private; la teppa approfittò del momento par fare man salva. Non tutti cercarono l’idea della liberta politica; i capi rivoluzionari ne furono compromessi: si sparse del sangue. A Riesi però non fu cosi. I partiti contrari presero prima, armando i loro amici che fecero fuggire i liberali, i quali si ridussero nascosti nelle campagne. Costituitosi in Sicilia il Governo provvisorio, i nostri se ne vennero a casa: sicche da noi non successe nulla di nulla. Col Parlamento siciliano di Ruggiero Settimo e La Masa, le cose parvero migliorarsi: i clericali e i partiti affini, stettero zitti; i liberali dal canto loro pacificamente, credettero di aver preso il terno. Ma ohimè, fu un sogno. La stessa rivoluzione successe a Napoli un mese dopo. Ferdinando di Borbone spaventato di ciò, affacciatosi dal balcone del palazzo reale, promise al popolo napoletano di dare lo Statuto. Ma questo. lo sappiamo dalla storia fu un inganno, il re divenne spergiuro: egli dopo alcuni giorni, di notte tempo fece arrestare tutti i capi liberali del suo Regno e fu peggio di prima. Gli arrestati a Riesi furono:
1. Il giovane Giuseppe Quattrocchi, L’arresto avvenne in modo drammatico. Piombata la sbirraglia borbonica dietro la porta, egli fu svegliato dalla madre: ebbe il tempo di vestirsi, immettersi nella pugliarola all’entrata del portone dei Pasqualino, dove c’era un fosso in fondo. Saliti gli sbirri, cercarono dappertutto la casa, non trovandolo se ne scesero; ma tal Giovanni Calamita fabbro ferraio, spia segreta, li condusse dietro al portone facendo aprire: gli stessi parenti dei Pasqualino pér intercessione della madre, glielo consegnarono. Condottolo al Carcere, lo consegnarono e lo chiusero dentro, facendolo guardare da un compagno d’arme.
2. Poi passarono al piano del Crocifisso nel cortile dei Butera, per l’abitazione del Dott. G. Matera da un scala, esterna che ancora esiste diruta e triste ricordo di quel fatto. Bussati alla porta, svegliatosi il Dottore, questi dissi di aspettare un momento, inteso il rumore delle sciabole. Uomo socratico, accesa la candela, si vestì, baciò la moglie, figlie e figli ed aprì. Egli fu condotto al carcere assieme all’altro.
3. Di corsa si recarono al Lago nella casa Accardi l’avv. Don Calogero, più Vivace ed energico, aveva tentato di scappare dal tettaccio, ma un colpo di pistola, sparatogli da un antiliberale, che non nominiamo per amor del prossimo e per carità di patria, fece atterrire la famiglia; fu gioco forza arrendersi.
4. Indi passando dalla via del Parroco, venendo giù salirono da Don Salvatore Di Lorenzo che svegliatolo lo fecero levare e lo arrestarono. La moglie ignara del perché, affacciatasi al balcone si mise a piangere e a gridare: “Hanno arrestato mio marito… hanno arrestato mio marito…”.
Fattosi giorno si seppe la notizia dello arresto. Scesi in piazza (quattro Canti) Don Giuseppe Faraci e Don Giuseppe Correnti criticarono l’operato della polizia; il popolo rimase muto, triste, atterrito. Gli arrestati la mattina stessa furono fatti partire per Palermo. Arrivati a Caltanissetta li fecero sostare nel carcere del Centrale fra i delinquenti volgari. Bella la tirata di Don Calogero Accardi con un capo mafioso. Un recoluto della mafia, si presentò ai quattro nuovi arrivati dicendo che dovevano pagare il diritto giusto il Codice della Mafia. Lo Accardi si fece spiegare in che cosa consisteva questo pizzo questo Codice e di botto domandò: E se non lo vogliamo pagare? Botta e risposta: — Allora c’è la tirata.... Come ?.... Con i coltelli — Con chi?
— Col Capo... Quando? — Domani mattina all’aria. Ebbene accetto i disse Don Calogero risoluto. — A domani e, li lasciò. E difatti l’indomani, all’ora che i carcerati dovevano andare a prendere una boccata d’aria, nell’atrio, vi doveva essere la tirata. Don Calogero, uscendo dalla cella, seguito, dai compagni, nel corridoio, vedendo un grosso ciottolone, lo estirpò e se io mise in mano sotto la giacca. Il capo mafia, si presentò con un lungo coltello di coscia acuminato, pronto alla sfida; ma il riesino fatti due passi indietro, mostrando il ciottolone, in atto di tirarlo contro il mafioso, disse Largo! ..; Ma i carcerati presenti gridarono: No... no... non è cosi che si fa la tirata — L’av. Accardi ; “io cosi sono abituato a tirare ai buoi della mia Masseria”. Il mafioso rimase perplesso; i suoi amici gli fecero cadere il coltellaccio dalle mani e lì fecero conciliare; la onde il liberale di Riesi esclamò: “Come! noi siamo di passaggio qui, perché arrestati politici e voi ci volete far pagare il pizzo?” Infatti essi furono deportati alla Quinta casa, carcere di Palermo, insieme agli altri arrestati politici dell’isola. Il processo non fu tanto lunghetto, la Sentenza non si fece tanto aspettare: tutti i capi furono condannati alla pena di morte “rei di avere fomentata la Rivoluzione contro lo Stato e di avere fatto commettere saccheggi e uccisioni “. Giusto in quel momento si trovava in Palermo il Giudice Pasqualino, il quale recatosi alla Quinta casa, fece chiamare i compaesani, ai quali disse loro: “Sapete, mi dispiace il dirvelo, è stata firmata la vostra Sentenza”. Giunta a Riesi la notizia, le povere famiglie si chiusero nel lutto, gli amici esterrefatti, repressero il dolore. Donna Maria Anna Pasqualino, la madre di Peppino, pazza dal dolore, risolvette di andare a Palermo, facendosi accompagnare da un parente. Per fortuna ivi si incontrarono con il prete concittadino P. Ercole Volpe dei Gesuiti di Casa Professa: il quale era amico del Rettore, Cappellano di Corte, confessore della vice regina. D’accordo combinarono di andare dal vicere, marchese di Satriano per chiedergli la grazia sovrana con una Supplica. Cosi fecero.. Il vice re ascoltò con deferenza la nobile donna e, sfogliate le carte, visto che a Riesi non c’era stato niente; ascoltato il parere del Segretario di Stato, uditi i PP. gesuiti accordò la grazia ai quattro riesini. Il Segretario di Stato volle conoscere il Quattrocchi accompagnando la madre al Carcere. Li, avvenne la scena che riportiamo, informati da una donna liberale del 48. Il carceriere chiama ad alta voce: — Giuseppe Quattrocchi fu Luigi da Riesi? — presente — Siete libero; qui c’è vostra madre che vi aspetta. Peppino si preparava ad uscire. Dottor Giuseppe Matera, idem; avvocato Calogero Accardi; Don Salvatore di Lorenzo, idem potete uscire, siete in libertà. Il primo ad uscire fu Peppino che volò fra le braccia della madre che se lo strinse baciandolo: Libero... libero, figlio io, ti ho salvato dalla morte; si sei libero… A questa scena il Segretario di Stato, mirando il figlio: Imberbe giovanotto, abbaia per l’osso; glielo daremo! E Peppino Quattrocchi, svincolatosi dalle braccia della madre guardandolo con disprezzo col dito teso, gli fa: L’osso lo faremo mangiare a te, noi liberali sbirro sfottuto! E la signora messagli la mano in bocca: No... no, figlio mio, non dir così! E rivoltasi al Segretario: Lo compatisca, signore lo compatisca!.... Quegli scrollando le spalle, se ne uscì. Gli altri tre furono pronti e se ne uscirono dalla prigione tutti e cinque. Ebbero il tempo di andare a ringraziare il P. Ercole, prendere un boccone e venirsene a casa; già la notizia era arrivata a mezzo del Sindaco che in quell’anno 48 era il Sig. Giuseppe Martorana, uomo piuttosto dei fatti suoi. I nostri liberali mostrandosi in piazza, furono adocchiati da tutti e specialmente fatti segno dai contro partito, Già un’altra volta il Quattrocchii fu arrestato ed egli disse allo zio: inutile quel che fate, anche se mi infilate dentro un fiasco quel che sono sono; quel deve avvenire, deve avvenire....! Siccome il Governo borbonico si intitolò poi il Buon ordine, così i siciliani ripresero la vita normale; e il Governo del Bonordine avendo bisogno di moneta ricorse ad un prestito Nazionale per far fronte alle spese, previo il titolo di barone; a Riesi concorsero il Notaro Onofrio Inglesi e Don Giuseppe Faraci, i quali furono nominati baroni; ma il Faraci non volle mai esser tale per modestia nella sua grandezza continuando a lavorare, anzi una volta sceso di notte nella miniera Galati si levò la giacca e tracciò egli stesso una galleria, insegnando al capo mastro come doveva fare. Questo era l’uomo di quel tempo!… Dopo il 1848, seguirono tre anni di carestia a cagione della siccità. Il paesetto faceva circa 7 mila abitanti. La massa dei contadini soffriva la fame; le fave si vendevano a sei un grano la cicoria si mangiava cotta senza olio; la povera gente non aveva lavoro. La miseria era estrema. Allora i proprietari aprirono i magazzini per soccorrere i bisognosi. Per ben tre anni durò questa brutta miseria, cioè fino al 1852. Nel 54 scoppiò un’altro colera più fulminante del primo, quello del 37. Stavolta l’infezione la portarono i terranovesi venuti a vendere del frumento comprato da un bastimento indiano, si disse; sicché esso colera fu isolato in pochi paesi attorno. Il colera cessò nella prima quindicina di Ottobre. Quando i proprietari rientrarono in paese, trovarono gli abitanti superstiti desolati nelle loro case, decimati dal morbo crudele; ma poi si riprese la via dell’ascesa. I proprietari infatti istituirono il Monte frumento per venire in auto ai piccoli mezzadri, anticipando loro le sementi. Il magazzino era gestito dal Municipio fino al 1915, ed ora, con decreto luogotenenziale si chiama: Cassa Comunale di Credito Agrario. Passata questa jattatura, venne la calma. E’ bene pensare un pò ai liberali che si fortificano, poiché l’alta politica di Vittorio Emanuele II, nuovo Re del Piemonte, col Conte Camillo Benso di Cavour, pensando ai destini d’Italia, dava molto a sperare. Ma, oltre ad essi, altri liberali vennero ad ingrossare le nostre file dei lottatori ; buoni propagandisti oculati, guadagnando terreno nella Società Segreta, aspettavano. Due buoni elementi furono: 1) Don Girolamo Caramanna da Marineo (Prov. di Pa lermo), figlio di un farmacista che apprese il mestiere di sarto nella detta città: il 48 si trovò fra gli insorti, perseguitati dal famoso Generale borbonico Del Carretto, fu ferito alla gamba destra sotto Acireale, e, messosi fuori combattimento, si ricoverò in una casa di campagna dove fu curato. Guaritosi - andò girovagando fìnchè nel ‘55 si ridusse qui a Riesi, dove trovò lavoro nella sartoria di Don Giuseppe Alfano, venuto da Racalmuto (prov. di Agrigento), che sposatosi con una Golisano, fece fortuna. Il Curamanna, che aveva avuto il battesimo di sangue, conobbe i suoi amici politici coi quali entrò in relazione. Frequentando la famiglia Di Benedetto sposò la figlia di nome Grazia. Allora smise di fare il sarto e mise su un negozio di tessuti; oltre a ciò ricettava dei cereali guadagnando bene. Nella Società Segreta contribuiva largamente e nei negozi, tra una parola e l’altra, seminava il germe della libertà. Quel che fece poi lo vediamo fra breve. 2) Giuseppe Bruno alias don Pippo fu un’altro membro, affiliato, attivo, entusiasta, ricco: contribuì non solo al partito liberale, ma con l’ingegno della famiglia onorò Riesi.. Don Pippo Bruno era oriundo da Nicosia (prov. di Catania). Egli, di famiglia patrizia, per il suo liberalismo era odiato da un fratello monaco e dai suoi. Un giorno, stufo dei disprezzi, fuggi da casa e prese la via della campagna; incontratosi coi briganti, si uni con loro per vivere e scorazzare di qua e di là, giunsero nel feudo Tallarita, alla miniera. Qui Don Pippo, lasciata la masnada, si impiegò come contabile presso l’amministrazione del Parroco. Ciò avvenne nel ‘57. Conobbe la ricca famiglia dei Buttiglieri e ne sposò la figlia Lucia, la quale gli portò una vistose dote. Mettendo su casa, se la fabbricò dentro il cortile di Via Verso con la prospettiva dalla traversa Chiantia, al Rosario. Il Bruno, morti i di lui genitori, ebbe la parte spettategli della ricca proprietà. Ricco intellettuale, mantenne i suoi figli .e le sue figlie agli studi a Napoli. Uomo liberale, Don Pippo Bruno fece causa comune con la Società Segreta. i tempi si andavano maturando; le battaglie di San Martino e di Solferino, con esito favorevole all’Italia per aver cacciato lo straniero dalla Lombardia, facevano guadagnar terreno, giorno dopo giorno, ai liberali. Dal 1848 al 60, dodici anni passarono in un fiat. L’alba del 12 Maggio 1860 spuntò bella, radiosa per tutta l’isola dì Sicilia. Si disse che il Generale Giuseppe Garibaldi con mille uomini volontari, era sbarcato a Marsala; i clericali, baronalì, realisti si affrettarono a voler smentire la notizia, ma dopo il Proclama di Salemi – 15 Maggio - quando Giuseppe Quattrocchi volò da Catania a venirlo a leggere non vi fu piu ritegno. Un movimento insolito ogni giorno si notava; i liberali scesero in piazza; la casa del Quattrocchi era frequentata con un via vai di persone d’ogni ceto; la battaglia di Calatafimi, in cui la spada fiammeggiante dell’Eroe dei due Mondi mise in rotta i soldati borbonici, fu appresa con soddisfazione; e il 27 Maggio l’entrata di Palermo convinsero Don Giuseppe Faraci e Don Francesco D’Antona, fratello del Parroco, a stringere la mano al Quattrocchi e comprimendosi a loro. L’entusiasmo ognora crescente, avvinceva l’animo dei riesini: gli indifferenti, i tiepidi si affiancavano ai liberali, mostrandosi in pubblico contenti; il Clero, gli increduli, gli interessati se ne stavano lontani, spettatori.
Ma Garibaldi scriveva a Don Calogero Accardi che aveva bisogno di uomini per passar lo Stretto di Messina e giungere a Napoli onde snidare la dinastia dei Borboni. Allora si formò un Comitato di cui risultò presidente Don Giuseppe Faraci. intanto il Generale Nino Bixio era giunto a: Terranova (Gela) per fare l’arruolamento dei volontari. Un Sergente dei garibaldini venne per lo stesso scopo qui. Si iscrissero e partirono: 1. Francesco Matera, figlio del Dottore; 2. Francesco D’Antona di Francesco; 3. Antonino Correnti Di Giuseppe, chierico; 4. Giuseppe Celestri di Giuseppe, studente; 5. Francesco Infantone, pittore; 6. Giuseppe Ferro, musicante; 7. Luigi Matera, fabbro ferraio; 8. Matteo Mercurio calzolaio; 9. Nicolò Scibetta, barbiere; 10. D’Aleo Carmelo, stagnino; 11. Francesco Mulè, figlio del sagrestano della Madrice; 12. Francesco Lo Grasso, zolfataio; 13. Giovanni Giuliana, agricoltore; 14. Antonio Zagarella, contadino; 15. Giovanni Dilegami, tamburinaio. Ne sarebbero partiti di più se non fossero stati trattenuti dalle madri, dalle mogli, dai figli. L’Avv. Don Calogero Accardi volle accompagnarli fino a Terranova per entusiasmarli. Non tutti però partirono col desiderio di combattere per la libertà: al alcuni vi andarono per secondi fini; laonde arrivati a Leonforte, quando Nino Bixio mise l’ordine: “Chi ruba va fucilato”, i tali di tutti i paesi se ne ritornarono alle loro case. Da Gela ritornarono Don Calogero e i figli; Don Giuseppe Correnti si parti da Riesi e andò a cavallo a rilevare suo figlio a S. Caterina, presentandosi a Garibaldi che si era unito con Bixio per marciare alla volta di Messina. E il Generale fu ossequiente alla volontà del padre. Laonde Antonino Correnti si strappò il collare, non volle più farsi prete - e questo fu un bene perché divenne quel che divenne, e che a suo tempo vedremo. Coloro dei nostri paesani che vestirono la camicia rossa a Messina, furono chiamati d’urgenza di rinforzo nella terribile battaglia di Milazzo del 20 Luglio, descritta da Alessandro Dumas (padre) nel suo romanzo I GARIBALDINI dove Garibaldi perdette il meglio dei suoi Ufficiali e soldati, senza scomporsi, dicendo: “La mia palla ancora fusa”. I Borbonici, comandati dal Generale Bosco , siracusano, si erano nascosti dentro il vallone, fra i fichi-pali; i garibaldini venivano da Palermo, il Generale mandò le guide per vedere se si poteva passare da Milazzo; esse passarono inosservate facendo segno di venire avanti; ma l’agguato, il tranello fu che al petto del vallone incominciò la fucileria; i garibaldini cadevano numerosi e in breve l’esercito fu decimato. Intanto, mentre ai borbonici andavano esaurendosi le munizioni, ai garibaldini giunsero dei, rinforzi non solo da Messina, ma anche dai paesi vicini, e così la posizione fu salvata. I Borbonici furono presi prigionieri: Bosco, il bravo generale, tra fischi e urla, fu accompagnato bordo dl un battello. I garibaldini andarono avanti verso la città del Faro, onde passare la Stretto ed incamminarsi per le vie delle Calabrie. Dopo questo fatto d’armi, Francesco Matera scrisse al padre: Caro papà, abbiamo avuto a Milazzo uno scontro coi borbonici ed abbiamo vinto, presa la fortezza della cittadella, ora dobbiamo marciare verso Napoli, con la speranza di abbattere i Borboni; col Generale Garibaldi non si perde mai, I ma si vince sempre. I nostri compaesani stanno tutti bene. Dirai alla nonna che Luigi (zio) è stato fatto trombettiere. Io e Ferro saremo caporali; tutti salutano le famiglie. - (Messina 30 Luglio 1860) . La notizia della battaglia decisiva sul Volturno non si fece tanto aspettare. La dinastia d borboni era distrutta il Regno delle due Sicilie era crollato. “Garibaldi fu d’un gran popolo Redentore; compiendo il sogno di molle età”. Con l’incontro di Garibaldi e Vittorio Emanuele II a Teano salutato il primo Re d’Italia, Riesi si decise di partecipare al plebiscito. Quindi si allestirono le coccarde tricolori da fregiarsi il petto. Don Girolamo Caramamma le appuntava, proferendo il motto: “Chi non la mette è sorce”. Allo spiazzale della Madrice, battezzato “Piazza Garibaldi”, si ballava, si cantava; fra i dimostranti vi erano anche i due preti: Don Rocco Peritori e Don Gaetano DAntona, per far dispetto al Parroco, perché dissidenti. Sindaco era Don Carmelo Bartoli Capizzi; Giudice, invece, era il Notaro Don Giuseppe Calogero Verso: il primo era uomo di buon senno, remissivo, e lasciava fare; il secondo, borbonico, non volle arrendersi; allora il popolo riunitosi sotto la di lui casa, gli gridò “abbasso”, e fu costretto ad andarsene a Pietraperzia, presso i parenti della moglie. Calmatesi le cose, col nuovo Regno di Vittorio Emanuele II, si istituì subito a Riesi la Guardia Nazionale, detta “La civica”. Il loro Capitano era Don Francesco D’Antona e tenente il Caramnanna. Eccetto due fatti di cronaca nera, niente altro di grave avvenne a Riesi; furti, risse, ferimenti ve ne furono, ma poi.... Venuta la libertà, parve “come dalla notte al giorno”. Dopo la Rivoluzione i ricchi approfittarono della povera gente, come ai bei tempi borbonici. I preti erano non solo rispettati, ma temuti. Essi, nelle scuole, bastonavano di santa ragione, talché gli scolari, disertavano la scuola restando ignoranti per tutta la vita. Il Clero, mano forte del potere politico, dominava le coscienze. La Baronia, d’altro canto, non si accontentava di riscuotere i censii ma vessava gli abitanti. Con la libertà tutto questo non vi fu più. Don Francesco D’Antona, nella qualità di Capitano delle guardie, una domenica entrò in chiesa a cavallo per far dispetto al Parroco. Il Quattrocchi, per quanto si fosse appartato dai Liberali, nonché dalla scuola di Mazzini, pure era l’avvocato dei poveri qui e a Caltanissetta.... La libertà che sembrava un sogno, aveva messo tutto e tutti a posto. Dei proprietari come i Drogo, i Rotella, i Vecchio, si erano fortificati; altri erano caduti in basso. Cosi, la nobile e prima casa di Riesi, era in decadenza. I Ricchi primeggiavano i D’Antona, i Pasqualini e gli Inglesi, i Vitello, i Bartoli Capizzi, gli Amarù, i Jannì, il Dott. Riccobene, i Di Benedetto, i Verso e i Federico. Bisognava cercare un Sindaco dei tempi nuovi, dopo iL ‘6o, A dir la verità, nessuno dei liberali brigò di andare a quel posto, di modo che, il Prefetto di Caltanisselta fece cadere la scelta sul Cav. Don Carmelo Inglesi. Questi, nel 1863, fu dunque il primo Sindaco di Riesi dei tempi nuovi. Egli, da brav’uomo, iniziò a fare un pò di bene al suo paese, chiamandosi a Vice-Sindaco il Dott. Don Giuseppe Riccobene. Dopo due anni e mezzo, stanco di questa vita, si dimise ritirandosi a vita privata; lasciò in carica il Dr. Giuseppe Riccobene. Era costui un’animella, buono a nulla, che per quanto ricco, a quel posto ci teneva. Il Prefetto lo esortava in tutti i modi a dimettersi, ma lui faceva orecchio da mercante. Naturalmente, ciò irritò a tal punto il capo della Provincia che per decreto reale gli ordinò la destituzione. Fù deciso di far Sindaco il Sig. Giuseppe Janni nato nel 1818 da Don Giuseppe e Crocifissa Di Natale. I Janni discendono, da semplici agricoltori e da farinai; con il loro ingegno, lavoro e onestà sono arrivati a farsi strada, Giuseppe, rimasto orfano di padre, fu mandato a Catania a compiere gli studi; si specializzò in chimica per essere farmacista. Laureatosi, rientrò a Riesi dove apri la piccola farmacia nella Via del Crocifisso. Nel suo laboratorio, l’eccellente chimico farmacista sperimentò il citrato cristallizzato; che, resolo raffinato, divenne di facile presa. Questa sua invenzione gli fruttò onori e diplomi in Italia e all’estero,e, con gli onori, ebbe anche i guadagni della privativa. Benefattore, di tempra liberale, amico dei poveri, il farmacista Jannni era divenuto non solo l’idolo dei suoi parenti, ma anche del popolo. Si erano iniziati i lavori, quando l’anno dopo, nel ‘67, scoppiò il colera. I lavori furono sospesi per dare aiuto alla popolazione. Quello che fece il Sindaco Janni in quella occasione fu veramente ammirevole, teneva aperta la sua farmacia di notte e di giorno. Al solito, i ricchi se ne andarono in campagna; ma il Sindaco e i liberali rimasero in paese a soccorrere i colerosi. Nel colera del ‘67 vi trovò la morte in un modo pietoso, il compianto Giuseppe Quattrocchi e la moglie, lasciando i figli in tenera età. Egli era sposato con una cugina mazzarinese che si trovava con la famiglia, dai parenti; là, infettatosi di colerina, voleva recarsi al paese natio della moglie, ma arrivato a Maimone, presso le sue terre, non poté andare più avanti e cadde vittima. Avvisata la sua signora, questa corse ad inginocchiarsi dinanzi il marito, e, nell’atto di baciare il cadavere, cadde fulminata. Ivi furono seppelliti entrambi. Cosi si distrusse a Riesi la proprietà di quella ricca, rispettabile famiglia, il colera cessò..... Quel benemerito Sindaco, nel ‘68, fu insignito dal Governo italiano della Croce di Cavaliere: la prima, almeno per Riesi. Ma il Sindaco cav. Jannì diede prova del suo liberalismo in occasione del XX Settembre 1870 La Presa di Roma con la Breccia dì Porta Pia. Così, il popolo abbracciò il liberalismo senza paura, non dando retta ai preti. Ratificata, nel ‘70, la legge del 1866 sulla soppressione d beni ecclesiastici, messi all’asta pubblica, molti comprarono delle terre; lo stesso Arciprete D’Antona acquistò una tenuta dei feudo Brigadieci, il Convento e la terra e diversi fondi, fra cui le Schette col Lago di Papardone. Per il suo censo, il Parroco di Riesi poteva fronteggiare col miglior proprietario della Provincia; la sua casa era diventata veramente signorile; quando usciva fuori col suo seguito, tutti gli cedevano il passo e veniva sommamente rispettato: ed ecco perché era pure temuto, lottando anche in nome della Chiesa; ma il Cav. Jannì, nella qualità di Sindaco, seguiva imperterrito la via intrapresa....

LE DONNE DI CEFALÙ

Dal Mito passiamo alla Storia. Le donne che hanno avuto modo di distinguersi a Cefalù, sia quelle native che quelle forestiere, hanno manifestato carattere fermo e risolutezza nelle azioni, dimostrando di possedere grande personalità persino quando hanno dovuto soggiacere alla forza dei potenti. Di esse redigeremo un repertorio cronologico nel quale inseriremo anche notizie su alcune donne delle quali abbiamo scarni elementi anagrafici, sufficienti tuttavia a lasciare intravedere intricate e intriganti vicende. Costanza, vedova di Balduino de Guiscardo, assieme alla figlia Simona ed ai figli Ruggero e Bulgaro, vende, nel settembre del 1196 , al Vescovo di Cefalù il Feudo di Campella che il marito ha ereditato dal padre Guiscardo; questi a sua volta lo ha ricevuto nel 1121 da Raul, Rudulfo Rufo, allora Signore di Cefalù , che lo ha avuto in dono dal Gran Conte Ruggero.Secondo una voce corrente la più antica Confraternita di Sicilia sarebbe stata eretta in Monterosso Almo (Agrigento) nel 1261. Tra le Pergamene della Cattedrale di Cefalù, però, esiste un documento, Atto di erezione di una confraternita colla descrizione dei nomi di alcuni confrati e sorelle e sussiegue certa nota di annue rendite, o siano prestazioni , che prova l’esistenza di una Confraternita, proprio in Cefalù, tra il 1223 e il 1238, durante il Vescovado di Arduino . Tra gli iscritti molte donne sposate, vedove o nubili: Marotta, moglie del Notaio Riccardo ; Basilia, moglie di Gregorio de Duana, che, assieme al marito, dona alla Chiesa di Cefalù una casa, nella platea magna della città, nella quale è allocato una sorta di ospizio, prima cellula dell’Ospedale di Cefalù; Natalia; Isabella de Quatuor Oculis; Stabilia de Pacufilia. Tutte donne che hanno scelto con sicurezza questa via per la loro tranquillità terrena e la certezza dell’ultima dimora. Tra i confrati anche un certo Giovanni de Amelina. Potrebbe essere figlio di quella Amelina, altra donna certamente di carattere, dalla quale il Vescovo Bosone (1157-1172) avrebbe voluto comprare una casa e la quale si dichiara, con tranquillità, ex concubina dell’Arciprete Pietro di Caltavuturo , associato alla stessa Confraternita.-Oggi Cefalù ha un nuovo titolo, quello di “Città delle Donne”(niente a che vedere con Fellini); il caso ha voluto infatti che le donne occupino oggi i posti di maggiore responsabilità, dal Sindaco, Simona Vicari, al Commissario di Pubblica Sicurezza, Gabriella Tomasello; dal Direttore Sanitario dell’Ospedale, Rosa Riini, al Capostazione, Calogera Chimera, al dirigente dell’Ufficio Circoscrizionale per l’impiego, Anna Rosa Corsello. Una riflessione: non sarà che in tutto questo, a parte il caso, ci sia stata la complicità degli uomini ?

LE DONNE DI CEFALÙ di Nico Marino

A Cefalù, sin dagli albori del mito, la donna ha sempre avuto un ruolo molto importante. Ad alcune rappresentanti del gentil sesso, infatti, sono intimamente legati fatti leggendari che riguardano la città. I personaggi del mito di Dafni, tranne il protagonista ed il padre, Ermes, sono tutte donne molto determinate. Dafni, figlio di Mercurio e di una ninfa, è quel fanciullo che inizia il mondo alla gioia della poesia pastorale; sposata Echenaide, Lyca, Xenea o comunque vogliamo chiamarla, egli le giura amore eterno. Stordito, però, dall’ebbrezza del vino, si lascia sedurre da una vogliosa regina che lo ha adescato. La nemesi è terribile quanto l’epilogo! Accecato, per vendetta, dalla suocera, come vorrebbero alcuni Autori, Dafni comincia a vagare per i boschi, incapace di cantare quella natura che i suoi occhi non riescono più a vedere. Mercurio, impietosito, lo trasforma allora in quella roccia, nei pressi di Cefalù, che, a dire di Servio (IV-V sec. d.C.), avrebbe forma umana . Altrettanto passionale e determinata è Diana, principessa o sacerdotessa, che, rapita dai pirati, per non essere separata dall’amato, si getta in mare lasciandosi morire . Di lei resterebbe il ricordo nel toponimo della contrada Prissuliana, Presidiana o Presa di Diana. Dal Mito passiamo alla Storia. Le donne che hanno avuto modo di distinguersi a Cefalù, sia quelle native che quelle forestiere, hanno manifestato carattere fermo e risolutezza nelle azioni, dimostrando di possedere grande personalità persino quando hanno dovuto soggiacere alla forza dei potenti. Di esse redigeremo un repertorio cronologico nel quale inseriremo anche notizie su alcune donne delle quali abbiamo scarni elementi anagrafici, sufficienti tuttavia a lasciare intravedere intricate e intriganti vicende. Costanza, vedova di Balduino de Guiscardo, assieme alla figlia Simona ed ai figli Ruggero e Bulgaro, vende, nel settembre del 1196 , al Vescovo di Cefalù il Feudo di Campella che il marito ha ereditato dal padre Guiscardo; questi a sua volta lo ha ricevuto nel 1121 da Raul, Rudulfo Rufo, allora Signore di Cefalù , che lo ha avuto in dono dal Gran Conte Ruggero. Secondo una voce corrente la più antica Confraternita di Sicilia sarebbe stata eretta in Monterosso Almo (Agrigento) nel 1261. Tra le Pergamene della Cattedrale di Cefalù, però, esiste un documento, Atto di erezione di una confraternita colla descrizione dei nomi di alcuni confrati e sorelle e sussiegue certa nota di annue rendite, o siano prestazioni , che prova l’esistenza di una Confraternita, proprio in Cefalù, tra il 1223 e il 1238, durante il Vescovado di Arduino . Tra gli iscritti molte donne sposate, vedove o nubili: Marotta, moglie del Notaio Riccardo ; Basilia, moglie di Gregorio de Duana, che, assieme al marito, dona alla Chiesa di Cefalù una casa, nella platea magna della città, nella quale è allocato una sorta di ospizio, prima cellula dell’Ospedale di Cefalù; Natalia; Isabella de Quatuor Oculis; Stabilia de Pacufilia. Tutte donne che hanno scelto con sicurezza questa via per la loro tranquillità terrena e la certezza dell’ultima dimora. Tra i confrati anche un certo Giovanni de Amelina. Potrebbe essere figlio di quella Amelina, altra donna certamente di carattere, dalla quale il Vescovo Bosone (1157-1172) avrebbe voluto comprare una casa e la quale si dichiara, con tranquillità, ex concubina dell’Arciprete Pietro di Caltavuturo , associato alla stessa Confraternita. Isabella, Contessa di Geraci, potente signora, ha diversi possedimenti a Cefalù. Una casa e una vigna risultano essere state di sua proprietà. In una delle Pergamene della Cattedrale, infatti, quella in cui il Vescovo Pietro da Turino (1269-1274) concede a Castellano Francigena una casa, posta in un vicolo della strada del Bagno, e una vigna sita nella contrada Fonte dei Saraceni (Pietra Grossa?), si precisa che le proprietà cedute dal Vescovo erano appartenute ad Isabella Contessa di Geraci , sposa di Arrigo Ventimiglia, il primo di questa schiatta a venire in Sicilia. Eufemia, donna di polso, diventa Vicaria del Regno di Sicilia quando, nell’ottobre del 1355, muore il fratello, l’infante Ludovico, e gli succedette nel governo del Regno Federico III di lui fratello detto il Semplice . La Corte si stabilisce a Cefalù. Eufemia dimostra accortezza e fermezza nel reggere le sorti del Regno; muore a Cefalù il 28 febbraio 1359. Viene tumulata nella Cattedrale della città, all’interno di un sarcofago paleocristiano, quello dove ancor oggi riposa . Margherita di Vassallo, vedova di Roberto de Salomone, vende, il primo maggio 1365 , un giardino in contrada Arena a Francesco II Ventimiglia, cedendo alle mire espansionistiche del Conte. La Magnifica Autina Burracato, moglie del Magnifico Giacomo Giaconia, nel 1518, col consenso del fratello Nicolò e con agghiacciante determinazione, promette di vendicare la morte dell’altro fratello, Giacomo, con atto notarile . Filippo de Serio possiede una schiava di nome Narda la cui figlia viene battezzata il 22 novembre 1556. Pochi anni dopo, il 15 gennaio 1569, il sacerdote Luca di Almao celebra il battesimo del figlio della anonima schiava di Gian Simone Costa; al bimbo viene imposto il nome di Giovanni. Fa sicuramente scalpore il battesimo della appena nata e già Magnifica Donna Caterina, figlia del Magnifico ed Eccellentissimo Jacopo lo Nigrello. A battezzarla, il 13 febbraio 1572, è il sacerdote don Luca di Almao. I padrini sono Don Francesco Ayala capitano de infanteria insemi cu 25 spagnoli. Il sacerdote don Domenico di Serio il 6 marzo 1589 esorcizza una figliola della quale si sconoscono i genitori e che è stata battezzata per necessità in casa dalla levatrice Nuccia Lacciarella. Isabella Catania La Greca, vedova del Magnifico Enrico Catania, è una potente e ricca signora, amministratrice dei propri beni; è munifica verso la Sacrestia della Chiesa del SS. Rosario e vi istituisce per sé e per i suoi eredi una sepoltura. È qui che, alla sua morte, viene tumulata il 9 settembre 1598, come attesta la lapide della sepoltura Maria Indulci, figlia di Baldassare ed Eularia Salomone, che sposa (1563) Giovan Battista Spinola , nella sua casa ospita l’Infermeria dei Cappuccini di Gibilmanna, alleviando le sofferenze di tanti malati. Alla morte del marito, si fa terziaria cappuccina e presto diventa Superiora. Muore in odore di santità nel 1631. Ricordata da tutti come Suor Mariuzza, viene sepolta a Gibilmanna nella cripta dei frati. Il 13 febbraio dell’anno successivo viene traslata nella chiesa di S. Giuseppe al Borgo. Susanna Natoli, moglie di Geronimo d’Arena è forse, per quel che se ne sa, la sola donna di Cefalù alla quale sia stata intitolata una strada mentre era ancora in vita . Nel 1591, infatti, la strada laterale alla sua casa di abitazione, l’attuale Via Pittore Bevelacqua, viene indicata come strata publica de medio, senza altra intitolazione, ma poco più di 30 anni dopo , con l’aumentare della popolarità e importanza sociale della Natoli, viene indicata come vanella nominata di la Natola. Il 15 maggio 1607 Maria, figlia degli zingari Domenico e Diana, sposa Giuseppe Greco, zingaro, figlio di Mastro Stefano. Suor Maria di Brocato, figlia del Signore di Gratteri, viene a Cefalù all’età di 10 anni. È la prima Superiora del Reclusorio delle Orfane della Batiola, fondato a Cefalù nel 1648 dal Vescovo Marco Antonio Gussio (1644-1650). Infervorata del SS. Sacramento, di cui gode spesso visioni, predice che Mons. Gisulfo (1650-1658) sarà eletto Presidente del Regno. Opera molti miracoli. Un giorno nel Reclusorio viene a mancare il pane; Suor Maria, allora, ordina che si guardi nel forno. Apertolo, le suore lo trovano colmo di pane caldo e fragrante. Un altro giorno, essendo rimasto pochissimo olio, Suor Maria col suo miracoloso intervento, lo moltiplica. Lo stesso olio risulterà, poi, miracoloso. Tra le tante cose inspiegabili capitatele una è veramente strana: trova spesso del denaro dentro una immaginetta, arrotolata, dell’ecce homo. Muore il 13 novembre 1669, a 59 anni. Viene seppellita ai piedi dell’altare maggiore della chiesa di S. Leonardo alla Batiola, dove ancora riposa. Dopo la morte continua ad operare miracoli, liberando ossessi e facilitando partorienti. Il sacerdote Francesco Serio, suo confessore, ne scrisse la biografia . Presso la Batiola si conserva, gelosamente, un bastone appartenuto a questa santa monaca. Gianvincenza Minneci, figlia di Pietro e Isabella Serrano, nel 1572 sposa Giovannello Ortolano, di Andrea e Antonia, dal quale ha cinque figli, tutti morti in tenera età. Si ritrova indicata nel suo testamento come Gian Vincenza Minneci e Ortolano, cittadina palermitana, Baronessa del Feudo di Pasquale (Pollina) e appartenente al Terzo Ordine di S. Francesco. Nel testamento dichiara di voler essere sepolta nel Convento di Santa Zita di Palermo nelli di lui sepolcri ; al quale convento essa testatrice legò, e lega il dritto solito e consueto ed oltre a questo tre quadri grandi, cioè, uno della presa di Cristo altro del Sacrificio di Abramo, e l’altro di s. Pietro. E ciò per divozione. Gianvincenza, cui si deve la costruzione della chiesa della Madonna del Rosario a Pollina , continua così quella tradizione di mecenatismo cominciata dai suoi antenati, lasciandosi immaginare come una delle possibili fonti della Pinacoteca del Barone Carlo Ortolani di Bordonaro (1811-1886) , dello stesso ceppo dei citati Ortolano, il cui nonno, suo omonimo, aveva sposato Maria Mendaci, cognome corrotto da Minneci. Camilla, vedova di Domenico Ortolano, sposato nel 1581, è munifica benefattrice della chiesa del Monastero di S. Caterina, ingrandita grazie alle sue contribuzioni . Resta famosa Donna Felice Basili e Cardona che governò da Badessa nel monistero (S. Caterina, n.d.t.) per più volte nel secolo XVI e ritrovasi per le sue eminenti virtù in Sacra Rota . Il Monastero delle Benedettine di S. Caterina, oggi sede del Municipio, accoglieva numerose monache, quasi tutte figlie di nobili. Tra queste molte le fanciulle provenienti dalla famiglia dei Conti di Collesano, i Cardona. La Badessa del Monastero godeva di grande potere ed autorità e, come tramanda il Bianca, nelle funzioni pubbliche oltre alla cocolla portava la croce in petto e il bacolo Pastorale. I Cardona lasciano nel monastero il segno del loro passaggio : il loro stemma (un mazzo di cardi), fa bella mostra di sé ai piedi di Santa Caterina, sul bassorilievo ancora esistente nell’atrio del Palazzo Municipale, sulla porta del locale dell’ex centralino. Nel 1645, durante la notte tra il 12 e il 13 dicembre, Vincenzo Combi, maestro curvisieri (calzolaio), decide di rimandare al mattino seguente il completamento di due scarpe, intanto che si attarda a lavorare su una terza. Conficcata la lesina nella suola, ne sprizza del sangue che colpisce l’atterrito calzolaio in un occhio. Allarmato, crede di essersi ferito. Nel frattempo è accorsa la moglie, Bernardina Ranzino, che lo invita a ripetere l’operazione. Così viene fatto e un nuovo spruzzo di sangue colpisce l’occhio del calzolaio. Arrivano, allora, la sorella, Francesca Combi, ed il cognato, Melchiorre Ranzino. Anche loro chiedono a mastro Vincenzo di riprovare e la cosa si ripete; lo stesso avviene quando la suocera, Caterina, anche lei accorsa, lo prega ancora di continuare. Altro spruzzo, stesso bersaglio. Capiscono, allora, che si tratta di un miracoloso avvertimento di S. Lucia. La Santa non vuole che proprio l’indomani, suo giorno festivo, mastro Vincenzo lavori alle altre due scarpe. Era, infatti, uso delle Maestranze di Cefalù festeggiare la Santa astenendosi dal lavoro. Il mattino seguente, i cinque corrono a rendere la loro testimonianza al Protonotaro della Corte Vescovile . La scarpa incompiuta e intrisa di sangue viene conservata a perpetua memoria. Infatti nell’occasione della festa la scarpa viene esposta al pubblico, che si conserva come nuova . L’esposizione della scarpa rimane, ancor oggi, una delle più suggestive espressioni della devozione popolare . Il 12 marzo 1700, Vincenzo Costa, in fin di vita, detta, al notaio Giacomo Nicolò Neglia, il suo testamento, che viene reso pubblico il 3 aprile successivo, alla sua morte. Tra i numerosi capitoli, il XIII così recita testualmente: Si dichiara franca e libera una serva schiava fatta cristiana nomine Catarina. A lei il Costa lascia pure un modesto appannaggio . Giuseppa Presti (XVII secolo) ha avuto numerosi figli, come tante altre donne che ne hanno avuti anche 12, 18 o 24 . Il maggior vanto di fecondità però portano Donna Gesuela Montagna e Messina, la quale dietro di aver dato alla luce nel 1788 due gemelli, che sono ancor viventi, nel 1792 ne partorì 3 di perfetta corporatura la moglie di Salvatore Garbo detto Tencia di agnome e Caterina di Paola volgarmente chiamata la Pernicana . Gian Domenico Osnago, pittore milanese, si trasferisce a Cefalù dove nel 1715 sposa Ninfa Manzella . La tradizione vuole che una delle figlie, Francesca Paola o Rosalia , sia coautrice dei quadri prodotti dal padre. Una storia, che ha avuto il suo epilogo in Cefalù, merita di essere conosciuta. È quella di Sereta, donna ebrea, figlia di Isacco e Luna Morghe. La ragazza nasce, intorno al 1751, a Gibilterra da dove, all’età di dodici anni, viene portata in Venezia. Qui intraprende l’attività di commediante. Dopo avere girovagato per l’Italia e per il Regno di Napoli con la compagnia, viene in Sicilia. Mentre si trova a Pettineo, dove si è recata per allietare con le recite il Carnevale di quella città, durante la Quaresima, la terra è scossa da un violentissimo terremoto. Uscita fuori di casa, atterrita, si rivolge alla pietà del Signore chiedendo al Parroco di essere battezzata. Licenziatasi dalla compagnia, si trasferisce a Cefalù, dove Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Gioacchino Castelli dei Principi di Torremuzza, Vescovo della Diocesi (1755-1788), l’accoglie con pietosa benevolenza. Due sacerdoti vengono allora incaricati dal Vescovo di istruire la ragazza nei rudimenti e principi della fede in Gesù Cristo. Dopo due mesi, il 13 maggio del 1780, sabato di Pentecoste, coll’intervento del Capitolo e del Clero, nel modo Pontificale, Sereta viene battezzata solennemente e le viene imposto il nome di Gioacchina Maria Castelli. I padrini, il Barone di Mandralisca Don Enrico Piraino e la Baronessa sua moglie, Donna Aurora Monizio e Braxhò, regalano alla loro figlioccia una veste di tirzanello bianco. Indossatala, viene cresimata, madrina la Baronessa di Cuscarini, Donna Eleonora Muzio e Piraino, e, subito dopo, riceve la Comunione. L’indomani Sua Eccallenza il Vescovo regala a Gioacchina una posata d’argento, un bellissimo quadrettino di Maria SS. Addolorata, della biancheria, due piatti di fine porcellana e una discreta somma di denaro. Il Duca di Cefalà, nipote del Vescovo, si prende cura della giovane ospitandola presso la sua casa di Palermo. Il 16 luglio 1820, alcuni mulattieri provenienti da Palermo, riferiscono dei moti scoppiati nella Capitale. Presto, anche Cefalù viene presa dall’euforia rivoluzionaria. L’indomani, vengono saccheggiati, dal popolo, gli uffici pubblici del Giudicato Circondariale, della Sottointendenza, del Palazzo di Città, del Capitano del porto, del Sindaco e del Collettore dei Dazi. Tutti i documenti vengono portati in Piazza Duomo e bruciati . Il 19 luglio vengono assalite, anche, alcune case di privati cittadini. Sono date alle fiamme le case delle famiglie Di Paola e Culotta; una decina le vittime, tra i morti anche dei neonati. A nulla vale l’intervento del Vescovo Sergio (1814-1827). Le rivendicazioni politiche si miscelano al furto e alle vendette private. Per sedare i tumulti si forma una Giunta Provvisoria . Vengono, allora, catturati i presunti colpevoli; alcuni di loro sono battuti pubblicamente , altri sono condannati a morte. Don Tommaso Pernice (1780-1820), motore dei disordini , viene fucilato fuori Porta Ossuna, il 25 luglio. Un certo Taurus, recisagli la testa e fattala bollire, per due ore, nell’aceto, la affigge in Piazza Duomo. Altri due condannati, Maria Ciurella, che aveva appiccato il fuoco in casa Di Paola, e un certo Pizzo, sono giustiziati all’interno dell’atrio del Palazzo Vecchio (Palazzo Vescovile). Le loro teste vengono appese al Bastione . Il 30 maggio 1821, sulle colline di Cefalù, si addensano minacciose nubi, sembra calata improvvisamente la notte. Poi, tra tuoni e lampi, viene giù una terribile pioggia. Una immensa massa d’acqua, proveniente dalle alture, si riversa, con violenza inaudita, su Cefalù. Nulla viene risparmiato! Orti e vigne sono distrutti, centinaia di alberi vengono trascinati via, la furia delle acque procura danni irreparabili alle case ed ai mulini. Dal Fiumegrande fino a Lascari è tutto un lago. In quella occasione, in alcune località, cambia addirittura l’orografia dei luoghi. L’ammasso dei detriti forma nuove collinette e molte strade di campagna e trazzere subiscono determinanti trasformazioni di percorso . La gran quantità d’acqua che si riversa su Cefalù trascina in mare, dalle falde della Rocca, la quarantottenne Liboria de Anna, moglie di Ignazio Glorioso. Il suo cadavere verrà ritrovato, sulla spiaggia, il 5 giugno. In questa data il Registro dei morti della Cattedrale di Cefalù ne annota l’avvenuto seppellimento presso l’Oratorio del SS. Sacramento . Una strana mercanzia trasporta a Cefalù una nave, di ignota nazionalità, che il 5 maggio del 1851 getta l’ancora nella rada di Prissuliana. Ne sbarca una signorina diciottenne, che rimane ospite del Dottor Biagio Pernice - valente ostetrico - per alcuni mesi, fino a quando non partorisce un bimbo che ebbe a nutrice certa Glorioso Pipi . Dopo qualche mese dalla nascita del bimbo la madre riparte, lasciando il figlio a Cefalù. Tre anni dopo il Dottor Pernice conduce il piccolo all’estero. Non si riuscì mai a sapere né la destinazione né chi mai fosse la signorina diciottenne. Solo si concepirono dei sospetti sulla amicizia non effimera che legava il Pernice al console di Scandinavia presso la regnante Casa Borbone, il quale console rappresentava i Paesi Bassi . Recentemente è stato chiarito il mistero: la signorina diciottenne sarebbe stata la principessa, olandese-prussiana, Marianna von Oranje-Nassau (sposata Hoenzollern) che, dopo il divorzio, venne a Cefalù per partorire il figlio, Johannes, probabilmente sotto il nome di Marianne von Seitemberg . L’elenco continua con Angelina Lanza (Palermo, 1879-Gibilmanna,1936) sensibile scrittrice; la Signora Zito, che nel 1882, in occasione del centenario dei Vespri Siciliani, ricama lo stemma sul nostro Gonfalone ; Elvira Guarnera, poetessa, che è la prima donna a frequentare il Real Ginnasio R. Porpora nel 1892 ; bisognerà aspettare il 1895 perché ce ne sia una seconda, Antonietta Ghiglini , ed il 1916 perché ce ne siano altre ; le sorelle di Nicola e Carlo Botta, Giuseppina ed Elisabbettina, che cuciono il drappo tricolore sventolato durante i moti rivoluzionari del 1856 a Cefalù .Le donne di Cefalù fanno sentire la loro voce quando, negli anni ’70, ingaggiano una dura battaglia per essere ammesse al Circolo Unione, inespugnabile baluardo della privacy dei maschi di Cefalù. Cefalù ha un nuovo titolo, quello di Città delle Donne.

LE DONNE DI CEFALÙ

www.bibliotecaitaliana.it

CATENA D'AMORE - INNO ALLE DONNE

letto e interpretato da Patrizia Prodan - Musica Gilberto Quattrocchio (free download mp3)

The Pink Database - Biblioteca Nazionale Braidense

Presenze femminili: Bellini, Vincenzo Aria Sono all'Ara / Della Straniera / Del Maestro Bellini / Per uso della Sig.a Quattrocchi - Memoria di Carolina Prodora data lì 30 agosto 1840: in attestato d'amicizia, per la signora Adelaide Quattrocchi - Owner: Quattrocchi, Adelaide, Signora Dedicator:Prodora, Carolina - Dedicate: Quattrocchi, Adelaide, Signora Donizetti, Gaetano Cavatina / In dura Schiavitù / Nell'Opera Emilia di Liverpool / del M. Cav.r Gaetano Donizetti 1824, riduzione. "Quattrocchi" Noseda U.24.5 - Owner: Quattrocchi, Adelaide, Signora Rossini, Gioachino Duetto / Va taluno mormorando / NELL'INGANNO FELICE / Ridotto con accompagnamento di Piano Forte "Per uso dei Sig.ri Fratelli Quattrocchi" N.U.49.4 Owner: Quattrocchi, Adelaide, Signora e Quattrocchi Luigi.

Luca Giordano :Visione di Santa Rosa da Lima - Chiesa della Pietà dei Turchini a Napoli.

Un quadro della chiesa di San Francesco, opera di Teresa Quattrocchi a Mistretta.

LA SICILIA DEI SIGNOR RUSSO NOME AFFIBBIATO NEL MEDIOEVO A CHI AVEVA BARBA E CAPELLI ROSSI, È IL COGNOME PIÙ DIFFUSO NELL’ISOLA.

DI ETTORE IACONO

La Sicilia dei signor Russo. E di Lombardo Nell'Italia dei Signor Rossi, la Sicilia appartiene ai signori Russo. E' questo il cognome più diffuso nell'Isola secondo Cognomix.it. Nulla di così diverso, però, visto che l'etimologia del cognome Russo è la stessa di Rossi: il colore rosso. Cognome affibbiato dal medioevo a chi aveva capelli o barba rossiccia. Nella speciale classifica dei cognomi siciliani seguono i Messina, la cui origine è legata proprio alla città dello Stretto. L'origine si fa risalire al 1492, anno della scoperta dell'America ma anche della prima persecuzione contro gli ebrei. La Spagna di Isabella di Castiglia e Ferdinando d'Aragona, con un decreto costringeva gli ebrei ad abbandonare il regno, quindi anche la Sicilia, se non si fossero convertiti al cattolicesimo. Molte famiglie ebree siciliane, quindi, per nascondersi hanno adottato per cognome il toponimo di città commerciali come Messina e Genova. Se fossero stati scoperti, gli ebrei sarebbero stati arrestati, torturati, costretti all'abiura e, in caso di rifiuto, privati dei loro beni e condannati all'esilio. Al terzo posto, con buona pace delle camicie verdi padane, il cognome Lombardo. Al quarto, Caruso, uno dei cinquanta cognomi più diffusi in Italia. La sua origine è napoletana, dove, in dialetto, caruso stata per pelato, rasato. Nell'ordine, poi, seguono i Marino, i Rizzo, i Grasso, i Greco, i Romano, i Parisi e tanti altri. A livello territoriale, si nota subito una stranezza: Messina è il cognome più presente a Palermo e a Trapani, mentre nella città dello Stretto non è neppure presente fra i primi cinque. A Messina il cognome più diffuso è Arena, seguito nell'ordine da Russo, Costa, Cucinotta e Donato. I Russo dominano invece ad Agrigento e Siracusa. A Catania spiccano i Giuffrida, a Enna i Cammarata, a Ragusa gli Occhipinti, a Caltanissetta gli Amico. Tra gli altri cognomi, si segnala una buona presenza di termini beneauguranti comparsi soprattutto nel medioevo (Bongiorno, Bonfiglio, Bonanno, Bonsignore, Bonaccorso, Bellomo), di professioni (Cavallaro, Finocchiaro, Spadaro e Spataro, Balistreri, Vaccaro, Ferraro, Maniscalco, Cannizzaro, Cammareri, Scuderi, Impellizzeri). Da soprannomi derivano in particolare Occhipinti, Quattrocchi, Mancuso (che sta per mancino) e Pappalardo (goloso).

SUPPOSTE ORIGINI DEI COGNOMI IN SICILIA
Cognomi d'origine Augurale (con Funzione Propiziatoria, Augurale e Gratulatoria)

QUADRIFOGLIO – Che porti fortuna - QUATTROCCHIChe sia molto avveduto - QUATTROMANO – Che sia molto attivo -

Curiosità per chi vuole conoscere il significato del proprio Cognome:

Bibliografia Lilium
Argomento: 1905-1909


Le Condizioni Geografiche della Sicilia secondo Strabone / Crispino Quattrocchi - Napoli - A. Tocco-Salvietti, 1905

Indice
America del Nord Quattrocchio e Quattrocchi
America del Sud Quattrocchio e Quattrocchi

Araldica Quattrocchio Quattrocchi
Basilicata Quattrocchio Quattrocchi
Biografia Gilberto Quattrocchio
Calabria Quattrocchio Quattrocchi
Campania Quattrocchio Quattrocchi
Curiosita Quattrocchio Quattrocchi
Emilia Ferrara Quattrocchio Quattrocchi
Esempi di genealogie disinvolte
Francia-Tunisia Quattrocchio Quattrocchi
I miei genitori: Gildo Quattrocchio e Emanuela Cuomo
Liguria Quattrocchio Quattrocchi
Lombardia Quattrocchio Quattrocchi
Marche Quattrocchio Quattrocchi
Piemonte Quattrocchio Quattrocchi
Puglia Quattrocchio Quattrocchi
Lazio Quattrocchio Quattrocchi
Roma Quattrocchio Quattrocchi
Roma Famiglie imparentate con Quattrocchio Quattrocchi
Roma curiosità Quattrocchio Quattrocchi
Sator-Cistercensi-Terdona-storia e mito
Sicilia Quattrocchio Quattrocchi
Simboli Quattrocchio Quattrocchi
Toscana Quattrocchio Quattrocchi
Umbria Quattrocchio Quattrocchi
Veneto Quattrocchio Quattrocchi
Quattrocchio Quattrocchi nel terzo millennio

Spanish and English text Quattrocchio Quattrocchi

 

email per contattare Gilberto

altri siti di Gilberto:

Artista

Artslant

Facebook

Community

Video Youtube

Video Gilberto Google

Colordrum Multimedia Factory

Fondazione Federico II

© copyright Olaf GILBERTO QUATTROCCHIO - PATRIZIA PRODAN