CATENA D'AMORE - INNO ALLE DONNE

letto e interpretato da Patrizia Prodan - Musica Gilberto Quattrocchio (free download mp3)

CURIOSITA' DI ROMA


 

LE 16 ANTICHE PORTE DI ROMA

Porta in Terrione poi Porta Cavalleggeri (scomparsa), Porta Viridaria (tra il Vaticano e Borgo, scomparsa), Porta di San Pietro all'Adrianeo (nei pressi di Castel Sant'Angelo), Porta Santo Spirito ( Borgo Santo Spirito), Porta Angelica ( Vaticano, e Borgo, scomparsa),Porta Settimiana ( Trastevere), Porta Aurelia poi Porta San Pancrazio(Gianicolo), Porta Portese, Porta Ostiense poi Porta San Paolo, Porta Appia poi Porta San Sebastiano, Porta Latina, Porta Metronia, Porta Asinana, Porta San Giovanni, Anphiteatrum Castense, Porta Maggiore, Porta San Lorenzo, Porta Chiusa (Campo Viminale), Porta Pia, Porta Salaria, Torre di Belisario, Porta Pinciana, Porta Flaminia ( Piazza del Popolo),

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CAPORIONI DI ROMA

CAPORIONI Di Roma. Secondo il dizionario della lingua italiana, Caporione significa Caporale, Decuria, Ductor, cioè principale, guida, comandatore, ed anche regolatore, governatore e signore, maestro, e scorta degli altri. Abbiamo dall'Amidenio, nella sua Relazione, che Roma ( divisa in quattordici regioni, dette con vocabolo corrotto Rioni ), imbussola innanzi il Cardinal camerlengo alcuni soggetti di ciascuna regione, dell' ordine dei nobili, chi per conservatore, chi per priore dei Caporioni, cioè magistrato dei capi delle regioni, volgarmente appellati Caporioni , e come i Conservatori, nel principio del suo ingresso, o nelle mani del Papa, o in quelle del mentovato Cardinale, presta il giuramento di fedeltà, come meglio si dice all' articolo Conservatori Di Roma , in cui pure si tratta del priore dei Caporioni. Finchè esistettero i Caporioni facevano il giuramento al Cardinal camerlengo, o lo prestavano nelle mani del Pontefice, ed al trono nella cappella Pontificia, dopo il vespero della Circoncisione, quando venivano chiamati a nome dei loro rioni dall' avvocato fiscale di Campidoglio. Caporione, ossia conestabile, o contestabile, e di due deputati con la loro milizia, salvo che il rione Monti, che era devoluto alla giurisdizione del priore dei Caporioni, come rileva Bernardino Bernardini, priore dei Caporioni nel Pontificato di Benedetto XIV, nella Descrizione del nuovo ripartimento de' quattordici rioni di Roma fatta per ordine di detto Papa, Roma 1744. Di questo magistrato si fa memoria in un codice della biblioteca vaticana, fino dall'anno 948, nel qual tempo erano denominati decarconi, giacchè prima di tale epoca, sotto Alberico, che s'intitolò Principe e senatore di tutti i romani, e di suo fratello Giovanni XI detto XII, creato nel 93i, alcuni sostengono, che due consoli si creavano ogni anno in Roma, oltre ua prefetto della nobiltà, e per render ragione al popolo, e alla plebe, si elessero pure dodici decarconi, i quali sostenessero l'ufficio del senato, ovvero decarconi, come tribuni della plebe, secondo Biondo. Siccome poi in guerra usavano alcune bandiere, ed ogni regione si distingueva dalla bandiera particolare, con vocabolo tedesco furono detti Banderesi nome col quale, oltre quanto si dice a quell'articolo, fino dal 1262 si trovano chiamati. Essi in certe occasioni usavano un particolar vestiario, ed avevano grandissima autorità, la quale fu loro di molto diminuita, nel 1369, dal Pontefice Urbano V, e poscia, verso il termine di detto secolo XIV, fu affatto soppressa da Bonifacio IX. E benchè, nel i408, a cagione della guerra, che faceva a Roma Ladislao re di Napoli, come quegli, che ne aspirava al dominio, e per la gran carestia del pane ond' era afflitta la città, fosse nuovamente creato questo magistrato dal Cardinal Pietro Stefaneschi, vicario di Papa Gregorio XII, e gli fossero date "Banderas consuetas tempore antiquo, uti dominum banderesiorum cum signo pavesati, et balisteri ", ciò nonostante furono poco di poi nuovamente aboliti. Talvolta i banderesi furono chiamati Caporioni, come quando si recarono al conclave, in cui fu eletto Urbano VI. Abbiamo, che al 4 gennaio 1410, i Caporioni fecero i conservatori di Roma, e nel dì seguente salirono il Campidoglio, ed espulsero il senatore Gio. de Tostis, che lo teneva pel re Ladislào. E nel Pontificato di Giovanni XXII I, i Caporioni, ai 27 agosto 1411, ricevettero con grand' onore nel palazzo apostolico il senatore conte Ruggero d'Antigliola. Quando poi il popolo romano si pentì d'essersi ribellato nel i434 ad Eugenio IV, e che questi spedì a Roma Giovanni Vitelleschi comandante del suo esercito, venne quel comandante ricevuto dai romani, e dai Caporioni con grande onorificenza.

VIA FRANCIGENA - VIA ROMEA - VIA FRANCESCA

Via Francigena, anticamente chiamata Via Francesca o Romea e detta talvolta anche Franchigena, è il percorso di un pellegrinaggio che da Canterbury portava a Roma e costituiva una delle più importanti vie di comunicazione europee in epoca medioevale. I pellegrini provenienti soprattutto dalla Francia entravano in Italia dal passo del Monginevro, dando così alla strada che da lì arrivava a Roma il nome di Francigena, cioè dei francesi. La via prese quindi a far parte di quella vasta rete di strade e percorsi che segnava l'Europa dei pellegrini e che univa tutti i maggiori luoghi di spiritualità del tempo. Si sviluppa su di un percorso di 1.600 chilometri che parte da Canterbury e arriva a Dover per attraversare la Manica; da Calais, passando per Reims, Besançon e Losanna si arriva alle Alpi che vengono superate attraverso il passo del Gran San Bernardo. Dalla Valle d'Aosta si scende a Vercelli, Pavia e si attraversano gli Appennini fino a Roma.

CAMPO DE' FIORI E LA VIA FRANCIGENA

RIONE SESTO PARIONE E CAMPO DE' FIORI
Il nome di Parione sembra derivi e sia un accrescitivo della parola paries, significante grossa parete o muraglia. Non sono attendibili ipotesi che propongono una derivazione dagli apparitore, soprannome dato ai milites che durante le pompe pontificie precedevano il Papa recando i vessilli regionali o da una presunta famiglia Parioni. Nel XIII secolo il rione è denominato Prione e San Lorenzo in Damaso dall'omonima chiesa. Sotto Benedetto XIV, con la nuova ripartizione dei rioni, fu ampliato. Dalla fine del Trecento fu tra i più popolosi rioni della città e tale rimase nei secoli successivi. Alla fine del Quattrocento, il centro più importante era Campo de' Fiori, che Sisto IV " Urbis renovator et restaurator ", trasformò in piazza. L'impulso edilizio, voluto da questo pontefice, procurò sensibili vantaggi sia al rione Parione che a quello di Ponte. Sotto il suo pontificato fu aperta la Via Florida (del Pellegrino - vedi:iscrizione al n. 1 di Via dei Balestrari), facilitando così il passaggio dei " romei " o pellegrini, che si recavano a S. Pietro. Questa ed altre vie vicine furono sistemate e ampliate durante il pontificato di Alessandro VI. (vedi: iscrizione all'angolo con Campo de'Fiori). Il corteo pontificio per la presa di possesso della basilica di S. Giovanni in Laterano, passava, al ritorno, per Campo de' Fiori. All'andata, invece, partiva dal Vaticano e attraversato Borgo e Ponte S. Angelo,imboccava la così detta " Via papalis " comprendente le attuali vie del Banco di S. Spirito e dei Banchi Nuovi, fino agli inizi del '600 dette Canale di Ponte,Monte Giordano, Via di Parione ora del Governo Vecchio, piazza di Parione poi di Pasquino; passava quindi davanti al palazzo Massimo, proseguendo verso S. Andrea della Valle (sorta sul luogo di una chiesetta dedicata a S. Sebastiano), i " Cesarini " (attuali Corso Vittorio Emanuele e Largo Argentina, ove erano le case di questa famiglia), gli " Altieri " (ora piazza del Gesù, ove si trova il palazzo Altieri), Campidoglio, Campo Vaccino e, infine, fiancheggiando il Colosseo, prendeva la via retta per il Laterano. Con il nome di " Via papale " fu comunemente indicata la Via di Parione e la prosecuzione fino a piazza degli Altieri e cioè il percorso comprendente parte del VI e del IX rione. Anche i cortei di sovrani, principi e ambasciatori, che giunti a Roma si dirigevano al palazzo pontificio, transitavano per Campo de' Fiori. In seguito all'apertura e alla sistemazione delle strade si ebbe un notevole impulso edilizio. Tra il '400 ed il '500 vennero costruiti il palazzo Orsini a piazza Navona, il palazzo del Card. Condulmer, nipote di Eugenio IV, al Teatro di Pompeo, passato poi agli Orsini, il palazzo Borgia o della Cancelleria Vecchia, ora Sforza Cesarini, il palazzo Nardini, il palazzotto Le Roy erroneamente chiamato piccola Farnesina, altri palazzi minori e case che furono abbelliti esternamente da pitture, soprattutto agli inizi del sec. XVI. L'uso di decorare le facciate degli edifici sia importanti che modesti, ebbe origine, con tutta probabilità, aVenezia e si diffuse nel Veneto, in Emilia, in Lombardia e in Umbria. A Roma ebbe una larghissima diffusione specie nel così detto quartiere del Rinascimento, comprendente il V e il VI rione. I prospetti dei palazzi e delle case ed anche i cortili erano ornati con fregi e scene dipinti. La tecnica più antica e diffusa era quella delle " sgraffito ", ma veniva assai usata anche quella del chiaroscuro monocromato, per la quale gli artisti usavano varie, speciali " terrette " allo scopo di dare rilievo agli elementi della composizione. Spesso gli edifici erano concepiti in modo da lasciare uno spazio libero alle figurazioni dipinte, condizionando così, sia pure con logico rigore, la struttura architettonica alla necessità decorativa. Il Vasari, nell'introduzione alle sue " Vite ", illustra ampiamente la tecnica di questa particolare decorazione. Da prima si ebbero motivi architettonici e fregi, quindi vere e proprie scene. Sono soprattutto noti, tra i numerosi artisti operanti a Roma nel primo '500, Polidoro da Caravaggio e Maturino da Firenze, i quali decisero " avendo Baldassarre Sanese (B. Peruzzi) fatto alcune case di chiaroscuro, d'imitar quell'andare ed a quelle già venute in usanza attendere da indi innanzi ". Così dice il Vasari, parlando di Polidoro " non fattosi per lungo studio, ma stato prodotto e creato dalla natura pittore " e di Maturino " alle anticaglie tenuto benissimo disegnatore ". Infatti, nelle loro decorazioni si notavano vere e proprie scene congiunte a motivi di decorazione classica. Dalle parole del Vasari si può dedurre che il Peruzzi iniziò a Roma questo tipo di decorazione. Vari furono gli artisti che vi si dedicarono, tra i quali nel rione di Parione, oltre a Polidoro e Maturino: Francesco dell'Indaco, Niccolo Soggi, Vincenzo Tamagni da S. Gimignano, Daniele da Volterra e la sua scuola, Pellegrino Tibaldi, Pirro Ligorio, il Cavalier d'Arpino. Si deve sottolineare che proprio in questo rione si trovavano due edifici decorati con scene sacre, assai rare, poiché le rappresentazioni erano sempre profane. Si tratta del palazzo Massimo, o " istoriato ", ove sono rappresentate scene del Vecchio e Nuovo Testamento e della scomparsa Casa Epifani a Via dei Chiavari, recante una decorazione con " i Magi che seguono la stella ". Agli inizi del sec. XVI, abitavano in Parione numerosi cardinali, più di un terzo del Sacro Collegio e già dalla fine del '400 principi, ambasciatori e personaggi prendevano alloggio nel palazzo Orsini al Teatro di Pompeo. Ciò spiega il sorgere, nei pressi di Campo de' Fiori di alberghi di lusso come quello " del Sole ", ritenuto il più antico di Roma e l'altro " alla Campana ", frequentati anche da raffinate cortigiane. Nelle vicinanze sorsero alberghi più modesti e locande. A Campo de' Fiori convenivano giornalmente prelati, lettori del vicino Archiginnasio, maestri di casa di cardinali, principi e ambasciatori, notari, curiali, librai, incisori e uomini d'affari. I numerosissimi artigiani che svolgevano il loro mestiere nel rione, sono ancora ricordati dai nomi di alcune vie: Giubbonari già Pelamantelli, Cappellari, Baullari, Chiavari, Sediari, Canestrari. La via del Pellegrino fu chiamata anche Via degli Orefici dalle botteghe di questi artigiani. La presenza di librai, editori, scrittori e scrivani, durante il Rinascimento, fece di Parione un centro particolarmente attivo di vita intellettuale. Fiorente era il commercio di manoscritti sacri e profani. Una tradizione secolare di casa Massimo, anche se altre ipotesi sono state avanzate, non sostenute però dall'autorità di documenti, indica il palazzo " istoriato " come sede della stamperia di Corrado Schweynheim e Arnoldo Pannartz, cui si devono gli splendidi classici latini recanti la scritta: " in domo Petri de Maximis ". Presso Campo de' Fiori stabilì la sua tipografia il mantovano Antonio Biado. Fino al Sacco di Roma del 1527 fu attivissima la libreria del bergamasco Jacopo Mazzocchi. L'incisore e stampatore milanese Antonio Salamanca si associò da prima con il Biado poi con Antonio Lafrery, originario della Franca Contea, cui appartenne la più nota bottega del rione, frequentata soprattutto da artisti. In seguito alla invenzione della stampa, i librai si istallarono sempre più numerosi in Parione. Dopo il primo quarto del '500, cominciò a verificarsi uno spostamento della vita intellettuale, politica e commerciale da piazza Campo de' Fiori verso Pasquino e piazza Navona. A Pasquino, infatti, si trovavano tipografi, editori, librai, miniatori ed inoltre notari, avvocati, scrittori apostolici, copisti. Tra le famiglie che abitarono il rione sono da ricordare i Massimo, i Mellini, i Mazzatosta, i Cybo, i Mignanelli, i Quattrocchi, i Tartari, i Leoni o Bussa dei Leoni cui appartenne S. Francesca Romana, gli Alberini, i de Torres, i Pamphili, i Fonseca. Nel 1477, quando vi fu trasferito il mercato dalle pendici di Campidoglio, in piazza Navona era stata attuata una sostanziale trasformazione edilizia. Vi presero dimora cardinali e ambasciatori e divenne un centro commerciale; tale rimase, nonostante i tentativi di " nobilitarla " da parte di Innocenze X, il quale le dette quell'aspetto che, salvo alcune modifiche, conserva tuttora. Vi si erano sempre svolte feste di vario genere, che nel '600 e nel '700 assunsero ricchezza e fasto particolari. Dal sec. XVIII, però, l'attività intellettuale di Parione andò gradualmente affievolendosi. L'occupazione napoleonica ne provocò, sotto questo aspetto, la conclusione. Continuarono tuttavia, per tutto il secolo XIX, festeggiamenti e manifestazioni anche a carattere prevalentemente popolare. Con la apertura del Corso Vittorio Emanuele avvenuta verso la fine dell'Ottocento (1883-1887) si verificò un sensibile risveglio commerciale, ma venne a mancare pure dal punto di vista urbanistico quel legame che univa, nella sua vita intima e tradizionale, il rione. Le antiche piante di Roma lo rappresentano strettamente unito e con un impianto, in cui prevaleva un'ambientazione degli edifici senza dubbio condizionata a interessi personali, ma alla quale si deve il sorgere di palazzi e
case, che, nonostante i rifacimenti attraverso i secoli, documentano l'attività edilizia durante il '400 ed il '500. Per l'apertura del Corso del Rinascimento (1936-38), il Comune di Roma, approvato un progetto di ricostruzione del lato fiancheggiante piazza Navona, lungo le vie dei Sediari, della Sapienza, di piazza Madama e di Via delle Cinque Lune, studiato dall'Arch. A. Foschini, stipulò accordi con l'I.N.A., che s'impegnò ad attuarlo. La nuova arteria che si svolge da S. Andrea della Valle a S. Agostino, ha procurato indubbi vantaggi, come quello di conservare sostanzialmente intatta piazza Navona, ma anche un mutamento delle nomenclature di alcune strade. Sono scomparse la Via dei Sediari, che dal Corso Vittorio Emanuele giungeva a Via dei Canestrari e la Via della Sapienza. La denominazione di Via dei Sediari passò al secondo tratto di Via dei Canestrati, già per breve tempo chiamata Via Oberdan e quella dei Canestrari è rimasta al primo tratto tra Piazza Navona e l'attuale Largo della Sapienza. L'ultima parte di Via della Posta Vecchia, fu detta Via di S. Giuseppe Calasanzio. Per l'allargamento della strada ed il conseguente nuovo allineamento ,la prima campata della chiesa di S. Giacomo degli Spagnoli fu demolita e vennero trasformati gli edifici di proprietà degli Stabilimenti Spagnoli di fronte al palazzo Carpegna e al Palazzo Madama. Modifiche sostanziali si sono avute nella parte tra il palazzo Madama e S. Apollinare. Sono scomparsi la Via delle Cinque Lune, il vicolo del Pinacolo, il vicolo del Pino e il vicolo dei Calderari. Il nome di " Cinque Lune " è rimasto al passaggio tra piazza Navona e piazza delle Cinque Lune, al largo, cioè, ove il Corso del Rinascimento si innesta su Tor Sanguigna.

ALBERICO GENTILI - SAN GINESIO 1552 - DE IURE BELLI

"Le Carte Strozziane del R. Archivio di Stato in Roma"

Connotati di Atlante Quattrocchi d'Ascoli, bandito da Roma per ordine di Papa Clemente VIII.
Allegati alla lettera del Cardinale di San Giorgio, ch'è a c. 159.-c. 160.

ALBERICO GENTILI

Nato a San Ginesio (Macerata) il 14 gennaio 1552 e morto a Londra il 19 giugno 1608. Compiuti gli studi di giurisprudenza a Perugia, fu per tre anni pretore di Ascoli. Nel 1575 venne chiamato a ricoprire la carica di avvocato della Municipalità di San Ginesio, dove, tra l'altro, ebbe l'incarico di rivedere lo Statuto civico. In questo ruolo emerge come l'estensore del Libro V "De Extraordinariis". Nel 1579, sospettato di Eresia, per sfuggire all'Inquisizione, prese con il padre, il medico Matteo, la via dell'esilio. I due ripararono all'inizio in Carniola, dove furono raggiunti dal giovane Scipione e dove Matteo avrebbe dovuto ricoprire la carica di protomedico. L'imperatore d'Austria, Rodolfo II, era tuttavia poco incline ad ospitare personaggi inquisiti dal tribunale ecclesiastico. Quindi, mentre in patria andava avanti la condanna dei contumaci, con la cancellazione dei loro nomi dagli atti ufficiali e con la requisizione dei beni, i Gentilini peregrinavano attraverso le Corti riformate dell'Impero, finché Scipione fu lasciato a completare i suoi studi in Germania e Alberico, seguito più tardi dal padre Matteo, decise di rifugiarsi in Inghilterra, dove giunse il 1 agosto 1580. A Londra esisteva una forte comunità italiana, costituita da mercanti, finanzieri e letterati, con influenti connessioni presso gli ambienti di Corte. Alberico, intendendo mettere a frutto la sua preparazione nel diritto romano, fu introdotto presso molti influenti membri della corte e della gerarchia anglicana e soprattutto al Conte di Leicester, favorito della regina Elisabetta I e cancelliere dell'Università di Oxford. Ottenuta da quest'ultimo una lettera di presentazione alle autorità di quella Università, nel gennaio successivo iniziava le sue lezioni al St. John's College. Nel 1587 venne nominato regius professor of civil law presso la stessa Università, ruolo conservato fino al 1605, anno in cui diventava avvocato della Corona di Spagna presso la Corte dell'Ammiragliato di Londra e si trasferiva definitivamente in quella città. dove, alla sua morte, fu sepolto nella chiesa di St. Helen, Bishopsgate. Dalla moglie, la nobildonna francese Esther de Peigny, sposata tra il 1588 e l'89, ebbe cinque figli. Autore di numerose opere a stampa, (per la precisione, ventiquattro, oltre a due inediti), la fama di Gentilini è legata soprattutto al suo contributo alla nascita del diritto internazionale moderno. Il suo esordio in quest'ambito fu il De Legationibus libri tres, un trattato di diritto diplomatico del 1585, scaturito dal parere dato al governo inglese sul caso dell'ambasciatore spagnolo coinvolto nelle trame cospiratorie ordite da Maria Stuart contro Elisabetta I d'Inghilterra. La sua opera maggiore è il De iure belli libri tres, pubblicata nel 1598, universalmente reputata un classico della letteratura internazionalistica. Soprattutto su di essa si basa la fama di Gentilini padre fondatore della scienza moderna del diritto internazionale. Vista sotto il profilo dei suoi contenuti ideologici, l'opera di Alberico Gentilini costituisce la più alta espressione della giurisprudenza umanistica europea, in quanto riflette temi e assunti caratteristici della cultura politica umanistica, riflessa nella sua evoluzione da Machiavelli alle tendenze neoscettiche del tardo Cinquecento. Ne è conferma la sua visione realistica e conflittuale delle relazioni internazionali, in cui le ragioni della sicurezza e della potenza degli Stati, secondo formulazioni ispirate alla teorica della “ragion di Stato”, sono riconosciute come legittime e prioritarie rispetto alle istanze della più larga società universale degli uomini, che pure in Gentilini trovano ampi e significativi riconoscimenti. Ne è conferma ancora, per quanto concerne l'ordine politico interno, il suo spostamento, negli anni del regno Stuart, verso posizioni di avallo del centralismo statale e dell'assolutismo regio in nome della pace civile, in contrasto con precedenti espressioni di simpatia verso i valori repubblicani di libertà e di virtù civile. Al di là del suo ruolo fondamentale nella formazione del diritto internazionale e della teoria politica moderna, il significato più profondo e permanente dell'opera di Alberico Gentilini deve essere individuato nel rifiuto del fondamentalismo ideologico, nell'apertura al pluralismo culturale e nell'accettazione del pragmatismo politico. Diego Panizza.

Matteo Gentili (San Ginesio, 1517 - Londra, 1602) Medico ed Esule Religionis Causa.

Proveniente da un'antica famiglia di San Ginesio, nei pressi di Macerata. Studiò medicina prima a Perugia poi a Pisa. Presso l'Università di Pisa si addottorò in medicina e filosofia il 13 maggio 1549 (fu allievo di Simone Porzio, discepolo di Pietro Pomponazzi, e di Giovanni Argentier). Rientrato a San Ginesio e sposatosi, vi intraprese l'arte medica. Nel 1559 si trasferì a Tolentino, dove esercitò fino al 1562. Successivamente, almeno dal 1566, esercitò a San Sepolcro, e quindi dal 1571 ad Ascoli (dove sostituì, alla sua morte, il fratello Pancrazio). Rientrato a San Ginesio (almeno dal 1574), partecipò attivamente alla vita politica cittadina e alle riunioni della Confraternita dei Ss. Tommaso e Barnaba, nell'ambito della quale non mancavano infiltrazioni eterodosse. Nel 1579, per evitare la persecuzione inquisitoriale, fuggì dall'Italia insieme ai due figli Alberico e Scipione. Si stabilì in un primo momento a Lubiana (e fu nominato protomedico del ducato di Carniola). Nel 1580 riparò definitivamente a Londra, dove poco prima di lui si era già stabilito il figlio Alberico. A Londra fu attivo nell'ambito della comunità di esuli italiani religionis causa. Morì nel febbraio 1602.

Rivista di Storia della Chiesa in Italia 1954 vol VIII - Herder ed.

ATLANTE QUATTROCCHI NOTE SU EVENTUALE ERESIA PROTESTANTE E CONSEGUENTE RISARCIMENTO

ASCOLI NEL CINQUECENTO - di Giuseppe Fabiani

"..del S.Uffizio di Genova "duo iniquitatis filios" Atlante Quattrocchi e un certo Curzio, entrambi ascolani, che già in precedenza avevano avuto a che fare con l'Inquisizione. Papa Clemente VIII in data 16 marzo 1596 scriveva al doge di vigilarli con particolare cura."

(...) del s. Ufficio di Genova "Duos Iniquitatis Filios" Atlante Quattrocchi e un certo Curzio, entrambi ascolani, che già in precedenza avevano avuto a che fare con l'Inquisizione. Papa Clemente VIII, in data 16 marzo 1596, scriveva al doge di vigilarli con particolare cura (nel breve si ripete per ben tre volte questa esortazione) e, appena giunto (...) Castello Chiaromonte. Costui, in un codicillo, prescrive che i suoi figli consegnassero agli eredi "di un certo dottore da cerreto di Serravalle stato Venetiano" la somma di 300 scudi, in ragione di 10 l'anno, a sconto di quelli rubatigli attorno al 1593 dal fratello Atlante mentre "andava bandito con li suoi compagni"(69). Dal che si deduce che,(...) a camuffare la cauta reviviscenza della medesima eresia tra i soci della Confraternita dei Santi Tommaso e Barnaba, la quale era forse intervenuta, come le altre, al pittoresco pellegrinaggio giubilare. Matteo Gentile vi teneva infatti frequenti conferenze di carattere filosofico e religioso, insieme al figlio Alberico che, cresciuto alla sua scuola, aveva (...)

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LIBRI ALL'INDICE (ERETICI)

SCISMA D'OCCIDENTE PROTESTANTE

 

Il 31 ottobre 1517 il monaco agostiniano Martin Lutero affigge sulla porta del Duomo di Wittenberg, in Germania, un documento in cui denuncia la corruzione della Chiesa cattolica. È l’atto di nascita della Riforma protestante. La Chiesa cattolica del 1500 ha un enorme potere economico: il pontefice, infatti, non solo amministra i vasti territori della Chiesa, ma riscuote tasse da tutti i Paesi d’Europa. La Chiesa gioca anche un ruolo politico determinante: gode infatti dell’appoggio incondizionato di Carlo V, imperatore del Sacro romano Impero, che si estende dalla Spagna all’odierna Ungheria. Il resto dell’Europa è diviso in monarchie che scalpitano per farsi spazio tra Chiesa e Impero. Il malcontento nei confronti di una Chiesa tanto poco spirituale serpeggia tra i fedeli di tutta Europa. La pratica delle indulgenze, in particolare, scandalizza il popolo: il pontefice infatti concede la remissione dei peccati in cambio di denaro. Numerosi predicatori, tra cui il monaco tedesco Martin Lutero, denunciano la corruzione della Chiesa e promuovono l’idea della fede come rapporto diretto con Dio, privo della mediazione dei sacerdoti. Le motivazioni spirituali si intrecciano con quelle politiche: le monarchie europee, infatti, guardano con interesse al fermento religioso che si sta diffondendo in Europa, poiché intuiscono in esso la possibilità di affrancarsi dalla Chiesa. La protesta esplode in seguito a una nuova indulgenza concessa da papa Leone X nel 1517. Lutero, con il suo temperamento impetuoso e appassionato, diventa il capopopolo della protesta. Trova l’appoggio dei principi tedeschi e in Germania apre un profondo dibattito religioso. Il dibattito sfocerà nella nascita del protestantesimo, un movimento religioso indipendente dalla Chiesa di Roma e fondato su numerosi precetti promossi da Lutero. Lutero viene scomunicato dalla Chiesa romana nel 1521. Il luteranesimo dilaga comunque in tutta Europa, trova l’appoggio di molti monarchi e nei secoli successivi si afferma come una delle confessioni religiose più diffuse nel mondo.

LA BIBLIOGRAFIA CAROLINA Ma chi era San Carlo?

Nasce ad Arona nel 1538 da Gilberto II Borromeo e Margherita Medici (nessuna parentela con i Medici toscani, perché la famiglia Medici milanese è ben più antica; si trovano tracce di Medici già dall'undicesimo secolo) e muore a Milano il 3 novembre 1584 a neppure 47 anni. La sua biografia per sintetizzarla velocemente, si divide in 3 periodi: ARONA-MILANO-PAVIA 1538-1559. ROMA 1560-1565. MILANO 1565-1584. Nasce in una stanza del palazzo ad angolo da cui si poteva ammirare il lago dalle due angolazioni di oriente ed occidente, simboli della vita e della morte: qualche biografo ha letto già in questa modalità di nascita, un presagio della sua futura eccezionalità. A 7 anni riceve la tonsura (come nella più nobile tradizione di figlio cadetto; il fratello primogenito Federico, non il cugino più famoso, era destinato ad ereditare il nome e le ricchezze della famiglia); studia a Milano e a Pavia dove si laurea in diritto (una curiosità: tra tutti i documenti che ci lascia, non abbiamo la sua tesi dei laurea!), Grazie all'influenza degli zii e, soprattutto, di Gian Angelo Medici, poi Papa Pio IV., verrà chiamato giovanissimo a fargli da segretario a Roma. Nella sua veste, in quella sede, si occuperà veramente di qualsiasi cosa: dall'Arte all'Educazione, dall'architettura alla musica (conoscerà Michelangelo e Palestrina), dalla morte dei tanti componenti della sua famiglia al grande progetto del Concilio di Trento. E' contemporaneo dei grandi Santi del Cinquecento: Teresa d'àvila (1515-1582), Giovanni della Croce (1542-1591), Luigi Gonzaga (1568-1591 cui amministra la Santa Comunione, appena dodicenne, durante una delle sue visite pastorali a Màntova) Francesco Saverio (1506-1552), Filippo Neri (1515-1595: vivente in Roma nel periodo di Carlo in quella città). La sua spiritualità, benché sintesi delle varie eredità del suo tempo, non si distingue però per autonomia e originalità. Dà grande risalto ai Padri della Chiesa come Ambrogio e Agostino, Sant' Ignazio di Loyola e Tommaso d'Aquino. Ha lasciato quasi 70.000 lettere e 200 volumi di documenti all'Ambrosiana di Milano, eppure non è annoverato fra i Dottori della Chiesa (come Francesco d'Assisi) perché fu la sua azione di vescovo a rimanere incomparabile e immensa quasi a far prevalere l'azione sul pensiero, quel benedetto fare che ben incarna le sue origini lombarde. Il terzo periodo è proprio a Milano come vescovo della città. Aveva iniziato a governare Milano da Roma come purtroppo si usava in quei tempi, di essere cioè vescovo senza risièdere in città, e, ancora peggio, di essere titolare della città senza essere sacerdote. Carlo aveva però scelto l'ordinazione proprio a Roma; dopo la morte del fratello (lo ricordo ancora perché è una data importante per la svolta nelle scelte di vita di Carlo), lo zio Papa. avrebbe voluto esentarlo dal destino cui lo aveva chiamato fino a quel momento, per rafforzare la casata. Il 15 agosto 1563 invece si fece ordinare sacerdote con una Prima Messa quasi segreta sulla tomba di San Pietro e poi nella stanzetta privata di Sant'Ignazio di Loyola. Il mese che intervalla le due messe dà il tono delle due vite di Carlo, una sorte di conversione. Carlo ha trovato la sua strada, niente lo fermerà nell'azione che lo vedrà protagonista fin da subito. Il 7 dicembre dello stesso anno, giorno di Sant'Ambrogio, finito il Concilio di Trento, si fa ordinare Vescovo e il 12 maggio 1564 entra in Milano. E' il 120esimo vescovo della città; prima di lui ben altri 33 vescovi assùrgono alla dignità santa (per esempio San Gandino); dopo di lui Andrea Ferrari e Ildefonso Schuster. Poi due papi Achille Ratti e Montini poi Paolo VI (monsignor Scola sarà il 145esimo vescovo di Milano!). Lo stesso zio papa Medici, fu il suo predecessore in Milano. Fa inserire nello stemma la sola parola "humilitas", umiltà. Nei vent'anni della sua cattedra milanese, la diocesi conta (come indicato negli ACTA, la grande opera omnia che raccoglie tanti suoi scritti, del 1582): 800 parrocchie, 560.000 fedeli, di cui 180.000 in Milano, 2.000 luoghi di culto, 3.000 preti e 4.000 religiose, 100 monasteri maschili, 60 conventi femminili. La diocesi fu divisa in 12 circoscrizioni: 6 poste a Milano e 6 fuori. Diminuisce le Pievi; inaugura circa 100 nuove chiese e tutte quelle milanesi furono "maneggiate". Eleva il Santuario di Rho, di Caravaggio, costruisce il seminario di corso Venezia (uno dei più belli al mondo), la Collegiata di Pavia per gli studenti poveri, in onore della città dove aveva studiato. Si dice che assorbì il "genio del mattone" dallo zio papa che fece la stessa cosa per Roma. Spese più di 3 milioni di scudi per servire la sua Milano. In occasione della peste vendette argenteria e suppellettili varie per sostenere gli ammalati. Famoso è l'episodio che lo vide trasformare i tendaggi e i rivestimenti degli arredi della casa arcivescovile per vestire i sopravvissuti alla malattia a cui venivano bruciati gli abiti per impedire il contagio (così negli anni a seguire, le cronache descrivono il passaggio di poveri mendicanti vestiti di broccati porpora e oro, perla luminosa di quel gesto di Carlo!). Promuove i concili provinciali (il primo è del 1565, poi si faranno ogni 3 anni), riduce il numero delle parrocchie e dei vicariati mal funzionanti che trova durante le sue innumerevoli visite pastorali come auspicato nelle direttive del concilio. Fonda seminari, centri di rifondazione spirituale (l'ha fondato San Carlo). Gli Oblati di Sant'Ambrogio saranno detti poi anche Oblati di San Carlo, gli attuali diocesani, una cerchia di sacerdoti preparati e fedeli che saranno di esempio per tante diocesi nel mondo. La carriera di Carlo, iniziata senz'altro per la potenza della famiglia Medici e per il nepotismo dello zio papa, si trasforma in cammino di carità e santità proprio nei quasi 20 anni di episcopato milanese. Gli zii avevano iniziato la loro ascesa all'inizio del Cinquecento contribuendo alla cattura di Ludovico il Moro da parte dei Francesi di Luigi XII. Seguono 30 anni di guerre fra francesi e spagnoli, fino al 1535, definitivo insediamento degli spagnoli nel ducato di Milano. Carlo fu l'unico vescovo di Milano a proporsi come difensore anche dei diritti civili dei lombardi contro l'oppressore fino al moti dell'800 ! Per esempio, a Milano impedì l'applicazione dell'art. 13 che Pio V impose con l'Inquisizione Spagnola "se vuol cavare costrutto in questa città de gli ordini che egli manda". Ancora, contro l'uso della delazione attuato dal governatore spagnolo, Carlo anticipa di 2 secoli il paragrafo del Cesare Beccarìa nei Dei delitti e delle pene. Ne danno testimonianza fittissimi carteggi appositamente redatti. Nel 1582 pubblica il Calendario Ambrosiano in vigore ancora oggi. Inaugura la benedizione delle case in occasione del Natale dopo i fatti della peste nel 1577. Chiede che il suono delle campane dia l'annuncio dell'inizio e della fine delle celebrazioni eucaristiche. Fonda l'università delle arti di Brera; promuove i Monti di Pietà, gli Istituti per le ragazze povere (fu una sua passione quella di aiutare le ragazze povere: quando lasciò Roma, come gesto di omaggio alla città, per esempio, pagò 100 doti di 40 scudi a 100 ragazze che aveva scelto e seguito e lo fece non solo dando l'incarico a qualche segretario, ma occupandosene personalmente scegliendo per loro una veste nuziale abbinata al colore dei capelli e alla carnagione). Questi gesti di rispetto e tenerezza nei confronti delle donne smentiscono l'idea che Carlo abbia una fobìa per le donne (cito un paragrafo di Wikipedia!).
Certo, i biografi raccontano che quasi licenziò un servitore per avergli fatto trovare una prostituta nel letto pensando di fargli cosa gradita, come si usava a quei tempi (preti con perpetue incinte sull'uscio, vescovi e papi con prole, promiscuità accettate a lungo). Quando incontrava donne sia di rango che non, lo faceva sempre al cospetto di testimoni, per non incorrere in dicerie e per salvaguardare la loro dignità. Non certo perché avesse paura di loro. Tanto che sulla sua lapide in Duomo a Milano si legge: il cardinale di Santa Prassede implora dai fedeli preghiere per la sua anima, specialmente del devoto femmineo sesso". Muore il 3 novembre 1984, dopo il tramonto, pertanto secondo l'uso del tempo viene considerata la data del 4 novembre, di ritorno da un pellegrinaggio alla Sacra Sindone di Torino e dopo una sosta al Sacro Monte di Varallo per gli esercizi spirituali. Viene proclamato beato del 1602 e canonizzato il 1 novembre 1610 (dal 1 novembre 2010 infatti stiamo celebrando il Quarto centenario della canonizzazione come desiderato da Sua Eccellenza Tettamanzi). Viene implorato dai seminaristi, dai direttori spirituali; si invoca contro le malattie intestinali e dello stomaco; è patrono della Lombardia e del Cantòn Ticino. Nel 1910, Terzo centenario della canonizzazione, Pio X ne celebrò la memoria e lo zelo apostolico nell'enciclica Editae Saepe. Nel IV centenario della nascita 1938, Schuster indice l'anno giubilare dedicato a San Carlo. Papa Giovanni celebra una messa con rito ambrosiano in San Pietro con i 3.000 vescovi del Concilio Vaticano Secondo in onore della figura di Carlo vescovo. Giovanni Paolo II si dichiara figlio di San Carlo portandone il nome Karol per desiderio dei genitori (in Polonia era conosciuto e preso ad esempio fin dai suoi contemporanei).
Nel 1963, Montini crea a Milano l'Accademia di San Carlo. In occasione del Convegno Internazionale dal 21 al 26/5/1984, si radunarono a Milano studiosi di tutto il mondo col contributo di ben 40 relazioni scientifiche. Per tornare ai suoi scritti, abbiamo già detto che non lascia nessuna disputa senza documenti, sine lege. Ve n'è per tutti: per i preti, le parrocchie, i collaboratori, le associazioni, i colleghi vescovi, le famiglie nobili, i musicisti, gli architetti, gli artisti. Gli ACTA ECCLESIE MEDIOLANENSIS che fa stampare nel 1582 vengono considerate l'opera omnia di Carlo: riscuotono grande successo nelle diocesi di tutta Europa: in esse viene ribadito lo scheletro base su cui si deve basare la vita ecclesiale della diocesi: La recitazione delle preghiere: ROSARIO; momenti forti come le QUARANTORE La predicazione della PAROLA DI DIO L'educazione dei fanciulli con il catechismo, la scuola di dottrina e gli oratori Gli esercizi spirituali sulle tracce di Sant'Ignazio di Loyola. Uno dei suoi biografi, Baldassarre Quattrocchi, Prefetto dell'Ambrosiana, scrive che Carlo vive nel "secolo dell'autorità al plurale: Sua Maestà Cattolica, Conti-Duchi-Viceré-Governatori, Infanta, Senato, Giunti, Decurioni. Poi i titoli: Eccellentissimo, Magnifico, Reverendissimo, e, poi, per le Accademie: Dottissimo, Chiarissimo. E' il secolo del superlativo e dello sfarzo. Che non è però vera ricchezza ma paludamento che copre povertà endemiche, incapacità di produrre, povertà che ha vergogna di comparire. Le Autorità cancerose, proliferanti, prendono il posto dell'Autorità della Legge. Le leggi non mancano, crescono a dismisura, anzi non si capisce bene per chi e perché siano fatte ... stupiscono per la loro puntigliosità". Per questa ragione Carlo si circonda di collaboratori fidati, distinti; devono avere dottrina, volontà di riformare partendo da se stessi, devono desiderare la perfezione, devono essere disponibili alla rinuncia e non ultimo avere una buona salute per sostenere i ritmi a loro imposti dal vescovo. Nell'ambiente si assiste ad una vera e propria fuga di cervelli. Carlo Bascapé, pluri-laureato, dottissimo, è uno di questi fidati che Carlo trasforma in ecclesiastico invitandolo a "diventare uomo nuovo". Rimarrà con lui fino a chiudergli gli occhi "e là rimanga sepolto anche il mio cuore". Pubblicherà otto anni dopo la prima biografia e sarà il più autorevole e instancabile promotore della sua canonizzazione. Il Barnabita Giorgio Asinari, semplice, bizzarro, umano, è invece il simbolo della simpatia di Carlo verso quell'ordine (i barnabiti conservano di Carlo il letto, una poltrona e una maschera funebre). Così come le Angeliche (sorelle spirituali dei barnabiti) conservano un volumetto su cui Madre Agata Sfondrato, stenografò le conversazioni di lui tenute alla Comunità. Sono i contributi più belli e sensibili del pensiero pedagogico di Carlo: fermo, per prevenire; autorevole, per indirizzare; sollecito, per far sentire la scelta della Croce. L'uomo nuovo, non solo in senso paolino, ma inserito nelle intempèrie della storia. E il metodo lo si giudica dai risultati. Chiamerà i Gesuiti e non la Compagnia di Gesù per gestire i seminari. Con ogni ordine si comportò con cautela e fermezza (basti ricordare la questione con gli Umiliati), fino a maturare il desiderio di fondare gli oblati. "Delle cose che si hanno da insegnare, il maestro habbia cura di insegnare ai suoi scolari non solamente la lezione corrente nel libretto, ma molto di più l'istruirà nelle virtù et buon costume, acciò s'impari un vero vivere cristiano, che consiste in alcune cose principali". Così Agostino nel suo "De catechizandis rudibus" (per i contadini e peccatori africani) sottolineava che tra tutti i mirabili Dei della storia della salvezza, ve ne sono di mirabiliora; sono alcune "cose principali" il molto più della concezione pedagogica carolina: il rapporto prassi teoria.
I DOCUMENTI CAROLINI - Le lettere di S. Carlo: circa 70.000 di cui 30.000 raccolte in 20 volumi nella Biblioteca Ambrosiana e catalogo a cura della biblioteca di San Carlo Borromeo, ordinate dal Sala, presto disponibili in Internet; Verbali processi di canonizzazione. Ancora importanti sono i LUOGHI di San Carlo: Isola Bella - Famiglia Borromeo Biblioteca Ambrosiana con 70.000 pezzi, Archivio della Curia Arcivescovile di Milano, Archivio di Stato di Milano, Archivio del Vaticano (compreso l'archivio segreto), Biblioteca viscontea Archivi e biblioteche d'Italia, Francia, Spagna, Inghilterra, Polonia, Svizzera), Sedi confraternite e ordini religiosi, Archivi privati famiglie nobili (Mantova, Bologna, Firenze, Siena, Pesaro, Assisi, Torino), Archivi delle parrocchie da lui visitate, Pavia.
Al termine di questo percorso, ne ho tratto un San Carlo diverso e di struggente malinconia fin da giovane perché non si confà ai costumi dei suoi contemporanei: "Soltanto i diversi possono riformare la società e farla progredire. Chi per il quieto vivere si omologa al pensiero debole ma diffuso non è destinato a guidare la Storia ma a subirla". Il pittore Hendrik von Loon lo disegna in un quadro che si intitola Il Progresso: in una sinuosa e difficile valle stretta fra due dirupi scoscesi cammina l'umanità; in coda una massa informe avanza affaticata; nel mezzo un gruppo di uomini che si volta indietro; davanti, a fare da avanscoperta, pochi solitari lontani e, tra di loro, v'è San Carlo. La santità prevale talmente sull'umanità di Carlo fin quasi a schiacciarla. I biografi ancora non hanno sviscerato l'argomento, epigono di un certo ascetismo medievale, ma ebbe compassione di se stesso.
Difese però l'autorità episcopale superando la propria tendenza all'umiltà, fino ad apparire "sostenitore della ierocrazia" (governo dei prelati). Ma la santità vale in quanto santità, non importa il cammino che si percorre per arrivarci. Può destare meraviglia che la spiritualità di San Carlo non sia legata a nessuna scuola particolare pur essendone entrato in contatto con tante; nessuna divenne normativa per la sua pietà personale. Prendeva il bene dappertutto, come faceva con le persone. Fù un vero radicalista evangelico, cristocentrico, basato su Eucarestia e Crocefisso ("si era fatto costruire una cella sopra le stanze del suo palazzo, come un pertugio verso il cielo; in quell'angolo si ritirava spesso anche di notte in preghiera e a meditare.")
Come possiamo imitare e ricopiare le virtù e i costumi di Cristo se non osserviamo la di lui vita e la di lui morte?" San Carlo saltò ogni mediazione umana per riferirsi direttamente a Gesù Cristo: ne ascoltò la voce e restò al suo cospetto, si immerse nei suoi sentimenti e ne imitò le azioni: la carità pastorale divenne a Milano l'essenza della sua santità e la cifra del suo talento. Si definì "parroco della diocesi": bruciato nell'intimo da uno zelo monumentale, percorse le sue terre per ascoltare, istruire, consolare, per "ridestare l'assopita pietà" perché "ciò che sempre dovrebbero avere a cuore non ruminano, non considerano". Alla fine della terribile Peste, nel 1579, Carlo scrive I Ricordi per i milanesi: 10 raccomandazioni per superare le difficoltà: Nelle avversità non ti perdere d'animo, né ti contristare; anzi ti devi rallegrare perché questa è la diritta strada del paradiso et uno dei buoni segni che può haver l'huomo della sua salute e del suo progredire spirituale". La nobiltà dei suoi natali furono un dono e una grazia e anche le sue virtù brillarono con maggior splendore rassomigliando ad una pietra preziosa perché mi è lecito chiudere ammirando non solo la sua nobiltà bensì la sua aristocrazia spirituale. Il suo fare si diramò nel mondo come le foglie e i rami dei suoi amati arbori, gli innumerevoli appunti che preparava per i discorsi e le omelìe dove su un'idea dominante (il tronco) sviluppava le ramificazioni del suo pensiero, folto e ricco e consolante che è un piacere ascoltarlo e non certo noioso. E, ricordando le parole di Testori, San Carlo ci dà una lezione di cattolicità forte e potente, dura e intrepida, compagna e maestra perché testimonianza di pietà e carità, di fede e sapienza, per accettare e rivelare la cenere e il nulla che siamo, per costruire una storia che sia una storia di uomini di fede, una società che sia una società di valore, e, soprattutto, un uomo che, guidato dalla gran mano del Padre, ben più grande di quanto non sia la mano del san Carlone, quella che, da secoli, benedice il lago della sua nascita, tenti persistentemente di essere uomo, cioè figlio e fratello per quel "Fate questo in memoria di me".
Tra i Primi Biografi si segnalano: Valier, vescovo di Verona che scrive di Carlo già nel 1587 - Vita Caroli Borromei. Bonòmi, collaboratore intimo di Carlo che scrive nel 1587; Agostino Possevino, umanista e segretario di Carlo che scrive nel 1591 Discorsi della vita et attioni di Carlo Borromeo; il già citato Carlo Bascapé con Vita e opere di Carlo arcivescovo di Milano cardinale di Santa Prassede, disponibile nella ristampa del 1983, tradotta, con numerose e preziose note, e accurata bibliografia, oltre a un indice di persone e luoghi. Giussani Istoria della vita, virtù, morte e miracoli di Carlo Borromeo, nel 1610, annotato da Oltrocchi - Angelo Paredi e Sala; M.A. Grattarola, Successi meravigliosi della venerazione di San Carlo Borromeo - Milano, 1614 e aggiungerei, tra le tante successive, quella di Carlo Marcora, (ben conosciuto dagli agostiniani cassaghesi). Il processo diocesano informativo sulla vita di san Carlo Borromeo, riproduzione integrale e annotata del manoscritto, della Biblioteca Ambrosiana in Memorie storiche della diocesi di Milano, volume IX, 1962. Diario di un popolàno milanese durante la peste del 1576 in Archivio storico lombardo, Milano, 1887; Nella Storia di Bergamo Papa Giovanni XXIII raccolse tutti i materiali delle visite pastorali di Carlo nei territori bergamaschi in 3 volumi in Gli atti della visita apostolica di san Carlo Borromeo a Bergamo, 1936-38; storia della Chiesa, Pastori Storia dei Papi - Roma, 1921-25 Bendiscioli L'età della Riforma cattolica volume 1559-1630 tomo X -Milano, 1937

di Elena Rigamonti

AUDIO BIBLIOGRAFIA - SAN CARLO BORROMEO

CLEMENTE VIII

Clemente VIII, nato Ippolito Aldobrandini (Fano, 24 febbraio 1536 - Roma, 3 marzo 1605), fu Papa dal 1592.

Ippolito Aldobrandini nacque a Fano il 24 febbraio 1536 (alcuni sostengono nel 1535). Compì i suoi studi nelle città di Padova, Perugia e Bologna dove si laureò in giurisprudenza. Essendo un ottimo giurista fu nominato avvocato concistoriale e uditore di Rota. Nel 1585 fu nominato cardinale e l'anno dopo fu inviato come legato in Polonia. Il 30 gennaio 1592 il cardinale Aldobrandini fu eletto Pontefice dopo un conclave durato circa un mese, con i voti dei cardinali oppositori alla Spagna, e venne consacrato il 2 febbraio. Egli si impegnò subito nel tentativo di attuare una riforma del cattolicesimo in tutti i paesi. L'evento più importante del suo regno fu la riconciliazione con la Francia, dopo lunghe trattative in cui mediarono importanti delegati della Repubblica di Venezia ed il cardinale D'Ossat. Il 15 agosto 1592 con la bolla Pro commissa nobis istituì la Congregazione del Buon Governo, per controllare più da vicino le amministrazioni dei comuni pontifici. Il 25 luglio 1595 avvenne il riconoscimento ufficiale come re di Enrico IV di Francia, che due anni prima aveva abbracciato il cattolicesimo; tale evento contrastò il predominio del protestantesimo in Francia. L'Europa deve molto a questo Papa per la Pace di Vervins, che il 2 maggio 1598 pose fine alla lunga contesa tra Francia e Spagna, riportando i confini dei due stati a quelli stabiliti nel trattato di Cateau-Cambrésis del 1559. Nel 1599 ci fu la condanna dei Cenci con la decapitazione di Lucrezia, Beatrice e Giacomo, accusati dell'omicidio del padre Francesco Cenci. Clemente inoltre pose a compimento l'annessione di Ferrara agli Stati Pontifici, successivamente all'estinzione della famiglia d'Este; questa fu l'ultima importante aggiunta ai domini temporali dei Papi. Aver arso vivo Giordano Bruno il 17 febbraio 1600, è una macchia su un pontificato altrimenti esemplare; l'altra ventina di eretici bruciati durante il regno di Clemente VIII furono infatti tutti preventivamente uccisi per impiccagione o decapitazione. Clemente fu un abile governante ed un saggio statista. Lo scopo generale delle sue politiche fu quello di liberare il Papato dalla sua non dovuta dipendenza dalla Spagna. Le conferenze per determinare le questioni sulla grazia e il libero arbitrio, che venivano dibattute tra Gesuiti e Domenicani, ebbero inizio sotto il suo pontificato, ma egli si astenne saggiamente dal prendere una decisione in merito. Morì nel marzo 1605, lasciando un buon ricordo per la sua prudenza, munificenza e capacità negli affari. Il suo pontificato fu caratterizzato inoltre dal numero e dalla bellezza delle medaglie che furono coniate. Gli appassionati del caffè sostengono che la diffusione e la popolarità della bevanda, agli inizi del XVII secolo, si deve all'influenza di Clemente.(Importato e Diffuso in Italia dai Principi di Santacroce Famiglia Romana ). Pur con le pressioni dei suoi consiglieri che volevano che dichiarasse il caffè una bevanda del diavolo, a causa della sua popolarità tra i musulmani del Medio Oriente, egli dichiarò che, "Questa bevanda del diavolo è così buona... che dovremmo cercare di ingannarlo e battezzarlo." Non è chiaro se la storiella sia vera o meno. È documentato, peraltro, che il suo medico personale Andrea Cesalpino, il quale era anche botanico, fu il primo occidentale a descrivere nelle sue opere la pianta del caffè.

BEATRICE CENCI

Beatrice Cenci (Roma, 12 febbraio 1577 – Roma, 11 settembre 1599) fu una giovane nobildonna romana giustiziata per parricidio e poi assurta al ruolo di eroina popolare. Biografia - Figlia del conte Francesco Cenci, uomo violento e dissoluto, e di Ersilia Santacroce, dopo la morte della madre, nel giugno del 1584, insieme con la sorella maggiore Antonina fu mandata, all'età di 7 anni presso le monache francescane del Monastero di Santa Croce a Montecitorio. Ritornata a quindici anni in famiglia vi trovò un ambiente quanto mai difficile e fu costretta a subire le angherie e le insidie del padre che, poco dopo, nel 1593, sposò, in seconde nozze, la vedova Lucrezia Petroni dalla quale non ebbe figli. L'esilio a Petrella - Francesco, oberato dai debiti, incarcerato e processato per delitti anche infamanti, condannato due volte per "colpe nefandissime" al versamento di somme rilevanti, pur di non pagare la dote di Beatrice, volle impedirle di sposarsi, e decise nel 1595 di segregarla, insieme con la matrigna Lucrezia, a Petrella Salto, in un piccolo castello del Cicolano, chiamato la Rocca, nel territorio del Regno di Napoli, di proprietà della famiglia Colonna. In quella forzata prigionia crebbe il risentimento di Beatrice verso il padre. La ragazza tentò anche, con la complicità dei domestici, di inviare lettere di aiuto ai familiari ed ai fratelli maggiori ma senza alcun risultato. Una delle lettere arrivò nelle mani del conte provocandone la dura reazione: Beatrice fu brutalmente percossa. Nel 1597 Francesco, malato di rogna e di gotta, per fuggire alle richieste pressanti dei creditori, portando con sé i figli minori Bernardo e Paolo, si ritirò a Petrella e le condizioni di vita delle due donne divennero ancora peggiori. Il 9 settembre 1598 il corpo di Francesco fu trovato in un orto ai piedi della Rocca di Petrella. Dopo le esequie il conte fu sepolto in fretta nella locale chiesa di Santa Maria. I familiari, che non parteciparono alle cerimonie funebri, lasciarono il castello e tornarono a Roma nella dimora di famiglia, Palazzo Cenci, nei pressi del Ghetto. La decapitazione delle due donne fu eseguita con la spada. La prima ad essere uccisa fu Lucrezia, seguì poi Beatrice ed infine Giacomo: seviziato durante il tragitto con tenaglie roventi, mazzolato e poi squartato.Il corpo della giovane, come lei stessa aveva richiesto prima di morire, fu sepolto in un loculo davanti l'altare maggiore di San Pietro in Montorio, sotto una lapide priva di nome, secondo la norma prevista per i giustiziati. La confisca dei beni - Dopo l'esecuzione, le proprietà della famiglia Cenci furono confiscate dalla Camera Apostolica e vendute all'asta per 91.000 scudi, cifra che parve inferiore al loro valore reale. La maggior parte dei beni, tra i quali la grande tenuta di Torrenova, settemila ettari ed un castello nell'Agro Romano, fu acquistata da Gian Francesco Aldobrandini, nipote del papa. Il procedimento innestò una lunga serie di cause legali promosse dai superstiti della famiglia con parziali restituzione di beni. La confisca, inoltre, rese vane le disposizioni testamentarie di Beatrice che aveva deciso consistenti lasciti in favore di varie istituzioni religiose.

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Dario Fo La Roma di Caravaggio

PAPA-URBANO VIII

Biografia di Urbano VIII. Maffeo Barberini era il quinto dei sei figli di un ricco mercante fiorentino. Come molti rampolli di famiglie doviziose, studiò presso i gesuiti prima, e presso il Collegio Romano poi. Trasferitosi a Pisa conseguì la laurea in giurisprudenza così come era desiderio della famiglia.A soli venti anni entrò, come avvocato, nell'amministrazione dello Stato Pontificio ove svolse una lunga e prestigiosa carriera, coronata anche dall'incarico di Nunzio apostolico a Parigi. All'età di 38 anni, ovvero nel 1606, ricevette la berretta cardinalizia da Papa Paolo V, che gli fu imposta addirittura dalle mani di Enrico IV, re di Francia. Morto lo zio che, da giovane, lo aveva ospitato a Roma, ne ereditò il cospicuo patrimonio, con il quale acquistò un prestigioso palazzo, arredandolo in maniera estremamente sfarzosa, sullo stile rinascimentale, lussuoso a tal punto da diventare il personaggio più in vista e importante di Roma.Il suo atteggiamento neutrale gli fu di aiuto per la sua elezione. Il Pontificato del Barberini si aprì quando la guerra dei trent'anni era in pieno svolgimento. Le operazioni belliche erano, infatti, già iniziate da ben cinque anni e si stava per concludere il cosiddetto "periodo boemo-palatino" con la sconfitta dei protestanti, la vittoria degli imperiali e l'esilio di Federico V, principe elettore del Palatinato.Stava anche per iniziare il "periodo danese" che vedeva uno schieramento di alleanze alquanto diverso da quello che aveva caratterizzato il precedente periodo. La Francia, infatti, non era più nelle mani della "reggente" Maria de' Medici, ma in quelle del potente cardinale Richelieu, primo ministro di Luigi XIII. Il Richelieu, pur cattolico, non intendeva più appoggiare il cattolicissimo Impero asburgico, onde evitare un nuovo accerchiamento come ai tempi dell'Imperatore Carlo V. Facendo, quindi, prevalere la ragion di stato, si schierò dalla parte dell'alleanza tra l'Inghilterra, l'Olanda e la Danimarca, in funzione antiasburgica. La qual cosa significava l'appoggio della Francia ai prìncipi luterani, con la conseguenza della fine di ogni possibilità di restaurazione cattolica in Europa. Urbano VIII, ritenendo che la guerra in Europa si combattesse ancora per fini di religione, si era schierato con la Francia ancor prima che il Richelieu decidesse di schierarsi contro l'Impero. Questo errore di valutazione politica e strategica ebbe come conseguenza la perdita di credibilità della figura del Papa come arbitro delle controversie internazionali.L'errore fondamentale del Barberini stava nel fatto che, invece di proporsi come arbitro delle controversie religiose, egli tentò di proporsi come arbitro delle controversie politiche tra gli Stati in lotta, autoproclamandosi, in tal modo, egli stesso come uno Stato al di sopra degli Stati. Non si era reso conto che lo Stato Pontificio, con lo scoppio della guerra dei trent'anni, ormai contava ben poco.Nel 1627 con la costituzione apostolica Debitum istituì la Congregazione dei Confini per provvedere alla difesa dello Stato Ecclesiastico, impedendo ogni cessione illegale, risolvendo ogni vertenza giurisdizionale interna o con gli stati esteri limitrofi e cercando di riacquisire i territori ingiustamente perduti.Una vicenda alquanto sensazionale lo vide impegnato nella impresa della riconquista del ducato di Castro e Ronciglione, che in quel momento era nelle mani di Odoardo Farnese. Il ducato di Castro, ubicato alle porte di Roma, era stato assegnato da papa Paolo III (Alessandro Farnese) ai nipoti, unitamente a notevoli privilegi fiscali. Ma Urbano VIII aveva in odio la famiglia Farnese, per cui intendeva impadronirsi del ducato per sostituirsi ad essa. Approfittando del fatto che i Farnese in quel momento erano fortemente indebitati presso alcuni banchieri romani, il Papa confiscò tutti i loro beni e dichiarò loro guerra. Il ducato di Castro fu occupato nel mese di ottobre del 1641; successivamente Odoardo Farnese fu scomunicato e il Pontefice lo dichiarò decaduto da tutti i diritti di proprietà e sovranità, minacciandolo di privarlo anche del ducato di Parma e Piacenza. Fallito ogni tentativo di giungere ad un accordo, il Papa dichiarò che il ducato di Castro era possedimento della Chiesa e la famiglia Farnese ne aveva usurpato il titolo. L'atteggiamento del Papa su questa vicenda, però, indusse gli altri principi italiani a guardare con sospetto la posizione del Pontefice. Costui, infatti, se fosse venuto in possesso anche del ducato di Parma e Piacenza, avrebbe costituito una potenziale minaccia all'integrità territoriale degli Stati dell'Italia del Nord, soprattutto perché Urbano VIII era appoggiato dalle armi francesi. Odoardo Farnese, presa coscienza di avere l'appoggio di tutte le signorie dell'Italia del Nord, e ottenuta l'alleanza di Firenze e Venezia, allestì un piccolo esercito, alla testa del quale marciò verso Roma, dando inizio ad una vera e propria guerra che andò avanti, con alterna fortuna, per ben quattro anni. Le operazioni militari ebbero termine soltanto a causa dell'esaurimento delle finanze da parte di tutti i belligeranti. Nel 1644 si raggiunse un accordo di pace che vide non solo la revoca della scomunica da parte del Papa, ma anche la restituzione del ducato di Castro al Farnese. Si era consumato, in tal modo, un altro fallimento della politica di Urbano VIII. Sul piano dei rapporti internazionali, come detto, il papato di Urbano VIII si svolse tutto in contemporanea alle vicende legate alla Guerra dei trent'anni, di cui il Pontefice non riuscì a vedere la conclusione. Affondò ulteriormente la frattura tra cattolici e protestanti schierandosi contro l'Impero, così che l'Imperatore Ferdinando II d'Asburgo, dopo aver firmato il ben noto "Editto di restituzione" mediante il quale restituiva alla Chiesa cattolica le sedi ecclesiastiche sottratte ai protestanti, iniziò a nominarne i vescovi, nonostante il netto rifiuto papale ad autorizzarlo in una tale pratica, del quale l'Imperatore non tenne alcun conto. L'autorità papale ne uscì umiliata e il Barberini non si oppose a questa decisione. Anche re Gustavo Adolfo di Svezia, sebbene alleato del Papa contro l'Imperatore, si ribellò alle richieste papali rifiutandosi di consegnare al Pontefice i vescovadi sottratti ai protestanti nella Germania del Nord durante la guerra. Papa Urbano VIII si oppose blandamente al giansenismo proibendo ogni disquisizione sul tema della grazia e su quello del libero arbitrio, rinviando i contenuti a quanto aveva stabilito al riguardo il Concilio di Trento, ma non applicò mai condanne. Durante il suo pontificato, il Barberini attinse a mani basse nelle casse dello Stato, sia per favorire i suoi familiari cui concesse cospicue donazioni consentendo arricchimenti scandalosi e illeciti e sia per realizzare i numerosi interventi edilizi, civili e militari, che caratterizzarono il suo ventennio sulla cattedra di Pietro. Ciò comportò un dissanguamento delle finanze dello Stato che impose il ricorso a numerose ed elevate tassazioni esclusivamente verso il popolo, facendo salvi i privilegi della classe nobiliare e del clero. Il malcontento popolare crebbe a tal punto che il Papa dovette far ricorso ad interventi alternativi per accontentare i suoi sudditi, riesumando vecchie abitudini festaiole cadute in disuso da anni per effetto della Controriforma e dell'Inquisizione. Ripresero le pubbliche feste, la caccia e le rappresentazioni teatrali, con l'effetto di peggiorare la finanza dello Stato. Concesse persino al clero, al livello delle più alte cariche ecclesiastiche, di abbandonarsi ad atteggiamenti dissoluti e prodighi, pur di accattivarsene le simpatie. Lo stesso Urbano VIII fu del resto sospettato di avere un'amante e addirittura di praticare la pedofilia: nel 1634 fece allontanare da Roma un funzionario pontificio che pare avesse sorpreso il papa in comportamenti intimi con un bambino. Malgrado la rigida censura, fioccarono su di lui numerosissime Pasquinate. Durante il suo pontificato convocò otto concistori, nel corso dei quali procedette alla nomina di ben 74 cardinali. Tra essi figuravano Francesco Barberini e Antonio Barberini, rispettivamente nipote e fratello del Papa; Giovanni Battista Pamphili, Patriarca titolare di Antiochia che venne poi eletto Papa il 5 settembre 1644 col nome di Innocenzo X; Antonio Barberini, altro nipote del Papa; Lorenzo Magalotti, cognato del Papa; Ascanio Filomarino, Arcivescovo di Napoli; Marco Antonio Bragadin, Vescovo di Vicenza. Elevò agli onori degli altari molti santi, tra i quali ricordiamo Francesco Saverio, Filippo Neri, Luigi Gonzaga e Ignazio di Loyola; beatificò Maria Maddalena de' Pazzi. L'epilogo Il Pontefice si spense il 29 luglio 1644. La Basilica di San Pietro raccoglie le spoglie mortali di Urbano VIII in un monumento funebre realizzato da Gian Lorenzo Bernini in bronzo e marmo, commissionatogli dallo stesso Papa. Roma barocca La Basilica di San Pietro a Roma, centro della Cristianità.Probabilmente il merito maggiore di Urbano VIII è ascrivibile agli interventi edilizi che caratterizzarono tutto il suo pontificato e che furono affidati agli artisti più eccelsi della sua epoca, anche se le opere volute dal Papa furono realizzate a danno di altre monumentali opere che erano pervenute a lui, pressoché intatte, sfidando per secoli l'incuria degli uomini e l'inclemenza del tempo.Il baldacchino in bronzo sull'altare maggiore al centro della crociera della Basilica di San Pietro, opera del Bernini, è, forse, la più alta espressione della scultura barocca. Nei bassorilievi che ornano la scultura (otto stemmi della famiglia Barberini), l'artista volle rappresentare la Mater Ecclesia con un doppio volto, la sofferenza della partoriente e la gioia del bimbo che si affaccia alla vita: in effetti l'ispirazione diretta per le figure fu data a Bernini dal laborioso parto di una nipote del papa, Giulia Barberini, la progressione del quale viene riportata in modo eccezionalmente naturalistico, a partire dalla figura dell'angolo di sud-est, via-via fino al felice epilogo della gioiosa figura dell'angioletto nell'angolo di nord-est. Nel 1621, dopo ben 170 anni di lavori, ebbe a consacrare la nuova Basilica di San Pietro, ancorché incompleta nei suoi ornamenti interni, così come era stata configurata da Michelangelo.Oltre a Gian Lorenzo Bernini, Urbano VIII affidò la realizzazione di numerose opere anche ad altri prestigiosi artisti, quali Andrea Sacchi, Pietro da Cortona, Gasparo Mola e Carlo Maderno, al quale ultimo si deve la sistemazione del palazzo apostolico di Castel Gandolfo, come lo vediamo ancora oggi.Fu costruita la Biblioteca Barberini nella quale furono raccolti numerosi e preziosissimi manoscritti; il Palazzo Barberini ai piedi del Quirinale, il Palazzo c.d. di Propaganda Fide, la fontana del Tritone e numerose Chiese. In campo militare procedette al potenziamento di Castel Sant'Angelo, fece fortificare l'intera città di Castelfranco e trasformò il porto di Civitavecchia in un vero e proprio porto militare.Come detto, queste opere furono, però, realizzate attingendo i materiali da altre opere che erano pervenute al Barberini sfidando i secoli. Tutti i bronzi del Pantheon, ad esempio, sia quelli delle travi dell'atrio che il rivestimento interno della cupola, furono rimossi, nuovamente fusi e riutilizzati per i cannoni di Castel Sant'Angelo e per il Baldacchino in San Pietro. Inoltre, tutti i marmi del Colosseo furono riutilizzati per abbellire i palazzi romani e le pietre furono utilizzate addirittura per costruire nuovi palazzi. In altri termini, il Colosseo fu utilizzato come cava di materiali da costruzione. Questo scempio fece esclamare a Pasquino: Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini ("Ciò che non fecero i barbari, lo fecero i Barberini"). Il poeta Fin da giovane si era dilettato a comporre versi, in latino e in volgare. Anche da papa continuò in questa sua attività, tant'è che nel 1637 diede alle stampe una raccolta di sue composizioni sottoscrivendosi, però, semplicemente come Maphei Cardinalis Barberini; ma si impegnò, invece, a divulgarla facendo ricorso al suo potere di capo della Chiesa.Si circondò di poeti con cui era entrato in rapporti di amicizia - come ad esempio Gabriello Chiabrera (uno dei principali lirici del Seicento), Giovanni Ciampoli o Francesco Bracciolini - intelligente sperimentatore di forme poetiche e inventore, assieme ad Alessandro Tassoni, del poema eroicomico. Il Bracciolini celebrò l'ascesa del Pontefice al soglio con il poema "L'Elettione di Urbano Papa VIII" (1628), in 23 canti. Ebbe rapporti particolarmente stretti con due gesuiti stranieri, Giacomo Balde, alsaziano e Casimiro Sarbiewski, polacco, la cui collaborazione nel rifacimento degli inni del suo Breviario romano, produsse soltanto un perfezionamento formale con un notevole impoverimento dei contenuti. Urbano VIII non fu l'unico Papa-poeta. Era stato preceduto, anni addietro, da Leone X. Come il Medici, anche il Barberini amava circondarsi di poeti e menestrelli che allietavano le giornate del Pontefice soprattutto nel periodo estivo, allorquando la corte si trasferiva nel palazzo apostolico di Castel Gandolfo. Chiamò a Roma e diede loro asilo e protezione anche altri artisti, come Athanasius Kircher, erudito di multiforme ingegno, Giovanni Girolamo Kapsberger, musicista e virtuoso della tiorba, e i pittori Claude Lorrain, lorenese e Nicolas Poussin, francese.

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L'eresia vaticana. San Pietro, tempio ermetico del Sole - Sandro Zicari

LE COLLEZIONI DELLA GALLERIA DI ARTE ANTICA DI PALAZZO BARBERINI

Il progetto di palazzo-villa realizzato da Carlo Maderno (1556-1629) per Palazzo Barberini è davvero rivoluzionario: comprende le due funzioni di abitazione e di rappresentanza della villa suburbana con giardini e prospettive aperte. Alla sua morte gli subentrò Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) che realizzò, tra l'altro, lo scalone quadrangolare, ispirato da quello cinquecentesco di Iacopo Barozzi detto il Vignola (1507-1573). Alla realizzazione del Palazzo presero parte anche Francesco Borromini (1599-1667), Pietro Berrettini da Cortona (1596-1669), Andrea Sacchi (1599-1661). Palazzo Barberini è la sede della Galleria Nazionale di Arte Antica, museo interamente restaurato. Al piano terra si ammirano pitture dal XII secolo al Quattrocento (riaperto nel 2010), al primo piano il Cinquecento e il Seicento fino ai Caravaggeschi e agli Emiliani (riaperto nel 2010), al secondo piano il tardo Seicento, il Settecento romano fino al Neoclassicismo (riaperto nel 2011).Nel 2011 è stata inaugurata nel Palazzo anche l'area adibita a mostre temporanee.

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IL DAVID DI GIANLORENZO BERNINI

Il David è una scultura in marmo alta un metro e settanta realizzata a Roma da Gian Lorenzo Bernini tra il 1623 e il 1624. Quando riceve l’incarico di scolpire il David dal cardinale Scipione Borghese, l’artista ha venticinque anni; nello stesso periodo gli vengono commissionate anche le sculture di Enea e Anchise, il Ratto di Proserpina e Apollo e Dafne. Bernini rappresenta il David nel momento in cui l’eroe biblico, armato solo di una fionda, affronta il gigante Golia. A terra si trovano l’armatura e l’arpa di David, sulla quale è ben visibile una testa d’aquila, simbolo della dinastia dei Borghese. Il David di Bernini si inserisce in una consolidata tradizione iconografica: già nel rinascimento, Donatello, Verrocchio e Michelangelo scolpiscono l’eroe biblico. Il David rinascimentale viene immortalato in posa eretta, immobile, meditativo, consapevole della propria virtuosa superiorità. Contro ogni precedente tradizione Bernini cerca invece di catturare il movimento e scolpisce David durante lo sforzo fisico della lotta: la muscolatura tesa e il torace incurvato fissano la scena nel marmo restituendo una rappresentazione di stupefacente istantaneità. Nella particolare torsione del busto si riconoscono i modelli da cui Bernini, probabilmente, trae ispirazione: il Discobolo di Mirone e il Polifemo di Annibale Carracci. La composizione scultorea è pensata per essere guardata da diverse angolazioni in modo da cogliere lo slancio rotatorio e i complessi elementi dinamici della figura. Osservando la statua da destra si ha l’impressione dello sbilanciamento del peso di David su una gamba nell’atto di caricare il colpo di fionda. Frontalmente la scena appare invece quasi congelata: è il gesto decisivo, quello che precede lo scatto violento del lancio della pietra. L’immobilità rende al meglio il momento di massima tensione, ovvero quell’attimo sospeso tra i due movimenti contrapposti del corpo che si carica e del suo successivo rilascio. Nel volto di David, dalla fronte corrucciata e dalle labbra serrate, pare che Bernini abbia riprodotto il proprio volto, una sorta di autoritratto in cui l’espressione di fatica dell’eroe è l’immagine dello sforzo dello scultore mentre vince la durezza del marmo. Un aneddoto vuole che sia il Cardinale Maffeo Barberini, il futuro Papa Urbano VIII, a sorreggere lo specchio in cui Bernini si vede riflesso durante il lavoro. Il David di Bernini si trova a Roma nella Galleria Borghese

 

Monumenti dello Stato pontificio e relazione topografica di ogni paese Giuseppe Marocco - 1836
... ed intelligenza dal giovane romano Luigi Quattrocchi , assistito dall' illustre professor suo cavalier Silvagni .

Due sono le strade che vi conducono , la più bella è quella che incomincia dalla piazza , un'altra dalla porta detta Romana per la quale passava allora, il Principe, che vi giungeva rimanendo da un lato il fabricato delle stalle, che può dirsi per sua imponenza degno di Roma. In somma il tutto fu eseguito con magnificenza. Unito a questo superbo edificio, che francamente può dirsi unico . In tutti questi contorni sta un Tempio elegante intitolato alla Vergine Santissima e detto di Santa Maria Maggiore , di ovale figura con bizzarra cuppola a luce , perchè schiacciata , ma schiacciata magistralmente , e con una maniera idonea a cozzare con più secoli avvenire ; Da due uguali torri campanarie è il prospetto del tempio stesso accompagnato di un atrio ristretto , ma convenevole , vagamente decorato. Un organo eccellente accresce lustro a questo tempio , ma l'orchestra non è totalmente perfetta , sebbene "di gradevole disegno , e vedisi il coio a dieciasette stalli. Resta la Chiesa medesima assai bene illuminata , con molta decenza e pulitezza mantenuta , e fervorosamente viene ogni giorno ufficiata. Papa Urbano VIII la eresse in Collegiata. Ecco a breve delli 15 Marzo 1638, nell'istesso breve dicendo il suo Tempio di competente struttura. Allora veniva ufficiata da sette Canonici , ed ora il numero di essi è giunto a dieci, essendovi compresa la dignità Arcipretale. Venne consagrato li 27 Maggio dell'anno 1703 da Monsignore Pietro Corbelli Vescovo Signino. I quadri degli altari sono di buoni pennelli. Il S. Francesco si dice del Pozzi d'una espressione la più interessante contemplando il crocifisso, di cui la croce viene in alto da un angelo sollevata, ed un altro angelo appoggia il Serafico Patriarca intento nel suo divino Signore. Vi è più. sotto il Taumaturgo Padovano, sopra il capo del quale lo stesso s. Francesco tiene poggiata la destra. E' vaga la distribuzione delle figure ed il colorito corrisponde. Al medesimo altare si venera Santa Filomena in una picciola tela dipinta con molta morbidezza , ed intelligenza dal giovane romano Luigi Quattrocchi , assistito dall' illustre professor suo cavalier Silvagni . Il quadro di San Benedetto è superbo, si giudica dipinto da Ciro Ferri. Vi sono pitture di Giacinto Brandi, e di Agostino Scilla . Il Cavaliere Sebastiano Conca dipinse per questa chiesa i due quadri che si veggono, uno esprimente il Salvatore , l'altro la Vergine col suo divin figlio. Nella sagrestia si ammira una Madonna col bambino in grembo , detta degli Angeli , perchè appunto da essi circondata, opera in legno dal famoso Pinturicchio, dipinta nel 1513. Nel vicino oratorio del Gonfalone si visiti il bellissimo quadro del Presepio su cui si legge Dominus 1622 che venne da tutti riputato del Bassani.

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IL BAROCCO

La divisione territoriale dell'Europa dopo la pace di Westfalia.1648

L'Europa dal 1630 al 1700 Nel corso del XVII secolo, in Italia, l’estinzione di alcune grandi dinastie principesche locali e sfortunate vicende politiche comportarono per alcuni centri la perdita del tradizionale prestigio culturale. Ferrara, ad esempio, fu conquistata nel 1598 dallo Stato della Chiesa, che nel 1631 annesse anche il Ducato di Urbino. Le dinastie dei Farnese di Parma e Piacenza e dei Gonzaga di Màntova, che come quella medicea in Toscana si sarebbero estinte solo agli inizi del Settecento, tentarono di tenere viva, con alterne fortune, la propria tradizione mecenatesca. La Spagna conservò i suoi possedimenti italiani per tutto il Seicento. La dominazione spagnola in Italia, infatti, avrebbe avuto termine nel 1713. Sui territori controllati, gli spagnoli (sostenuti da una nobiltà oziosa e prepotente) esercitarono una politica di oppressione e di sfruttamento, imponendo tasse e tributi sulla popolazione. Ne conseguì un impoverimento generale, soprattutto in Italia Meridionale, dove la presenza spagnola impedì lo sviluppo di una borghesia produttiva. La situazione economica del Ducato di Milano era certamente più favorevole, ma il degrado delle città, affollate dalle fasce sociali più povere, e il passaggio delle milizie mercenarie provocarono, nel corso del secolo gravi pestilenze che decimarono la popolazione. La storia dello Stato Pontificio nel XVII secolo è segnata soprattutto dal regno di tre importanti pontefici: Urbano VIII, Innocenzo X e Alessandro VII. Maffeo Barberini (1568-1644), fu eletto papa con il nome di Urbano VIII nel 1623. Impegnato nella restaurazione dell’autorità papale in Italia, annesse il ducato di Urbino allo stato pontificio. Rafforzò l’Inquisizione e celebrò i processi a Tommaso Campanella e a Galileo Galilei (1633). Grande mecenate, curò importanti interventi a Roma. Giovanni Battista Pamphili (1574-1655), papa con il nome di Innocenzo X tra il 1644 e il 1655, cercò di rafforzare lo Stato Pontificio, ponendo le basi di una sua organizzazione amministrativa, senza però riuscire a frenarne il decadimento. Fabio Chigi (1599-1667), segretario di stato di Innocenzo X nel 1651, fu eletto papa nel 1655 con il nome di Alessandro VII. Grazie a lui, Roma visse una delle sue più intense stagioni di rinnovamento architettonico e urbanistico. Dopo la morte di Alessandro VII, il progressivo ridimensionamento politico del papato sulla scena internazionale, unito allo stato disastroso delle finanze pontifìcie, determinarono un rapido declino del prestigio papale. Già nella seconda metà del Cinquecento il Piemonte aveva fatto il suo ingresso nella scena politica europea alleandosi con la Spagna. La famiglia dei Savoia riuscì nel secolo successivo ad ampliare i propri possedimenti e a rimanere nei giochi delle grandi potenze europee. La Repubblica di Venezia perseguì politica di sostanziale neutralità nel teatro di guerra europeo. D’altro canto, il declino dei suoi traffici marìttimi, la crisi della produzione manifatturiera, la diminuzione della popolazione avevano indotto la classe dirigente a concentrarsi unicamente sulla difesa delle condizioni già esistenti. In Francia, Luigi XIV (1638-1715), passato alla storia come il Re Sole, salì al trono nel 1643, regnò per oltre cinquant’anni, trasformando la Francia post-medievale in uno Stato moderno. Tuttavia, la sua volontà di egemonia politica sull’Europa lo spinse ad impegnarsi in una serie di guerre che gli consentirono di estendere i confini del regno ma che prostrarono il paese, provocando il dissesto finanziario che fu alla base degli sviluppi storici del Settecento. In Inghilterra, il Seicento vide emergere la figura di Oliver Cromwell (1599-1658), il quale provocò lo scoppio della Rivoluzione inglese e ottenne la condanna a morte di re Carlo I nel 1649. Nel 1653 Cromwell sciolse il Parlamento e concentrò in sé ogni potere, assumendo il titolo di Lord Protettore. Sotto la sua dittatura le arti languirono: egli considerava pagana la mitologia, idolatra l’arte sacra, peccaminosa la nudità. Morto Cromwell, i sostenitori della corona riuscirono a riportare al trono gli Sturat, la cui politica assolutistica però provocò, nel 1688, una nuova rivoluzione. Il re Giacomo II (1658-88) fu costretto ad abdicare e il Parlamento offrì la corona a sua figlia Maria e al genero, il principe Guglielmo d’Orange. Questo periodo fu chiamato Restaurazione inglese: il nuovo re giurò la dichiarazione dei Diritti, riconoscendo la sovranità del popolo, e definì il nuovo modello della monarchia costituzionale

 

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Velazquez e il Gioco dell'illusione

Ritratto Papa Innocenzo X - Diego Velázquez

Velázquez intorno al 1650. Nei primi anni di attività Velásquez si dedica alla raffigurazione di personaggi popolari; dal 1623, però, realizza dipinti di nobili e reali come ritrattista alla corte madrilena di Filippo IV. Nel1649 Velázquez parte per l’Italia, dove è già stato: soggiorna a Venezia e a Roma dove realizza Venere allo specchio e i ritratti di Juan de Pareja. Ed è proprio durante il soggiorno a Roma che il pittore spagnolo esegue anche il dipinto di Giovanni Battista Pamphilj, papa col nome di Innocenzo X. L’Innocenzo X rappresenta uno dei più alti esempi di ritrattistica di epoca barocca, ispirato ai capolavori del rinascimento veneziano, in particolare al ritratto di Papa Paolo III e i nipoti di Tiziano. Velázquez utilizza pennellate dense e cariche di colore, capaci di rendere la consistenza della materia. Nel dipinto domina il rosso: ad eccezione della veste bianca, tutto è rosso: il copricapo del Papa, la poltrona di velluto, lo sfondo e la parte del vestito che copre le spalle. Qui, con alcune pennellate più chiare, il pittore riproduce con precisione la levigatezza del tessuto. Ma la grandezza di Velázquez sta nella capacità di rendere la dimensione psicologica del Pontefice, senza soggezione nei confronti di un personaggio così autorevole. Rompe così la consuetudine di dipingere i papi avvolti da un’aura di immobile spiritualità. L’imponente figura del pontefice è resa con grande abilità pittorica e immediatezza fotografica. Il papa, dall’aria accigliata e circospetta, posa di tre quarti; il volto è severo, il suo sguardo intelligente e vigile è rivolto verso lo spettatore. I contemporanei di Innocenzo X lo descrivono infatti come uomo ruvido, dal carattere dispotico e vendicativo. Al contrario di ogni aspettativa, però, pare che il Pontefice abbia apprezzato il realismo del ritratto, e che lo abbia commentato esclamando: troppo vero!. Intorno al 1950 il pittore Francis Bacon, che considera l’Innocenzo X un esempio di perfezione pittorica, realizza una serie di versioni deformate del ritratto, che diventa simbolo dell’umanità contemporanea angosciata e smarrita. Il ritratto di Innocenzo X oggi si trova a Roma, alla Galleria Doria Pamphilj.

INNOCENZO X

Giovanni Battista Pamphilj di professione avvocato (avendo un dottorato in utroque iure) e, poi, il 25 gennaio 1592 divenne avvocato concistoriale per volontà di Clemente VII. Il 15 dicembre 1604 sostituì lo zio divenendo Uditore di Rota e il 14 settembre 1612 divenne Luogotenente della Sapienza, posto che era stato precedentemente di Alessandro Ludovisi, futuro papa Gregorio XV. Il 20 settembre fu nominato Consultore canonico della Penitenziaria, il 4 gennaio 1617 divenne suddiacono, il 20 febbraio 1618 diacono e, infine, sacerdote. Attese molto prima di assumere un tale incarico, perché il fratello tardava ad avere un figlio maschio. Nel frattempo, fu nunzio a Napoli e fu al servizio del cardinale Francesco Barberini, che era occupato in Francia a preparare la Pace di Westfalia tra francesi e spagnoli, poi, fu legato de latere in Spagna, ma entrambe le operazioni si rivelarono un fallimento, dal momento che le due potenze firmarono da sole il trattato di Monzon il 5 marzo 1626, in base al quale gli spagnoli riuscirono ad ottenere dalla Francia il diritto di passaggio attraverso la Valtellina; il 6 luglio dello stesso anno ebbe il titolo presbiteriale di S. Eusebio. Il 29 agosto 1639 morì Pamphilo ed Olimpia, vedova per la seconda volta, si dedicò ancora di più al cognato, per il quale iniziava a provare tenerezza. Giovanni Battista divenne papa nel 1644. Urbano VIII morì nel luglio del 1644 e i cardinali entrarono in un conclave che durò trentasette giorni, fu un conclave molto duro e ricco di fazioni pronte a darsi battaglia per ottenere, ciascuna, che diventasse Papa il proprio prediletto. Nello stesso periodo Pasquino tuonava: State attenti o Barberini/ che se fate Pamphilo papa/ la nostra Maidalchini/ vi farà del capo rapa Ed ancora: Non fate papa Pamphilo/ che vi manderà tutti in esilio . Nel conclave tra le fazioni più agguerrite c’erano quella austro-spagnola, che aveva come referenti i cardinali Albornoz e Harrach, e quella francese, che aveva come referenti il nipote di Antonio Barberini, Francesco Barberini. I primi avrebbero voluto eleggere il cardinale Cennini, mentre i secondi preferirono il cardinale Sacchetti; alla fine la maggioranza converse su Pamphili, dopo aver aggirato l’ostacolo di Mazzarino, che assolutamente non lo voleva sul soglio pontificio. Così, il 15 settembre 1644 fu eletto papa con il nome di Innocenzo X. Probabilmente scelse questo nome in onore di Innocenzo VII, che aveva fatto sì che i Pamphili si stabilissero a Roma. Il primo ottobre fu incoronato nella basilica vaticana dal cardinale Carlo de’ Medici, decano del suo collegio. Alla cerimonia erano presenti ambasciatori e donne, tra le quali anche la Maidalchini. Tutte le autorità invitate a Roma per l’incoronazione di Innocenzo X potevano apprezzare in Olimpia una donna molto prudente, notavano che si era subito adattata ad assumere il ruolo di prima donna alla corte di Roma. Tra gli spettacoli organizzati per celebrare l’evento ci fu anche una macchina che rappresentava l’Arca di Noè con una colomba in cima, simbolo dei Pamphili. Inoltre furono liberati i carcerati di Tor di Nona, che si riversarono a piazza Navona a ringraziare Olimpia. Il primo atto del nuovo papa fu quello di porre l’amico monsignor Cecchini a capo della Dataria apostolica, l’organo finanziario della Curia. Gli eventi che caratterizzarono maggiormente il pontificato di papa Pamphili furono: l’attuazione della riforma degli ordini religiosi, la condanna delle tesi di Giansenio e la Pace di Westfalia. Infatti, in quegli anni, fu attuata una riforma degli ordini religiosi e soprattutto fu sistemata la situazione dei regolari in Italia, la maggior parte del lavoro venne affidata a Prospero Fagnani, segretario della Congregazione del Concilio da tre decenni. Nel marzo del 1649 il papa istituì una congregazione, formata da cinque cardinali, due prelati e un prete proprio per analizzare la situazione dei conventi nel paese. I risultati dei suoi lavori furono raccolti nel breve Inter caetera del 17 dicembre 1649. Inoltre promulgò il 15 ottobre 1652 la bolla Instaurandae regularis disciplinae, frutto del lavoro prodotto da un’altra congragazione da lui voluta, la “Congregazione sopra lo stato dei regolari”. Durante il pontificato furono censiti, in totale, 6238 conventi e soppressi il 24-25 % di questi. A tal proposito il Muratori lo lodò per questa scelta, ritenendo che alcuni conventi non meritassero neanche l’appellativo di religiosi, mentre una critica sul modo di operare di Innocenzo X, riguardo a tale questione, gli è stata rivolta a proposito del metodo usato, giudicato troppo giuridico e di ostacolo ad un nuovo sviluppo degli ordini religiosi, che penalizzava quei regolari che sul territorio svolgevano anche un compito sociale e di supporto alla comunità. Papa Pamphili sostenne, invece, la “Congregazione de propaganda fide”, anche perché ne conosceva l’attività, dal momento che se ne era occupato all’epoca di Urbano VIII. Innocenzo X tentò, poi, di risolvere anche la spinosa questione del giansenismo. Cornelio Jansen, detto Innocenzo X . Odescalchi Giansenio, pubblicò nel 1640, l’Augustinus, un’opera incentrata sul tema della grazia che, partendo dall’insegnamento di S. Agostino e riproponendo il peccato originale come colpa insormontabile da espiare, si avvicinava pericolosamente alle dottrine calviniste e luterane e della giustificazione per sola fede e della predestinazione. Anche il suo predecessore, Urbano VIII, aveva agito contro il movimento e attraverso la bolla In eminenti ne aveva condannato l’insegnamento. Papa Pamphili istituì, nel 1651, una commissione di cardinali che lavorò fino al 1653 e che si concluse con la bolla Cum occasione, la quale condannava come eretiche le cinque proposizioni, giudicate l’essenza di questa setta; anche per questo fu lodato dal Muratori. Tuttavia i giansenisti non si arresero e avanzarono, a loro difesa, una distinzione tra linea di diritto e linea di fatto: dissero che ciò che la Santa Sede aveva giudicato come eretico, in realtà, non era presente nel loro testo di riferimento. Innocenzo X non riuscì, quindi, ad abbattere il movimento, che sopravvisse alla sua morte e assunse nuove forme, trasformando le originarie istanze religiose in istanze sempre più prettamente politiche. La vera sconfitta di questo papa, però, furono gli accordi religiosi e politici che si conclusero durante la Pace di Westfalia. In essa fu sancito il principio del “dominio dei principi sulla religione e sulle coscienze”: ogni stato aveva, quindi, il diritto di determinare la fede dei suoi sudditi, tale principio, che dal 1555 valeva solo per i paesi di Religione Cattolica, fu esteso anche a quelli di Religione Protestante. Così solamente Colonia, Aquisgrana e alcune citta della Svezia rimasero di sola fede Cattolica, mentre ai Protestanti spettavano le città di Amburgo, Lubecca, Goslar, Muhlausen, Northausen, Vormazia, Spira, Wetzlar, Schwabisch Hall, Heilbronn, Reutlingen, Schweinfurt, il territorio di Norinberga, Ulma e Lindau. Anche Francoforte fu ceduta ai protestanti, ma i cattolici riuscirono a mantenere il diritto di poter incoronare gli imperatori nella cattedrale di S. Bartolomeo. Nelle Città di religione “mista” come Augusta, Dinkelsbuhl, Ravenburg, Biberach e Kaufbeuren le cariche politiche e gli uffici pubblici dovevano essere equamente occupati da Protestanti e Cattolici. Fabio Chigi, per conto del Papa, scrisse tre note di Protesta (la prima il 14 ottobre 1648, la seconda il 26 ottobre dello stesso anno e la terza il primo febbraio 1649) e un breve, Zelo Dominus Dei, (retrodatato al 26 novembre 1648). Quest’ultimo, in particolare, diceva che il papa era molto dispiaciuto per come si erano risolti i trattati di pace per la Chiesa, oltre a mostrarsi indignato per l’assegnazione dell’ottava dignità elettorale ad uno Stato così ostile alla Santa Sede come il Palatinato. Il papa, inoltre, non accettava neanche la clausola che impediva a qualunque diritto (canonico, civile, generale o particolare), e a qualunque decreto, regola o concordato di mettere in discussione i trattati di pace. Tali proteste, tuttavia, rimanendo inascoltate, caddero nel vuoto. Alcuni studiosi accusarono il pontefice di non aver fatto abbastanza per difendere il cattolicesimo in quella circostanza, mentre, secondo Brigante Colonna, le scelte di Innocenzo X erano soprattutto dovute alla situazione e alle circostanze dell’epoca, che nemmeno un uomo potente come lui, in alcuni casi, poteva cambiare. Spinosa fu, infine, anche la questione della rivolta del prezzo del pane, che fu aspra soprattutto nel Lazio meridionale, nelle città di Todi e Perugia, di Viterbo e di Fermo. Questa circostanza gli valse l’appellativo di “papa del pane rincarato”. Non mancarono, però, neanche i giudizi positivi sul carattere e sull’equilibrio di questo papa: il Ranke lo ritrae come un uomo disponibile con la gente e lavoratore infaticabile mentre il Siri, così lo dipingeva: “Amico della giustizia ma non sanguinario, buono economo per augumentare e conservare l’erario; ma inimico d’aggravare i populi per estrarne denaro. Se non ornava gl’ingegni vivaci come superiori al suo, almeno li temeva. Se non era grato verso gli amici, non sapeva offendere gl’inimici. Se parlava poco, prestava le orecchie volentieri. Se tardo nel risolvere, non era infelice nello scegliere. Se negava le grazie ai principi le condiva sovente di buone parole, favellando onorificamente di loro e rendendoli sicuri di non ricevere giammai disgusti positivi”.

DONNA OLIMPIA MAIDALCHINI

Donna Olimpia non era la sola ad avere un carattere così forte in famiglia, anche la figlia Maria, infatti, rifiutò la vita monastica e in più riuscì a sposarsi con un nobile, che era sì nobile, ma anche povero. Andrea Giustiniani, che non aveva alcuna proprietà a lui intestata, anche se suo zio, Vincenzo Giustiniani, era banchiere e proprietario del palazzo vicino alla chiesa di S. Luigi dei Francesi, che conteneva al suo interno una preziosa collezione di oggetti d’arte. Quando alla coppia nacque la prima figlia, Olimpia, costei divenne presto la preferita della omonima nonna e, quindi, di riflesso, godette anche del particolare affetto del futuro Papa. Divenuto papa, Innocenzo X stilò subito un testamento che concedeva alla cognata di diventare erede universale di tutti i beni della famiglia, Olimpia avrebbe, in seguito, di sua spontanea volontà, ceduto la giusta parte al figlio Camillo. Pensò, tuttavia, anche ai suoi nipoti. Permise al marito di Maria, la madre dell’amata Olimpiuccia, di assumere il titolo di principe di Bassano, oltre a concedergli la carica onorifica di Castellano di Castel Sant’Angelo. Per l’altra nipote, Costanza, si scelse tra due nobiluomini: il principe di Caserta e il principe di Piombino. Il primo aveva ventitre anni ed era un partito perfetto per una giovane di diciassette, il secondo, invece, aveva trentuno anni e un fisico che mostrava molto più dell’età che aveva, ma, alla fine, fu fatto un conteggio delle cariche e dei titoli e fu scelto il secondo. Il principe di Piombino era duca di Sora e di Arce, marchese di Populonia e di Vignola, conte di Conza, signore della città di Equino, delle terre di Roccasecca e di Arpino e loro Stati, di Scalino, dell’Isola d’Elba, di Montecristo, di Pianosa, Grande di Spagna di prima classe, gentiluomo di Cambia per Sua Maestà Cattolica e capitano di gente d’Arme per la Maestà Cesarea sul reame di Napoli e altro ancora. Per quanto riguarda il figlio Camillo, diversi erano i punti di contrasto tra quest’ultimo e sua madre, sia sul versante caratteriale, sia sul versante politico e affettivo: Camillo si sentiva oppresso dalle grandi personalità che lo circondavano, da una parte lo zio papa, dall’altra il cardinale Panciroli, che aveva ottenuto la porpora nel 1643, dopo essere stato uditore presso la nunziatura napoletana e spagnola e che, sotto Innocenzo X, aveva assunto la carica di segretario di Stato, nomina quest’ultima che aveva suscitato lo stupore a Roma, dal momento che interrompeva la pratica del nepotismo, ormai divenuta usuale. Infine , anche la madre contribuiva a vessare il figlio con la sua ambizione. Camillo, invece era timido e presto deluse il popolo che lo stimava. Inizialmente, infatti, il giovane cardinale svolgeva i compiti assegnatigli nel modo migliore possibile, occupandosi, oltre che di sottoscrivere lettere e dispacci, occupazioni quest’ultime tipiche di tutti i cardinali nipoti, anche, ad esempio, della progettazione delle carceri di Civitavecchia. Poi, quando si accorse che il papa non gli permetteva alcuna influenza all’interno dello Stato della Chiesa, il suo zelo diminuì fino ad esaurirsi. In politica, poi, mentre il figlio era filofrancese e desiderava affossare il prestigio di cui ancora a Roma godevano i Barberini, facendosi aiutare, in ciò, anche dal principe Ludovisi, suo cognato, Olimpia era, invece, molto più cauta nei confronti di questa nobile famiglia, era conscia della situazione internazionale, fortemente instabile. Infatti in quell’epoca non era facile, volendo prendere posizione, scegliere quella giusta: la Spagna, in passato, era stata una grande potenza mentre ora non lo era più; la Francia, invece, stava assumendo un ruolo da protagonista, ma non si poteva totalmente appoggiare, in quanto l’Italia era ancora sotto il dominio spagnolo. Il Leti, a tal proposito, accusava Olimpia di essere la colpevole dell’atteggiamento di sostanziale inattività in politica estera del Pamphili poiché, sempre secondo lo studioso, la donna non voleva che la Chiesa spendesse troppo per inviare ambasciatori presso altri Stati. Il “piano” della Maidalchini era quello di far sposare il figlio Camillo con Lucrezia Barberini, dal momento che, anche in Curia, non erano poche le personalità vicine a Questi ultimi. Tra i più noti c’erano, del resto, lo stesso Panciroli e il datario Cecchini. Una politica contro i Barberini, attuata da Camillo poteva, quindi, ostacolare il papa. In questo caso, però, tra i due l’ebbe vinta il figlio di Olimpia che, rifiutando il matrimonio imposto dalla madre, inizialmente scelse di indossare l’abito cardinalizio (14 novembre 1644) e poi decise di abbandonarlo (il 21 gennaio 1647) per sposare Olimpia Aldobrandini, la vedova di Paolo Borghese, principessa di Rossano. Innocenzo X, invece, non era contrario all’unione poichè non era molto convinto di quel nipote in Curia. Inoltre la Rossano possedeva grandi patrimoni, e godere dell’appoggio di molti principi italiani. Per cercare di evitare quell’unione Olimpia si adoperò molto: cercò di dire che il figlio era impotente e che il papa non potava costringere una giovane fanciulla a condurre una vita di castità. Ma a quel punto il pontefice, stanco, decise di allontanare Olimpia in malo modo. La Aldobrandini, dal canto suo, avanzò molte pretese: voleva essere sposata dal papa stesso in cappella, voleva essere proprietaria del suo guardaroba, voleva che le fossero dati mille scudi al mese per le opere pie, voleva spedire personalmente tutto ciò che riguardava il governo del suo principato, non desiderava vivere con la suocera, voleva che, alla morte del marito, tutto diventasse di sua proprietà. Quando Olimpia venne a sapere questo, contrariata, dichiarò che avrebbe permesso solo a Lucrezia Barberini di diventare la moglie del figlio. Il Panciroli mediò e si ottenne che Camillo diventasse lo sposo della principessa di Rossano, che le nozze si celebrassero in privato e che gli sposi andassero a vivere fuori Roma. Dopo il matrimonio Olimpia tornò nelle grazie del papa, ma seguitava a non sopportare le ingerenze del Panciroli, perché aveva una gestione del governo della Chiesa di tipo familiare.


Lo Stato Moderno: l'Apostasia

CLEMENTE XII - LORENZO CORSINI

Papa Clemente XII, nato Lorenzo Corsini (Firenze, 7 aprile 1652 – Roma, 6 febbraio 1740), è stato il 246° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica dal 1730 alla sua morte. Aristocratico fiorentino, figlio di Bartolomeo ed Elisabetta Strozzi, era stato avvocato e gestore delle finanze sotto i pontefici precedenti. È famoso per aver fatto costruire la nuova facciata di San Giovanni in Laterano ed aver acquistato la collezione di antichità del cardinale Albani, per la Galleria Pontificia. Sotto papa Benedetto XIII, le finanze degli Stati Pontifici erano state consegnate nelle mani del cardinale Coscia e di altri membri della Curia, che le avevano lasciate in una cattiva condizione. Dopo quattro mesi di deliberazioni, il Collegio dei Cardinali scelse come papa il cardinale Lorenzo Corsini, un 78enne , che aveva retto tutti gli incarichi più importanti della Curia Romana. In quanto Corsini, e con una Strozzi come madre, il nuovo papa rappresentava una famiglia di altissimo livello della società fiorentina, rappresentata da cardinale per ogni generazione nel secolo precedente. Corsini era un avvocato, con una laurea all'Università di Pisa, che aveva esercitato la professione sotto l'abile guida dello zio, cardinale Neri Corsini. Dopo la morte di questi e del padre, nel 1685, Lorenzo, all'epoca trentatreenne, sarebbe diventato il capo della famiglia Corsini. Egli invece rinunciò al suo diritto di primogenitura ed acquistò da papa Innocenzo XI per 30.000 scudi, secondo le consuetudini dell'epoca, una posizione da prelato, dedicando il suo patrimonio e il suo piacere all'allargamento della biblioteca ereditata dallo zio. Nel 1696 Corsini venne nominato tesoriere-generale e governatore di Castel Sant'Angelo. La sua fortuna aumentò durante il pontificato di papa Clemente XI, che impiegò il suo talento a corte e lo ricompensò con il copricapo cardinalizio (17 maggio 1706), mantenendo i suoi servigi come tesoriere pontificio. Fece ulteriore carriera sotto papa Benedetto XIII, che lo nominò prefetto del triubunale giudiziario noto come Segnatura di Giustizia. Divenne successivamente cardinale-sacerdote di San Pietro in Vincoli e cardinale-vescovo di Frascati. Benché ormai cieco e costretto nel suo letto, dal quale dava udienza e conduceva gli affari dello stato, seppe circondarsi di funzionari capaci, molti dei quali suoi parenti, ma fece poco per la famiglia, ad eccezione dell'acquisto di un grosso palazzo costruito a Trastevere per i Riarii, ed ora noto come Palazzo Corsini (sede dell'Accademia dei Lincei). Nel 1754, suo nipote, cardinale Neri Corsini, vi fondò la famosa Biblioteca Corsini. Le sue prime mosse come Papa furono indirizzate a ripristinare le finanze dello stato. Clemente richiese la restituzione di alcune somme da parte dei ministri che avevano abusato della confidenza del suo predecessore. Il principale colpevole, il cardinale Coscia, venne multato pesantemente e condannato a dieci anni di prigione. Le finanze pontifice vennero migliorate anche attraverso il ripristino del lotto nel 1732, soppresso da Benedetto XIII. a chi gli rimproverò la scelta, obiettò che gli introiti sarebbero serviti per opere pubbliche ed opere di carità. Ben presto riuscì a versare nelle casse del tesoro una somma annua che ammontava a quasi mezzo milione di scudi, che gli permise di intraprendere il vasto programma di costruzioni per il quale viene principalmente ricordato, ma che non fu mai in grado di vedere. Clemente XII fece edificare la maestosa facciata di San Giovanni in Laterano,eseguita dall'architetto Alessandro Galilei (completata nel 1735), e vi fece erigere in quella antica basilica una magnifica cappella dedicata ad un suo parente del XIII secolo, Sant'Andrea Corsini. Fece restaurare l'Arco di Costantino e costruire il palazzo governativo della "Consulta", sul colle Quirinale. Acquistò dal cardinale Albani, per 60.000 scudi, una famosa collezione di statue, iscrizioni ed altro, e la aggiunse alla Galleria del Campidoglio. Pavimentò le vie di Roma e le strade che portavano in città, oltre ad ampliare il Corso. Diede il via ai lavori per la Fontana di Trevi, uno dei più noti monumenti di Roma, con il suo trionfale barocco. Durante il suo regno venne ampliato il porto di Ancona, che venne dichiarato porto franco. Clemente XII chiamò Luigi Vanvitelli a progettare e seguire i lavori nel porto di Ancona, cosa che il celebre architetto fece con grande efficacia, prolungando il molo costruito dall'imperatore Traiano e realizzando una grande isola artificiale pentagonale sulla quale costruì una struttura polifunzionale, sia lazzaretto, sia opera di protezione militare, sia frangiflutti. In seguito a questi lavori Lo Stato della chiesa ebbe un ottimo sbocco sull'Adriatico; Clemente XII, come già l'imperatore Traiano quasi sedici secoli prima, aveva nuovamente dato a Roma uno sbocco marittimo verso l'Oriente. Il porto di Ancona venne poi collegato alla capitale con una strada che ancora oggi è detta via Clementina. Verso il mediterraneo occidentale utilizzò come porto di Roma lo scalo di Civitavecchia. Con l'ampliamento dei due porti Roma si proponeva nuovamente, come nell'antichità classica, come centro del Mediterraneo. Fece prosciugare le paludi malariche della Chiana, vicino al Lago Trasimeno. Dal punto di vista politico però, questo non fu un periodo di successi per l'autorità pontificia tra i poteri secolari d'Europa. Quando fallì il tentativo da parte delle forze pontificie di catturare l'antica e indipendente Repubblica di San Marino, Clemente disconobbe l'azione arbitraria del suo legato, cardinale Alberoni, ripristinando l'indipendenza dello stato. Egli, inoltre, ritirò le pretese pontificie sui ducati di Parma e di Piacenza. Nelle questioni ecclesiastiche Clemente emanò il primo decreto pontificio contro la massoneria (1738). Canonizzò San Vincenzo de' Paoli e procedette con vigore contro i Gianseniti francesi. Lavorò per la riunione della Chiesa Romana con quella Ortodossa, ricevette il patriarca della Chiesa Copta e persuase il Patriarca armeno a rimuovere l'anatema contro il Concilio di Calcedonia e papa Leone I. Inviò Giuseppe Simone Assemani ad oriente, con il duplice scopo di continuare la sua ricerca di manoscritti e di presiedere come legato sul concilio nazionale dei Maroniti. La sua maestosa tomba si trova nella Cappella Corsini a San Giovanni in Laterano, mentre un cenotafio si trova nella chiesa di San Giovanni dei Fiorentini. Pasquino, a suo modo, lo esaltò dicendo che "morì pezzente". E' un fatto che se Clemente fu mai "scialacquatore" lo fece rimettendoci del suo, per quanto gli veniva dalla ricca famiglia, e lo fece per il bene della Chiesa.

LA GALLERIA CORSINI DI ROMA


La Galleria Nazionale di Palazzo Corsini è un museo artistico di Roma, ospitato nel Palazzo Corsini alla Lungara, presso il rione Trastevere. Il museo, parte della raccolta della Galleria Nazionale di Arte Antica, conserva un nucleo di raffinate opere, per lo più di pittura italiana e fiamminga tra il XVI e il XVII secolo.Commenti di Philippe Daverio....

 

San Giovanni a Porta Latina, Matrimoni Omosessuali nella Roma del Tardo '500

Mettersi sulle tracce dei ribelli nella Roma dell’età moderna, soprattutto dopo la frattura della Controriforma, significa spesso misurarsi con un problema di religione. Comportamenti e pensieri di chi violava i confini del lecito e dell’accettabile, nella città dei papi, come nel resto d’Italia, erano letti dalle autorità attraverso le lenti dell’ortodossìa e della morale cattolica. Quella di eretico era una categoria teologica e giudiziaria insieme. Apparteneva alla mente di censori e giudici prima ancora che alle definizioni che davano di sé coloro che, deliberatamente, si sottraevano all’ordine costituito. La storia qui raccontata riguarda un gruppo di uomini che probabilmente l’Inquisizione avrebbe classificato come eretici, anche se il loro destino fu ben differente e, forse, più tragico. Il racconto è sorprendente, ma è stato a lungo ritenuto un falso, anche grazie all’abile opera di rimozione compiuta da un autorevole storico cattolico, Ludwig von Pastor, che riuscì a far passare una lista (pubblicata) di otto condannati a morte il 13 agosto 1578, relativi al caso di S. Giovanni a Porta Latina, come un elenco di giudaizzanti bruciati dall’Inquisizione. Ma le cose non erano andate così. La pena capitale, infatti, aveva posto fine a una situazione che dovette inquietare le autorità, soprattutto per aver introdotto nella sfera segreta della sessualità proibita l’uso di un sacramento che strutturava la vita sociale ordinaria: in un’antica basilica, nascosta in un angolo ancora oggi fra i più ameni di Roma, chiuso fra le mura aureliane, il parco Egerio e la via Latina, si celebravano nozze fra uomini, secondo cerimonie protette dal silenzio dei membri di una confraternita. Colpito dall’episodio, il viaggiatore Montaignè descrisse un caso che sembra costituire la prova dell’esistenza di una vera e propria società parallela, ribelle all’ordine costituito, com’era apparsa anche ai magistrati del Tribunale Criminale del Governatore, la corte secolare che gestì la causa aperta contro undici uomini arrestati il 20 luglio 1578. Permettono ora di dirlo, i tre consistenti frammenti del processo, celebrato dal giudice Paolo Bruno, ritrovati nel settembre 2008, presso l’Archivio di Stato di Roma. Il loro stato lacunoso e altri dettagli archivistici, sembrano far pensare a uno stralcio deliberato delle parti più scottanti del processo, corrispondenti alle dure sessioni di tortura, inflitte agli imputati, nel corso delle quali fu approfondito l’inquietante significato di quei matrimoni. L’apparizione degli sbirri a S. Giovanni a Porta Latina, la domenica pomeriggio 20 luglio 1578, interruppe il clima conviviale di una giornata trascorsa insieme da un gruppo di adulti e di giovani, tutti maschi. Si trattava di un gruppo a predominanza iberica, riuscitosi a insediare, forse con la complicità di membri dell’alto clero, nella basilica, divenuta il luogo d’incontro di un circolo di uomini di varia età, chierici e laici, perlopiù stranieri di modesta condizione sociale. Quel circuito rifletteva il carattere cosmopolita che, nonostante la Controriforma, la città dei papi ancora conservava, potendo trasformarsi addirittura in teatro di un atto di ribellione come quello di pretendere che recitando simulate nozze davanti a un altare l’amore fra due persone dello stesso sesso diventasse legittimo, almeno al cospetto di Dio. Sebbene dal processo emerga un’atmosfera di libero abbandono ai piaceri della carne, non mancano tuttavia le tracce di unioni effettivamente celebrate, all’interno delle mura in apparenza sicure di una chiesa in posizione allora periferica e poco frequentata, e custodite dall’attenta organizzazione di quella che anche il giudice Paolo Bruno chiama, schola, o societas, espressione usate all’epoca per indicare le conventicole di eretici. Quelle nozze prevedevano anche il travestimento, come conferma una fonte di inizio ‘600, che descrive a parole la pittura infamante eseguita dopo le condanne a morte come mònito per la popolazione: È una storia che è stata rimossa, cancellata, come accadde per tante vicende di eretici romani e italiani, le cui tracce sono giunte a noi attraverso carte e processi in stato frammentario. Così è stato anche per i matrimoni omosessuali celebrati in una chiesa del tardo Cinquecento, descritti da Montaignè nel diario del viaggio che fece in Italia fra 1580 e 1581, soggiornando a lungo a Roma. Montaignè vi trascrive una storia singolare, riferita a S. Giovanni a Porta Latina, chiesa nella quale certi portoghesi, avevano fondato, qualche anno prima, una strana confratèrnita: si sposavano maschi fra maschi, alla messsa, con le medesime cerimonie,che noi usiamo per il matrimonio, facevano comunione insieme, leggevano il vangelo stesso delle nozze, e poi dormivano e abitavano insieme. Dicevano le battute dei romani, che dal momento che, l’unione fra maschio e femmina è resa legittima soltanto dalla circostanza del matrimonio, a quei fini personaggi era parso che l’altro atto sarebbe divenuto anch’esso legittimo, perché autorizzato dalle cerimonie e dai riti della Chiesa. Furono bruciati Otto o Nove Portoghesi di questa bella Setta. Della camicia di lino, indossata dagli sposi, di cui il giudice Paolo Bruno chiese conto, al romìto Jerónimo de Paz di Toledo, oltre a indagare, quale funzione ricoprisse esattamente il rito coniugale, nella comunità che si era organizzata, a San Giovanni. Nella fase centrale del processo, l’unica documentata , furono ascoltati per la prima volta, l'Eremita,Paz, il frate Cavièdes,il catalano Antonio Vélez , e il barcaiolo albanese Battista. Dai loro costituti però non uscirono novità. A differenza di quanto avrebbe fatto,Pinto nel costituto del 31 luglio (terminato, forse, con una sessione di,Tortura), i quattro imputati si sforzarono di far apparire casuale la propria presenza a San Giovanni a Porta Latina per confutare l’immagine,di una cerchia consolidata. Qualcuno sostenne di sapere della basilica,solo da poco tempo; altri di esservi giunti la domenica dell’arresto, al solo scopo, di prendere accordi per un pellegrinaggio. Quasi tutti negarono di essere a conoscenza delle nozze tra frate Giuseppe e Vitoria. Vi fu chi ammise di averne sentito parlare, senza afferrare esattamente di che si trattasse (stesso atteggiamento tenuto da frate Cavièdes, dopo aver riferito, del tentativo di farlo sposare con López). Paz si spinse addirittura a sostenere di non sapere «veramente che questi sposorij se siano fatti con nesuno» . Di fronte alla durezza del processo che li investì, gli undici imputati si ritrovarono soli con la propria incapacità di opporre resistenza.Come un fotogramma, le due carte che conservano gli atti del 3 agosto,offrono un’immagine dell’angosciosa condizione in cui versavano quegli uomini dopo due settimane di prigione e interrogatori. Robles era mal ridotto al punto di non essere più in grado di presentarsi dinanzi al magistrato. Quel giorno, invece, Vélez fu costretto a un sofferto confronto con Ferreira, tentando di scagionarsi da nuove accuse circa il suo legame con Ribera. Non si sa quando il giudice Bruno pose fine alla causa, né se dalle sessioni finali emersero nuovi elementi sulle unioni coniugali e sulla «strana confratèrnita». Confessioni estorte a forza, e denunce incrociate finirono con il logorare, nell’aula del Tribunale Criminale del Governatore, il vincolo che univa quegli uomini che si erano illusi di aver trovato in una basilica romana il rifugio sicuro per consacrare i loro amori. Le relazioni durature intrecciate fra alcuni di loro e i matrimoni officiati fra altri non contavano più. Tutti ammisero la propria colpevolezza. La solerte collaborazione prestata alla giustizia da López e Ferreira valse loro la vita. Anche l’unico sacerdote arrestato il 20 luglio, frate Cavièdes, scampò la pena di morte, godendo forse, del privilegio di foro. L’onore del corpo ecclesiastico fù preservato dall’onta pubblica di un’esecuzione capitale. Altri complici, nominati nel corso del processo, frate Aguilar, frate Giuseppe, Ribera, gli ebrei che frequentavano San Giovanni furono forse risparmiati; nulla si sà di un’eventuale loro vicenda giudiziaria. La notte fra 12 e 13 agosto 1578, quindici confortatori dell’arciconfraternita di San Giovanni decollato si presentarono alla Corte Savellae presero in consegna otto condannati a morte: il barcaiolo albanese Battista, il catalano Antonio de Vélez, Francisco Herrera di Toledo,Bernardino de Alfar, di Siviglia, Alfonso de Robles, di Madrid, Marcos Pinto, di Viana do Alentejo, Jerónimo de Paz, di Toledo e Gaspar de Martín, de Vitoria . Si alternarono al loro fianco, per accompagnarli nell’ultimo passo verso una morte cristiana. «Di poi venendo giorno si celebrò la prima santa messa et si comunicorno tutti divotamente». Il Pentimento fu forse sincero. L’armonia fra la giustizia umana e la giustizia divina era ristabilita. Fu consentito loro di fare testamento. Molti, fecero elemosine e lasciti devoti. Il pensiero di Robles corse a un affetto lontano: «disse haver lassato in prigione una lettera scritta nel luogo dove si fa oratione; vole che si mandi a sua moglie in Fiandra». Disposti in corteo, raggiunsero il ponte Sant’Angelo, «dove furno tuti et otto impichati». Quindi, i confortatori ricevettero mandato di trasportare i loro corpi «così morti a Porta Latina, dove furno tutti abrusciati» . La Storia dei Matrimoni Omosessuali di Porta Latina, conclusasi a Roma il 13 agosto 1578 con la condanna a rogo per 9 sodomiti, come la storia di Bellezza Orsini trasmettono la consapevolezza che l’ordine sociale si regge su determinati rapporti di forza che fanno sembrare logica o quanto meno necessaria la persecuzione e la stigmatizzazione della diversità. La nostra cultura si è formata per contrapposizione all’Altro sia si trattasse dell’eretico sia del barbaro sia dello straniero sia del malato di mente. Streghe e sodomiti venivano identificati nella prima società moderna come soggetti destabilizzanti per la salute pubblica perché praticavano una sessualità non normalizzata definita da Luciano Parinetto come «pratica di un culto della libido non finalizzata cattolicamente alla procreazione». Il sodomita destabilizzava con la sua prassi la struttura familistica e deistituzionalizzava il sesso rovesciando la dialettica rigida dei ruoli assegnati socialmente a uomini e donne. Anche nei sabba stregoneschi, dei quali l’analità era un elemento distintivo al pari dell’attraversamento dei sessi, la mentalità cattolica individuava la manifestazione di pulsioni, desideri e passioni stigmatizzate come nocive per la salvezza individuale e collettiva. Nel sabba la donna si svincolava dall’amore monogamico e dal ruolo di donna-madre abbandonando il suo corpo in un orgia di passioni dove il rituale dell’infanticidio rinforzava l’immagine di una donna mostruosa che coltivava una libido intesa non unilateralmente al concepimento. Attivando un processo di negazione, teologi ed inquisitori identificarono nel diavolo e nelle sue tentazioni il malessere che infettava il corpo e la coscienza del singolo allontanandolo dal discorso di verità professato dalla Chiesa romana. Il male trovava così la sua origine in un mostro, prodotto di una possessione demoniaca, che agiva seguendo norme immorali e antifamilistiche. Questa alterità, costruita forzosamente, serviva a evidenziare le giuste regole di condotta tra i sessi e i valori da seguire per contribuire alla piena realizzazione dell’individuo, all’interno della Società Cattolica. I membri della «Strana Confraternita» di Porta Latina, stando alla testimonianza, lasciata da Montaignè nel suo diario, durante il passaggio a Roma nel 1580, una volta riconosciuta la propria diversità sessuale, cominciarono ad interrogarsi sul cosa fare e in che modo, per affermarsi, nonostante il regime stabilito di verità. A quanto riporta Montaigne, cito, «Dicevano le battute dei romani che, dal momento che l’unione fra maschio e femmina è resa legittima soltanto dalla circostanza del matrimonio, a quei sottili personaggi (fine gens) era parso che l’altro atto sarebbe divenuto, anch’esso legittimo, perchè autorizzato dalle cerimonie e dai riti della Chiesa». La loro scelta di sposarsi era dunque consapevole e strategica. Se il riconoscimento sociale dell’unione tra due persone era vincolato alla celebrazione del rito e all’enunciazione di un dato discorso, Pinto e i suoi compagni di Porta Latina se ne appropriarono sperando di ricevere l’autorizzazione divina al pieno godimento dei loro amori. I matrimoni, come ha accuratamente descritto Giuseppe Marcocci nel suo saggio pubblicato su Quaderni storici nell’aprile 2010, avvenivano solitamente di domenica, dopo la celebrazione della santa messa. Non era una scelta casuale ma probabilmente dettata dalla convinzione che alcuni elementi rituali, come i paramenti, conservassero in sé un valore magico-sacrale che avrebbe contribuito a rendere salvifico il sacramento dell’unione. Il matrimonio omosessuale è interpretabile, nella storia di Porta Latina, come una pratica sovvertitrice dell’ordine sessuale normalizzato. Essa si originava in un discorso performativo dove si realizza una commistione tra gli enunciati discorsivi del potere che voleva stigmatizzare la sodomia come sessualità demoniaca e il capovolgimento di questo significato per mezzo di una riappropriazione storica del sacramento. Un passaggio preliminare e indispensabile per riportare all’uomo l’insieme delle sue passioni e arrivare al pieno dispiegamento del l’Io. La pericolosità di questa prassi era stata intuita dal giudice criminale che condusse il processo contro gli omosessuali di Porta Latina. Durante l’epoca moderna la sodomia era diffusa e praticata trasversalmente tra le classe sociali ma raramente veniva punita con la condanna a morte. Perché Pinto e i suoi compagni furono bruciati ? Il giudice che condusse le indagini, Paolo Bruno, durante gli interrogatori insistette nel conoscere le regole interne che governavano la «strana confratèrnita». Nelle carte processuali si parla di Porta Latina come di una societas, o schola, termini che solitamente si trovano nei processi contro gli eretici. A legittimare questa lettura era secondo l’autorità giudiziaria la struttura organizzata che si erano dati Pinto e compagni. Il portoghese Pinto svolgeva, infatti, un ruolo peculiare. In quanto «custode» della basilica ne gestiva liberamente gli spazi e sceglieva insieme a Robles chi accogliere nella loro comunità. Leggendo le carte del processo si deduce che tra i requisiti necessari per essere ammessi c’era la promessa di mantenere la massima riservatezza e di adottare un linguaggio cifrato che tutelasse la libertà di uno spazio liberato alla libido. Pinto poteva contare su una cerchia ristretta che insieme a lui valutava l’affidabilità di chi chiedeva rifugio e lo assisteva nel combinare i matrimoni. Il portoghese godeva, inoltre, di importanti protezioni, come quella del cardinale Vincenzo Giustiniani che lo ospitò nella sua casa per diverso tempo. In questo modo, e si tratta di uno dei dati più significativi per svelare il potenziale della ribellione messa in campo, insieme ai suoi compagni potevano agire internamente, ossia all’interno dell’Istituzione ecclesiastica, per sovvertire la politica morale di stampo controriformista inaugurata con la promulgazione dei decreti del Concilio di Trento nel 1565 e per rivendicare la praticabilità di un’altra sessualità. Con il ricorso all’istituto del Matrimonio, disciplinato proprio a Trento con il decreto Tametsi, i membri della comunità di Porta latina tentarono di rovesciare la verità veicolata dalla legge e di difendere la loro libertà di corpi desideranti. Il Complotto Stregonesco perse, invece, negli anni intorno allo Scandalo di Porta Latina, la sua dimensione di struttura organizzata. La veridicità del sabba fu messa in discussione dalle autorità ecclesiastiche. Un’istruzione che circolava manoscritta nel tribunali periferici dell’inquisizione romana (Instructio pro formandis processibus in causis strigum et maleficorum) negava l’esistenza dei raduni notturni e vietava di considerare la chiamata di correo di persone che dicevano di aver partecipato al sabba come prova durante i processi. Le streghe continuarono ad essere bruciate soprattutto dalle corti criminali e, secondo la storiografia, questo dato segnava la progressiva affermazione della giustizia di apparato dello stato moderno. I roghi di Porta Latina lasciano una traccia importante per capire come tra il XVI e il XVII secolo in Italia lo stato tese progressivamente ad accentrare la punizione delle pulsioni sessuali ritenute antisociali e a imporre autoritariamente un normotipo sociale di unione matrimoniale. Alla chiesa sarebbe rimasto il compito di circuire le coscienze nello spazio intimo del confessionale per adattarle all’organizzazione sessuale e familistica della società. Andate in Roma a San Giovanni ante Portam Latinam, dove vederete, se da pochi anni in qua che io la vidi non è stata cancellata, dipinta l’historia di quegli spagnuoli i quali, havendo condotto seco alcuni giovanetti della lor natione, accioché non fussero conosciuti gli vestirono come donzelle & in quella santa chiesa si sposarono con essi, come fùssero donne. I matrimoni rivestivano un’importanza centrale per quel gruppo di uomini. Le tessere in nostro possesso non permettono di ricostruire l’esatta composizione del mosaico, ma lasciano avanzare qualche ipotesi. È probabile che, negli anni successivi al Concilio di Trento, che aveva rilanciato con forza il valore e l’obbligatorietà del sacramento coniugale, l’attrazione di quel rito fosse avvertita anche da uomini che consumavano amori proibiti, spingendoli ad assumere con coraggio i forti rischi impliciti nel voler confermare un legame omosessuale attraverso l’abuso di un sacramento celebrato davanti a un altare. Era un desiderio inesaudibile per la società che li circondava e vedeva in loro sospetti eretici e ribelli. Che fosse il Tribunale Criminale del Governatore a condurre la causa contro gli undici uomini arrestati il 20 luglio 1578 non era scontato, come non lo era che fossero processati per sodomia e non per eresia. Affinché l’inammissibilità dei misfatti commessi nella basilica fosse compresa a fondo, in una città dove la notizia degli arresti era entrata presto in circolazione, bisognava però agire con rapidità e fermezza. La condanna doveva essere netta ed esemplare. La decisione che a castigare quegli uomini fosse il Tribunale Criminale fu certo condivisa da tutte le altre autorità romane, compresa l’Inquisizione. Il processo restò una causa per sodomia, ma con un vivo interesse per la sacrilega cerimonia connessa a quegli amori omosessuali. Il giudice non approfondì la questione sul piano dottrinario. Si soffermò piuttosto su aspetti utili a ricostruirne la liturgia, oltre a indagare quale funzione ricoprisse esattamente il rito coniugale nella comunità organizzatasi a S. Giovanni. Di fronte alla durezza del processo che li investì, gli imputati si ritrovarono soli con la propria incapacità di opporre resistenza e duramente colpiti nei corpi dalla tortura. Non si sa quando il giudice Bruno pose fine alla causa, né se dalle sessioni finali emersero altri elementi sulle unioni coniugali e sulla strana confratèrnita. Confessioni estorte a forza e denunce incrociate finirono con il logorare, nell’aula del Tribunale Criminale del Governatore, il vincolo tra quegli uomini, che si erano illusi di aver trovato in una basilica il rifugio sicuro per consacrare i loro amori. Le relazioni durature intrecciate fra alcuni di loro e i matrimoni officiati fra altri non contavano più. Tutti ammisero la propria colpevolezza. Ma la solerte collaborazione prestata alla giustizia da alcuni valse loro la vita. Anche l’unico sacerdote arrestato il 20 luglio scampò alla pena di morte. Forse per tutelare il buon nome del clero. La notte fra 12 e 13 agosto 1578, quindici confortatori dell’arciconfraternita di S. Giovanni decollato si presentarono alla Corte Savella e presero in consegna otto condannati a morte: il barcaiolo albanese Battista, il catalano Antonio de Vélez, Francisco Herrera di Toledo, Bernardino de Alfaro di Siviglia, Alfonso de Robles di Madrid, Marcos Pinto di Viana do Alentejo, Jerónimo de Paz di Toledo e Gaspar de Martín de Vitoria. Si alternarono al loro fianco per accompagnarli nell’ultimo passo verso una morte cristiana. Dipoi venendo giorno si celebrò la prima santa messa et si comunicorno tutti divotamente. L’armonia fra la giustizia umana e la giustizia divina era ristabilita. Poi uscirono in strada. Il corteo si fermò sul ponte Sant' Angelo, dove furno tuti et otto impichati. Infine, i confortatori ricevettero mandato di trasportare i loro corpi così morti a Porta Latina, dove furono tutti abrusciati.

(Tratto, da un passo del «Journal», du Voyage de Michel de Montaigne)

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San Giovanni a Porta Latina Matrimoni Omosessuali nella Roma del Tardo 500

 

Lettere di Cortigiane del sec. XVI A cura di Luigi Alberto Ferrai Testo restaurato


Nè possiamo meravigliarci di questo; se da tante testimonianze apparisce come tali donne ai tempi di papa Giulio II e di Leone X possedessero in Roma palazzi proprii, ville e poderi nelle campagne, e facessero la delizia dei principi e dei ricchi banchieri, nei suntuosi conviti. I banchetti, le mascherate, i giuochi, le feste d’ ogni maniera si tenevano il più delle volte nelle loro case ; ma il lusso principesco delle sale e delle alcove, l’ amore agli oggetti d’ arte per adornarle, ai libri cavallereschi, ai ricettali galanti (i) alle edizioni dei classici, dei novellieri e delle commedie (2/, l’ ambizione a uno stuolo numeroso di servi e di cameriere, i capricci maliziosi per le scimmie pei pappagalli, per gli zibellini dal capo d’ oro non bastano più ad appagare la Cortigiana (3). Essa vuole in Roma gli onori serbati ai prìncipi, agli ambasciatori di Francia e di Spagna, vuol farsi ammirare dal popolo, frequenta le vie e i passeggi pubblici su cavalli sfarzosamente bardati assiste ai baccanali, e alle corse dei tori allora in voga, entra' con lungo séguito nelle stufe affollate di S. Agostino è di Pozzo Bianco dove coi bagni, con i profumi, con le cene protratte fino a tarda,notte si rinnovavano in Roma le giovialità della vita latina
(4). La Cortigiana insomma, rispondendo ad una idealità propria del tempo, a poco a poco non vive più in dissidio col mondo perchè non disprezzata' nè avvilita se non dal volgo nemico d’ ogni grandezza, ma bene accetta ed ammirata dovunque, fin’ anco in Chiesa. La Chiesa del resto nel 5oo accolse l'Arte Pagana; potea rimanerne alla porta la nuova Frine? Nelle nostre città dove il teatro profano ebbe così scarso sviluppo le funzioni sacre con la pompa e la magnificenza d’allora offrivano un grato spettacolo a cui la Cortigiana non potea renunziare. Si studia perciò di mantenersi devota, ode di tanto in tanto la Messa,confessa una volta l’anno, e vi si prepara astenendosi gli amori, leggendo il libro della preghiera regalatole dall’amante (i). A Roma nel 1513 divenne celebre, lo narra Aretino, madonna Nicolosa, una cortigiana ebrea che era solita andar per le Chiese tutta imbellettata con grandi ventagli in mano, seguita da quattro o sei fantesche, e legervi i salmi in ebraico (2). Beatrice da Ferrara, che la lettera che pubblichiamo ci dà per amica di Lorenzo de'Medici duca di Urbino, nel 1516, non appena lo sa ferito in Ancona gli scrive per tenerlo allegro con le sue oscene facezie, e mésse poi da parte le burle, gli promette con non dubbia sincerità d'animo, di recarsi a Loreto a pregare per lui (i). Questo il lato più curioso e non meno comune in ogni tempo nella vita della Cortigiana, verso cui, l’esempio veniva da Roma, si largheggiò a segno, che ogni città italiana potè vantarne più d’una famosa. Ma la Prostituta non sarebbe giunta in tanto onore nel Cinquecento senza alcune particolari qualità che ebbe di fatto; chè se dal riso beffardo difficilmente salvò la vantata nobiltà dei natali, a cui più o meno tutte aspirarono, o si rese esperta nell’arte del canto o acquistata una buona cultura, interessò i fàvorìti con le piacevolezze del suo conversare, e con la Umanità (2) e l’eleganza della sua corrispondenza amorosa. Quest’ultima, diciamo il vero, anche tra donne oneste è un’ambizione un po'rara, ai dì nostri ! Ciò compiaceva l’alta società del Rinascimento tutta intesa agli ideali di Grecia e di Roma; ma questo idoleggiare la donna perduta non offese mai la coscienza morale del popolo ? Pietro Aretino, che quantunque indegno, ne è per tanti rispetti l’ interprete più verace, Pietro Aretino che sguazzò così sozzamente nel fango più putrido di quel secolo, ma ebbe tanto fino odorato da sentirne il puzzo meglio d’ogni altro, ride per primo di queste fantasìe, e nei suoi Ragionamenti (3), toglie la maschera .

(1) Ne è stato pubblicato uno da Olindo Guerrini ('Ricettario galante del principio del sec. X V I, Bologna, Gaetano Romagnoli 1883) tolto da un ms. della Bibl. Universitaria di Bologna.
(2) Cfr. Bandello, Novelle, parte III*, nov. XLII*.
(3) Cfr. Cortigiana / comedia di messer / Pietro Aretino nuovamente stampataJ M D X L V . Atto III.
(4) Cfr. La Comedia del Con / tile chiamata / la Pescara in Milano per F . Marche sino il dì XIII di settembre 1550. A carte i 3, Martinella p.... dice a Marcello soldato « vo’ritornare a casa e so di ritrovarvi messer Ascanio, menarollo meco alla stufa di santo Austino, ed in acque odorìfere farogli spendere qualche scudo etc. Più sotto Ascanio: » Stavo nella stufa di Pozzo Bianco etc. Le Cortigiane ai tempi di Leone X abbondavano nella parrocchia di S. Andrea nelle case dei Boccapaduli, dei Mosca, dei Casali, dei Vannetti, de’ Quattrocchi. Cfr. nel Periodico li Studii in Italia, Anno V vol. I, dal fascicolo I in poi.: » Un censimento della città di Roma sotto il pontificato di Leone X » pubblicato da A. Armellini. Per i profumi in uso nel Cinquecento, cfr. la scena Terza dell’ atto V° della cassaria dell’Ariosto.
(1) Cfr. La citata comedia del Contile a carte II; Marina nella stessa scena: « Tu sai che pur secretamente o fatto qualche piacere, e da.ora manzi viverò altrinti con tutti, sai pure che non sono di quelle sfacciate, la messa una volta al mese, <fjco la corona, e perchè o anch’io di buon sangue voglio dieci scudi di chi sil meco impacciare. > Cfr. anche la lettera n. XXXIV, a Beatrice da Ferrara, e le lettere n. XIX, XXII, XXVII.
(2) Cfr. Capricciosi et piacevoli Ragionamenti di Pietro Aretino etc. stampati in Cosmopoli, 1660 (Amdam) a pp. 443. Di questa cortigiana spagnuola si conserva una lettera al duca d’ Urbino da Roma de’ 21 marzo,senz’ anno con la firma «y Njcolosa », in cui si reclama da lei una mercede. È nella filza Strozziana dell’Arch. di Stato di Firenze f. CXXI, doc. n. 18

Nella Roma rinascimentale non esistevano quartieri di ricchi e quartieri di poveri, ma abitazioni modeste e palazzi monumentali si trovavano nelle stesse strade. Il censimento della parrocchia di S. Trifone, voluto da Leone X nel 1517 e quello redatto alla vigilia del Sacco (1527), sotto Clemente VII, rivelano non solo l’eterogeneità degli abitanti ma soprattutto la diversa e, al giorno d’oggi, discutibile promiscuità all’interno di uno stesso edificio: una cortigiana (al tempo del censimento del 1517, nella sola parrocchia di S. Trifone, se ne contavano dodici) poteva abitare tranquillamente nella stessa casa dove era presente anche un artigiano con la sua famiglia; questo dimostra che i frati non si facevano nessuno scrupolo di locare case alle cortigiane e alle “stufe” gestite da figure di dubbia reputazione. Oltre a questi due censimenti, sia prima che dopo, sono gli elenchi degli stabili del convento di S. Agostino a completare il quadro; specialmente nei rioni di Ponte, Parione e Campo Marzio, si trovano artigiani ed artisti di ogni specie, bottegai, ricchi mercanti, medici, speziali, aromatari, personaggi di Curia, banchieri, vescovi e cardinali di diverse nazioni.

 

MONTE DI PIETÀ

In confronto ad altre città dell'Italia centrale, l'istituzione del "Monte della Pietà" fu a Roma relativamente tardiva. Ne furono sollecitatori anche qui i Frati minori, e patrono Paolo III Farnese, che nel 1539 approvò la costituzione di una "Congregazione di persone facoltose, che prestassero ai Poveri denari sopra i pegni, rendendogli senza interesse alcuno al restituire de' denari". Il capitale iniziale venne fornito in forma di elemosina dai membri della Congregazione. Il palazzo del Monte di Pietà riflette l'accorta ed ardita politica creditizia e sociale del XVI secolo. Il Monte dei Pegni fu fondato nel 1527 dal padre minorita Giovanni da Calvi, insieme ad un gruppo finanziario di nobili romani, per combattere gli usurai. e dopo di lui dai cardinali protettori dei francescani, tra i quali si distinse particolarmente il cardinale Carlo Borromeo, che ne scrisse i primi regolamenti e pare fornisse nel suo palazzo la prima sede all'opeera. La prima sede fu ai Banchi Vecchi, vicino a Santa Lucia del Gonfalone, e non era neppure di proprietà della Congregazione; ma il successo dell'opera incrementava i depositi, che domandavano spazi sempre maggiori (va ricordato che i beni impegnabili erano di tutti i tipi e di tutti gli ingombri possibili): Sisto V acquistò perciò nel 1585, per 7.000 scudi, un edificio ai Coronari; di questa sistemazione resta ancora traccia nella denominazione dei luoghi: vicolo e piazza di Monte vecchio. Ma anche questo spazio non bastò per molto. Il Monte inizialmente non ebbe una sede stabile ma si stabilì in questo edificio solamente alla metà del XVII secolo, proveniente dalla sede di via dei Coronari. L'edificio originario fu costruito nel 1588 da Ottaviano Mascherino per il cardinale Prospero Santacroce, limitatamente alla parte centrale. Alla morte del cardinale il palazzo passò nel 1591 ai Petrignani di Amelia e poi nel 1603 al Monte di Pietà. L'edificio venne immediatamente ampliato sotto la direzione di Carlo Maderno e Francesco Borromini, per renderlo più adatto alla sua nuova funzione. Fu così prolungata la costruzione sulla destra della facciata verso la via dell'Arco del Monte, dove fu eretta anche una cappella, più tardi rifatta dal De Rossi e splendidamente adornata dal Bizzaccheri, ricca di marmi preziosi e pregevolissime sculture. Sotto il pontificato di Urbano VIII venne ampliata la piazza antistante ma la costruzione dell'edificio proseguì fino al 1730, per opera di vari artisti quali Breccioli, Peparelli e Nicola Salvi, che curò la facciata posteriore antistante la chiesa della Ss.Trinità dei Pellegrini. Una parte dell'imponente edificio serve a conservare il denaro, un'altra a custodire i pegni. In poco più di sessant'anni, e grazie anche all'attenzione di vari papi, tra i quali si distinsero Gregorio XIII Boncompagni, Sisto V Peretti e Clemente VIII Aldobrandini, il "sacro" Monte crebbe vigorosamente, sia nel giro di affari, che nelle funzioni, che nello spazio occupato, e assunse presto alcune funzioni di banco pubblico: già dal 1584 Gregorio XIII aveva voluto fare del Monte "il banco de' depositi che doveansi fare ne' giudizi civili, o per l'assicurazione delle sostanze de' pupilli e vedove". Sisto V, Peretti, permise che al Monte si facessero depositi di qualunque specie di somma si volesse". La facciata sulla piazza del Monte di Pietà, con la parte centrale scandita da sei finestre architravate a mensole e da due portali, presenta una targa, disegnata dal Maderno, con una bellissima edicola che riproduce "Gesù" nel sepolcro a braccia aperte, fra gli stemmi di Paolo III Farnese, fondatore del Monte, e di Clemente VIII Aldobrandini, che comprò il palazzo come sede definitiva del Monte. La targa così recita: "Il sommo pontefice Clemente VIII, affinché la ristrettezza dei locali non impedisse l'espansione dell'attività in via di incremento, trasferì il Monte di Pietà, istituito a favore dei poveri, dalla sede acquistata dal pontefice Sisto V (quella in via dei Coronari) in questa più ampia e dotò di maggiori benefici, nell'anno della cristiana salvezza 1604, tredicesimo del suo pontificato, sotto il protettorato del cardinale Pietro Aldobrandini". 2 Fontana di Carlo Maderno . Nel 1759 il Monte di Pietà acquistò l'adiacente palazzo Barberini ai Giubbonari e lo destinò a Depositeria Generale della Camera Apostolica ed a Banco dei Depositi; nel 1768 i due palazzi furono collegati da un cavalcavia denominato appunto "Arco del Monte". Addossata alla facciata del Monte troviamo anche la bella fontana commissionata agli inizi del XVII secolo da Paolo V Borghese a Carlo Maderno. Dalla valva di una massiccia conchiglia svetta l'aquila Borghesiana che poggia le zampe su due piccoli basamenti. Un mascherone, posto al centro di un fregio triangolare, versa l'acqua dalla bocca nella sottostante vasca con bordo arrotondato. Ai lati del mascherone due draghi sbucano fuori dal fregio centrale e dalla bocca versano anch'essi acqua nella vasca: quasi inutile precisare che l'aquila ed il drago compongono lo stemma della famiglia Borghese. Il Monte di Pietà viene chiamato, scherzosamente, dai romani "Monte d'Empietà", per l'elevato interesse (secondo loro) che viene richiesto a chi ha la sfortuna di dovervi ricorrere. 3 Orologio. Una simpatica storia si narra sull'orologio posto sotto il bel campanile a vela sulla sommità sinistra del palazzo: si narra che l'orologiaio, non soddisfatto del compenso ricevuto, alterò i complicati congegni e incise sull'orologio stesso i seguenti versi: "Per non esser state a nostre patte / Orologio del Monte sempre matte". L'orologio fu aggiunto sulla facciata alla fine del XVIII secolo e la scritta fu cancellata dalle Autorità,ma l'orologio rispetta le direttive del suo costruttore:non segna mai l'ora giusta e cammina quando e come vuole. 4 Organizzazione. La composizione della Congregazione si stabilizzò a 40 deputati, provenienti dalle principali famiglie della città; il fatto che ne facesse parte d'ufficio il tesoriere della Camera Apostolica indica la rilevanza che l'opera aveva assunto nell'orizzonte dell'economia cittadina. Il che ben si comprende, se si considera che il Monte divenne presto anche una vera e propria banca di deposito, che corrispondeva interessi ai depositanti, e inoltre luogo di custodia - di preziosi, ma anche di documenti - grazie alla apprezzata solidità degli edifici e alla sorveglianza costante che vi esercitava un apposito distaccamento di Svizzeri. L'opera aveva poi anche una sorta di succursali, sparse nella città, ed erano i rigattieri: si trattava di persone che, in cambio di un piccolo aggio, raccoglievano pegni di minor valore (fino a 4 scudi), li stimavano sotto la propria responsabilità ed esercitavano il prestito per conto e sotto il controllo del Monte, al quale poi conferivano i beni impegnati. Il sistema consentiva a chi ne avesse bisogno di trovare soldi anche quando il Monte era chiuso e allo stesso tempo di sottrarsi alle pressioni usurarie, in quanto il debito veniva contratto con il Monte, che garantiva la custodia del pegno e condizioni di rimborso certe e favorevoli. Già dal 1611 Paolo V aveva autorizzato il Monte all'esercizio del prestito agrario fino a 2000 scudi, e poco dopo lo autorizzava ad erogare a soggetti economici importanti appartenenti allo Stato Pontificio - grandi famiglie, ordini religiosi - prestiti anche ingenti, garantiti sui beni e ad un assai modesto tasso del 2%. La disponibilità si estese anche a personaggi stranieri, come Cristina di Svezia e il principe Sobieski. Nel XVIII secolo il Sacro Monte era divenuto praticamente la banca dello Stato pontificio, al quale concedeva sostanziosi prestiti, e per conto del quale esercitava le funzioni di depositeria camerale, e anche di zecca (dal 1749). Del resto dal 1724 le "cedole" rilasciate dal Monte come ricevuta di credito per depositi effettuati, erano state dichiarate pagabili al portatore, e circolavano quindi come una sorta impropria di carta moneta (talché era stata autorizzata anche l'emissione di cedole "a vuoto" - rilasciate cioè non a fronte di depositi materiali, ma di crediti vantati dal Monte verso il Governo.

Monte di Pietà di G.Vasi

LA CHIESA CATTOLICA E L'ASTROLOGIA

La Religione Cristiana ha sempre avuto collegamenti con l'Astrologia. Ad esempio i Padri antichi della Chiesa e diversi Pontefici si sono interessati ai Pianeti e ai ritmi dell'Astrologia, ed alcuni Papi avevano un astrologo come consulente privato e prendevano decisioni in base ai Pianeti ed altri elementi astrologici. Nel Rinascimento presso tutte le corti europee la conoscenza dell'Astrologia fu tenuta in grande considerazione, ad esempio durante il regno di Caterina de' Medici, in cui il suo astrologo di corte era Nostradamus. Anche Papa Sisto IV (1414-1484) fu sostenitore dell'Astrologia ed ordinò all'astrologo Lorenzo Bonincontri (1410-1491) di effettuare dei corsi di Astrologia, che furono tenuti presso la Cattedra di Astrologia nello studio del Cardinale Raffaele Riario, il quale esortò l'astrologo a perfezionare ed a pubblicare il suo commento sull'Astronomicon di Manilio, che aveva precedentemente ricopiato a mano da un antico codice. Alcuni Papi del '400 si circondarono di astrologi, ed altre volte furono loro stessi a praticare l'Astrologia. Oltre a Papa Sisto IV c'è stato anche papa Giulio II, che fece calcolare agli astrologi il giorno migliore per la sua incoronazione al soglio pontificio; poi anche Papa Paolo III, che chiese agli astrologi i giorni che meglio avrebbero influenzato il Concilio di Trento. Inoltre, Papa Leone X fondò perfino una cattedra di Astrologia all'Università della Sapienza di Roma, in cui studiarono e praticarono Astrologia numerosi membri del clero e di vari ordini religiosi, fra cui francescani, benedettini e carmelitani. Anche Papa Adriano VI (1459-1523) fu un assertore dell’astrologia, oltre che essere un famoso teologo e storico di gran valore fu maestro sia di Erasmo di Rotterdam che dell’imperatore Carlo V. Però, poco più di un secolo dopo, papa Urbano VIII prese un'iniziativa contraria e redisse la Bolla papale "Inscrutabilis" attraverso la quale si minacciava la pena di morte per i cultori dell'astrologia.

Di fatto ancora oggi il Vaticano possiede al suo interno una Scuola privata di Parapsicologia e Scienze Occulte. Nel 1627 l'astronomo gesuita Julius Schiller disegnò il “Cielo stellato cristiano”, che proponeva di sostituire il mondo mitologico greco con quello ispirato al Vecchio e al Nuovo Testamento, per cui le Costellazioni zodiacali vennero denominate con i nomi dei dodici Apostoli, mentre alle Costellazioni boreali e australi Schiller diede i nomi dei personaggi del Nuovo e Antico Testamento. Questa idea fu ripresa anche da Andrea Cellario nel 1661, ma poi il progetto decadde nella fatidica data del 1666, quando Astronomia e Astrologia furono separate dagli "scientisti mentaloidi". Julius Schiller pubblicò nel 1627 ad Augusta il suo "Coelum Stellatum Christianum", accompagnato da eleganti disegni che raffiguravano i nuovi signori delle stelle. Questo è l’elenco delle Costellazioni dello Zodiaco con il corrispondente sostituto cristiano: Ariete – Pietro Toro – Andrea Gemelli – Giacomo Maggiore Cancro – Giovanni Evangelista Leone – Tommaso Vergine – Giacomo Minore Bilancia – Filippo Scorpione – Bartolomeo Sagittario – Matteo Evangelista Capricorno – Simone Acquario – Giuda Taddeo Pesci – Matteo. (Articolo di Andrea Fontana)

Le Botteghe dei Barbieri a Roma alla fine del Seicento - Author: Antonella Pampalone

Dall'analisi della documentazione degli atti di fine Seicento di Amico Abinante, notaio capitolino del rione Ponte, emerge uno spaccato di grande interesse sociale e artistico riguardante le botteghe romane dei barbieri capillarmente diffuse su tutto il territorio urbano, con una incidenza notevole soprattutto nelle aree coincidenti con l'antico centro storico della città. L'Università dei barbieri, sorta a metà del XV secolo (1440) come corporazione di professionisti specializzati nel taglio dei capelli, rasature, salassi, estrazioni dentarie e piccoli interventi di bassa chirurgia (medicazioni di ferite da arma da taglio e composizione di fratture), fu associata nel 1592 ai cosiddetti stufaroli, ovvero una categoria di operatori sanitari addetta esclusivamente alla pulizia del corpo, distaccatasi nel 1613 per esercitare in proprio in locali specificatamente attrezzati. I barbieri, adunati in Confraternita sotto l'invocazione della Vergine Maria e dei santi medici Cosma e Damiano, fissarono la sede in una piccola chiesa, oggi scomparsa, dedicata ai due santi protettori prossima a quella di S. Lucia del Gonfalone a via dei Banchi Vecchi, nel rione Ponte, dove erano anche proprietari di una casa da loro venduta nel 1700 a causa delle pessime condizioni di degrado. Dal 1560 si erano trasferiti nel più centrale rione S. Eustachio in un'altra chiesa intitolata ai SS. Cosma e Damiano, posta di fronte Palazzo Cavalieri in prossimità della Torre Argentina (odierna via dei Barbieri), indicata al n. 768 nella pianta di Roma del Nolli del 1748. Qui si adunavano per le funzioni in occasione della festa dei santi patroni e della Purificazione, a cui seguivano le nomine dei Consoli e dei nuovi ufficiali; in questa chiesa sontuosamente apparata, loro sede di rappresentanza, fu concesso dalla Sacra Congregazione dei Riti di celebrare messa solenne con accompagnamento musicale per l'insediamento del cardinale Pietro Ottoboni a protettore «dell'Università e Collegio dei barbieri» il 28 settembre 1704. Nell'attiguo Oratorio (al n. 769 del Nolli) si tenevano le riunioni del Consolato per deliberare, in conformità con le altre associazioni corporative le questioni inerenti l'attività caritativa confraternale (visita agli infermi, elemosine, doti alle fanciulle , provvedere alle spese per la manutenzione della chiesa). Nello specifico di fine Seicento, dirimere le controversie con i parrucchieri desiderosi di autonomia professionale e distinguersi dai barbieri , pretendere anche dai lavoranti nelle botteghe dei parrucchieri gli emolumenti da versare alla chiesa dell'Università dei barbieri , nominare i barbieri ammessi al numero degli esaminatori idonei a concedere la patente per l'esercizio della professione, stabilire l'indennità economica da corrispondere al barbiere per il vitto offerto al garzone immeritevole che, lasciando la bottega prima della scadenza dei termini contrattuali contravveniva alle normative sulla "accomodatio". Nei capitolati di compravendita delle botteghe si trova di frequente, oltre alle tematiche accennate, il richiamo al rispetto della distanza da mantenere tra una bottega e l'altra per non ostacolare i reciproci profitti], così come il divieto allo stesso esercente di tenere aperte due botteghe sebbene dislocate in rioni diversi della città; oppure nei contratti di affitto si stabiliscono le modalità per gli emolumenti, competenti al locatario o all'affittuario, da versare alla chiesa dell'Università. Ed ancora, dal momento che il possesso di una bottega era vincolato al conseguimento della patente, alcuni contratti societari venivano stipulati al solo fine di ottemperare l'obbligo di ammissione in bottega di un barbiere patentato da parte dell'esercente che ne era privo; a tutti i trasgressori venivano inflitte gravi pene pecuniarie e altri castighi a discrezione dei Consoli. La licenza per aprire la bottega era concessa dopo il superamento di un esame abilitante fatto davanti ad una commissione di maestri della Corporazione per dimostrare che il barbiere possedeva - al di là di una competenza empirica - anche una conoscenza teorica di base del corpo umano derivatagli da un periodo di pratica ospedaliera e dallo studio di alcuni manuali; tra i più famosi in adozione erano quelli cinquecenteschi di Pietro Paolo Magni sulla circolazione venosa e sulla cauterizzazione. Dopo avere giurato fedeltà ai decreti statutari, gli veniva rilasciata la patente in chirurgia "de levibus" (bassa chirurgia e flebotomia) dal protomedico del Collegio dei Medici dell'università romana, la "Sapienza" dietro pagamento di una tassa di 10 scudi se ottenuta a tempo indeterminato; quando limitata a uno, tre o cinque anni, la tariffa era minore e variava secondo le specializzazioni consentite dell'arte medica: ad esempio, la patente annuale di cavadenti costava 5 giulii. La subordinazione al protomedico, senza la cui prescrizione scritta non si potevano eseguire i salassi, era estesa anche alla farmacopea per l'esigenza di salvaguardare l'assistenza sanitaria dai pericoli della somministrazione di rimedi medicamentosi contraffatti, spacciati nelle piazze dai ciarlatani o proposti empiricamente nelle drogherie. A tal fine fu predisposto il controllo periodico del protomedico sui prodotti in vendita nelle botteghe di spezieria patentate, obbligate all'affissione di un catalogo a stampa con i nomi dei medici riconosciuti dal Collegio dei Medici della Sapienza e con la proibizione di eseguire ricette non comprese nella lista. Questo importante provvedimento, emanato nel corso della seconda metà del Seicento, coinvolse anche i barbieri che per i loro interventi terapeutici potevano avvalersi di unguenti o altro venduti nelle spezierie non casualmente limitrofe, o che in qualche caso finirono essi stessi con l'essere detentori di una privativa di speziale aperta in un luogo diverso dello stesso rione della barbieria o in altro rione. Questo dato si ricava dalla comparazione dei nomi dei barbieri rintracciati e quelli degli speziali (già barbieri) tenuti alla contribuzione della cosiddetta tassa "del Milione" del 1708 imposta dal pontefice Clemente XI (1700-1721) per rimpinguare le casse dell'Erario. Si citano un paio di esempi: l'atto stipulato l'1 settembre 1699 da Pietro Branca da Squillace, con l'anconetano Luca Giuseppe Ferrari, per la vendita della bottega di barbiere posta di fronte lo Speziale detto della Regina a Parione in piazza Paradiso (ASR, TNC, Uff. 9, vol. 537, cc. 453r/v, 464r/v); oppure la bottega «accanto lo speziale» di Pietro Quattrocchi in piazza S. Maria di Loreto nel rione Monti, dove il 19 novembre 1696 si accomoda un fattore (Ibidem, vol. 526, c. 348r/v).

 

Repertorii di famiglie di Domenico Iacovacci cavaliero dell'abbito di Calatrava. FO, cart. in-fol., sec. XVII, nn. 2548 al 2554, 7 volumi scritti dal 1621 al 1642.


Le famiglie sono poste per ordine alfabetico ed ogni volume comprende più lettere. Solo il C occupa un volume. Questi repertori furono scritti dal 1621 al 1642 ed il lavoro è fatto sopra documenti degli archivii Capitolino, e dell'Ospedale e Capitolo Lateranense, dei quali riferisce qualche brano, come pure riporta alcune iscrizioni sepolcrali correlate con l'indicazione del luogo dove si trovano e varie notizie con stemmi. Le famiglie sono le seguenti: Abbatelli, Abbati, Abuamontis, Abundantia, Abundii, Abrusciati, Accepti, Acharigi o Acharisi, Acci, Acciaioli, Acciacci, Accursi, Achilini, Acciomato, Accolti, Acconvioli, Acconciaioco, Accoramboni, Accorari, Accorsini, Acquaviva, Ade, Adeamulo, Adelaschi, Adimari, Adorni, Adriani, Aduini, Adveno (de), Adulberti, Advocatis (de), Aegidii, Aegiptii, Aelii, Aemilii, Affettati, Afflitti, Afflii, Agabitini, Agatoni, Agazari, Agello (de), Aginetto (de), Aglianti, Agnelli, Agola, Agrestes, Aguini, Aguisa, Aguzamo (de), Agolanti, Aiali, Aiani, Alaleoni, Alanio, Alagona, Alatrio (de), Alamanni, Albano (de), Albanesi, Albergati, Alberichelli, Albenza (de), Albernozi, Alberuccini, Alberi, Alberici, Alberini, Alberteschi, Albertini, Alberti, Albertoni, Albini, Alcherigi, Alcheri, Albizi, Albiz (de), Albizzini, Albuci, Aidegatti, Aldi, Aldighieri, Aligeri o Alighieri, Alessandrini, Alexandris (de), Aldrobandeschi, Aldrovandi, Aldobrandini, Aleandri, Alessi, Alfani, Alfieri, Algis (de), Algastar (de), Alicorni, Alidossi, Alimenti, Aliscii, Alisia, (de) Alistii, Allis (de), Alleis (de), Almadiani, Almodiani, Almatio, Alfonsi, Alpii, Altasemita, Altisen, Altieri, Altea, Altobrandi, Altopasso, Altoviti, Alverotti, Alveto (de), Alvianis (de), Alzatellis (de), Amadeis (de), Amateschis (de), Amatis (de), Amatoris (de), Amazuni, Ambrosini, Ambrosi, Americi, Amerini, Ametini, Amici, Amistati, Amisi, Ammirati, Anastagi, Ancorani, Anchiani, Ancillis (de), Ancillotto, Ancistati, Andagoia, Andreoni, Anduan, Andreozi, Andreottini, Anelli, Angeli, Angellis (de), Angeleni, Angelelli, Angeleri, Angelici, Angeloni, Angieri, Angii, Angliani, Angelini, Angelotti, Angeluzi, Angoni, Angoscioli, Anguillara, Anguilla, Anguisola, Angustonibus (de), Annibali, Anicia (de), Anicchini, Anini, Annii, Anisi, Anselmi, Anserini, Antelli, Antelmi, Anteri, Anticoli, Antiochia (de), Antinori, Antini, Antonazi, Antonelli, Antonia (de), Antonini, Antonitti, Antonisi, Appiana (de), Apicii, Apii, Apilatii, Apollinari, Appoiato, Apoiesis, Apoliti, Aquagelata, Aquasparti (de), Aquilia, Aquiglioli, Aquila (de), Aquilani, Aquina (de), Aragonia (de), Araistatis, Aranda, Areghini, Arequini Arboti, Arciboldi, Arimboldi, Arcano (de), Arcarelli, Arcangeli, Arca (de). Archeri, Arce, Archionibus (de), Arcu (de), Ardino (de), Ardinghelli, Ardito, Aretini, Arecanino, Arenglri, Argastreolo, Argenti, Arigucci, Aristocratia, Arristates, Armarmi, Arnulfini, Arunzi, Armentcri, Armi, Armili, Arroni, Araonis, Arriani, Arighi, Arriati, Ariosti, Arigoni, Ariccia (dell'), Arlottis (de), Arrone (de), Ascesa, Asculi, Asinari, Asinelli, Asinii, Asperg, Assellini, Astalli, Astallini, Aste (de), Astrea, Atracini, Attavantis (de), Ataliani, Attegio, Attestina, Attenduli, Atili, Atii, Aversa, Avila, Aringucci, Aviola, Avveduti, Avento, Aurari, Aureli, Aurelini, Auria, Avalos, Avello, Aventini, Aventinensi, Avantagi, Avanzati, Avanzelli, Augurini, Augusti, Agostini Avidari, Auli, Austria, Azetti, Azzi, Azolla, Azonici, Azzurro. Babbo, Bacchabei, Bacchali, Baccani, Baccarozo (de), Baccalari, Bacci, Baccari, Bacchinelli, Baffo, Bagni, Bagattini, Balante, Balarini, Balli, Balbi, Balbano (de), Balbiani, Balchieri, Balchini, Baldi, Baldeschi, Baldassini, Baldini, Balducci, Balduini, Balestra, Baglia, Bagliante, Bagliarte, Bagnacavallo, Balioni, Balio, Balisari, Balocci, Balorderici, Balzi, Balzanumi, Bainzo (de), Bancharini, Banchi, Bandelli, Bandini, Bannini, Bannitteri, Banuzi, Baratti, Barattori, Barattani, Barbarelli, Barbareschi, Barchetta (de) Barbari, Barbarini, Barbani, Barbati, Barbatuli, Barbuti, Barberi, Barbi, Barbiani, Barchalam, Bardi, Bardelli, Bardini, Barenghi, Barientos (de), Barili, Barisani, Baronci, Baroncelli, Baro (de), Baroni, Baronti, Bartoli, Bartolini, Bartoletti, Bartolomei, Bartelluzi, Bartolacci, Barzelloni, Bascani, Baschi, Bassi, Bastardelli, Bartelli, Battaglioni, Battaglieri, Battimelli, Betre (dal), Beccalini, Beccaluva, Beccaria, Beduini, Begliocchi, Beleogie, Belfortis, Bellacuti, Bellanti, Bellispanibus (de), Bellishominibus (de), Bellini, Belliparis, Bellituioni, Belmonte, Bello (de), Beltrandi, Belus, Bembi, Benai, Beneaccaduti, Beneccari, Bentivogli, Bentornati, Benzetti, Benzi, Benzoni, Berardi, Beratta, Berdellis (de), Bernabei, Bene (de), Benedetti, Benenate, Benesai, Benifacere, Benigni, Benevenuti, Benimbene, Benincasa, Benini, Benozzi, Bensivenuti, Benti, Benzi, Benci, Bentivenga, Benzoli, Berlingeri, Bertazoli, Bernardi, Bernardini, Berniis (de), Berta (de), Bertini, Bertoldi, Bertolini, Bertolotti, Bertoni, Bettini, Bevilacqua, Bezi, Bibaculi, Bibuli, Bessarion, Biliena (de), Bili, Bindi, Binelli, Bini, Binucha, Biraga, Bircapecus, Bisavione, Bischieri, Biscia, Bisentio (de), Bisignano, Bistuti, Bitonti, Biviani, Bizzocha, Blanci, Blandi, Blandrate, Bianchetti, Bianchini, Blasi, Blesi, Blesas, Biondi, Boari, Boacciani, Beccaccini, Boccalini, Boccanegra, Boccapani, Boccapianola, Boccapilosa, Boccardi, Boccazivole, Bocci, Boccioli, Boccone, Boctiarum, Boffredeschi, Boiardi, Bolenini, Bolgari, Bolla (della), Bolognetti, Bolognini, Bolomini, Bombelli, Bonachia, Bonacciani, Bonafata, Bonacolsi, Bonaccorsi, Boncompagni, Boncambi, Bonacti, Bonadota, Bonagrazia, Bonadies, Bonasson, Bonavolti, Bonavena, Bonciani, Bonanni, Bononomina, Bonardi, Bonaroti, Bonaventura, Bonafldes, Bonfili, Boniiglioii, Bonfini, Bongalli, Boniberti, Boncurso, Bondis (de), Bondelmonti, Bonelli, Bonfigliacci, Bonioanni, Bonitii, Boni, Bonmartio (de), Boniaugurii, Bonincontri, Bonifanti, Bonimontis, Bonini, Bonvini, Bonvicini, Bonipartis (de), Bonipontis, Bonisportis (de), Bonitatis, Bottoni, Bonori, Bompicciole, Bonopera (de), Bonsignori, Bontempi, Bonzani, Bordi, Bonzi, Bonmarzo (de), Bordoni, Bordisieri, Borgia, Borgo (de), Borgonense, Borgonno, Boron. Boromei, Bossi, Boschetti, Boscoli, Boschi, Botigli, Botticelli, Bovensi, Boveschi, Bove (de), Bovadigli, Bovari, Boverini, Boxi, Bozzoli, Bozzuti, Bozzi, Bracchi, Brago, Brambilli, Brancha, Branchaleoni, Brancales, Brancaci, Brancadori, Branchioni, Brancini, Branchuvi, Bracci, Brandi (delli), Brancifortc, Bracciolini, Brendi, Brinano (de), Broteguardi, Brixi, Briccia (de), Briganti, Bricheti, Briselli, Brisiis (de), Brogion, Broglis (de), Bruadis (de), Brunelli, Brunelleschi, Brunamontis (do), Buboni, Brusatis (de), Bubulei, Bruni, Buccazi, Bucati, Buccatorta, Bucca vecchia, Buccabella, Buccamazza, Buccamaris (de), Buccapictori, Buccanichis, Buccapiscis, Buccascarnelli, Buccazivole, Buccapaduli, Buccapasa, Buccapecus, Buccapedi, Buccalini, Buccelleni, Buccei, Bucchini, Buccegere, Bucerini, Bucciarelli, Bucciolanti, Bucciolini, Buccocci, Bucciolotti, Bubalis, Buffalini, Buffoneri, Bufalieri, Buffi, Bulgi, Buglione, Buigarelli, Bulgarini, Buratti, Burgognibus (de), Buribelli, Burghesi, Burgensi, Burgari, Burelli, Busche (de), Busdrega, Bussi, Busini, Butii, Buvetia (de), Buxia, Buxzachis (de). Caballa, Cabalani, Caballaris, Caballinis (de), Cabalutiis (de), Cabani, Caccia, Caccialupis (de), Cacciato, Cacchi, Cacciapiglia, Caffarelli, Caffari, Caglia (de), Cagnalomosina, Cagnalasini, Cagnonibus, Gagnoli, Caiazzi, Caimi, Cagno (de), Caijm, Calabrensibus (de), Calcagnio, Calcamonte, Calesis, Callidis (de), Calandra, Calandrini, Calcaluva, Calchinis (de), Caldarari, Calderi, Caldori, Calfurni, Calgulari, Calici, Calosis, Calistis (de), Calistelli, Calpulni, Calvis (de), Calthara, Calze (delle), Calpurnios, Camaiani, Cambio (de), Camerata (della), Camesuna, Camilli, Camillotti, Caminiis (de), Camisini, Camisio (de), Camerani, Campagnia (de), Campani, Campanari, Campanini, Campari, Campegi, Campigli, Campis (de), Campineto, Campobasso (de), Campolesto (de), Campolo (de), Camponi, Camporinis (de), Campovascio, Canacio, Canali, Canani, Canariis (de), Canavaliis (de), Canavariis, Cannavatiis, Cannatuli, Canamaus, Canapati, Cancellariis (de), Cancellieri, Cancelmi, Canctu (de), Candelo (de), Candidi, Candulfi, Cannelli, Canziis (de), Canestrello, Cane, Canetti, Canigiani, Canobi, Canones, Cantacusini, Cantagalina, Cantalupo (de), Cantaroni e Cantarmi, Cantelmi, Cantoris, Capanini, Capani, Cappari, Capparellis (de), Capeci, Cappella e Cappelli, Cappellani, Cappellata, Capelletti, Capellucani, Caperchiis (de), Capesoro, Capi, Capilla (de), Capilupi, Capiti, Capitibuslistae (de), Capitinagio, Capitaneis (de), Capitismagistri, Capitolini, Capitoni, Capitosto, Capite (de), Capito (de), Capizucchi, Capodiferro, Capobianchi, Capocci, Capoccini, Caputo, Capocapis (de), Capocefalo, Capogalli, Capoloro, Capomagli, Capponi, Caporinis (de), Caporani, Capotosto (de), Capo (de), Capranica, Capranicense, Capredo, Capreolis (de), Capra (della), Capua, Capuani, Caputmagistris (de), Caputi, Caraccioli, Carracia (de), Carraciensi, Caradorma, Carradori, Caraffa, Caramanco (de), Carangio (de), Carraresi, Carano, Caranzoni, Carraria, Carrariensi, Cararistonibus (de), Carastelli, Caravagio (de), Carboni, Carboniani, Carbonari, Carcarariis (de), Carcopini, Cardelli, Carcho, Cardinalibus (de), Cardini, Cardoli, Carducci, Careciensi, Carretti, Carrettani, Carrettoni, Cariati, Carigli e de Cariglia, Carità (della), Carleriis (de), Cadetti, Carloni (delli), Carmadi, Carmigliola (della), Carnario (de), Carnaseccha, Carnevali, Carnicola, Carnis, Caroli, Caron, Carosi, Caronzelli, Caroriso (de), Carotta, Carpentari, Carpense, Carpi, Carpegna,, Carpei, Carpini, Carsi, Carsolo, Cartharelli, Cartari, Carvazo, Carvi, Carvisi, Casali, Casamatta, Casamurata, Casanova (de), Casapigna, Cassa, Cassano (de), Casacorba, Casamala (de), Casa (della), Casella, Cassi, Cassini, Castagna, Castaldi, Castalei, Castalli, Castellaci, Castellani, Castelli, Castellino (de), Castiglione (de), Castiglio (de), Castoro (de), Castracani, Castri, Castroni, Castrucci, Casuluni, Cassi, Ca tagna, Catalani, Catalucci, Catanei, Cataroli, Catarozonibus (de), Catasso, Catasto (del), Catellini, Catena, Catestinis (de), Catignani, Catini, Catinari, Catozia, Catuli, Cati, Catussi, Cavalcanti, Cavalieri, Cavalierini, Castro (de), Cavalli, Cavaluzi, Cavar ani, Cavar oni, Cave, Cavinzonibus (de), Cazaia (della), Cazis (de), Cazzulo (de), Cazzuti, Ceburrio (de), Cecagata, Ceccaglia, Ceccano, Ceccharelli, Ceccharini, Cecchedei, Cecchi, Cecchini, Cecchionibus (de), Ceci, Cecilia, Cecinarum, Cecitari, Ceccholi, Ceccholini, Cedra (de), Celandra, Celano (de), Celanza (de), Celarossi, Celenini, Cellesi, Celestinis (de), Celleti, Celimontani, Celi, Celicii, Celli, Cellini, Celsi, Cemini, Cena, Cenani, Cencubenone, Cenfia, Cennini. Centelli, Cento (de), Centre, Centurioni, Cenzoli, Cepparellis (de), Ceperini, Cepiones, Ceccolelli, Cenconcelli, Cerradori, Cerambella, Cera, Cerasa (della), Ceratani, Cerchi, Cerrini, Cerrotinis, Cerrone, Cerroni, Cerquini, Cervaria, (de), Cervelli, Cerve (de), Certia, Cerviis (de), Caesaris, Caesarinis (de), Cesena (de), Cesidii, Caesis (de) o Cesi, Cere, Ceuli, Cethegii, Cincii, Chatelina (de), Chermadii, Cherubini e de Cherubinis, Chiapparis (de), Chiavano (de), Chiavenna (de), Chiaza (de), Chieravelli, Chilini, Chiuppis, Chisi o Chigi, Ciaballo, Ciabatta, Ciaffi, Ciaffone, Ciaglia (de), Cialdera, Cialdoni, Cialdera o de Cialtera, Ciambotta, Ciammetta, Ciampa (de), Ciampoli, Ciampolini, Cianche, Ciancalelli, Cianetella, Cianfia, Ciani, Ciannetis (de), Ciapparis (de), Ciappelli, Ciarciavalivolo, Ciardafelli, Ciari (de), Cibo, Cicala, Ciccha (de), Cicada, Ciceroni (de), Cicigliano (de), Ciconia, Cicconcellis (de), Cicco (dello), Cieccia, Cierni, Cifoli, Cigliarco, Ciglionibus (de), de Cillis, Cima (de), de Cimo,~Cimatori, Cimini, Ciminottis, Cincharii (de), Cinchi, Cincinnati, Cinciomi, , Cingoli, Ciniesenis (de), Cinguini, Cini, Cinni, Cinque (de o del), Cinthiis (de), Cioci, Cioffis (de), Ciola, Cionino, Ciocti o de Ciottis, della Ciopta, dello Ciopto, dello Ciotto), Cipollaro (dello), Cipriani, Cipriotti, Cirelli, Ciriacci, Ciscule (de), Cittadini, Cittarelli, Cithara (de), Citerà (de), Citerii, Citola (della), Cisteroni, Civacchia, Ciucci, Ciocci, Ciucciolini, Ciuffo, Ciugha (de), Ciurli, Civere, Claramonte, Clarelli, Chiari, Clarini, Clavari, Clavelutii, Clavellonibus (de), Clavelli, Clavii, Claudi, Clementi, Clementini, Chierici, Clerici, Clio, Clocli, Clodii, Cluentii, Coccanasi, Coccapani, Coccha (de), Coccia, Cocciapenta, Cocciola, Cocola, Cocchavaginis (de), Codatiis (de), Coffi, Coglioni o Colleoni, Coirenotti, Cola, Colacci, Colarenzo, Collari o de Collaris, Collarini, Colarossi, Colasabba, Collalto (de), Colaianni, Colazzo, Colecta, Collegio (de), Colei, Coleino, Colelle, Colepacis, Colletani, Colezovi, Colgineri, Colica (de), Collini o de Collinis, Collis (de), Golosi, Colozzi, Columbetti, Colonna, Columbi, Coluzia, Coltra, Cornelia, Commendatore (dello), Comeri, Cominati, Corninosi, Comitii, Commini, Conti di Foligno, Comitensi, Comestabile o Contestabile, Compagni, Concha, Concini, Condelmari Confalonieri, Confortis (de), Conradi, Consalvi, Costanzi, Costantini, Conta, Conzolini, Consiglini, Consoli, Contarini, Contarulo (de), Contessa (de), Contiguidi, Contrada, Contrera, Contugi, Convensi, Conversi, Conutibus (de), Coppa (de), Coppari, Coppinis (de), Copoli, Coguari,A Coppia (de), Corradi, Corradini, Corradori, Corraducci, Corravelli, Corazari, Coraziis (de), Corbaria (de), della Corbaria o de Corbario, Corbinelli, Corbini, Corbizzi, Corboni, Cordavellis (de), Cordelli, Cordii, Corduba (de), Cori, Corna (delle), Cornaehia, Comari, Cornell, della Cornia, Corgnia o Cornea, Coronis (de), Coronariis (de), Coronati, Coroselli, Corregi, Corsellis (de), Corsellini, Corsetti, Corsi, Corsini, Corsicani, Corte (della), Cortesi, Corticelli Corto, Curtis (de), Cortonis (de), Corva (de), Corvellis (de), Corveo, Corvini,, Corumeani, Cosciari, Coscia, Cossi, Cosso, Cosani, Cosati, Cospi, Costa, Costantia (de), Costatii, Costiariis (de), Costiis (de), Costrue, Cotta, Cottardi, Cotica, Coticone, Cottignola, Cottirangi, Covaginis (de), Covalona, Covarugi, Cozenna, Cozoni, Coveia, Cozzo (dello), Cozungania, Crapuccia, Crapolo (dello), Crassi, Cratella, Credo (de), Cremonensibus (de), Crescimbene, Cressa, Crescenzi, Cricco (de), Crispi, Crispitii, Crispoldi, Christianis, Crivelli (Cribello), Crocicchia, Croco (del), Cropto, Croto (de), Cruciani, Cruciariis (de), Cruciis (de), Crucciolini, Croce, Cruis, Crupelli, Cuccini o Coccini Cucco, Cuccioni, Cugnessi, Culfìs (de), Cumis.(de), Cuniola, Cuollolongo (de), Cuosso (de), Cuppi o de Cuppis, Cupparella, Cupulo, (de Monte), Curdellis (de), Cursini, Curia, Curletti, Cursaci, Cursellinis (de), Cursi, Curta (de), Curtesi, Curtii, Curcula, Cusani. Dadinis (de), Damari, Damasceni, Damassi, Damangii, Damiani, Dammagis, Dammorini, Dammaro (dello), Dandini, Danelli, Danielis, Danelo (de), Dante e Danti, Darnanonibus (de), Datteri, Dati, Dativi, Dattulo (de), Davalos, Decii, Decimi, Dedii, Delphini, Demetrio (de), Denarii, Dentici, Deodati, Destro, Deti, Diano (de), Dianora, Diaz, Didinis (de), Didii, Dieti, Dillio, Dimutiis (de), Dinaro, Dini, Dionysiis (de), Dioteaiuti, Dioteguardi, Divisa (de), Divitia, Docti, Dodonariis (de), Dogana, Dogeri, Dolce, Dolin, Dolobelli, Domicelli, Dominici, Domino (de), Dominipauli, Domizi, Donadei, Donnavacca, Donatulis (de), Donati, Donis (de), Donnichella, Donitiis (de), Doria, Dovari, Doxis (de), Doyna, Drago (del), Dreti, Ducei, Dudini, Dulcis, Dunii, Duodi, Durabilis, Durantibus (de), Durazzi, Durelli. Eburni, Ebutii, Ecclesia (de), Edificati, Effectis (de), Egidii, Egyptiis, Elba (dell'), Elbio (de), Elephantibus (de), Elii, Ebani, Elisei, Elventi, Ematriani, Emii, Emilii, Enei, Ennini, Enostri, Equitibus (de), Equizi, Ermanni, Erolis (de), Erto (de), Esculo, Este (d' ), Evangelista, Euli, Eunupbrii, Eustachi. Fabi, Fabiano (de), Fabricii, Fabri, Facescbis (de), Faccia, Facilla, Fattori, Fagiolani, Fagnani, Faiani, Falbo (de), Falconcini, Falconelli, Falconi, Falconieri, Falletto, Falsoponte, Falzonibus (de), Fama, Fanagena, Fanelli, Fantazi, Fantellis (de), Fantigrande, Fantini, Fantotti, Fantucci Fani, Faresi, Farfarella, Farfenghi, Farini, Farinacci, Faris (de), Farri, Farnese, Farnetto, Fasanella, Fasani, Fascina, Fascinacciis (de), Fasioli, Fassonis, Fasti, Fava, Favari, Favella, Faventinis (de), Favorini, Fausti, Fazini, Federici, Fei, Feliciani, Felicis, Feltri, Femuari, Fenicii, Ferragatto, Ferrando, Ferardi, Ferrazolo, Ferrari, Feratini, Ferrentis (de), Ferrentino (de), Feretrani, Ferretti, Feriancampo, Ferinariis (de), Fernutiis (de), Ferri, Ferrucci, Festis (de), Fetta, Fiamberti, Fianga, Ficca, Ficini, Ficoccia, Ficinellis (de), Fictorii, Fidelibus (de), Figuli, Filageri, Filelfi, Filiabus (de), Filettini, Filomarini, Filippeschi, Filippi, Filippini, Filitiani, Filittino (de), Filitibus (de), Filonardi, Finaganza, Finagranis (de), Finale, Fina (de), Finolis (de), Fioravanti, Fiorellis (de), Firmicinis (de), Firmani, (Fieschi), Florentii, Fiamma, Flamini, Flasconari, Flavi, Fiori, Floriales, Floridi, Fiorito, Foliani, Foliarari, Foglietta, r Fonte, Fontei, Fontana, Fontini, Fonseca, Forconi, Fordinoglie, Foresta (de), Forlani, Forlivio (de), Formicini, Forno (del), Foroboschis, Forti, Fortefiocca, Forteguerris (de), Fortini, Fortebraccio, Forsani, Fossano va, Fossardi, Fossati, Fracassa, Fraschis, Fragatta, Fralli, Fran ceselli, Franceschelli, Franceschini, Francigena, Francioli, Franciolini, Franciotti, Franconibus (de), Francini, Franchinis, Franchi |Franci Francisci, Francucci, Frangipani, Franzonibus (de), Frasconibus (de), Fratta (della), Freciantes, Fregosi,* Fredi, Freitis (de), Fresci, Fresiantes, Frescobaldi, Frontenes, Froscia, Frosi, Frumenti, Fucci, Fuentes (de), Fulchi, Fulgosi, Fulvi, Funari, Fundis (de), Fuoglio, Furi, Furiosi, Furni, Fusari, Fuselli, Fuschero, Fusconi, Fuscorri, Fusii, Fustis (de), Fuzi. Gabatii, Gabelluti, Gabines, Gabosa, Gabrieli, Gaddi, Gaetani, Gaget (de), Gagliardis (de), Gaglioffi, Gagniulis, Gaiazzo, Gaii, Gaiutii, Gallarde, Galassi, Galaza, Galleati, Galeani, Gallina, Galeatiis (de), Galerani, Galeria, Gateschis, Galeotti, Gaietti, Galletii, Galgani, Galli, Gallinis (de), Galloci, Galloni, Gallota, Gallinari, Galafii, Galterii, Galluvianis (de), Galluzzi, Gamanea (de), Gambacorta, Gambari, Gambonari, Gammatorta, Gani, Gareriis, (de), Gargani, Gargari, Garimberti, Garofani, Garofali, Garonetti, Garoni, Garugi, Garzolani, Garzoni, Gattis (de), Gattamelata, Gatanelli Gattinari, Gattola, Gaudenti, Gavelli, Gaurico, Gazza, Gariis (de), Gedda, Gegani, Gelati, Geli, Gemini, Gemma, Gengano (de), Gencomini, Gennari, Gente (de), Gentilis, Gentileschis (de), Geptii, Gerardi, Gerardini, Germandi, Gerona, Gesualdi, Gerundis (de), Gessi, Genea, Gete, Ghevari, Ghilesi, Ghisii, Ghislieri, Ghinnutiis (de), Giacomelli, Giandonati, Giannotti, Gianfigliazzi, Giardini, Gibelli, Gibilei, Gibralere, Gibraleonis, Gidi, Giganti, Gili, Gilioli, Giletti, Ginnei, Ginnetis (de), Giogia, (della), Giotti, Girradi, Giranuciis (de), Girate (de), Girgieti, Gironibus (de), Girutii, Gisberti, Gisi, Gisualdi, Glodiis, Glorieri, Godentis, Godi, Gofferi, Gohe (de), Goioli, Goiosi, Golgani, Gondi, Gondifalvi, Gonferio, Gonzales, Gonzetti, Gonzaga, Gorgolini, Gori, Gosmari (de), Gottardi, Gottifredi, Gotii, Gozadini, Gracchi, Gradari, Gramento, Grammis, (de), Granis (de), Granelli, Granari, Grandi, Granatis, Grassi, Grasci, Gratiani, Gratioli, Greci, Grasselli, Gratia (de), Gratiadei, Grati, Grattulis (de), Gravina, Gregoriani, Gregani, Gregari, Grego (de), Gregori, Greppis, Griffi, Griffoni, Grilli, Grimaldi, Grimani, Grisotti, Grossolani, Grossi, Grunatis (de), Gaudagnoli, Guadagni, Gualdis (de), Gualterotti, Gualtieri, Gualterini, Guanzara (de), Guarda (de), Guarinatii, Guarrini, Guarinerii, Guarisco, (de), Guarnelari, Guaschis, (de), Guastaferri, Guastapaglia, Guastapane, Guastavillani, Guazaronibus (de), Guelfi, Guerra, Guerreri, Guicciardini, Guidaci, Guidani, Guidarelli, Guidalotti, Guidetti, Guido (de), Guidoni, Guidolini, Guidotti, Guidiccioni, Guiducci, Guinisi, Gulielmi, Gulielmini, Gulpis (de), Guesualdi, Gucci, Gundi, Guulterini. Hamala, Hamele, Hastis (de), Hastacha, Heduenses, Helia, Helmi, Hemini, Henchevort, Herculani, Herculinei, Herulis (de), Hermini, Henrici Hieronymi, Homodei, Honesti, Horatii, Horlandis (de), Hortensi, Hortolaria (de), Hostii, Hostilii, Hotta (de), Hunufrii. Iabbi, Iachetti, Iachinis (de), Iacinthii, Iacii, Iacobatiis (de), Iacobelli, Iacobi, Iacobelletti, Iacobinis (de), Iacoboni, Iacolitii, Iaconi, Iacobilli, Iacobittii, Iacobuttii, Iacomacii, Iacomelli, Iacottoli, Iacomini, Iacquintelli, Iancolini, Iancolistae, Ianfigliatia, Iannelli, Iannesce (de), Iannacti, Iannetti, Iannicari, Iannicolis (de), Iannicone, Iannictis (de), Iannini, Iannoni, Iannetti, Iannutii, Ianua (de), Ianuarii, Iannuccelli, Iavezzatiis (de), Ianzi, Iasi, Ibelli, Iconelli, Ieccoli, Ienciis (de), Ierone, Igileriis (de), Ilariani, Immezzato, Impicciati (dell), Impoccia, Incasatis (de), Indien, Indisti, Infanete, Infangati, Infantes, Inferrieri, Infessura, Ingliarti, Insegna, Insulani, Interminelli, Invezzato (dell'), Ioachini, Ioanninese, Ioannini, Ioannis, Ioctii, loculi, Iofredi, Ioli, Iomei, Ionata, (de), Iontini, Iordanelli, Iordani Iosati, Iosepi, Iotii, Iovi, Iozo (de), Iovacchini, Iovinelli, Isla, Isolani, Insula, Iubilei, Iudei, ludici, Iudicinis (de), Iuliani, Iuletti, Iulii, Iullinella, Iunacti, Iuncellis (de), Iuncta (de), Iuniis (de), Iurio (de), Iusti, Iustini, Iustiniani, Iutii, Iuvenale, Iuvenis, Iuvendii, Iuventis (de), Lagiis (de), Lagno, Lamberti, Lambertini, Lamframis (de), Lampini, Lampugnani, Lani, Lanarii, Lancellotti, Lancerini, Lanciariis (de), Landi, Landolfi, Landriani, Landrosilla, Lanfranchi, Lanfredi, Lanfredini, Langer, Languidis (de), Lannari, Lante (de), Lanuviis, Lapi, Lara (de), Laraso (de), Largii, Lartii, Lasciarini, Lati, Laste (de), Lattantii, Laterani, Latini, Latro, Lavaroli, Laudati, Laude (de), Laveriis (de), Laurichi, Laureliis (de), Laurentiani, Laurentii (de), Lauri, Lazari, Leandri, Lecanii, Legali, Legno (de), Lei, Leli, Lelli, Lellionibus, Lemni, Lemoine, Lemorate, Leni, Lenoncort, Lenta, Lentuli, Leoli, Leonardi, Leonis, Leonelli, Leonini, Leonissa, (de), Leontii, Leopardis (de), Leppolo (de), Lepidi, Lepori, Lepteriis (de), Lerate, Lerma, Leti, Levini, Levo (de), Leutiis (de), Liazzariis, Liberati, Libii, Libonii, Licardi, Licardini, Licinii, Lignani, Ligones, Ligoriis (de), Lilii, Linconi, Lippi, Lippoli, Lippemani, Lirici, Liscii, Lisochi, Lisolani, Litta, Locinis (de), Lomani, Lombardi, Lomellini, Lomuli, Lonelli, Longini, Longi, Longori, Loparini, Lopes, Lorce (de), Loredani, Lorenzoli, Lorini, Lorio, Lotherio, Lottecariis (de), Lottis (de), Lovezzo, Lucazzi, Lucarelli, Lucatelli, Lucchettis, Lucchesi, Lucae, Luciani, Lucchini, Lucidi, Lucii, Lukia, Lucilii, Luca (de), Lucotii, Lucretia, Lucumonia, Luczoli, Ludovici, Ludovisi, Lusia (de), Lupelli, Lupi, Lupiberti, Lupiello, Luragi, Lusiani, Lusignani, Lusimbardi, Lussa, Lutatii, Luti. Macaleno, Macaciis, Macarani, Macari, Macaroni, Macarotii, Macedonii, Maceratis (de), Maccioni, Macchiavelli, Mactaleonibus, Mactane, Mactatemone, Macteutii, Mactucii, Mactoiz, Madii, Madruzi, Maciis (de), Maestroni, Maffei, Magalotti, Magansi, Magarellis (de), Magnavillani, Magnifici, Magdaleni, Magistris (de), Magistris Lucae (de), Maggi, Magii, Magli, Maglione, Magliotii, Magluzzo, Magni, Magnacutia, Magnalucida, Magnagni, Magnaperla, Magnavacca, Maguti, Maiaro, Maiescoli, Maii, Maini, Maione, Maiozinis (de), Malabranca, Malacarna, Malaciis (de), Malaconcia, Malagruma, Malalingua, Malamerenda, Malanocte, Malarii, Malarieri, Malaspini, Malatesta, Malavolti, Maldensibus (de), Maldone (de), Maligno (de), Malli, Malloni, Malpileis, Malvicinis, Malvezzi, Mamilii, Mammola, Mamurri, Mancini, Mancinelli, Mandisseis (de), Mandosi, Mandozi, Mamona, Manerii, Manfredi, Manfroni, Mangerio (de), Manginis (de), Mangone, Mangotti, Mangrande,Manilii, Manilli. Manelli, Manenti, Manei, Manetti, Mannano (de), Mannini, Manno, Manomozza, Mansi, Mannosiis (de), Mantia, Mantis (de), Mantaco (de), Mantiri, Mantui, Manuillis, Manutii, Manzani, Manzini, Manzolis, Manzoni, Marra, Maramao, Marani, Maraschi, Maracii, Marasi, Maratinis (de), Marchis, (de) Marchesani, Marcheselli, Marchesi, Marchesetti, Marcelli, Marcellini, Marchi, Marchetti, Marchiani, Marcii, Marco (de), Marconceis (de), Mardone, Marescalco (dello), Marerio (de), Mareriis (de), Martiani, Marescaldi, Marescotti, Marfoli, Margani, Margantini, Margozzi, Margariis (de), Mariani, Marignani, Marii, Maria (de), Marinelli, Mariola, Mariotti, Maris (de), Marichellis (de), Marino (de), Marini, Marliani, Marmorei, Marmorata (de), Maroffis (de), Marrogii, Maroli, Maroncelli, Marro (dello), Marroni, Marrocchi, Marrozzini, Marozo (de), Marosi, Marquistianis (de), Marsiaci, Marsicaglia, Marsii, Marciani, Marsilii, Marsupini, Martellenche, Martelli, Martellutii, Martiglione, Martii, Martinellis (de), Martinetti, Martinenghi, Martini, Martulis (de), Martioli, Martoletti, Marthomonii, Marturi Martutii, Marnili, Maruscelli, Marzani, Marzi, Marzochis, Marzolis (de), Marzopinis, Marzutello (de), Mascardi, Masciani, Masciari, Masci, Mascitti, Massi (Massa, de Massa), Massaini, Massarelli, Massari, Massarutii, Massaroli, Massarone, Massei, Masselli, Masseroni, Massimissa, Massoni, Masti, Mastrilli, Mastrinardi, Mastro (della), Mastrone, Mastrogiudici, Mastruzzi, Matta, Mattabuffi, Mataloni, Mataratii, Matano, Matelica, Matellini, Materia, Matthotii, Mattei, Mattioli, Matii, Matoli, Maviis (de), Mavillis (de), Mauri, Maxarii, Massaro, Maxerone (de), Maximinis (de), Maximi, Mazzeis (de), Mazzinghi, Mazzabufali, Mazzacolli, Mazalupo, Mazamatii, Mazzani, Mazzarelli, Mazarini, Mazaroli, Mazzaronibus (de), Mazzarotti, Mazatosta, Mazziotti, Mazzocho, Mazonibus (de), Mazo, Mazone (de), Mazonia, Mece (de), Mectis (de), Medici, Medina, Mediispanibns (de), Medula (de), Medullini, Mej, Meglioratti, Melchiorri, Melfi, Melli, Melimi, Memaberiis (de), Memmi, Mendez, Menevi, Menichelli, Menichinis (de), Menicis (de), Menicocci, Mensi, Mentebona, Mentibus (de), Mentones, Meoli, Mercantes, Mercatello (de), Merdeballo (de), Merilia, Merliani, Merula, Mesalli, Messemi, Mesilii, Mestro, Metta, Metilii, Meutini, Minnicelli, Michaeli, Michelotti, Mictepane, Micciarelli, Miccini, Miccinontis (de), Miccioli, Mida (de), Migis, Migliari, Migualli, Mignanis (de), Migliori, Mignanelli, Millani, Milesii, Mileti, Militis, Migliavacca, Millis (de), Milo (de), Milone, Mina, Minichelli, Mincii, Mingotii, Minii, Minutii, Mioris (de), Minutulis (de), Mirabella, Mirabellis, Mirabile, Mirandola, Minore, Mocaris (de), Mocchante, Moceniga, Mochis (de), Mociis (de), Moderni, Modesti, Modica, Modii, Molara (della), Molini, Molza, Mona (de), Monaci, Monalitti, Monaldeschi, Monaldi, Moncadi, Moncia, Monchi, Mondergoti, Monferrati, Monforti, Monseto (de), Montanari, Montani, Montania (de), Montagliano (de), Montalcini, Montebonis (de), Monte (de), Montibusrubeis (de), Montiis (de), Montecalvo (de), Montecatino (de), Montecuculo, (de), Montefeltri, Monterani, Montella (de), Montegambaro (de), Montegentili (de), Montemirabili (de), Montenigro (de), Montesperelli, Monticelli, Monticoli, Montio, Montemellini, Montemileto, Montone (de), Montorii, Monumenta, Monza, Monzanica (de), Moraco, Morales, Morana, Morandi, Moranzani, Morari, Morbilli, Morea (della), Morelli, Moretti, Monfantini, Morichis, Morigliei (de), Morinelli, Morini, Moricone, Morliani, Morlupo, 75 Mormile (de), Mori, Moroco, Morolo (de), Morra, Moroni, Morosini, Mosca, Moschii, Moschetti, Mosciglione, Motta (de), Mozanigo (de), Mozzoi, Mucari, Muccho, Mucelli, Mugnes, Mularii, Mulli, Mundi, Murelli, Muretti, Murta, Murtula, Musa, Musca, Muscarellis (de), Musciani, Muscini, Musetis (de), Mustella, Mustini, Musti, Mustacii, Mutiani, Mutini, Muti, Muti Papazzurri, Muti de Piccolinis, Mutoli, Muimii. Naccionibus (de), Naglia (de), Nagni (de), Nanni, Nannoli, Nanti, Nantoli, Nardellis (de), Nardutii, Nardi, Nardini, Narina (de), Nari, Nascii, Nasica, Nasi, Natani, Natoli, Natoni, Navarra, Navellis, Nautii, Nazzano (de), Neapolinis (de), Necco (dello), Nectole, Nelloli, Nerone, Negroni, Nelli, Nenii, Nepotes, Nerli, Neri, Nerucci, Nerula (de), Neysis, Nicolai, Nicolini, Nicosanti, Nigri, Nicoso, Niganini, Nilis, Nimira (de), Nini, Niscii, Nizzo (de), Nobili, Nocchi, Noctis (de), Nofrii, Noia, Noitellis (de), Nonii, Norba, Nori, Norici, Normandi, Noscesi, Nossaleux (de), Noto (de), Novato (de), Novamina (de), Novellari, Novelli, Novebone, Nucciarelli, Nuccioli, Nucchi, Numai, Numitorii, Nuta (de), Nutii. Oberti, Obicionis, Octavia, Octinelli, Occimenduinis (de), Oculi, Oculiboni, Odelasca, Odina, Odericii, Odescalchis (de), Odeschis (de), Oddi, Odolini, Oddoni, Oddini, Odrisii, Offida, Offredutii, Olangate (de), Olegio (de), Olgiati, Olianta (de), Olivelli (de), Oliverii, Olivi, Omniasanti, Ongaro (dell'), Onuphriis (de), Onustini, Oppiani, Opiterpii, Optati, Oradini, Orbiani, Orceolani, Ordecha, Ordelafl, Orebio (de), Oria, Oricchia (de), Oricellariis (de), Orilogiis (de), Orlandi, Ormanni, Orminii, Ornea (de), Orologiis (de), Orsinovi (de), Orto (de), Ortolano, Otthona, Otta (de), Ottornanni, Otitisni Paccha, Pacis, Pacironibus (de), Pacificis, Pactia, Pacuriis (de), Padogatteri, Padule, Palladii, Pallapanibus (de), Paladini, Paladone, Palagi, Palani, Palantieri, Palatii, Pallavicini, Pallantes, Palazzoli, Palelli, Paleologi, Paleotti, Paliano, Paliari, Palichi, Pallidi, Palifri (de), Palorchi, Panachione (de), Panzatici, Palini, Pallis (de), Palittis (de), Palina (della), Palmerii, Palmonii, Palochi, Palocti, Palonis, Palossii, Pallotti, Palozi, Palume (de), Palumbaria (de), Palumbo, Palencha, Paluzelli, Palutii, Paluzetti, Pamphilii, Pamperotto, Panafìero, Panariis (de), Panacterii, Panchionii, Panciatici, Pancionibus (de), Pancitta, Paniglione (della), Panatta, Panciroli, Pancialis (de), Panigaroli, Panisgallina, Panis, Pandetelli, Pandolfucci, Pandoni, Pandulphi, Pandulphini, Pandulti, Panebianco, Pannatii, Pannelli, Panici, Pannonis, Panscii, Pansis (de), Pantalei, Pantelli, Panzani, Panzardi, Panzerii, Pantaleonis, Pantaseri, Panzatici, Panzieca, Pappa, Papacodi, Papafava, Papagiani, Pappalettere, Paganelli, Pappansogna, Papardi, Paparelli, Papareschi, Paparesiis (de), Paparoni, Papazzoni, Papazzurri, Papensis, Paperotti, Papia (de), Papii, Papi, Papiri, Paradinas (de), Paradisi, Paremis, Paravicini, Parenti, Parez, Parcura (de), Pargolelli, Pari, Parisiani, Parisii, Parobiavo, Parocoli, Parona (de), Parua, Particappa, Parverii, Paruniani, Parturippe, Passamonte (de), Passa, Passarani, Passarmi, Passeri, Pascha, Paschalis, Pascaris, Pascio (dello), Pasini, Passutis, Patis (de), Patelli, Patri, Patritii, Patria, Patroni, Patura (della), Paulini, Pauli, Petripaulli, Paulli, Paulutii, Pavoni, Pazzi, Pecora, Pecorarii, Pecorella, Pectinicchi, Pectinis (de), Pedachia (della), Pede, Pedemontis, Pedimontani, Pedimantellari, Pedegatto (de), Pedone, Pedrazia (de), Pegna (della), Pellacini, Pelascio (de), Pellarii, Pellicani, Pellimone (de), Pelliparii, Peluchis (de), Penna, Pennuti, Pentecorno (de), Pepe, Pepoli, Peragole (de), Perardi, Peregrini, Perulla, Perrero, Peresino (dello), Pereto, Peretti, Peretrutii, Pergolelli, Pergula (de), Pergallis (de), Pergolella, Pertaglia, Perficis (de), Perilli, Periannini, Perini, Periusoli, Periti, Perloniazi, Perolellis (de), Perleonibus (de), Perottis (de), Persicis, Persiconibus (de), Persona, Peruschis (de), Perusio (de), Perusii, Pervina (de), Pesante, Pestalonto, Petatis (de), Pettino (de), Peta (de), Peticti, Petitia, Petrarca, Petracchia (de), Petracini, Petra (de), Petrasancta, Petramala (de), Petrea, Petriberta, Patrignanis (de), Petrini, Petro (de), Petrimagni, Petrimattei Petroblancho (de), Petrivincentii, Petroni, Petrucci, Phanellis (de), Philelphi, Philones, Philippini, Philipputii, Placidia, Plantanidi, Piacer, Piandemeleto, Piateti, Piatti, Picalotta, Piccardinis (de), Picariis (de), Piccinardi, Picchis (de), Piccinini, Piccolo (de), Piccolotis (de), Piccolomini, Picconis, Piczi, Pizocarni, Pici, Picamando, Pighini, Piglioni, Pigro (dello), Pigliai' arme, Pignattelli, Pignanelli, Pii, Pilari, Pilis (de), Pilosella (della), Piloso, Pilioli, Pimpinelli, Pinarios, Pinarolis, Pincraranis, Pinciaroni, Pinci, Pinelli, Pinsones, Pintassi, Pinti, Pinia (de), Pinionis, Pinis (de), Piordis (de), Piotti, Piperis, Pipini, Pippo (de), Pirardis (de), Pirami, Piritii, Pirronis, Pirotti, Pirovana, Pisanelli, Piscaria, Pisciainsanti, Piscionibus (de), Piscopinis (de), Pisones, Pistalli, Pithianis (de), Pitti, Pittores, Pittones, Pizzulini, Pizzutelli, Pizzutii, Pizzutis (de), Planca, Plautii, Plelli, Plinii, Plumbino (de), Plattis (de), Plotis (de), Poci, Poccia, Pochis (de), Pochosangue, Podio (de), Podogateri, Poeni, Poeti, Poggi, Poiacci, Poiani, Polentani, Poli, Politiani, Policatis (de), Policarpi, Polinis (de), Politis, Polla (de), Polonia, Poltroni, Pomara, Pompei, Pompilii, Pomponios, Ponta (della), Pontadera, Pontani, Pontaroli, Pontecurvo (de), Ponte (de), Ponticellis (de), Pontini, Pontiani, Pontio (de), Pontirolo, Ponticis (de), Ponza (de), Ponzele (de), Pompilii, Popleto (de), Populeschis (de), Porcari, Porcapiis (de), Porcelletti, Porcelii, Portilii, Port'a casa, Porta (della), Portaromana (de), Portante, Portella, Portii, Porto (de), Posterli, Posthumi, Potentiani, Ponititia, Povelle, Pragni, Prato (de), Praecopii, Praecoio (dello), Praecovanne, Predi, Praefecti, Praepositis (de), Preite, Praesbyteri, Preti, Pretinicchio, Prezzo (de), Primiceriis (de), Primi, Prioribus (de), Priotii, Prisci, Privola, Probi, Processi, Procida, Proculei, Proficis (de), Prorolella, Prosperi, Protonobilissimo, Ptolomei, Pubblicola, Publii, Publicii, Publilii, Puccianninis (de), Pucciarelli, Pucci, Pudiani, Pulchri, Pulci, Pulicato, Pulselli, Puppi, Puritate (de), Pusterla, Puteo (de), Putei, Pozzo Putii, Puttini, Putrio (de). Quagliati, Qualiottis (de), Quantarelli, Quarri, Quarterii, Quastoferri, Quatracii, Quattro (de), Quattrocchi, Quinque (de), Quintii, Quintili, Quirini. Rabuleii, Raccani, Radist (de), Radulfi, Ragonensi, Ragusa (de), Raicani, Raimondi, Rainaldi, Rainerii, Rainonis, Raizonis, Rais (de), Rainucerii, Raynutii, Rainuccianis (de), Rainuccini, Rale, Ramfi, Ramoraccia, Rampinettis (de), Ramuldi, Randoli, Rangoni, Ramiltitii, Rapolis (de), Rapoltestaiin, Raspanti, Rasponibus (de), Rassis (de), Rastelli, Ratti, Ravalliti, Ravana (de), Ravaschieri, Ravelli, Ravignani, Razenna, Reali, Reate (de), Rebibbi, Recenati, Re (dello), Recchia, Reghini, Regio (de), Regno (de), Regolini, Reguardati, Reicenda (de), Ramgitto (de), Renati, Renis (de), Rentii Renzicoli, Renzolini, Reschisis (de), Resembergi, Resta, Restitutis (de), Revelli, Rezza (della), Riarii, Ricasoli, Ricchadonna, Riccardi, Riccardini, Riccardutii, Ricchi, Ricci, Ricciardis (de), Ricenatis (de), Richetti, Riccherze (de), Riccione, Ricciutoli, Ricciutis (de), Riccolta (de), Riccomandis (de), Ricordo (de), Riccuccia, Ries (de), Rignano (de), Rigoni, Rigot (de), Riguardati, Rigutii, (de), Rimis (de), Ringhieri, Ripo (dello), Ripari, Risis (de), Risaliti, Ristarolo, Ritola (de), Riva, Rivaroli, Rivera, Robbina, Robella (de), Roberii, Roberti, Roberteschi, Roccabiffi, Rocchi, Rocchinis (de), Rodi Rodulphi, Rolinis (de), Rofredeschi, Rogeriis (de), Rolecti, Roma (de , Romagnoli, Romaiolis (de), Romanelli, Romanutiis (de), Romani, Romarilis (de), Romatii, Romaulis (de), Romei, Romoldi, Romolini, Romondi, Romulaiis (de), Ronaldini, Ronca (la), Roncioni, Rondinelli, Rondinini, Ronzolini, Ropilloni, Roppia (de), Rosa, Rosani, Rosatis (de), Rosciglioni, Roscia, (della), Rosina, Roscioli, Rosselli, Roscettis (de), Rosignolis (de), Rota (de), Rotulantis, Rotundi, Rovarella, Rozza (della), Rover, Rubei, Rubelli, Rubertini, Rubianis (de), Rueda (de), Rubini, Rubion (de), Ruscaplius, Ruceriis (de), Rum, Ruffini, Rufulatto (de), Ruini, Ruix, Ruperti, Rusia, Rusconi, Ruspi, Ruspuli, Rustici, Rusticelli, Rusticucci, Rutilibus (de), Rutiloni, Ruvere (de). Sabba, Sabbatinis (de), Savelli, Sabini, Sabinuccinis (de), Sabottella, Sacareni, Sacce, Sacchetti, Sacciano, Sacchi, Saccoccia, Sadoleti, Sagazis (de), Sagrati, Sala (della), Salaviori, Sallis (de), Salamoni, Saldonibus (de), Sallidi, Salimbeni, Salito, Salonense, Salvati, Salvatichi, Salvatoribus (de), Saluberti, Salvetti, Salvi, Salviani, Salviati, Saluzzo (de), Samarini, Sammaro (de), Sami, Sammonii, Sampieri, Sanazzarri, Saniarii, Sanitarucii, Sano (del), Sango, Sangregnoro (de), Sangro (de), Sanguinei, Sanguineto (de), Santacroce, Sanctini, Sanctoli, Sanctoeustachio (de), Sancasciano (de), Sancini, Sanctigrandi, Sanfelici, Sanctaflore, Sannuti, Sanctipantaleonis, Sanctipuritatis, San Romano (de), Sancti Sanseverini, Sanctoseverino (de), Sancta Severina, Sansovini, Sanctorii, Sansecondi, Sanvitali, Sanza, Sapiis (de), Saraceni, Saracinelli, Saragoni, Sardonibus (de), Sarmenti, Sarmoneta (de), Sarolfi, Sarti, Sartori, Sartiano (de), Sassetti, Sassoli, Satellis, Satri, Satuldi, Satulli, Savi, Savanarola, Sauli, Savoia, Sarsale, Savorgnani, Sasso, Saxatelli, Saxonis, Sbirro, Sbonia, Scaccia, Scafalibus, Scaglia, Scala, Scalceis, Scalibastri (de), Scaligeri, Scambii, Scanardo, Scandi, Scandalari, Scandrigli, Scangialimosina, Scannasorice, Scannati, Scapaniis (de), Scapuccii Scarafelli, Scarfis (de), Scarla (de), Scarletti, Scarpa, Scarpettis (de), Scarpinato (de), Scarsi, Scauri, Scavutiis, Schiaffinati, Schiaccia, Schianetis (de), Schiatensi, Schiattis (de), Schiattesii, Sciatterà, Sciarra, Schiccha, Schiledo, Schiltah (d' ), Schinettese, Scichina, Scipioni, Sciavi, Sclavoni, Sclavonia (de), Sclavutiis (de), Scoccia, Scocciapile, Scoccoli, Scholari, Scorzulinis (de), Scola, Scotti, Scribasenatu (de), Scribentibus (de), Scritto (dello), Schroco (de), Scrofano (de), Scrofolari, Sculdeti, Scupula (de), Scutto (dello), Scuyce, Sectelarti, Segne (de), Sella, Selani, Sebastianis (de), Secan (de), Secchio (dello), Selvaggi, Selvagni, Selvis (de), Segni (de), Sempronii, Senago (de), Senatoribus (de), Senniarii, Senis (de), Sensalis, Sensi, Septara (de), Septe (de), Septimiano (de), Septimilli, Seraphinis (de), Serragli, Seracinis (de),Serragone, Serra, Serrani, Serazzana, Serbaldi, Serbellone, Serbellaria, Sergaldi, Sergio (de), Sergardi, Seripani, Sergranches, Serenis (de), Serlupi, Sermoneta, Serlutii, Sermariotti, Sermatthei, Sernicola, Serquia, Serromani, Serronibus (de), Serrubertis (de), Sertorii, Sertani, Sertheano (de), Servi, Servilii, Seta (della), Setia, (de) Sette (de), Setini, Severi, Severini, Severoli, Seulis (de), Sextii, Sextili, Sexina, Seze (de), Sforza, Sfondrati, Sibilia, Sicchis (de), Sicchinellis (de), Siconcelli, Siculi, Sicuris (de). Sigismundi, Siglia, Signia (de), Signoretti, Signorilis, Signorini, Sillani, Silveani, Silverii, Silvestri, Silvestrinis (de), Sii vii, Simei, Simeonis, Simiozzi, Simmaia, Simoncelli, Simonetta, Sinago (de), Sinebarbis (de), Sinibaldi, Sinici, Sinodi, Sirani, Sirochi, Sistoli, Situli, Sivinii, Sixti, Soderini, Sodi, Somma, Somarchia, Soncino, Soprenani, Sorace, Soranzi, Sorbelloni, Sorrentini, Soresini, Soriani, Sorices, Sormanni, Soti, Sovorniani, Sozini, Spada, Spadafora, Spadaintesta (de), Spadensi, Spagnoli, Spannocchis (de), Sparii, Sparviera, Spatarii, Spetiana, Speculis (de), Specchio, Spelta, Sperelli, Spersi, Spica, Spila, Spinaculo (de), Spinelli, Spinis(de), Spinola, Spinosis (de), Spiritibus (de), Spiczica (de), Spoglia, Spognei, Sposa, Spoto (de), Spurdii, Squarcialupi, Squizzardi, Squilini, Stabbili, Stabii, Stabulatii, Stacchis (de), Staffi, Staglia, Stagni, Staitelli, Stalla, Stampa, Stanchi, Starsi, Stati, Statilii, Steccatis (de), Stella, Stellona, Stendardi, Stephaneschis (de), Stephanelli, Stephanoni, Stephano (de), Stephanutii, Stigliano, Stincis (de), Stipicciani, Straballati, Strada, Stragetto, Strambonis (de), Strattelli, Stroso (dello), Strotiis (de), Strucis (de), Structo (dello), Strufolariis (de), Stocco (dello), Studello) de), Stufa, Stuputiis (de), Suardi, Suatarii, Subaltariis (de), Sublaco (de), Suburra, Sulla, Summa (de), Sulpitii, Summaripa, Superetti, Supernena, Supino (de), Su prenessa, Sevidis (de), Suriano (de), Suricis (de), Suriconibus (de). Tabulatii, Tacca, Taclii, Taddei, Taffi, Tagis (de), Taglia, Tagliaferri, Taglialonti, Tagliamochi, Taglientis, Talladi, Tallego, Talenti, Talloli, Tam buari , Tancredi, Tangari, Tani, Tantari, Tapia, Tararo (de), Tarasconibus (de) Taris (de), Tari, Tarlati, Tarquini, Tartaglia, Tartaris (de), Tartarinis (de), Tarusii, Tarzettis (de), Taschis (de), Tassoni, Taverna, Taurelli, Taurinetti, Taxi, Tebolis (de), Tedeschi, Tegna (de), Tempesta, Tempis (de), Tenaglini, Tentalinis (de), Teramo (de), Terrentii, Terni, Terranana, Terribilibus (de), Terde (de), Teronsiniis (de), Tertii, Tessa (della), Tesauris (de), Testanelli, Testapiana, Testa, Testicii, Testonibus (de), Testuto, Tetiis (de), Teutuci, Thebaldis (de), Thebaldinis, Thebaldeschis (de), Thedallinis (de), Theuli, Theobalducci, Theodeli, Theodeschi, Theodilei, Theodoro (de), Theoduli, Theodoricis (de), Theodorinis (de), Theophili, Therunde (de), Tezza (de), Tholomeis (de), Thomasini, Thomarotiis (de), Thomae, Thomashi, Thomassini Thomaj, Thomeis (de), Theutonici. Throna, Tiberini, Tibertis (de), Tibore (de) Tiburte, Tiburtini, Tignosis (de), Tignosinis (de), Tignoselli, (de), Tigrini, Tinozi, Timontibus (de), Tinati, Tino (de), Tiranda, Tiranni, Titii, Tituli, Tizzone, Tocco (de), Toccolis (de), Todii, Todino (de), Toffia, Tognino (de), Toledo (de), Tomacelli, Tomassonibus (de), Tonnarelli, Tom periis (de), Tonti, Toppoli, Topposi, Torcis (de), Tordoneriis (de), Torelli, Torini, Torniellis, (de), Tornaboni, Tornaquinci, Tornai, Tornerii, Toronda, Toronti, Torquatis (de), Torras (de), Torti, Tosi, Tossarelli, Toscanis (de), Toschis (de), Tosectis (de), Tosinghi, Tosinis (de), Tossico (de), Tostis (de), Tosoni, Totavilla (de), Toti, Totone, Tozzoli, Tozzi, Traiecto (de), Traiisi, Trampo (dello), Tramundi, Trapanun (dello), Travaglioli, Traversari, Treata, (de), Trebacensis, Trebesuntii, Trebiis (de), Treiosani, Trevio (de), Tribu smontibus, Trichenarii (de), Tricolo (de), Trinca, Trinelli, Tripalda, Tri vultii, Triria (de), Trivisii, Trocii, Trombetta, Trombonis (de), Trona, Troppe, Trotti, Truglio, (dello) Trusellini, Tuba, Tucciolo (de), Tudertinini (de), Tuderto, Tufi, Tulfa (de), Tullia, Turcho (de), Turconibus (de), Turre (de), Turriani, Turrimaccha, Thurini, Turuli, Tuscanella (de), Tusculanis (dei, Tuscia, Tutii, Tutilii, Tutonis, Tutonici. Vacca, Vaccharii, Vacatii, Vactuna, Vagliadolit, Vagnololi, Vaianis (de), Vaii, Vadambrinis (de), Valderini, Valdes (de), Valdini, Valeni, Valescar, Valguriis, Vallati, Valla, Valle, Vallenses, Valente, Valentini, Valerani Valeri, Vallariis (de), Valeriani, Valesii, Valignanis (de), Valondo, Valperga, Valse, Valtena (de), Valterini, Valtravaglia (de), Vandali, Vandinis (de), Vandutiis (de), Vannettis (de), Vannicellis (de), Vannicioli (de), Vanninis (de), Vannis (de), Vannuli, Vannutii, Vantaggio (de), Varientos (de), Varani Vardellis (de), Varensis (de), Varesio (de), Varinacio (de), Varis (de), Varrina, Varisco (de), Varoni, Vaschis (de), Vascio, Vassallis (de), Vassano, Vasmontii, Vave (de), Vastardella, Vastia, Vasto (de), Vaticani, Vatuccii, Vauliguerra, Vaxii, Vazza (de), Ubaldis (de), Ubaldini, Ubaldora, Uberti, libertini, Vec chis (de), Veccia, Vecchiani, Vecchiarello (lo), Vecchietti, Vecta, Vegels, Vellati, Veia, Veibenna, Velli, Vena, Venatiis (de), Venectini, Veneraneriis (de), Venefro (de), Venerii, Venere (de), Vengoni, Venetiis (de), Ventre, Ven treincasa, Ventreschis (de), Venti, Ventimiglia, Venturis (de), Venturinis (de) Venturellis (de), Venustis, Venucha, Venzonibus (de), Veralli, Veraleschi, Verardi, Vercellis (de), Vergimi, Veri, Veriaci, Verti, Vespasiani, Vespucci, Vestilii, Vestini, Vestri, Verincti, Verinerii, Verme, Verospe, (de) Verrua, Versis (de), Vertolli, Vestutiis (de), Veteranis (de), Vetera (della), Vetralla (de), Veturia, Vetusii, Vettii, Vetta (della), Vetula (de), Ugolini, Uguccioni, Ugutiis (de), Vialardi, Vialata (de), Viamaiore, Viano (de), Viaticis (de), Vibulani, Vica, Vicana, Vicarii, Vicecomitis (de), Vicii, Vicinelli, Viccionibus (de), Vico (de), Vicovario (de), Victone (de), Vicchi, Victoriis (de), Victorini, Vigevano, Vigna (de), Villa (de), Villanelli, Villani, Vinato (de), Vincentiis (de), Vincerinis (de), Vincio (de), Vindictis (de), Vinutoli, Viola (de), Viperis (de), Vipereschi, Virduna (de), Virida (de), Virilibus (de), Viris (de), Visanti, Visce (de), Visdomini, Visii, Vita, Vitagola, Vitali, Vitani, Vitazola, Vitelli, Vitelleschi, Vitellotiis (de), Viterbis (de), Vitiali, Vitozzi, Vivaldi, Viviani, Ulivi, Unaie (de), Ungaretto, Ungari, Uniccionis, Volagnani, Volanteschi Volcos, Volta, Volterianis (de), Vonico, (de) Vosinis (de), Vostis (de), Vozza (della), Ubertani, Urbello (de), Urbici, Urbino, Uree (de), Urgis (de), Uri, Urigi, Ursi, Ursinis (de), Urseoli, Ursolini, Ursplingen, Urtimiis (de), Utin nagi, Vulgaminibus (de), Vuynsperdung, Vulcani, Vuletti, Vuolfratzhusen, Vulpis (de), Vulpiani, Vulterra. Xantii, Ximenes. Zabbarelli, Zaccharia, Zacharis (de), Zaconibus (de), Zagabria (de), Zagarolo (de), Zagardo, Zambeccari, Zampeschis (de), Zamponibus (de), Zanelli, Zannetti, Zappata, Zappi, Zapicchia, Zeccha (della), Zeffiri, Zelli, Zeloni, Zeno, Zenzifabris, Zenzitoli, Zianni, Zii, Ziriota (de), Zocantes, Zocco (de), Zoccoli, Zochonibus, Zodulis (de), Zoffo, Zollerà, Zordis (de), Zorez (de), Zoriis (de), Zornaquinis (de), Zoto (dello), Zozolis (de), Zuccha, Zuccari, Zuorci (de), Zupilli.

ISCRIZIONI DELLE CHIESE E D'ALTRI EDIFICI DI ROMA DAL SECOLO XI FINO Al GIORNI NOSTRI RACCOLTE E PUBBLICATE DA VINCENZO FORCELLA 1878

CIMITERO PUBBLICO AL CAMPO VERANO

Francesco Trucchi, Rocco Moroni, il Pittore Edmondo Duvier nato in Liegi, l'altro pittore Domenico Pellegrini che chiamò erede del suo avere l'Accademia di S. Luca, Giacinto Amici avvocato dei Santi, Pietro Bracci architetto ed idraulico che morì nel 1839, li prelato Nicola Manari, l'incisore in rame Pietro Fontana, Piatti Prospero a cui Gregorio XVI affidò molte cariche, il professore di musica Francesco Bonacci, Andrea Conti dottore di filosofia il giureconsulto Giovanni Tuccimei, Antonio Cesarelli istitutore di un asilo per le donzelle povere, Gioacchino Feressi morto nel 1840 il quale volle che i sui beni si distribuissero a sei donzelle Romane povere e mancanti di dote, e finalmente l'incisore Architetto Giovan Battista Cipriani Senese. Nella parete interna della cappella a destra è la breve epigrafe del celebre archeologo Antonio Nibbi, a cui sarebbe tempo che il nostro Municipio innalzasse un monumento. Egli amò molto la nostra città, e tutti i suoi studj e le sue fatiche mirarono a un solo scopo, la illustrazione di questa, come ce lo attestano le seguenti opere. Trattò del Foro Romano, della via Sacra, dell'Anfiteatro Flavio, e luoghi adiacenti, delle mura di Roma disegnate da Sir William Geli , della via Portuense, dell'antica città di Porto, dello topografia antica dei dintorni di Roma, e senza enumerarne, altre, della descrizione antica e moderna di Roma stessa, col titolo Roma antica e moderna nell' anno MDCCCXXXIII. Sotto il quadriportico a destra primo è il monumento di Emilia Lombardi la cui figura assisa che abbraccia il figlio fu con tanta maestria scolpita dal proprio marito che richiama l' attenzione di tutti. A questo fanno seguito quelli dello famiglie Rigacci, Pizzirani, Falcetti, di Colonna il banchiere, di Tommaso Saulini incisore di gemme, e la statua del celebre pittore Tommaso Minardi. Tengono dietro i mausolei delle famiglie Zaccaleoni, Tommasi, Mazzino, Tanlongo, Croci, Villanova Castellacci, Riganti, Tommassini, Podesti, Renzoni, Belloni, Debelardini. Sotto un'arco presso il cancello per cui ent''ano in carri funebri si vede il piccolo deposito che la guardia Nazionale di Roma fece a Gaspare Lipari suo Generale. Proseguendo a percorrere questo tratto in fondo s'innalza il mausoleo di Eurico Coccanari, e appresso sono pochi altri monumenti, cioè quello della famiglia Fumaroli ove già sono collocati in medaglioni quattro ritratti in pittura, l'altro dell'arcivescovo Luigi Clementi, e l'ultimo è quello delle Monache del Prezioso Sangue di Cristo che la munificenza di Pio IX ornò di bassorilievi. Sotto lo stesso quadriportico a sinistra il primo monumento ci ricorda il commerciante Antonio Cartoni, a cui fanno seguito quello di Pietro Celi, e la bella urna della famiglia Bracci, l'altro monumento di Brunetti, del Messicano Eulogio de Villa Urratia coi suoi stemmi gentilizi in metallo e un'aquila coronata che tiene nel becco un serpente. A questo tengouo dietro gli altri delle famiglie Barbosi, Kei, e Carminati, la cappella che fa costruire Marco Marconi, l'altra di Filippo Bennicelli col suo superbo monumento. In costruzione si vede ancora la cappella della famiglia Balestra, ed ammirabile per la ricchezza dei preziosi marmi è l'altra del Duca Massimo, e l'ultima dei Lante della Rovere. Appresso è il monumento della famiglia Ripari, l'altro della famiglia Viale Prelà, e la sepoltura comune alle famiglie Sartori e Andreoli. Infondo sorge il deposito che si è fatto fare per se e suoi Antonio Gendre, appresso al quale si veggono quelli delle famiglie Ianni, De Cupis, ed in ultimo la tomba del Sodalizio delle figlie di Maria. Da questa parte seguendo una larga strada fiancheggiata da scogliera di tufo, e cippi marmorei si ascende sul colle detto il Fincetto, oggi di molto ingrandito coli' acquisto fatto di alcune vigne dal nostro Municipio. Non curandoci di rammentare le iscrizioni che in grande quantità si leggono ricorderò come già ho fatto i sepolcri delle famiglie Barberi , d' Atri , di Luigi Bienaimò celebre scultore. Massi, De Marchis, Valentini, Cosatti, Prinzi, Gauttieri, Campanari, Tortori, i monumenti Venier e Marignoli, il sepolcro della famaglia Nonnini, Larini, Moronti e Ricci che stanno in costruzione, Volpicelli, Muratori, Defilippi, Guido-Ittar, Lockart, Sindici, Clarini, Boccafogli, Arduini, Contedini Spagnoli, Pulieri, Ghedini, Ciampi, Belloli, Mona, Balmas, Matassi, Rossi, Gangalanti, la cappella della famiglia Luigioni, Foggia Ferramola, Varani, Giorni, ApoUoni, Delfini, Croce-Tortolini, Zazzini, Ugolinucci, la cappella del principe Riispoli, Proja, Soldi, Falli, Molinari, Haass, Freschi, De Arcangelis. Pagani, Planca-Incoronati , Graziosi, Saccarelii-Barberini, Ferrari, Osecca, Bachilli, Pandolfi, Norman, Spada, Gentili, Dò Angelis, Bianchi-Cagiesi, Rosati-Nardi, Francisi, Basile, lacovilli, Manucci, Chiavarini, Rosi Bernardini, Malgherini, Albacini, Salvi, Melata, Vanninetti, Schiavetti, Visconti, Vicedomini, Pietrucci Cherubini, Maray, Ranieri, Retrosi, Laffranco, Bacchetti, Baracconi, Cavcassi, Terapestini, Topi, Stazzi, Natali, Raiialdi, Andreoli, Baccelli, e Castellini che unite si aprirono il sepolcro, Trevellini, Nicolini, Morelli comune a Colizzi, Calabresi, Maguelli, di Roberto Bevilacqua, Gaffi, Garneri, Cavalletti-Zucchi , Corteggiani , Comelles, di Cesare Nuti, Vitelli-Serny, Quorini, Corvisieri Costantino, Antaiuoro, Toscani, Prosperi, Marucchi, Politi, Palletta, Conrado, Toguola, Pinto-Soldini, Salimei, Faberj, Fabn insieme alla famiglia Barzocchi , Imbrici, Mannucci, Simonesclii unita a quella Giustiniani, Altobelli, Odelli insieme alla Caramellino, Salvi, il mausoleo Antonelli, Fiorentini, di Luigi Cortigiani, Quattrocchi, Monatari, Galli, Corsetti, Angelini, Russo, Castellani, Apououi-Caracciolo, De Lellis, Civili, la cappella eretta da Antonio Costa, Belardelli, Schiboni, Ovidi, Aglietti, Bedinotti, Maffei, Qnirici-Quadrucci, Mescetti e Vizzica, Ferrieri, Bertarelli, Malfatti, Galli, Fabri, Carlucci, Carini, Tonetti, Mazzoni, Luzzi, Leonori, Minoccheri, Tosi, Faglici, Sassi, Cagiati, Peretti, Lodovici, Giovannctti, PetrelliLeali, Spinetti, Ambrosi, Sacconi, Roncaglia, Emili, Picconi, Carega, Cola, Sebregondi, Ruggeri, Filippi, Bellini, Tarugi, Conti, Amici, Faucilloii-Couty, D' Andrea, Arnoldi, Regnoli, Cavallier, Savignoni, Giacinti, Franzero comune a Terzetti, Bianchi, Valdambrini, Lupi, Rossi, Malnsardi, Baronci, Ricchi-Quarti, Belli, Persi, Baroni, Michelangeli, Cella, Bifanui comune a Giraldini, Manno, Leonardi, Brandi. Girando la cinta di muro che prospetta sulla via Til)urtina si veggono i sepolcri delle famiglie Grand-Lxcquet, Corazziui, Morichini, Barlocci, Scarapecchia, Mazzarri, Pucci, Gaudio-Palotta, Macinechi, Mancini, Vitti, Peretti, Angeliui-Philipsthal, Aurelj, Sereni, Grassi, Nobilioui, Azpeitia, Fratellini, Grandi, Sarmiento, Piccoli, Ferrini, Paris, Benedetti, Gulmanelli comune a Cerini, Radice, Ferraresi, Piccirilli, Lonzi comune a Gualdi, Galantini, Longhi comune a Schiavetti, Pescetelli, Moretti, Ansol.ni, Prosperi, Venuti, Ronchetti, lacobini, Silvestri, Volpicelli, Annibaldi, Ferrucci, Cialdi. Nella cinta che guarda la Basilica sono i sepolcri delle famiglie Ruffinoni, Carancini, Civatti, Leoni, Gigli, Polverosi, Frezzini, Mariani, Feliciaui, Borgnana, De la Martre, Guarnieri, Tosti, De Romanis, Fedeli, Amori, Vitta, Ramoni, Graziosi-Ottaviani, Ponti comune a Marini, Orlandi, Bedoui, Licopucci, Spagna, Sinimberghi, Buscajoni comune a Codini, Lovatti, Sabini, Manni, Bondi, Sciamplicotti. Bassi, Camporesi, Ceccarini, di Francesco Bedoni, Manassei, Sciamanna, Ciavattini.......

 

Le Chiese di Roma dal secolo IV al XIX di Mariano Armellini Tipografia Vaticana 1891


Maddalena, moglie di Pietro Quattrocchio e' sepolta in S.Andrea de Funarijs. Da questa unione nacquero due figlie: Virginia e Lucrezia. E' stato molto Complesso scoprire questa Antica denominazione de Funarijs per i continui cambiamenti di nome. Attualmente è denominata S.Andrea in Vincis. Questa Chiesolina esiste tuttora nella via di Tor dè Specchi, incontro al monastero di questo nome, quasi dirimpetto alla strada che conduce alla piazza di Campitelli. Ebbe varî nomi, poichè fu detta de' Funari, in Mentuccia, o Mentuza, o Matuta, ed ancora ebbe il titolo di s. Salvatore in Mentuza, ricordato dal Nardini. Oggi appartiene alla Compagnia degli Scalpellini e Marmorari. Questa confraternita si adunava già nella chiesa dei ss. Quattro Coronati. Nel 1596 si condusse in un oratorio dedicato a s. Leonardo presso piazza Giudea, tenuto dai chierici regolari minori. Ma distrutte le casette di quell' area dai marchesi Patrizi, fu demolita ancora la chiesa di s. Leonardo, la quale occupava parte dell' area dove sorge oggi il palazzo Costaguti. Allora la Società si trasferì nella chiesolina di cui parliamo, cioè a s. Andrea in Matuta o in Vincis, dedicata pure a s. Lorenzo. Ebbe la denominazione de' Funari e de Vincis perchè in questa contrada si torcevano le funi; quella di mentuza, o mentuccia, o matuta, è più oscura; ma forse proviene dal Tempio della Madre Matuta che sorgeva in questa vicinanza e che Livio dice fosse arso l'anno 559 di Roma e poi riedificato l'anno successivo. Quel tempio infatti sorgeva non lungi dalla porta Carmentale
Nell' archivio degli scalpellini, annesso alla chiesa, v' hanno pregevoli documenti sulla medesima e circa alcune scoperte avvenute in essa nel secolo XVIII. Da quei documenti ricavo che l' antica chiesa avea la stessa larghezza dell' odierna. La Compagnia degli Scultori e Scalpellini la ottenne da Gregorio XV ai 13 aprile 1662 ed allora fu soppressa la parrocchia e distribuita la cura delle anime per le parrocchie limitrofe.º La compagnia ne prese possesso il 14 luglio 1623, e alla chiesa fu dato il nome dei ss. Andrea e Leonardo. Era stata più volte restaurata, anzi riedificata di pianta da Vittorio Festo di Aspra in Sabina già rettore della medesima, morto nel 1572. L'Antica era ad un livello assai più profondo; infatti, in qualche carta si dice che il pavimento della moderna chiesa potrebbe dirsi in oggi la soffitta della chiesa vecchia. Nel 1762 essendo stati intrapresi dei lavori, sotto l'Altare apertosi per caso, si trovò alla profondità di undici palmi una camera sotterranea adorna di pitture assai antiche. All' annunzio di questa scoperta Benedetto Passionei, allora visitatore apostolico e poi cardinale, scrisse al celebre Giuseppe Bianchini perchè esaminasse la cosa. Ora, fra le carte dell' archivio suddetto, ho trovato la lettera autografa dell' illustre letterato, nella quale egli dà relazione della importante scoperta al visitatore apostolico. Credo pregio dell' opera pubblicare per intiero il bellissimo documento: "Em~o e Rm~o Principe, Essendosi trovati ultimamente tre cadaveri nell' antichissima chiesa di s. Andrea de' Funari, fui da monsig. Conti condotto ad osservarli, e unitamente con monsig. Benedetto Passionei (visitatore apostolico di quella chiesa uffiziata dalla compagnia de' santi Quattro della Università degli scultori e scarpellini) venni incaricato di mettere in iscritto il mio debole sentimento. In esecuzione adunque dei venerati comandi dei sud due eruditi Prelati, ci ho fatto quelle ricerche più esatte, che ho creduto di dover fare, e che erano necessarie. La santità dei tre corpi non si potrà da veruno recare in dubbio. Di questo ardisco assicurarne V. Em~za, anche avanti di dare il mio voto in scriptis, che dovrà poi recarsi secondo il concertato nell' udienza che ebbe monsig. Conti al sacro tavolino del Santo Padre. Anche del loro martirio ci sono le prove evidenti, a mio giudizio. E Gio. Battista Pauliano che scrisse de iubilaeo nel 1550 a carte 299 dice della chiesa di s. Andrea alle falde della Rupe Tarpeia (cioe di quella appunto, nella quale si sono trovati li tre corpi) queste precise parole: Et ubi ex voto Victoriae partae de Sabinis, Iovi Statori a Romulo fuit aedificatum Fanum. Sanctum Andreae nomine aliud est, cum multis martyrum cadaveribus qui primo fide Christi valide certarunt. Per ora avanzo solo all' Em~za Va che dentro del chiusino dei tre corpi, v' era l' ampolla del sangue ingessata, fin dal tempo della prima deposizione, in una delle gran tavole di mattone, che hanno degli indizi e delle marche dei tempi di Domiziano. In vicinanza del sudo chiusino si è ritrovato un pezzo di mattone jjo con la iscrizione SALEX . . . . Forse uno dei tre santi martiri sarà stato un s. Alessandro. In altro mattone, fuori però del chiusino, io trovai inciso RDPRID. Se tal mattone forse una porzione dell' altro, potrebbe essere la finale del nome di Alessandro. AlexandeR Depositus prid. . . pridie. . . . Ma i caratteri dell' uno a me sembrano diversi da quelli dell' altro. Vero è che ho risaputo cinque giorni fa, che il signor curato di s. Simone Profeta (cioè il sig. don Gerardo Maria Caroluce) uomo di molta erudizione, ha certi documenti, che possono dar del lume, per ritrovare i nomi dei Tre Santi. Che però supplico istantissimamente V. Em~za di scrivergli un biglietto acciò voglia comunicarmi i detti documenti. Vengo assicurato che lo farà di buon grado, trattandosi della gloria di Dio, e di quella dei suoi santi. Egli ha fatta La Storia dei Vicari di Roma, come saprà da gran tempo V. Em~za; e con tale occasione ha pescato molto nelle antiche carte. Non è bene che io dia a Monsig. Conti le notizie che ho ripescato finoa tanto che dal suddo sig. curato non mi si comunichino le notizie ulteriori, cioè la nomenclatura (se l' ha) dei santi ritrovati. Egli non è lontano dal darmi quello che ha, ma per sollecitarlo supplico V. Em~za di scrivergli, che lo prega di comunicarmi quelle notizie che avesse intorno all' antica chiesa di s. Andrea de' Funari, e intorno alle reliquie di essa. Assicuro V. Em~za che io, con le sottosegnate due righe, avrò subito quanto ha nelle sue schede notato il sig. curato di s. Simone, circa la chiesa di s. Andrea, e allora sono a tiro colla scrittura. Io ho veduto tutte le carte della Ven. Comp. degli scarpellini ed ho ricavato da esse chiaramente, che sotto alla nova chiesa (dove appunto sono stati ritrovati i corpi santi) v' era una stanza tutta dipinta ab antiquo di pitture sacre, ed in essa vari indizi di luogo sacro. Tal luogo a parer io era l' oratorio dei santi e martiri, annesso all' antichissima chiesa di s. Andrea, ora tutta sepolta sotto la nuova, come ho veduto io stesso coi miei occhi. Accanto al chiusino che conteneva i sacri corpi io vidi delle pitture antiche e il pavimento dell' altare dei santi fatto a pietruzze di mosaico; come anche vidi il pavimento antico della sepolta chiesa fatto di lavoro saracinesco, cioè a costa di piccole mattonelle. Ma vedo che mi abuso della bontà e degnazione di V. Em~za. Che però con profondissimo inchino, implorando le sue due righe, resto al bacio della sacra porpora ossequente. Chiesa Nuova, il dì, di s. Ambrogio 1762. Di V. Em~za Um~o Dm~o ed Obbm~o Servitore Giuseppe Bianchini."
S. Maria in Vincis Di questa chiesa, che tuttora esiste pressoº il Clivo del Campidoglio, detto l'Arco de' Saponari vicino a piazza Montanara, il Lonigo scrive "che una chiesa assai antica, alcuni la chiamano s. Andrea in Vincis, parrocchiale antica, la cui cura è unita a s. Nicola in Carcere."
Il Bruzio dice che "Clemente VIII nel 1604 riunì in un corpo i Saponari dando loro un certo statuto. Impetrarono questi l' anno 1607 la chiesuola di s. Maria in Vincis dipendente da s. Niccolò in Carcere e situata alla radice del monte Caprino dove riguarda piazza Montanara e il Teatro di Marcello. Era quasi ruinosa ed abbandonata e dai saponari fu restaurata dipingendo s. Giovanni immerso nella caldaia dell' olio bollente."

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I 7 RE DI ROMA

 

ANDREA CARANDINI 753A.C. LA FONDAZIONE DI ROMA

 

ATLANTE DI ROMA ANTICA - CONFERENZA ANDREA CARANDINI A MILANO

Andrea Carandini, archeologo celebre in tutto il mondo, presenta l'opera capolavoro Atlante di Roma Antica, edito da Electa (29 gennaio 2013). Un'occasione unica per scoprire dalla voce di uno dei più importanti studiosi di Roma i segreti di un'opera inesauribile.

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