SATOR-CISTERCENSI-TERDONA-STORIA E MITI

IL MISTERO DEL SATOR

Fino agli inizi del Novecento,in alcune province tedesche si attribuiva al Sator il potere di guarire dall'idrofobia' :impresso su un'ostia lo si faceva inghiottire a chi era stato morsicato da un cane rabbioso.Un altro magico potere che. nel Medioevo, si attribuiva alla frase palindroma era quello di far ballare le ragazze: lo si legge, ad esempio, nel trattato di magia De secretìs mulierum. de viriulis herbarum attribuito ad Alberto Magno. Un incantesimo anglosassone. probabilmente medievale, aveva al suo centro la celebre frase palindroma. ed era recitato per ottenere un parto senza dolore:

Il Quadrato Magico del SATOR - Il Quadrato Magico del SATOR - 2 - Il Quadrato Magico del SATOR - 3 - Il Quadrato Magico del SATOR - 4

SATOR E INQUISIZIONE

Ma il Sator fu scoperto anche in un posto dove veramente nessuno se lo sarebbe aspettato: sul sigillo dell'Inquisizione spagnola! Nel 1905 fu pubblicato a Tolosa il libro di Emanuel Delorme Les emblemes de l'Inquisition. In quest'opera, lo studioso annunciò di avere scoperto nel Museo Etnologico di Lisbona un sigillo dell'Inquisizione spagnola che recava il quadrato del Sator! Inoltre, lo stesso Delorme trovò una medaglia, sempre dell'Inquisizione. che portava su un lato il notissimo simbolo del terribile tribunale ecclesiastico: la Croce coronata posta tra un ramo di olivo (che simboleggia la misericordia divina) e una spada sguainata (che raffigura la spada di Dio che punisce gli eretici); sull'altro lato era inciso il quadrato magico letterale del Sator. Cosa ci faceva un emblema magico su una medaglia dell'Inquisizione? La sua presenza era inspiegabile anche ammettendo che il Sator fosse legato in qualche modo a concetti religiosi. II Delorme elaborò una teoria: il quadrato magico era stato originariamente ideato come segno di riconoscimento tra i mèmbri dispersi di una setta eretica. E quale poteva essere stata questa setta perseguitata? Nell'idea del seminatore, dell'aratro, della terra, delle messi era rappresentato l'atto unico che si propaga dal mondo superiore al mondo inferiore per infondervi la vita: nel Sator era racchiusa la formula della gnosi ebraica espressa da Aba Ezra, precursore diretto di Spinoza: «Tutto è nell'Uno in potenza; l'Uno è nel Tutto in atto».
Il Sator dunque, narrava in estrema sintesi il concetto centrale della gnosi di scuola ebraica: l'eterno svolgersi della vita permeata dallo spirito divino: un concetto che la Chiesa cattolica ha sempre rifiutato e che l'Inquisizione ha violentemente represso, perché esso considera il divino immanente al materiale. La colpa estrema del Sator era, insomnia, quella di difendere e propagare il panteismo. Com'è noto, lo gnosticismo era per l'Inquisizione il tipo perfetto dell'eresia, anzi la sorgente unica delle diverse eresie: pertanto il Sator (quadrato gnostico) poteva giustamente essere scelto come emblema dell'eresia. Perciò, come l'Inquisizione aveva impresso su un lato delle sue medaglie la Croce coronata, ovvero il Credo della fede cattolica; così aveva scelto per il rovescio il Sator, cioè il Credo dell'eresia. A prova di questa ipotesi iconologica, Delorme faceva notare che nelle processioni degli auto da fè, a coloro che si erano pentiti, i preti mostravano il gonfalone dell'Inquisizione al cui centro spiccava la Croce coronata. Ma a quelli che non avevano abiurato, e che venivano condotti al rogo, veniva mostrato l'altro lato dello stendardo, su cui erano disegnati simboli di dannazione e disperazione: i due lati del gonfalone erano distinti come quelli delle medaglie; da una parte le immagini della santità, dall'altro quelli dell'inferno. Dunque, il Sator sarebbe stato un quadrato letterale gnostico.

Il SATOR pompeiano

Nel 1925 una fortuita scoperta archeologica mise in dubbio tutto quanto si era creduto fino a quel momento a proposito del palindromo misterioso. Il 5 ottobre di quell'anno, durante degli scavi a Pompei, nel peristilio della casa di Paquio Procolo, sopra un frammento dell'intonaco parietale della decorazione dell'ambulacro meridionale, l'archeologo Amedeo Maiuri scoprì un pezzo della famosa iscrizione, ma non riconobbe subito che si trattava del sator. Il 12 novembre 1936 nel corso di nuovi scavi sotto la direzione di Matteo della Corte si scoprì il quadrato magico inciso sulla scanalatura di una colonna del portico interno occidentale della grande palestra pompeiana. Questo ritrovamento risulta a tutt'oggi il più antico che sia stato effettuato, e per questo il Quadrato del SATOR è stato anche chiamato «Latercolo Pompeiano». Tale scoperta pose fine alla teoria cristiana; se, infatti, si poteva ancora ipotizzare la presenza di una primitiva colonia cristiana clandestina a Pompei in quegli anni, veniva a cadere il senso dell'interpretazione del Grossner. Infatti, la A e la O che rimanevano ai lati della croce non potevano che riferirsi al punto dell'Apocalisse in cui San Giovanni scrive: «Io sono l'Alfa e l'Omega, l'inizio e la fine, colui che è, che è stato e che sarà». Ma la diffusione dell'Apocalisse nell'Italia centrale avvenne, secondo studi attendibili, verso gli anni 120-150 d.C., ed era quindi impossibile che tale concetto fosse presente già prima del 79 d.C.
Queste due scoperte inattese gettarono Io scompiglio fra archeologi e storici. Infatti, se - come molti credevano - il Sator era una crux dissimulata, cioè un segno segreto dei primi cristiani, la sua presenza a Pompei era assolutamente incomprensibile, poiché noi sappiamo da fonti sicure, come Tertulliano ad esempio, che non vi erano cristiani a Pompei fino al 79d.C- data della sua distruzione per l'eruzione del Vesuvio. Inoltre, veniva confutata l'interpretazione del Sator come pater noster accompagnato da Alfa e Omega, perché l'Apocalisse di San Giovanni, nell'anno della fine di Pompei, non era ancora conosciuta in Italia Meridionale, dove si diffuse non prima del 130 d.C. Infine, non si poteva nemmeno pensare che il Sator fosse stato graffito dopo l'eruzione che cancellò Pompei sotto un mare di lava, perché gli strati dei sedimenti sopra la colonna furono rinvenuti perfettamente intatti. La scoperta fatta a Pompei costrinse gli studiosi a due ipotesi, entrambe enigmatiche e piene di conseguenze problematiche: o il Sator non è un segno paleocristiano, o a Pompei esisteva una comunità cristiana prima di quanto si credesse.
Di fatto, la questione rimane ancora aperta. Molti tra studiosi, ricercatori, enigmisti o semplici curiosi si arrovellano ancora oggi nel cercare di dare un'interpretazione nuova al quadrato. Per concludere, invece, la storia del Quadrato, bisogna citare l'ultima scoperta, in ordine di tempo, avvenuta nel 1978 in Gran Bretagna, a Manchester. Un frammento di un'anfora portata alla luce durante alcuni scavi archeologici mostra, infatti, le cinque parole del quadrato magico disposte a partire dalla parola ROTAS (versione speculare del quadrato). Il reperto è databile attorno al 185 d.C., ed una targhetta esplicativa nel museo in cui è esposto c'informa che si tratta della più antica attestazione della presenza cristiana in Gran Bretagna, nonostante la tesi di Grossner sia stata comunque confutata.

La connessione con i Templari


In Italia il Quadrato Magico si ritrova in parecchi luoghi, oltre a Pompei. Anche in numerose località europee è possibile rintracciare il Quadrato. Si parte soprattutto dalla Francia, dove il SATOR è presente nella chiesa di San Lorenzo a Rochemaure , in una vecchia casa di Le Puy (Haute-Loir), nei castelli di Chinon (Indre-et-Loire, dove tra i numerosi graffiti presenti, di origine templare, si trova anche a Jarnac e di Gisors, e nella Maison de justice di Valbonnais. In Spagna lo si trova tracciato presso il santuario di San Giacomo di Compostella, celebre meta di pellegrinaggi medievale; in Ungheria, inciso su una tegola della "villa publica" di Altofen (la vecchia Buda), insieme alla frase "Roma tibi salutas ita".
2 - Il SATOR nel Castello di Jarnac (dal sito: Jarnac Champagne)
Molte di queste località, soprattutto in Francia, furono possedimenti dei Cavalieri Templari; la prof. Bianca Capone, sulla base di attenti studi personali, ha ipotizzato un legame tra il magico quadrato ed il famoso ordine monastico-cavalleresco: sembra infatti che i Cavalieri adottassero questo simbolo per contrassegnare dei luoghi particolari o per trasmettere delle preziose informazioni esoteriche in forma codificata. Anche dal mio censimento risulta che la maggior parte delle presenze del quadrato sul suolo italiano è databile attorno al XII-XIII secolo e che nelle dette località è possibile attestare la presenza dei Templari o, comunque, dei Frati Cistercensi, che con i Templari erano in stretto rapporto.
3 - Il SATOR circolare di Valvisciolo
Tale tesi può essere ulteriormente rafforzata se si considera il particolare esemplare di SATOR che si trova presso l'Abbazia di Valvisciolo, a Sermoneta (LT), che fu templare e poi rimase ai Cistercensi. In tale luogo, infatti, si ha l'unica presenza conosciuta del SATOR in forma circolare ad anelli concentrici (fig. 3), nella quale viene a mancare sia l'accostamento ai quadrati magici numerici (vedi, a tale proposito, le interpretazioni esoteriche), sia la croce centrale formata dalle parole TENET. Pertanto, al di là di tutte le possibili interpretazioni che possono essere date, è indubbio che per i Templari il SATOR assumeva un significato ben preciso che per me non può essere che quello di segnalazione di un luogo dalle caratteristiche sacre ben precise, affine, in tal senso, ad altre figure simboliche come quelle della Triplice Cinta o del Centro Sacro. La recente scoperta, da me effettuata, della GEOMETRIA SACRA sul territorio laziale non fa che rafforzare tale ipotesi.

MENHIR DI RENNES LE CHATEAU - SATOR QUADRATO MAGICO TEMPLARI

Fra le alture di Rennes si trova un menhir, nella cui roccia un tempo era scolpito il busto di un personaggio non identificato, (la tradizione popolare parla del Re Merovingio Dagoberto II ). Il parroco Menry Boudet, con un gesto apparentemente inspiegabile, fece tagliare il masso, portando a valle e depositando presso la sacrestia della propria chiesa, il rimanente busto. Le pietre spaccate vengono dette "Massi d'Orlando", lo scrittore Umberto Cordier rivela che...:Si può avere la rottura spontanea di emblemi o monumenti, per una sorta di "magia simpatica" indotta. Non so se questo è il caso di Boudet, ma non escludo l'ipotesi che quella insolita azione, nasconda un rituale esoterico. Ad ogni modo, sulla nuca di quel busto, si dice che un tempo erano cesellate delle parole in lettere greche, disposte a comporre un'iscrizione a forma di palindromo, Precisamente:

S A T O R
A R E P O
T E N E T
O P E R A
R O T A S

La deduzione più verosimile della frase potrebbe essere la susseguente:
"Il seminatore dell'Aeropago detiene le ruote dell'opera". L'elegia pur essendo di origine paleo-cristiana, la si ritrova in diverso luoghi d'Europa (a Rennes le Chateau sembra che ve ne siano state ben 3), in particolare è frequente in alcuni siti templari, l'ordine era senz'altro a conoscenza del suo reale significato. S'interessarono a quel "quadrato magico" i più grandi esperti della cabala: la dottrina ebraica che esaminava il senso più intimo e segreto della Bibbia; e le ricerche su quell'enigma li ricondusse all'ermetismo. Anche i preti di Rennes Le Chateau erano dei grandi studiosi: Antoine Gelis conosceva alla perfezione la storia antica di quei luoghi, Henry Boudet era un esperto archeologo e nei suoi libri fa diverse allusioni ai misteri "Eleusini", mentre Berénger Saunière, prima di recarsi a Parigi per far decodificare le sue antiche pergamene, si dedicò ore e ore allo studio, incontrando diversi "ermetisti". Tra i tanti misteri, un vecchio documento denominato dossier "Rubant", basato su un testo datato 1308, asserisce che Filippo il Bello, quando depredò le carte della Milizia del Tempio, ignaramente s'impossessò di copie falsificate redatte dai monaci stessi molto tempo prima, proprio in previsione di un attacco all'ordine. Se è così che fine hanno fatto i certificati originali? Potrebbero essere finiti negl'archivi della Prioria di Sion? Forse i Templari vollero lasciare una "porta" aperta a chi un giorno saprà ascoltare in silenzio, il senso di quelle parole o di quei graffiti scolpiti suoi muri di vecchi castelli, oppure su alcune pietre oramai erose dal tempo.

Altre informazioni: http://angolohermes.interfree.it/simboli.html

SATOR MAGICO


Il quadrato letterale potrebbe essere stato concepito e usato in ambito magico, più che religioso: abbiamo visto infatti che per molti secoli esso venne utilizzato come strumento di azione occulta contro il morso dei cani idrofobi e contro gli incendi. Saremmo di fronte ad una specie di formula magica, come l'Abracadabra, che associava alla forza arcana delle parole la potenza delle armonie geometriche. E interessante notare che, come oggetto magico, il Sator venne impiegato per domare, per rintuzzare un grave pericolo: nel caso dell'incendio, esso viene lanciato sulle fiamme per spegnerle; nell'idrofobia, esso è creduto capace di estinguere il male. Queste pretese facoltà sembrano associate dal verbo tenet che forma la parte centrale del quadrato; tenet significa "tiene, possiede, regola, controlla". Quindi il valore magico del sator è determinato da questo: è un talismano che domina e controlla. Ma se si tratta soltanto di un talismano, le caratteristiche cristiane (come la croce centrale e il paternoster anagrammato) sono casuali? E se è un palindromo magico, a quale corrente esoterica si deve far risalire? Abbiamo visto che il quadrato appare nel I secolo dopo Cristo. Che abbia avuto o no legame con la dottrina cristiana, è comunque interessante notare che il sator venne elaborato in un' epoca di forti correnti spirituali e mistiche. La decadenza delle antiche religioni tradizionali romane e greche lasciava un vuoto doloroso che le folle dell'Impero cercarono di colmare ricorrendo a culti orientali; si diffuse rapidamente l'adorazione di Iside e di Mitra e la religiosità assunse un carattere misterico e magico come non aveva mai avuto prima. Influssi neopitagorici dall'Occidente e cabalistici dal vicino Oriente mutarono la spiritualità, per cui i rapporti numerici, le trasposizioni numerico-alfabetiche, i quadrati magici, le particolarità geometriche furono considerate prove di una realtà superiore, dimostrazioni del grande disegno dell'Universo e chiavi per la sua comprensione. Con ogni probabilità a quel tempo e a quella condizione spirituale risale la formazione del Sator; quando, per caso o dopo un lunghissimo studio, un sacerdote, un mago o un iniziato scoprì quella straordinaria sequenza di parole che, con suoni fascinosi e arcani, dava un messaggio breve ma ricco di misteriosi, imprevedibili ed inesaurubuli spunti di riflessione.

SATOR IL MISTERO DELL'ANELLO

I MONACI CISTERCENSI

San Bernardo di Chiaravalle (1090 - 1153)
Non si può parlare dell'Ordine Cistercense senza nominare San Bernardo di Chiaravalle, anche perché la figura di questo illustre santo e dottore della Chiesa costituisce l'anello di congiunzione tra i monaci Cistercensi, che grazie alla sua influenza divennero uno degli ordini religiosi più ricchi e più influenti del Medioevo, ed i Templari, la cui costituzione egli raccomandò caldamente al Papa e per i quali redasse la regola ricalcandola su quella benedettina dei Cistercensi stessi. S. Bernardo nasce a Digione, in Borgogna, nel 1090, da una famiglia profondamente cristiana. Studia presso i canonici secolari di St. Vorles a Chatillon-sur-Seine, ma rifiuta di intraprendere la carriera ecclesiastica in Germania. Si ritira invece presso il monastero di Cîteaux dove si cercava di vivere la regola benedettina secondo lo spirito originale. Il suo arrivo diede nuovo slancio e suscitò nuove vocazioni. Cinque anni dopo, insieme a dodici compagni, per fondare una nuova abbazia in una località che egli volle chiamare la Valle delle Luce: Chiaravalle. I suoi nuovi compagni erano inizialmente figli della nobiltà, poi arrivarono anche contadini e gente del popolo. I monaci facevano una vita semplice, si dedicavano all'agricoltura ed all'allevamento del bestiame, ed introdussero anche delle tecniche avanzate. Bernardo era di esempio ai suoi monaci nell'osservanza della Regola e maestro nello spiegarla. Di particolare rilievo le sue opere sull'umiltà e sull'amore di Dio. Sostenne e fece riconoscere da tutti, come legittimo successore di Pietro, papa Innocenzo II, al quale era stato contrapposto Anacleto II. Bernardo, cantore di Maria, la propose come modello di vita per tutti. Bernardo morì a Chiaravalle il 20 agosto 1153, venne proclamato santo nel 1174 e dottore della Chiesa nel 1830.
Storia dell'Ordine
Il 21 marzo 1098, equinozio di Primavera e festa di san Benedetto e, in quell'anno, anche Domenica delle Palme, ventuno monaci, con a capo l'abate Roberto di Champagne, lasciarono il monastero di Molesme per fondare, nella Borgogna francese, 20 chilometri a Sud di Digione, un nuovo insediamento monastico, che fu chiamato "Nuovo Monastero". Come sede per il suo ordine, Roberto scelse un luogo solitario chiamato Cistercium (da cui la denominazione, poi, di "Cistercensi"), l'odierna Cîteaux, e cominciò a seguire un rigido stile di vita più consono alle regola benedettina originale, il cui senso era stato fortemente alterato a Molesme. Oltre a Roberto, un notevole contributo al buon esito dell'operazione venne dato da altri due religiosi, Alberico e Stefano, considerati co-fondatori dell'Ordine. Alberico, infatti, ottenne la concessione della protezione apostolica su Cîteaux dal papa Pasquale II con la bolla "Desiderium quod" dell'aprile 1100, che assicurava al Nuovo Monastero assoluta indipendenza da Molesme. Stefano si preoccupò di conservare lo spirito del rinnovamento cistercense promovendo disposizioni tese alla salvaguardia della povertà e della quiete monastica. Nel XII secolo, grazie anche ai contributi di San Bernardo, l'Ordine era diventato quasi una potenza temporale per l'estensione delle sue proprietà e per la sua influenza, conquistate grazie alla capacità di adattamento e di valorizzazione del propri beni. Questa agiatezza, in seguito, diventerà la causa della loro decadenza. In questo periodo, comunque, nascono le più grandi ed importanti abbazie cistercensi, in Italia, ma soprattutto in Francia, dove vengono costruite 11 cattedrali le cui ubicazioni, segnate su una carta geografica, formano, curiosamente, il disegno della costellazione della Vergine. Dal XIII secolo, con il diminuire del reclutamento, è necessario ricorrere ai canoni di affitto per continuare a beneficiare dei terreni e, poco a poco, si prende l'abitudine di vivere non più del lavoro delle mani, ma delle rendite delle proprietà dei monasteri. Tuttavia, malgrado la nascita degli Ordini mendicanti, quello cistercense continuerà la sua espansione e, all'inizio del XIV secolo, comprenderà 725 case di monaci. Il XIV e il XV secolo saranno difficili da vivere per tutta l'Europa, compresi i monaci cistercensi; i "grandi" di questo mondo confiscano i beni ecclesiastici, i conflitti armati si allargano a tutta l'Europa, le grandi epidemie diffondono, dappertutto, i loro danni; infine, la nascita dell'Umanesimo contribuisce, da parte sua, al crollo della società medioevale, mentre nuove correnti spirituali si sviluppano in modo informale e danno vita a dei gruppi come quelli delle "beghine" e dei "begardi" che vivono nelle città e si dedicano alla meditazione e alle opere di carità. Nel XVI secolo non figura nessuna nuova fondazione, ma la Riforma metterà in atto la scomparsa irreversibile di più di 200 monasteri, mentre la maggior parte degli altri saranno devastati. Nello stesso periodo compare il sistema commendatario che indebolisce l'Ordine monastico e non permette di prendere misure di risanamento in campo disciplinare o economico. La difficoltà dei tempi rende ardua la partecipazione ai Capitoli Generali. È nel XVI secolo che si affermano maggiormente le congregazioni nell'Ordine. Si tratta di monasteri che appartengono a una stessa regione e sottomessi a una medesima autorità politica e i cui superiori si riuniscono in Capitolo Generale, a intervalli regolari. Seguendo le decisioni del Concilio di Trento, che ha richiamato con fermezza ai religiosi e alle religiose i loro doveri e impegni, comincia un grande movimento di ripresa e nasce un vivo desiderio di ritorno al fervore primitivo, particolarmente nei monasteri della filiazione di Clairvaux. In questo periodo nasce l'Ordine Cistercense della Stretta Osservanza (O.C.S.O.). La riforma venne attuata soprattutto grazie all'opera di Armand-Jean le Bouthillier de Rancé, abate di Notre-Dame de la Trappe, una delle più antiche abbazie cistercensi. Per tale motivo, i Cistercensi dell'O.C.S.O. sono anche comunemente conosciuti come frati Trappisti. Il XVIII secolo, con l'Illuminismo, offre un quadro diversificato dell'Ordine: certe case sono ferventi e hanno un reclutamento soddisfacente; altre, molto più numerose, hanno solamente un numero ridotto di monaci che assicurano un minimo di vita comune nelle costruzioni, spesso immense, che danno l'illusione di una grande prosperità. In Germania e nell'Impero Austro-Ungarico è il periodo della grande fioritura del Barocco, ma è anche il periodo del "giuseppinismo", nel corso del quale, per sfuggire alla chiusura di cui sono minacciati, i monasteri accettano delle attività annesse e, fino ad allora, poco praticate dai Cistercensi: parrocchie, scuole, e così via. È in questo contesto che scoppia la Rivoluzione Francese, la quale giungerà alla decisione della soppressione di tutti i monasteri. I monaci sono espulsi, alcuni di essi moriranno martiri nei barconi, i beni conventuali sono confiscati e venduti dallo Stato. Gli eserciti della Rivoluzione e, in seguito, quelli dell'Impero generalizzano il movimento nell'intera Europa, tra il 1789 e il 1810. In questo contesto, estremamente difficile, c'è tuttavia, un gruppo di monaci dell'Ordine che sotto la guida di Agostino de Lestrange, maestro dei novizi della Trappa nel 1789, vivendo una lunga "odissea" che li condurrà sino alla Russia, riesce a tenere viva la vita cistercense in un certo numero di fondazioni, sparse in tutta l'Europa. Dalla restaurazione della monarchia francese - 1815 - alcuni membri di questo piccolo gruppo, riprendono la vita monastica (in Francia e Belgio) e danno origine a una nuova rinascita monastica caratterizzata da una grande generosità, da un intenso fervore spirituale. Questo rinnovamento si attua malgrado una grande precarietà materiale ed è segnato da un senso profondo dell'ascesi e della riparazione degli abusi commessi dalla Rivoluzione Francese. In altre parti d'Europa la situazione è diversa. I monasteri dell'Ordine riprendono vita in Austria, Ungheria e Italia, mentre in Spagna, Portogallo e Svizzera sono vittime di politiche settarie - conseguenze tardive della Rivoluzione Francese - e spesso costretti alla chiusura. Nel 1892, sotto il pontificato di Leone XIII, la maggior parte dei monasteri situati in Francia e in Belgio, quelli usciti dall'"odissea" di cui si è parlato, si raggruppano e formano "L'Ordine Cistercense di Nostra Signora della Trappa", mentre gli altri monasteri cistercensi, raggruppati in diverse congregazioni formano "Il Sacro Ordine di Cîteaux". Nel 1898, in occasione dell'ottavo centenario della loro fondazione, i Cistercensi riformati hanno la possibilità di riscattare l'abbazia di Cîteaux e di farvi rifiorire una comunità. La fine del XIX secolo e il XX secolo sono stati un periodo di persecuzione per i monasteri cistercensi che devono vivere delle ore difficili in Francia e che sono vittime di totalitarismi che colpiscono tutta l'Europa dell'Est e l'Estremo Oriente, causando la soppressione di molti monasteri e provocando la testimonianza di numerosi martiri della fede. Nel 1995 i due ordini monastici l'Ordine Cistercense e l'Ordine Cistercense della Stretta Osservanza si condividono il giusto titolo di Cîteaux. A questi due rami si ricongiungono diverse famiglie religiose di ispirazione cistercense. L'Ordine Cistercense comprende 12 congregazioni che raggruppano in totale 77 monasteri di monaci e 63 monasteri di monache (1014 monaci e 966 monache nel 1993).
Testo tratto dal sito dei Cistercensi: www.cistercensi.it

A PROPOSITO DELL'ASSEDIO DI TERDONA RACCONTATO DA "BAUDOLINO DE' AULLARI"

TRATTO DAL LIBRO DI UMBERTO ECO -"BAUDOLINO"- (file mp3 free dowload)

LETTO E INTERPRETATO DA PAOLO DE MANINCOR SU MUSICA DI GILBERTO QUATTROCCHIO

CURIOSITA' DI TERDONA OGGI TORTONA

La città dei tre doni e la Santa Coppa di Cristo

STORIA DELLA COPPA

“…chi si mantiene puro sarà un vaso nobile...” ( II° Tim. – 20,21) Solo chi vuol esser ed è cavaliere di Cristo può esser chiamato ad avvicinarsi alla gloria della Coppa, ma sappia che non otterrà la corona se non avrà ben combattuto. La Coppa infatti passa per la nave e per il sepolcro, per il cuore e per la pira, per il pesce e per la roccia.Chi reca in sé il nero il bianco e il rosso non è lontano dal verde della Coppa.E così chi conosce la fratellanza fra le quattro operazioni – Seguiamo la scia del sangue reale – “(San Brandano) .La santa Coppa fu intagliata dagli angeli per ordine di Dio e da Lui donata per le nozze di Adamo ed Eva e offerta ponendola sulla roccia presso la quale fu creato il nostro progenitore. Il suo colore è il verde. Un verde che fiammeggia di vermiglio e luce di luce bianca. Chi porta in se il nero il bianco e il vermiglio non è lontano dal verde della Coppa. Persa l’amicizia con Dio la Coppa restò nell’Eden presso l’Albero della vita e fu recuperata da Seth quando Dio gli concesse di ritornare per 40 giorni nel Giardino d’oriente La Coppa fu custodita e tramandata dalla stirpe santa: da Enoch a Noè, da Sem a Melchisedek, e Abramo fino a Giuseppe e Mosè. Da Elia a Davide e Salomone fino agli esseni e a Giuseppe d’Arimatea: così ritornò nelle mani di Colui che l’aveva creata. La Coppa passò all’Impero Romano e ai Pontefici: quando non ne era degno l’Imperatore del momento permetteva di essere custodita dal Pontefice e viceversa. Quando nessuno era degno ritornava nel suo Cielo o appariva a spiriti eletti e a santi. La Coppa è la radice buona della terra, il vascello che porta dal castello all’Eden terrestre, il Cuore del cuore, il monte santo, il manto santo, la pienezza che ci svuota, la sete che ci sveglia e sazia, la corte nuziale, l’origine delle imprese, ardore che infiamma il fuoco, la pietra di ogni fenice. Nel medioevo lo spirito di molte famiglie nobili palpitò della Coppa e fu da Lei ulteriormente nobilitato, fra esse: Merovingi, Malaspina, Monferrato, Montefeltro, Savoia, Hoenstauffen, Angiò, Este, Gonzaga, Lorena, Asburgo, fino a Eugenio di Savoia, Joseph de Maistre e lo Zar Alessandro . Oltre a ciò molte opere letterarie celano evidenti segni della gloria della Coppa: Bandello, Vaqueiras,e soprattutto i quattro pilastri aurei della nuova tradizione occidentale: “Gargantua e Pantagruel”, “ Don Chischiotte”, “Gesusalemme liberata”, e “Orlando furioso”. Chi non li vede continui a non vederli. Nello stesso modo molte città e grandi santi hanno contemplato la Sua sapienza, fra essi: San Giovanni, San Longino, Santa Maddalena, S. Vincenzo Ferreri, S.Giovanna D’Arco, S. Carlo Borromeo, Santa Teresa d’ Avila, San Padre Pio. La coppa è tre volte santa: per l’origine, l’autore e la fattura perfetta, per la santificazione durante l’ultima e la prima Cena, e per la seconda definitiva santificazione durante la Croce e la deposizione. In lei sono custoditi e trasmessi i segreti del Re, del Regno e del Santissimo Sangue di Cristo. Chi vuol penetrare il velo d’argilla, chi vuol oltrepassare con santa audacia l’ombra dell’occaso conoscendo il punto di contatto fra Spada, l’osso e l’animo e accostarsi al velo celeste allora inizi a meditare su queste sette verità sul Sangue reale: a) è uno e infinito e non muta mai sostanza b) più si dona più s’accresce, più si sparge più raccoglie c) viene da ferita che sana e s’effonde senza violenza d) si manifesta dall’invisibile pur essendo vero sangue e) resta senza consumarsi, anzi consuma chi l’accoglie assimilandolo a Sé f) è l’aria dell’aria, il fuoco del fuoco, la terra della terra, l’acqua che disseta e lava l’acqua, l’origine del vento, la ragione della cerca,la corda del rotolo, e conosce sia ciò che muta che ciò che non muta g) è Uno ma molti vi partecipano, e resta Uno; …. Tortona non è altro che un'altra Chinon, Colieure, Aquila, Le Puy, Otranto, Siòn, Grado, Spalato, Tomar, Orvieto, Aci reale, Betania, Gorizia, Aosta, Colonia, Jesi, Monza, Roseto, Fecamp,Arles, Orange, Gradisca, ecc. ecc., pertugi per entrare nella terra buona circondata dall’acqua calma ove pesca il ricco e ferito Re pescatore. E queste buone terre sono simili alla dolce e terribile Arcadia e alla nobile Tebaide, e simili anche alla terra verde dell’estremo nord. Solo chi scava sotto la sua casa trova il buon vino che riceve per primo la luce dell’alba e del Sole.. La Città del tre doni è un antica testa di ponte il cui innesto ancora sopravvive! Ecco la sintesi perfetta di Liguria, Lombardia e Piemonte! IL bestiario della coppa si ritrova nella colomba, nel gallo, nell’unicorno, nell’aquila, nella salamandra, nel leone, nelle api, ne pesce e nel cervo. Nella flora: la rosa, il gladiolo, il giacinto, il biancospino, il cedro e l’olmo.".... Come in un vaso d'argento si conserva un aureo monile" ( San Colomba).


DERTONA-TERDONA (TRE DONI) - LA SANTA COPPA


La Santa Coppa di Cristo fu custodita in Tortona dal 410 fino certamente all'epoca di Federico II°. La storia di questo meraviglioso tesoro materiale-spirituale segue le linee invisibili della storia della salvezza.Fu un oggetto creato dagli angeli su ordine di Dio e poi donato da Lui ad Adamo in occasione della creazione di Eva e dell'unione dei progenitori. Oggetto dunque sia materiale che spirituale, carico dei carismi di Dio. Fu l'unica cosa che Seth tornò a riprendere nell'Eden durante i 40 giorni concessigli da Dio, e fu poi tramandata da Seth in poi attraverso la stirpe santa: da Enoch a Noè, da Sem a Melchisedek Re di Salem che la donò ad Abramo. Seguì la stirpe di Abramo fino a Mosè che la riportò in Terra santa e veniva custodita nella Tenda della testimonianza, nell'arca dell'Alleanza e con Salomone nel Tempio di Gerusalemme. Fattane una copia per il Tempio, fu poi affidata ai Magi caldei e da loro portata al Dio-bambino nel giorno dell’Epifania per poi affidarla agli Esseni che la custodirono in una grotta nel deserto. Giunse infine definitivamente a Colui al quale era destinata: il nuovo Adamo celeste, il Cristo, il restauratore dell'Alleanza con Dio, e l'Iniziatore della nuova stirpe eletta. Fu custodita dalla Santa Vergine, da San Giovanni e da Giuseppe d'Arimatea. Nascosta a Gerusalemme ne uscì portata da Giuseppe per essere custodita nella Chiesa di Efeso e nelle sette Chiese d'Asia sotto la vigilanza di S. Giovanni. Passò anche in Armenia per poi tornare in Gerusalemme quando non ci fu più alcun pericolo per i cristiani. Fu sepolta vicino al Santo Sepolcro e lì ritrovata dall'Imperatrice Elena e portata a Roma. Era custodita nel palazzo imperiale del Palatino. Durante l'apostasia dell'Imperatore Giuliano fu trafugata e messa sotto la custodia della Chiesa nel Santa sanctorum del Laterano. Una delle proprietà della Coppa era ispirare la visione del futuro e aiutare i cristiani a sfuggire alle persecuzioni. La Coppa stessa si difende dalle violenze e dalle profanazioni: oltre a ciò possiede il potere di apparire e scomparire quando non vi sono custodi umani degni. Per questo non ha senso cercarefisicamente tale mistico oggetto, ma ha senso solamente cercare le tracce simboliche e storiche di tale mistero divino. L'Imperatore Maiorano fu ucciso a Tortona in rapporto con la sacra coppa, della quale per primo ne volle, ideò e preparò la custodia in Dertona. In ogni luogo ove passò ne fu fatta un'imitazione onorevole che ne esprimeva un tratto spirituale e simbolico. Fu anche a Valenza in Spagna, ove è conservata una sua sacra imitazione, e pure a Genova. Nel 410 mentre i barbari stavano per invadere Roma, fu fatta fuggire a bordo di una nave guidata da ufficiali romani scelti e fedeli che la portarono a Genova e attraverso gli appennini liguri a Tortona, nelle segrete del castrum terdonensis. Da allora Genova iniziò ad essere soprannominata "Ianua" perché per essa passò la Coppa rivelando i suoi misteri e prodigi, e da allora Dertona fu chiamata Terdona per via della presenza di tale tesoro. Non è credibile che la mutazione del nome sia stata una mera corruzione linguistica: si tratta di nome dalla struttura unitaria e semplice rimasto inalterato per millenni, mentre “Terdona” manifesta una ricchezza di significati e messaggi simbolici impressionante e corrispondente alla tesi che qui si espone! Non è casuale che tale periodo storico è quello in cui inizia l’epos dei cavalieri cristiani. Perché fu scelta Tortona? Perché era ancora un baluardo di romanità intatta ed invitta in un mare di caos e contaminazione barbarica e pagana, perché il suo castello era munitissimo e difficilmente prendibile e non era ancora stato conquistato né profanato dai nemici, perché era chiamata "piccola Roma" per i suoi sette colli, e possedeva la stemma del leone derivante dalle legioni romane che sempre vi stanziarono, perché era la più antica colonia romana del nord, perché era città non appariscente e non opulenta ma solamente militare e famosa per la sua fedeltà a Roma. Come dicevamo la città cambiò il suo nome cioè mutò e si arricchì l'essenza spirituale del luogo. Già è notevole il fatto che il nome celtico non fu alterato da Roma ma perpetuato: un segno di grande rispetto e in pochi anni dalla colonizzazione romana era già "città insigne"! Il suo nome celtico "Derton" (luogo alto/luogo forte) da cui la fedele latinizzazione "Dertona", fu reinterpretato profeticamente come "Terdona", cioè "la città dei tre doni", la città degna di ospitare il più grande tesoro-reliquia del Dio trinitario, il calice che conteneva il triplice dono: l'oro dell'amore e della regalità del Suo sangue, l'incenso della sacerdotalità della coppa e della sua funzione propiziatoria e rituale, e la mirra dell'immortalità
dello Spirito e del Corpo di Cristo e delle Sue reliquie. Una città che era stata fondata dai romani tre volte (sotto il Senato, sotto Cesare, e sotto Augusto) quale fedele modello di Roma era quella adatta per ricevere il segno della nuova sovranità universale trinitaria. I tre doni potevano anche essere: la Santa Coppa, la Croce di Cristo e un altra Reliquia o manifestazione divina! Si dice che in località tortonese vicino a Paderna avvenne nei primi tempi del Cristianesimo una manifestazione divina in triplice forma: di sorgente d'olio, di pietra e di sangue. E' per questo motivo che i potenti Vescovi-conte di Terdona ottennero dall'Imperatore, e da Milano, e tennero fino al 1783, un "principato" che comprendeva un piccolo territorio includente tale zona e in totale sette località disposte similmente al carro dell' Orsa maggiore, in prossimità della Città? Fu il principato del "Vescovato" un luogo di custodia della sacra Coppa? Dal tardo impero si coagulò inoltre un misterioso e profondo legame spirituale fra Terdona e Milano: Milano fu sempre sollecita ad aiutare Tortona e ne ricostruì più volt il borgo distrutto dai nemici. Un legame che passò per i primi vescovi di Terdona fra cui il nobile Innocenzio Quinzio. Era come se Milano fosse in debito morale con Tortona o come se avessero un grande interesse in comune. Quale? I santi Nazario e Celso ad esempio soggiornarono a Tortona e furono martirizzati a Milano, ma non basta. Non sono sepolti in San Eustorgio in Milano i resti dei Re Magi? Non erano tre i doni portati dai santi Re al Dio neonato? Ecco il legame! Milano sapeva del Tesoro spirituale nascosto in Terdona e garantiva l'indipendenza e la sopravvivenza di Tortona. Da quando giunse tale tesoro prodigioso allora, ancor più prodigiosamente, il Castello della la città fu risparmiato dalla distruzione e fu sempre più ingrandito, potenziato e stimato dai Re d'italia gotici e dagli Imperatori carolingi e del sacro Romano Impero. Teodorico fece del forte di Terdona il granaio per tutta la Liguria! Ancora una volta la sacra Coppa viene associata all'abbondanza e alla sicurezza della terra! In Tortona convissero pacificamente romani e goti, franchi e longobardi: tutti uniti nella venerazione della reliquia e ben influenzati dai poteri della stessa! Persino i bizantini cercano di impadronirsene e di raggiungere Tortona! Solo la presenza segreta della Santa coppa spiega l'importanza sacrale e politica di una città ben piccola e gravitante solo attorno al suo Castello. Solo la presenza di tale preziosissima reliquia spiega il passaggio per Tortona di Carlo Magno e la presenza in Tortona di figure femminili di stirpe imperiale e regale: L'imperatrice Giuditta, l'imperatrice Richilde (che fu consacrata tale dal Pontefice nel Castello di Tortona) e alla fine la Duchessa Cristierna di Danimarca, ultima duchessa di Milano. Non era la Coppa portata in processione da nobili donne? La Coppa e le sue virtù giustificano la grande e non comprensibile autonomia e nobiltà che ebbe per più di 1000 anni la contea Tortonese e anche da tale presenza spirituale invisibile ma fortissima derivò la gloria e la grandezza della sua Diocesi. L' "ager dertonensis o iriensis" era vasto e comprendeva un area in cui l'influsso di Dertona sopravvisse dal punto di vista ideale anche quando non sussisteva più un corrispondente potere di controllo militare e politico: andava da Villa del Foro (Alessandria) fino a Voghera, dal Fiume Po e da Pozzolo fino a Libarna (Serravalle) comprendendo inoltre cinque valli: Val Trebbia, Val Staffora, Val Curone, Val Grue e Val Borbera. La stessa configurazione prese poi la Diocesi di Dertona. Per alcuni periodi la Santa coppa fu custodita anche nel monastero di Bobbio, in Diocesi di Tortona, e in tempi più recenti nel feudo di Rosano. Relativamente a Bobbio notiamo che il Papa Silvestro II° era Abate di Bobbio, della Diocesi di Tortona e assunse lo stesso nome del Papa di Costantino, colui che aveva recuperato la Coppa! Chiaro segnale di strategia e legittimazione divina! Ancor oggi nel Museo romano di Bobbio è conservata un anfora che la tradizione ritiene una delle anfore utilizzate alle nozze di Cana. In merito al feudo-monastero-fortezza di Rosano (Rossiano-Roxano-Rubea) c’è da osservare che apparteneva all’Abbazia tortonese di San Marziano e possedeva tre Chiese nonché importanti reliquie come il corpo di San Vitale, e fu poi custodito dalla potente famiglia degli Spinola di Spagna. In Rosano si venerava San Michele e la Vergine e oggi ancora si può ammirare un affresco del 1400-1500 raffigurante una rara Madonna la quale, mentre allatta, mostra tre fiori porgendo un Gesù bambino ornato da una collana di corallo. Rosano presidiava anche il guado sul Curone. Durante il periodo carolingio e ottoniano Tortona fu spesso sede di soggiorno e di corte per gli Imperatori e i Papi, i quali si fermavano anche nel territorio tortonese in una località chiamata “Alpe plana”. (Ad esempio Papa Callisto II°.) I Vescovi di Tortona erano segretari-consiglieri-ambasciatori degli Imperatori e Principi del Regno Italico: eleggevano-confermavano i Re d’Italia in Milano o Pavia. Essi si dichiaravano soggetti alla Legge Longobardica. Il Tortonese era l’unica regione della Liguria che apparteneva anche alla Longobardìa. Prova ne è che spesso la Chiesa di Tortona più volte nascose e protesse gli Arcivescovi di Milano quando erano oppressi e combattuti dai barbari o dagli Imperatori. Spesso questi autorevoli e potenti Vescovi mediarono fra l’Imperatore e il Papa nella lotta delle investiture: pur restando fedeli al Pontefice conservavano margini di autonomia e di mediazione. Ancora nel 1500 il Vescovo Gambara scriveva a Carlo V° nel tentativo di riconciliare l’Imperatore con il Pontefice. Altra vicenda epocale fu il terribile assedio che il Barbarossa strinse per due mesi attorno a Tortona, riuscendo a prenderla solo per sete dopo aver avvelenato le sorgenti. Perché sprecare tante vite umane, tempo ed energia contro Tortona invece di scendere subito a Roma a rivendicare i diritti imperiali o indirizzarsi contro città ostili più potenti? Perché l'Imperatore pretendeva il possesso della Santa Coppa, desiderata per le sue virtù di propiziazione e di invincibilità. Il Barbarossa invece di accontentarsi di contemplarLa e di adorare il Sangue di Cristo in essa contenuta come avevano fatto gli altri Imperatori, ne rivendicava la proprietà, di qui lo scontro. Ecco una delle ragioni dello scontro fra autonomia comunale e autorità imperiale, fra giurisdizione della Chiesa e diritti dell'Impero: chi doveva custodire la più preziosa reliquia del Figlio di Dio? Tortona possedeva la soluzione di equilibrio: città dalle radici profondamente romane, contea carolingia, ma anche potente Diocesi fortemente cattolicizzata e governata dai vescovi-conte, territorio in perfetto equilibrio fra Liguria e Lombardia, fra Genova e Milano, città infine da sempre autonoma nel suo territorio e mai interessata da ambizioni espansive. L'unico scopo strategico di Tortona fu: conservare, custodire, perpetuare, consolidare un culto, un rito, una missione, quella di difendere la santa coppa di Cristo. Quando i Milanesi ricostruirono la fortezza di Tortona dopo la distruzione operata dal Barbarossa fecero tre doni all’amata Tortona consistenti in tre emblemi due dei quali erano la Croce rossa su campo bianco (che dai tempi di Costantino sventolava dagli spalti di Tortona) e il segno del Sole e della Luna. Ennesima conferma della gloria regale ed universale che circondava la Città e che solo la Coppa di Cristo giustificava. Alla Pace di Costanza Tortona figura fra le città dalla parte dell’Impero, nonostante le due distruzioni subite la tenacia di Tortona vinse e persino il Barbarossa dovette trovare un accordo dignitoso con Tortona e la volle alla fine con se! La durezza del Barbarossa non fu imitata da Federico II° che ricoprì di onori e privilegi Tortona, donandoLe fra l’altro il diritto di battere moneta, privilegi confermati dall’Imperatore Arrigo VII°. Da allora mai ebbe più incrinature o decurtazioni l’imperialità della Città di Tortona fino ad Umberto II° di Savoia, Protettore di Gerusalemme e ultimo conte di Tortona. Impressionante fu sempre l’elevato numero di Famiglie nobili rispetto la ridotta quantità di popolazione: già ben sessanta nel 1145! La Coppa dopotutto è sempre stata cantata quale fonte di nobiltà e di fecondità, quale culla di regali stirpi. Ecco ora altri indizi e conferme di tale presenza e funzione. Tortona possedeva una porta denominata "porta dei Leoni" e posta sul castello verso sud-ovest, simbolo di eccelsa regalità: il Leone difende la coppa dalla direzione simbolicamente più delicata. Come Cristo è nato ad est e come il Nord è dimensione favorevole per la Chiesa cattolica, così il nemico simbolico viene da sud ovest, e va protetta la via per la quale è giunta la Coppa, dal mare, dalla Liguria. Tortona restò sempre e fino ad oggi appartenente alla regione ligure, di origine celtica: è l'unica Diocesi della Liguria pur non avendo il mare! Lo stesso simbolo del Leone è simbolo che viene dalle legioni romane e tutte le maggiori famiglie nobili di Tortona possedevano tale simbolo. Ma è soprattutto simbolo di Cristo: il "Leone di Giuda", e conferma quella nobiltà mistica che derivava dalla Coppa e dal servizio ad Essa. Dopotutto non era il simbolo di Lancillotto? Non era Lancillotto nato nella città del Leone? ( tanto che alcuni pensavano si trattasse di "Lione" per assonanza ) Solo per nobiltà che discendeva la presenza della Coppa fu richiesta la presenza dei Tortonesi alle prime Crociate e lo stesso Imperatore Federico II°, nonché i Monferrato, volle imparentarsi con i nobili di Tortona. L'altro simbolo eccelso unito al Leone e unico nel suo genere e che rappresenta araldicamente Tortona, è la Rosa. Il calice è simbolicamente analogo al fiore e al cuore. Come il Leone è il più nobile degli animali così per l'Occidente cristiano la Rosa è il più regale dei fiori. L'unione dei due, con il Leone che mostra e impugna la rosa volgendosi verso sinistra (in senso antiorario), dimostra una nobiltà spirituale indicibile e inaudita per una piccola città, e lancia un messaggio cifrato: in Tortona Cristo possiede la Sua coppa santa, l'unità è restaurata, è presente il vasello che custodisce il Sangue vivo ed inconsumabile di Cristo, l'anima è colma dello Spirito del Suo Re. Pensiamo ora ai colori: Leone argentato su fondo vermiglio, i due colori dell'Amore mistico del Cantico delle creature, i colori del potere, e soprattutto lo stesso simbolo dello scudo di Parsifall! Ancor oggi sopravvivono ulteriori conferme sapienziali di questa tesi: la città è circondata non più da sette colli ( spianati per ragioni militari-economiche e consunti dai secoli) ma sempre da sette frazioni ( Passalacqua, Torre Garofoli, Monbisaggio, Castellar Ponzano, Vho, Rivalta, Bettole), come le stelle dell'Orsa sono vicine alla Stella polare e come le sette stelle del candelabro di Cristo nell'Apocalisse; oltre a ciò in città da più di due secoli si stampa "l'almanacco del Gran Pescatore di Chiaravalle", segno evidente dell'unicità ed importanza spirituale della città. Non è il Re pescatore il custode della Coppa? Non è Cristo stesso Pescatore di uomini? La Coppa non ispirava la profezia e governava la fecondità della terra? Altri segni curiosi: vicino a Bettole di Rivalta passa una strada chiamata “Strada dell’Imperatore”, e una simile denominazione è presente vicino a Dernice; in Torre Garofoli passa la “strada Cerca” sullo stesso tragitto della via Romea e compostelliana; San Giovanni Bosco dal Castello di Tortona benedisse la città, l'Italia e il mondo intero con l'auspicio che l'Italia tornasse cuore della luce cristiana sul mondo intero, non è un augurio-preghiera che si comprende meglio se si pensa alla presenza alla Coppa-Cuore di Cristo in Tortona? Altro segno: Tortona conserva una reliquia della Santa Croce e possedeva una presenza dei cavalieri Templari presso l'ostello-chiesa-porta di San Giacomo. (una delle poche loro presenze in Piemonte) Non era compito dei Templari secondo la loro regola custodire la Santa Croce? Non era sul castello la Cattedrale prima del 1500? Solo la Croce santa era da loro custodita? Ma non ci sono reliquie della Croce santa in ogni Chiesa cattolica? Troppe concordanze, troppi indizi che alludono alla presenza di una realtà sacra e riservata in Tortona. Ultimi segni: ancora lo stemma araldico. Vediamo una corona di alloro e di quercia, segno della perfetta intesa fra celti e romani. Roma tenne lo stesso nome celtico della città invece di imporne uno nuovo, segno che dopo la guerra di conquista era avvenuta una piena saldatura fra il passato celtico e il futuro romano. L'alloro e la quercia sono inoltre simbolo di massima gloria e di forza. Oltre a ciò è formidabile e illuminante il motto araldico: "Pro tribus donis Terdona similis Leonis". Cioè: Tortona è simile a Cristo perché ne custodisce la Santa Coppa, Tempio e ricettacolo della Santissima Trinità, e come i Re Magi la ripresenta a Cristo. Ecco la spiegazione dell'incredibile numero di Chiese, Conventi, Abbazie, Monasteri e Ostelli per pellegrini che si trovavano a Terdona nel medioevo: era un piccola Roma, una piccola Gerusalemme; la presenza della sacra Coppa ispirava un costruttivo misticismo e il gran numero di luoghi sacri era pure utile a dissimulare il luogo in cui era nascosta la Coppa. Non è altrimenti spiegabile la presenza di un tale numero di ospedali e di ostelli per i pellegrini: in Chiese, Case, Mansioni, e in luoghi che oggi sono Tenute e Cascine e un tempo erano domus di notabili romani.Ma quali sono veramente i tre doni? Oro incenso e mirra nei loro significati spirituali? La risposta essoterica è facile: forza-coraggio, lealtà e gentilezza. Ma questa risposta riguarda solo il senso morale della frase; e il senso anagogico? Forse Spirito, acqua e sangue? Chi cerca trova e non sarà deluso perchè Fedele è il Tesoro.Non basta la giustificazione che Terdona era situata all’incrocio delle tre vie sante principali: Via francigena, Via Romea, e Via compostelliana; in realtà è vero anche il contrario: il misticismo che emanava da Terdona e alcune fughe di notizie richiamarono e attrassero turbe di pellegrini per i quali Terdona non era solo una tappa importante nel pellegrinaggio, ma anche una meta stessa di pellegrinaggio. Oltre a ciò all’epoca del medioevo il Castello di Tortona doveva apparire estremamente elevato per l’altezza del Colle, i terrapieni e le mura, abbellito da una Torre romana chiamata “Rubea”, cioè Rossa, ( anche detta “Tarquinia”) e da una Torre Bianca, e circondato dalle acque, in quanto era circondato dal fiume Scrivia (all’epoca ricco di acque tanto che solo esperti traghettatori erano in grado di passarlo e non esistevano ponti), e dai torrenti Ossona, e Grue. Era quindi difeso e abbellito per tre lati dall’acqua, nonchè circondato da colline, sentieri, rogge e rocce, oltre ad essere collegato per mezzo di gallerie e cunicoli sotterranei all’Abbazia cistercense di Rivalta ( Ripa-alta) e alle Chiese del Borgo sottostante: un paesaggio variegato e fascinoso molto simile a quello del Castello del Re Pescatore, al Castello del Graal e ai luoghi limitrofi come sono descritti nei romanzi cavallereschi del 1200-1300! L’altezza del Castello e la sua posizione permetteva di metterlo in comunicazione visiva con un territorio molto vasto e significativo: Novi Ligure da un lato, Voghera dall’altro, e verso Genova o la Lunigiana la via dei messaggi era facilmente tracciata in triplice tragitto attraverso una rete fitta di segnalazioni ignee fra forti e Castelli: a) Pozzolo-Novi-Serravalle-Arquata-Castello della Pietra,ecc.; b) Vho- Sarezzano- Avolasca- Garbagna -Montebore- Sorli -Cantalupo - Brusamonica c) Volpedo-Monleale-PozzolGroppo- Montemarzino- Brignano- SanSebastiano -Gremiasco-Fabbrica Curone - Varzi- Oramala, ecc. Tutti luoghi di origine militare celtica, rifondati da romani, longobardi e franchi per la difesa dai saraceni e dai bizantini, luoghi in cui passava la “strada del sale”. Nel primo medioevo tutta la regione ligure dell’entroterra era chiamata “Patrimonio delle Alpi Cozzie” e apparteneva alla Santa Sede, uno dei primi feudi della Chiesa di Roma. Fu usurpato dai Longobardi e poi restituito al Pontefice dal Re Ariperto. Da qui la dignità di Principi dei Vescovi di Tortona, e il loro fregiarsi, nel blasone vescovile, di una Spada accanto al Pastorale. Solo la presenza della Coppa di Cristo poteva conferire tale dignità nonché un’unione così stretta e manifesta del potere spirituale con il potere temporale. Fino a quando restò tale tesoro nella città di Tortona? Il fatto che il Maresciallo imperiale Suwaroff il 13 maggio 1799 emanò da Tortona il suo mistico proclama al popolo piemontese è segno che ancora fosse conservata nel Castello la reliquia? Era un incitamento a difenderla? Oppure era una preparazione del suo ritorno nel luogo che per tanto tempo l’aveva accolta? E' per questo motivo che Napoleone, furioso per non avere trovato ancora la Coppa, distrusse fin dalle fondamenta, e con lento metodo, il grande, ma da tempo militarmente inutile, Castello di Tortona? Ci sono ancora molte vie in Tortona verso il mistero: i sotterranei del Castello, le cripte delle Chiese più antiche, i documenti sulla storia della Città, l'iscrizione in latino nella corte di Rosano ( chi la legge intuirà la gloria della Rosa), e il misterioso mausoleo dell'Imperatore Majorano sito nella Chiesa di San Matteo ( un cubo ermeticamente chiuso di 9 metri per 9) et cetera... Cosa custodisce il Mausoleo da millenni?Altri indizi della tesi interpretativa qui sostenuta sono nascosti nei significati dei nomi. Arth-ur: significa in celtico: Orso, e indica la costellazione dell'Orsa maggiore, e oltre a ciò contiene la radice in sanscrito "UR", identica in greco e latino, significante: "fuoco" (pyr-purificazione, iride, urano, uro, ira, curia, ecc.), inteso come segno di potenza, ardore, audacia, zelo e sacro impeto. Ebbene abbiamo accennato a come Tortona e le sue sette frazioni (che erano un tempo forti o domus romane fortificate) rappresentino la predetta costellazione, con la stella polare che coincide con la Città del Leone della Rosa. La stessa radice sanscrita-greca-latina si ritrova nel nome "Cur-one", valle e fiume prossimo a Tortona, nel nome "Iria" cioè l'attuale fiume Scrivia che con i suoi flutti impetuosi difendeva la Città, e nel nome "Lig-ur-ia", ove "Lig" deriva dalla divinità celtica Lug, guerriero celeste munito di fulmine e lancia (simile simbolicamente a San Michele). Anticamente Derton possedeva anche un secondo nome: Antilia o "Antiria", cioè davanti all'Iria (cioè davanti al fiume ma anche: davanti al Fuoco) Tutto ciò conferma l'importanza sacrale di Tortona e la diffusione del culto del Fuoco, di Vesta e di Giove (sulla sommità del Colle Savo s'alzava il Tempio di Giove capitolino) La tradizione guerriera dei Liguri si perpetuò ed accrebbe sotto le insegne di Roma! "Parsifall" significa: valle dei Persiani o Valle dei giardini, cioè la Val Curone, in cui risiedevano comunità di Armeni e di ebrei, ed era famosa per la sua vegetazione lussureggiante. "Parsifall" ricorda il rapporto della sacra Coppa con i Re Magi e l'Oriente.Queste considerazioni non implicano un voler screditare la nordicità del ciclo bretone, ma dimostrano che non esistono contestualizzazioni esclusive per gesta cavalleresche che possono aver tratto ispirazioni da più regioni e da più epoche. “Ginevra” era in realtà Genova stessa, “Monserrat” era Monte Spineto, ( detto anche Monte Arimanno) luogo sacro e rifugio dalle invasioni barbariche, luogo che serra la valle dello Scrivia (Iria) presso l’attuale Serravalle. A tale proposito ricordiamo che i potenti Marchesi di Monferrato, audaci sostenitori della Crociata e imparentati con gli Imperatori, mai vollero conquistare Tortona ma anzi si imparentarono con le sue famiglie più nobili. E’ evidente la profonda simbologia della parola: “Mons-ferrat”. Approfittiamo dell’occasione anche per ricordare che molti toponimi del tortonese contengono la parola “spina”, e ciò significava una funzione di difesa e di relazione in rapporto alla sacra Coppa di Cristo. La Spina difende la Rosa, cioè il Calice sacro! Oltre al precedente un altro esempio: Spineto Scrivia, nella contea/principato del Vescovato! Dopotutto una delle più potenti e nobili famiglie del Tortonese erano i “Malaspina”, decantati da Dante Alighieri e di cui il Poeta fu ospite nel Castello di Oramala, e gli Spinola. “Lionello” era Villa del Foro e Libarna. “Lionello” significava: il piccolo Leone, i piccoli del Leone, cioè le due filiazioni della Colonia Dertona. “Galvano” era Galgano, cioè chi, imitando il santo cavaliere, andava in mistico pellegrinaggio verso San Michele ( di Susa o del Gargano). La linea di San Michele partiva da San Michele in Normandia e arrivava a Gerusalemme passando per Tortona e il Gargano. “Lancillotto” era connesso con Asti = “Hasta” = Lancia. La Lancia non è lontana dalla Coppa e la Coppa non è lontana dalla Lancia. Non era la Coppa il simbolo di Lancillotto, per la Quale aveva lasciato tutto vivendo in una perpetua cerca? Non era Asti il luogo famoso in tutta l’antichità per la confezione di calici e coppe? Presso Frugarolo, in territorio dertonese, nel 1300 venne affrescata la stanza di una piccola residenza nobiliare con il ciclo di Lancillotto, dipinto mentre combatte contro i sassoni. Questo è che la sopravvivenza epica della memoria delle gesta dei cavalieri tortonesi romano-cristiani sotto Aureliano e sotto Maiorano contro i marcomanni. “Sarras” era Sarezzano: luogo vicinissimo a Terdona in cui si elevava una rocca celtica antichissima. I famosi boschi di Parsifall e scenario di tante avventure, ricchi di selvaggina e di cavalieri che vagavano, non erano altro che i boschi della Fraschetta (ormai aimè non più esistenti!) luogo prediletto dai Goti, dai Longobardi e dai Franchi per l’arte della caccia. La Tavola era la rocca stessa: tutto il forte e la stesso borgo si sviluppa in un perfetto cerchio attorno alla roccia del Colle Savo!Se a questo si aggiunge che sul Forte era venerata una Madonna Nera il cui ritratto è ancora conservato nella cattedrale di Tortona e i cui occhi trasmettono una terribile dolcezza, e se consideriamo che la posizione astrologica di Tortona è favorevolissima, contemplando ad esempio un dominio di Saturno nel mese di dicembre (Saturno è il protettore e dispensatore delle ricchezze occulte, nume dell’essere e della sapienza), e se ricordiamo che Tortona era ricchissima di acqua e attraversata da numerose sorgenti, canali, rogge e chiuse, il quadro sapienziale è completo e rarissimo! Lo stretto legame sussistente fra Tortona e i santi monaci irlandesi che vi giunsero ( per poi portarsi a Celle di Varzi e a Bobbio) rappresenta un ulteriore conferma della credibilità della tesi sostenuta della vicinanza del Graal a Tortona.Non solo il grande San Colombano ma molti altri monaci irlandesi, scoti, britannici e bretoni giunsero nell' ager di San Marziano per salvare tesori spirituali e anime e regni. Sugli appennini liguri vivevano ancora comunità celtiche isolate di cui nessuno più capiva il liguaggio tranne i monaci itineranti irlandesi.Come fu per il Regno sacro e spirituale dei Re dei britanni fino ad Arturus così fu per il Marchesato/contea di Tortona: un Regnum invisibile riconosciuto solo da e fra i nobili, i cavalieri e i monaci che ne condividevano la segreta esistenza: un vassallaggio parallelo ed autonomo, in quanto interiore e spirituale, rispetto a quello tipicamente feudale. Dopotutto Tortona sfugge ad ogni chiara e canonica classificazione feudale e dinastica, essendo un equilibrio perfetto fra Impero e Papato: i Vescovi di Tortona erano conti e principi, ma la corona della Città è del Marchesato, il territorio era lombardo e imperiale, ma nello stesso tempo apparteneva al Patrimonio di Pietro, i nobili maggiori di Tortona erano imparentati con l'Imperatore ma pure reggevano un Comune molto autonomo e mai eretico!E se Merlino e San Patrizio fossero la stesa persona? Questa idea rafforza e chiarifica ulteriormente la vocazione spirituale di Tortona. Dopotutto molte sono le concordanze fra le loro figure e storie: entrambi nascono britanni, anzi romano-britanni, entrambi viaggiano molto e vivono a lungo, entrambi sono figure di profeti-sacerdoti ed esorcisti, entrambi sono di nobile stirpe e consiglieri di re, entrambi vivono molti anni in Gallia ( San Patrizio dal 415 al 432) per poi ritornare in Britannia, entrambi erano fra gli ultimi a conoscere molto bene la cultura celtica e in particolare i riti dei Druidi. C'è da considerare infine che il periodo storico coincide perfettamente: dalla partenza delle legioni romane nel 410 al predominio dei sassoni in Inghilterra. San Patrizio aveva 19 anni nel 410 e 59 anni nel 450; data fatidica: l'unica data certa del ciclo epico, l'anno in cui Galaad, il Cavaliere vergine perfetto, si siede sul seggio periglioso portando a compimento le profezie ed iniziando le ultime imprese della cavalleria spirituale, che porranno fine ai tempi avventurosi, in cui Cristo aveva chiamato eroi e e cavalieri a lottare contro le ultime forze infere che ancora vagavano per la terra e tentavono invano di resistere al nuovo Regno di Cristo. Pochi anni dopo il 450 inizò il crepuscolo del Regno britannico e Arturus, ferito ma non vinto nè morto, come i Re pescatori, si occultò nell'invisibile da dove aspetta, con Federico II° e Merlino, il tempo previsto per risvegliarsi, novelli Elìa, al combattimento finale contro le forse del male. Se Merlino è San Patrizio allora non solo dal sud ma anche dal nord la Coppa segnò la via passando per Tortona. Si vuol sostenere che i nomi dell’epica cavalleresca medioevale non risultano tanto nomi specifici di persone, quanto soprannomi di battaglia, quali nomi-segni ideali, quali tipologie interiori, quali maschere simboliche che più persone e più generazioni hanno indossato e incarnato, in connessione con determinati luoghi spirituali e azioni rituali! Questa tesi non vuole giungere alla conclusione che non siano esistiti personaggi storici cavallereschi e militari nel primo medioevo che abbiano ispirato tradizioni eroiche (Artù-Lancillotto-Parsifall-Galvano), e neppure vuol sostenere che non siano accadute in Britannia, Bretagna, Provenza, Svizzera, Spagna e Persia, gesta cavalleresche poi idealizzate caratterizzate dalla fusione fra le ultime sopravvivenze di un mondo romano cavalleresco e militare con un Cristianesimo fresco e mistico-eroico; ma semplicemente si vuol sostenere che anche il territorio Tortonese si inscrive a pieno titolo in questo panorama simbolico, in questa geografia sacrale che tanta ispirazione diede all’epos e alla religiosità occidentale. Una storia ancora viva: chi si rechi in prossimità della Torre–mansione del ponte di Cassano sullo Scrivia ancora sente palpitare una forte sacralità del luogo.Una storia ancora vicina: pochi anni dopo la seconda guerra mondiale ad Angela Volpini, allora bambina, in Casanova Staffora (PV), in Diocesi di Tortona, apparve la Santa Coppa di Cristo.

Giuseppe di Arimatea

Il personaggio di Giuseppe di Arimatea è molto importante nell'ambito della tradizione cristiana, a ragione del fatto che egli è citato in tutti e quattro i Vangeli canonici, più negli Apocrifi, in particolare negli "Atti di Pilato", un testo che è noto anche come "Vangelo di Nicodemo" o "Narrazione di Giuseppe". In tutte queste narrazioni Giuseppe ha il ruolo fondamentale di recarsi da Ponzio Pilato a richiedere il corpo di Gesù, che egli provvide a far deporre dalla croce, ad avvolgerlo in un sudario dopo averlo pulito e profumato con unguenti ed infine a seppellirlo in una tomba scavata nella roccia.
Quanto alla sua identità, Marco (Mc 15, 42-46), che è il Vangelo più antico, e Luca (Lc 23, 50-53) lo definiscono "membro autorevole del Sinedrio", mentre Matteo (Mt 27, 57-60) e Giovanni (Gv 19, 38-42) lo dichiarano "discepolo" di Gesù, ma, specifica ulteriormente Giovanni, "di nascosto, per timore dei Giudei". Si capisce che doveva essere un uomo molto ricco: Matteo lo dice apertamente, e aggiunge che la tomba in cui depose il Cristo era nuova ed era di sua proprietà. In realtà, anche con un minimo di logica, è assai probabile che il sepolcro fosse di sua proprietà, e che era impensabile che egli andasse ad inumare il corpo di Gesù nel primo buco trovato libero nei dintorni... I Vangeli non fanno accenno ad eventuali rapporti di parentela di Giuseppe con Gesù, ma è noto dalla conoscenza degli usi e delle leggi sia romane, sia ebraiche, che soltanto un parente stretto aveva la facoltà di andare a richiedere il cadavere di un condannato a morte. Da più parti è stato supposto che egli fosse uno zio di Maria. Un'eventuale parentela chiarirebbe anche il senso, altrimenti strano, se non proprio anomalo, di deporre Gesù in un sepolcro di sua proprietà: si tratterebbe, così, dell'uso di una normale tomba di famiglia, che un uomo della sua classe sociale e del suo reddito poteva tranquillamente permettersi. Il Vangelo Apocrifo di Nicodemo aggiunge ulteriori dettagli su Giuseppe e sul suo ruolo nella vicenda della Crocifissione, dettagli che tendono a mitizzarne la figura. In questo testo, infatti, si narra di come Giuseppe, dopo aver inumato Gesù nel sepolcro che aveva fatto scavare per sé, scatenò l'ira degli anziani ebrei e venne per questo arrestato e rinchiuso in una cella sigillata. Ma Giuseppe scomparve dalla cella lasciando il sigillo intatto. Ricomparso nella sua città natale, Giuseppe spiegò davanti agli attoniti anziani che era stato Gesù in persona ad apparirgli nella cella ed a condurlo nella sua casa per renderlo testimone della sua resurrezione. Ulteriori dettagli su Giuseppe vengono dati da alcuni autori cristiani delle origini, come Ireneo da Lione, Ippolito di Roma, Tertulliano, Eusebio di Cesarèa, Ilario di Poitiers e Giovanni Crisòstomo, patriarca di Costantinòpoli. Quest'ultimo, in particolare, fu il primo a menzionare il fatto che Giuseppe era uno dei settanta discepoli di cui si parla nel Vangelo secondo Luca ( 10:1/24), scelti da Gesù e inviati a due a due in missione. Dopo gli eventi narrati nei Vangeli, la figura di Giuseppe di Arimatea assunse, soprattutto nel periodo medievale, una notevole importanza, rendendolo protagonista, in un intreccio di storia e leggenda, di due grandi filoni narrativi, che sono poi spesso fittamente intrecciati tra loro: la predicazione e la diffusione della cristianità in Gran Bretagna, e il ciclo dei romanzi del Graal, dove il suo personaggio viene definitivamente associato al Santo Graal. La Missione di Giuseppe in Britannia : Giuseppe di Arimatea a Glastonbury. Sebbene esistano numerose cronache sulla diffusione del Cristianesimo in Gran Bretagna, fu soltanto durante il Medioevo che questa attività venne collegata specificamente all'arrivo e all'opera missionaria di Giuseppe di Arimatea. Di fatto, la prima citazione diretta di Giuseppe in Britannia si trova nella "Vita di Maria Maddalena", opera di Rabano Mauro (780-856), arcivescovo di Magonza. Secondo il suo resoconto, infatti, Giuseppe arrivò innanzi tutto in Francia, insieme a Maria Maddalena e ad un'altra sfilza di personaggi: "le due sorelle di Betania, Maria e Marta, Lazzaro (che fu risorto dai morti), sant'Eutropio, santa Salomé, san Cleone, san Saturnino, santa Maria Maddalena, Marcella (serva delle sorelle di Betania), san Massio o Massimino, san Marziale, e san Trofimo o Restituto". Dalla Francia egli sarebbe poi stato mandato in Britannia, con alcuni discepoli, per predicare ivi il Vangelo di Cristo. Tuttavia, considerando anche le cronache precedenti e incrociando le varie testimonianze, si può provare a ricostruire la storia. Gildas III (516-570), cronista delle origini, affermava nel suo "De Excidio Britanniae" che i primi precetti della cristianità vennero portati in Gran Bretagna durante gli ultimi giorni dell'imperatore Tiberio Cesare. Tiberio morì nell'anno 37 e questa data è compatibile con quanto affermò, nel 1601, il cardinale Cesare Baronio, eminente bibliotecario del Vaticano, che nei suoi "Annales Ecclesiasticae" affermò che Giuseppe di Arimatea si recò per la prima volta a Marsiglia nel 35 e di lì fu poi mandato a predicare in Inghilterra. Nella Gallia del I sec. si trovava un personaggio importante della cristianità: l'Apostolo Filippo. Gildas e Guglielmo di Malmesbury concordano nell'affermare che fu Filippo ad organizzare la missione verso la Britannia. Nel "De Sancto Joseph ab Arimathea" di John Capgrave (1393-1464) si afferma che "quindici anni dopo l'Assunzione cioè nell'anno 63, considerando che Maria fu assunta in Cielo nell'anno 48 egli Giuseppe si recò da Filippo apostolo tra i Galli". La conferma viene da Freculfo, vescovo di Lisieux nel IX sec.: anche lui scrisse che San Filippo organizzò la missione in Britannia per far annunciare colà il vangelo. Dunque, San Giuseppe arrivò in Britannia con dodici apostoli, e di lì cominciò a diffondere il Vangelo. Accolto freddamente dalla popolazione locale, fu però tenuto in gran considerazione dal re Arvirago di Siluria, fratello di Carataco il Pendragone, che lo accolse con onore e gli donò una vasta proprietà di terra (12 hides, equivalenti a 1440 acri, circa 580 ettari), da usare come base, presso Glastonbury, nel Somerset. Giuseppe e la Santa Spina. A Glastonbury Giuseppe di Arimatea eresse una primitiva chiesa di fango e rami intrecciati, che fu di fatto il primo edificio cristiano di Britannia, e che costituì il nucleo originario della futura Abbazia di Glastonbury, destinata a diventare ampia e facoltosa, seconda per estensione e per ricchezza soltanto a quella di Westminster, a Londra.
L'arrivo di Giuseppe a Glastonbury fu segnato da un evento miracoloso: trovandosi sulla sommità di una collina, chiamata Wearyall Hill, Giuseppe si distese a riposare, piantando il proprio bastone accanto a sé. Al suo risveglio, il bastone aveva miracolosamente attecchito ed era diventato un albero. Quest'albero divenne poi noto come "Santa Spina". Variante del comune biancospino, esso però assunse solo qui, nei dintorni di Glastonbury, una caratteristica peculiare, quella di fiorire due volte all'anno: all'inizio della primavera e in inverno, in prossimità del solstizio. Poiché queste due date cominciarono ad essere associate alla due più grandi feste della cristianità, ossia la Pasqua e il Natale, che ricordavano la nascita e la morte di Gesù, esso venne chiamato "Santa Spina" (Holy Thorn, o Glastonbury Thorn) e divenne oggetto di gran venerazione, che dura tuttora. La leggenda del Sacro Calice Fu durante il Medioevo, in particolare con il romanzo di Robert de Boron e tutta la letteratura sul Graal fiorita dopo di esso, che il personaggio di Giuseppe di Arimatea acquista nuova importanza e nuovo vigore. Prima di Boron, infatti, il Graal (in particolare, nella prima opera in cui esso fa la sua apparizione, vale a dire il "Perceval ou le conte du Graal", di Chrétien de Troyes, scritto nel XII sec.) non viene chiamato "Santo" e non viene associato neanche al Cristo, anzi, in realtà non viene neanche detto che si tratti di una coppa perché nella processione che si svolge al castello nel quale è invitato Perceval, si dice che esso viene recato in mano da una fanciulla, senza specificare di cosa si tratti. È con Robert de Boron, dunque, che comincia la connotazione strettamente cristiana del Graal: nel romanzo "Joseph d'Arimathie", composto tra il 1170 e il 1212, viene detto che il Graal è la coppa usata da Gesù durante l'Ultima Cena. Robert amplia il resoconto del Vangelo di Nicodemo ed aggiunge che quando Giuseppe di Arimatea depone il corpo di Gesù dalla Croce su permesso di Pilato, egli ne rimuove il sangue e il sudore, ponendoli in due ampolline. Poi, notando una fuoriuscita di sangue dalla ferita sul costato, inferta a Gesù dalla lancia del centurione Longino, ne raccoglie le stille nella coppa che aveva prelevato dal tavolo della cena. Giuseppe portò con sé la coppa in Britannia, dove fondò, come abbiamo visto, la prima comunità cristiana del luogo. Il Pozzo del Calice. Da qui in poi, numerose leggende si intrecciano e si negano l'una con l'altra, facendo disperdere la ricerca. C'è chi dice che abbia nascosto il Graal in un pozzo che si trovava a Glastonbury, ai piedi del Tor, laddove oggi sorge il "Chalice Garden". Da allora le acque della sorgente si sono colorate di rosso ed hanno acquisito delle proprietà taumaturgiche. Secondo altre tradizioni, la coppa passò al successore, il cognato Hebron, o Bron, che era venuto con lui dalla Palestina. Bron, soprannominato il “Ricco Pescatore”, divenne così il secondo custode del Graal. A Bron seguì Alano, e di qui si instaura una stirpe di discendenti e custodi del Graal tra i quali si annovera Anfortas (il "Re Pescatore" ferito dei romanzi del ciclo), per finire a re Artù, anche lui discendente dello stesso Giuseppe.
Infine, un terzo filone è quello secondo cui Giuseppe si sarebbe fatto seppellire insieme al Santo Graal, che dunque è ancora nascosto all'interno della sua tomba. Secondo le tradizioni, Giuseppe visse ed operò in Gran Bretagna per almeno altri venti anni, morendo alla veneranda età di 86 anni. Anche in questo caso le tradizioni si moltiplicano e si smentiscono l'un l'altra. Secondo alcuni, egli fu seppellito a Glastonbury, nei presi della chiesa che aveva fatto edificare. Altri (Renata Zanussi, "San Colombano d'Irlanda - Abate d'Europa") sostengono che egli sia sepolto sull'Isola di San Patrizio, poco distante dall'Isola di Man. È documentato, a partire dal 1454, che la reliquia di un suo braccio sia conservata nella Basilica di San Pietro, in Vaticano.
Compianto sul Cristo morto (Pietro Perugino) "Compianto sul Cristo morto ", Pietro Perugino, 1495 olio su tavola (220x195 cm), Galleria Palatina, Firenze Chi era veramente Giuseppe di Arimatea? Quando si prova ad indagare più a fondo sulla figura di Giuseppe, pur volendo tenere fede solo alle scarse testimonianze fornite dai Vangeli, ci si imbatte subito in un particolare enigmatico: la città di Arimatea, dalla quale Giuseppe è detto provenire, in realtà... non esiste! Gli storici e gli interpreti del Vangelo hanno a lungo dibattuto sull'identità di questa città, che solo Luca pone in Giudea ("Era di Arimatea, una città della Giudea", Lc 23, 51), senza specificare dove, e attualmente l'ipotesi più generalmente accettata è che essa si tratti di Ramathaim-Zophim, in Ephraim, la città natale del profeta Samuele. Altri propongono Ramlah, in Dan, oppure Ramah, in Benjamin. A parte il fatto che non si capisce come mai il nome debba essere stato così malamente storpiato, nessuna delle tre località proposte si trova in Giudea, così come riportato da Luca.
Abbiamo già visto come egli doveva essere necessariamente imparentato con Gesù. La tradizione afferma che egli fosse uno zio di Maria, la madre di Gesù. Tuttavia questa ipotesi suscita una sequenza di assurdi, se poi andiamo a considerare le cronache sulle attività di Giuseppe in Britannia, e la fondazione della primitiva chiesa nell'anno 63. Se Maria, infatti, nacque nel 26 a.C., come è generalmente riconosciuto, posto che la nascita di Gesù debba essere retrodatata al 7 a.C. (per alcuni errori nel calcolo dell'anno 0), ella doveva avere circa 19 anni quando Gesù fu concepito. Se Giuseppe fosse stato suo zio, egli doveva avere almeno venti anni più di lei, quindi al tempo della Crocifissione Maria aveva appena superato la cinquantina, mentre Giuseppe doveva stare sulla settantina. Com'è possibile, dunque, che trenta anni dopo lo troviamo ancora a predicare in Britannia ed a costruire una chiesa (quando ormai doveva essere centenario) e, ancora, vivere per altri vent'anni? Le cronache danno Giuseppe morto all'età di 86 anni, perciò o si tratta di un altro Giuseppe di Arimatea, oppure il rapporto di parentela con Maria è sbagliato. Laurence Gardner, nella "Linea di Sangue del Santo Graal", suggerisce un'altra ipotesi: che egli fosse non lo zio di Maria, ma suo figlio, ossia che si tratti di Giacomo, detto il Giusto, il "fratello di Gesù", come lo definisce Paolo nella lettera ai Galati (Gal 1, 19), citato dai Vangeli canonici e dagli Atti, oltre che dagli Apocrifi, cronache cristiane (San Girolamo) e storiche (Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche). Per capire come ciò sia possibile, partiamo da un dato di fatto. Nel testo originale del vangelo, scritto in greco koiné, il nome Arimatea è preceduto da un segno grafico simile ad un apostrofo ( ‘ ) che indica aspirazione. La pronuncia esatta, dunque, doveva essere "Harimatea" (con l'acca iniziale aspirata), e questo fa supporre che nel termine originale aramaico, la prima lettera del termine fosse una 'he', corrispondente alla voce ‘ha' che denota un articolo. Sappiamo che la lingua ebraica non possedeva vocali, e che queste venivano scritte in forma di puntini sotto le lettere, ma solo negli scritti dotti. Così, per tradurre il nome ebraico di Gesù, i termini Gesù, Joshua, Yeshua e simili sono equivalenti. "Harimatea" poteva dunque essere un titolo onorifico, "ha-rama Theo", cioè "l'Altezza Divina", un termine equivalente al moderno epiteto "Sua Altezza Reale"). Gardner parte dall'ipotesi che Gesù fosse discendente diretto dalla linea di Davide e che, di conseguenza, il suo concepimento e quello dei suoi fratelli avesse seguito le normali regole di successione davidica. La sua analisi prosegue, vagliando attentamente ogni fonte disponibile, canonica o apocrifa, storica o letteraria, accettata dalla chiesa ufficiale o rifiutata, senza disdegnarne alcuna, con la ricostruzione della cosiddetta "Linea di Sangue", cioè la discendenza diretta di Gesù originata con il suo matrimonio con Maria Maddalena. L'analisi delle testimonianze porta Gardner a delineare la tesi che Gesù e Maria Maddalena ebbero tre figli: una primogenita femmina, che chiamarono Tamar, e due maschi: Joshua, ossia Gesù, detto "il Giusto" (chiamato Gais nei romanzi del Graal), il maggiore, e Josephes, il minore. Gesù accoglie i bambini In questa vetrata, che si trova nella Round Church di Cambridge, Gesù è rappresentato con tre bambini: la femminuccia più grande e i due maschietti più piccolini. Si tratta di un'allusione a Tamar, Joshua e Josephes? Si noti, nella cornice, la presenza del "Fleur-de-Lys", un ben noto riferimento esoterico alla "Linea di Sangue"... Dopo la Crocifissione, la Maddalena e Giuseppe lasciarono la Palestina e si imbarcarono diretti in Francia, dove l'apostolo Filippo era stato mandato ad annunciare la parola di Dio. Fu così che mentre Maria rimase in Francia con Tamar e Josephes, Giuseppe portò con sé il piccolo Gesù Giusto in Britannia, e quindi le leggende su Gesù adolescente che giunge in Inghilterra al seguito di Giuseppe di Arimatea hanno un plausibile fondamento. Non solo: questa ipotesi spiega anche l'apparente dicotomia delle leggende sul Graal. Infatti, i due più grandi filoni sul Santo Graal sostengono che esso sia stato portato da Maria Maddalena in Francia, e contemporaneamente da Giuseppe di Arimatea in Britannia. Se il Graal metaforicamente indica la discendenza di Cristo, allora ecco spiegata l'apparente contraddizione! Tornando a Giuseppe di Arimatea, che porta con sé il piccolo Gesù a Glastonbury, è chiaro a questo punto che non è lo zio di Maria, madre di Gesù, ma lo zio di Gesù Giusto, ovvero il fratello di Gesù detto il Cristo. Per spiegare, dunque, come Giacomo il Giusto sia diventato Giuseppe di Arimatea, Gardner fa la seguente ipotesi. Nelle linee di successione davidica, con il termine onorifico di "Davide" si denominava l'attuale reggente, mentre al figlio più anziano, destinato alla successione, veniva dato il titolo di "Giuseppe". Se però, in un dato momento, non c'erano ancora figli oppure il figlio avente diritto aveva meno di 16 anni, era il fratello più anziano che prendeva temporaneamente il titolo di "Giuseppe". Questo è quello che accadde alla famiglia di Gesù. Quando Gesù il Giusto era ancora piccolo e non aveva ancora l'età per succedere al padre e divenire il nuovo "Davide", il fratello più anziano di Gesù, Giacomo (si noti che nei vari elenchi evangelici di "fratelli" di Gesù, Giacomo viene sempre nominato per primo, una chiara indicazione che egli era il più grande), assunse il titolo di "Giuseppe" e ne divenne il tutore. L'ulteriore titolo onorifico di "ha Rama Theo", cioè "Altezza Divina", gli venne conferito in onore all'alta posizione di Gesù, che oltre come re si stava proponendo anche come sacerdote, cioè si stava proclamando un Messia. Una prova "tangibile" di questa ipotesi la troviamo nella supposta pietra di fondazione della chiesa che Giuseppe di Arimatea/Giacomo il Giusto fece erigere a Glastonbury al suo arrivo, e che è stata mantenuta nella costruzione medievale successiva, quella Lady Chapel che divenne il primo nucleo della futura Abbazia di Glastonbury. Quella pietra, ancora oggi esposta lungo la parete sud delle rovine della Lady Chapel, contiene due parole inscritte: "IESUS MARIA", che per tradizione sono la dedica che il piccolo Gesù volle fare a sua madre. La supposta data di tale dedicazione, secondo le cronache, è l'anno 64, proprio l'anno in cui Maria Maddalena morì nel suo ritiro spirituale nella grotta alla Sainte-Baume. Risulta dunque chiaro, a questo punto, a quale Gesù e a quale Maria si riferisce la pietra. Riguardo la sua identità, i Vangeli di Matteo e Giovanni dichiarano Giuseppe "discepolo" di Gesù; Luca (Lc, 10, 1-20) dichiara che Gesù nominò ben Settanta Discepoli che inviò a due a due in ogni luogo del mondo conosciuto a predicare la sua parola. Se Giuseppe era suo discepolo, allora doveva essere compreso in questo gruppo di 70. Esistono diversi elenchi di questi discepoli (in alcune tradizioni sono 72) compilati in diverse epoche; l'acconto più antico è quello di Ippolito di Roma, cui si attribuisce uno scritto intitolato "Sui settanta apostoli". Altri elenchi furono compilati nei secoli successivi; Eusebio da Cesarea afferma che alla sua epoca non c'era nessun elenco ma nella sua "Storia Ecclesiastica" elenca tra i settanta solo Barnaba, Sostene, Cephas, Mattia, Taddeo e Giacomo fratello del Signore. Ad ogni modo, Giuseppe di Arimatea non è mai menzionato in nessuno di questi elenchi, e ciò è strano, visto che è uno dei pochi personaggi ad essere menzionato in tutti e quattro i Vangeli e vista la sua importanza e il ruolo svolto durante la Passione di Cristo. L'unico che menziona Giuseppe tra i Settanta è Giovanni Crisòstomo (IV sec.). È significativo che, invece, il nome di Giacomo, "fratello del Signore", compare sempre in ogni elenco, solitamente al primo posto?

La Linea di Sangue Reale della "Famiglia del Graal" Un'Inchiesta Eretica !


Occorre ricordare che esiste una Teoria che ha cominciato a diffondersi pubblicamente, cioè al di fuori degli ambienti esoterici dove essa dovrebbe essere nota ed assodata da tempo, dopo la pubblicazione del "Santo Graal" di Michael Baigent, Richard Leigh ed Henry Lincoln, nel 1982. È l'ipotesi, non dimostrabile storicamente e non accettata dalla Chiesa Cattolica, della discendenza per via dinastica di Gesù seguita al suo matrimonio con Maria Maddalena, la cosiddetta "Linea di Sangue Reale", identificata nel Santo Graal, che ne è il simbolo più vivido, immortalato da una serie infinita di romanzi che daranno vita al glorioso ciclo bretone delle storie di re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda. Prima di proseguire oltre nella disamina di questa teoria, però, va precisato che non è intenzione, e non è lo scopo di questa inchiesta, sostenere o dimostrare la validità o meno di certe affermazioni, cosa che tra l'altro sarebbe impossibile. È lecito chiedersi se certi ambienti, a carattere esoterico ma non necessariamente, conoscendo ed approvando la teoria, possano aver influenzato artisti ed artigiani a riprodurre il modello della "Famiglia del Graal" nelle proprie opere come segno di diffusione "occulta" di un certo sapere ufficialmente rimosso e bollato di eresia. Questa teoria, che ha trovato sempre più appassionati ed esponenti nel ventennio successivo alla pubblicazione dell'opera dei tre autori inglesi, e che ha visto tra i suoi maggiori esponenti autori come Margaret Starbird e Laurence Gardner, asserisce (in linea di massima, pur con diverse varianti da autore ad autore) che Gesù e Maria Maddalena fossero sposati, come sembrerebbe risultare anche dai Vangeli Apocrifi, in particolare quello di Filippo, e che dalla loro unione fossero stati generati tre figli. Maria Maddalena. Stando alla cronologia ricostruita da Gardner nei suoi saggi, basandosi su un'interpretazione meno letterale di fonti cristiane (i Vangeli, canonici e apocrifi, gli "Atti degli Apostoli" e la "Rivelazione" di San Giovanni) e letterarie (i romanzi del ciclo del Graal), si evince che al tempo della Crocifissione (33 d.C.) Maria Maddalena era incinta di tre mesi. Questa ipotesi è molto più antica e diffusa di quanto si pensi, considerando che alcune rappresentazioni della Maddalena presenti nelle cattedrali gotiche ed in alcune altre chiese di Francia presentano un pancione abbastanza prominente e sospetto, e tenendo conto di altri esempi come l'enigmatico gruppo scultoreo della Deposizione presente all'interno dell'Abbazia di St. Remi ad Amiens, di cui abbiamo parlato in un articolo precedente, e che risale al 1531. Fu così che nel settembre dell'anno 33 Maria Maddalena, che all'epoca aveva 30 anni, diede alla luce una fanciulla che verrà chiamata Tamar (un nome che significa "Palma", in onore alle sue origini regali) o, secondo altre versioni, Sara (ma per alcuni questo, più che un nome proprio, sarebbe un appellativo, giacché il nome significa "Principessa"). Maria rimase incinta nel dicembre del 32, in linea con le regole di procreazione dinastica degli appartenenti alla stirpe di Davide, e suggellò formalmente il Secondo Matrimonio con Gesù ungendogli il capo e i piedi con l'unguento di spigonardo a Betania. Che Maria di Betania, sorella di Marta e di Lazzaro, e Maria di Magdala fossero la stessa persona non appare così chiaro dai Vangeli canonici, ma venne formalmente riconosciuto da papa Gregorio Magno, lo stesso che intraprese la riforma del calendario. In seguito la Chiesa farà di tutto per separare l'identità delle due persone e per associare alla Maddalena la figura della prostituta redenta, nonostante in nessun passo dei Vangeli che ne parla viene mai fatta un'associazione esplicita in tal senso. È significativo osservare che il beato Jacopo da Varagine, nella sua "Legenda Aurea" (scritta nella seconda metà del XIII sec.), afferma senza ombra di dubbio che "Maria nacque da una famiglia nobilissima che discendeva dalla stirpe regale; il padre si chiamava Siro e la madre Eucaria. Insieme al fratello Lazzaro e alla sorella Marta possedeva Magdala, che si trova vicino a Genezareth, Betania, vicino a Gerusalemme e una gran parte di quest'ultima città". Jacopo era vescovo di Genova ed apparteneva all'Ordine dei Domenicani, i più intransigenti in fatto di eresie, e si ispirò per la sua opera a fonti precedenti, come la 'Storia Ecclesiastica', la 'Storia Tripartita', 'La vita dei Santi Padri', 'I dialoghi di San Gregorio' e i Vangeli Apocrifi. La Crocifissione, secondo queste ricostruzioni, sarebbe stata soltanto una formidabile messinscena, volta a garantire che Gesù potesse continuare la sua missione terrena senza doversi preoccupare delle autorità romane ed ebraiche, sempre più preoccupate dal suo crescente carisma e della sua idea rivoluzionaria di proporsi contemporaneamente come Re e Sacerdote del Popolo Ebraico, cioè come Messia. Senza addentrarci oltre negli oscuri e complessi meandri di questa teoria, nel tentativo di dimostrare la quale sono stati scritti interi libri, si ipotizza in sostanza che le successive "apparizioni" di Gesù agli Apostoli dopo la Resurrezione fossero in realtà del tutto normali, e mirate ed impartire istruzioni su come procedere con la guida della Chiesa dopo la sua dipartita. Dopo la Crocifissione, anche per evitare le rappresaglie e le persecuzioni che ne erano seguite, la Maddalena, insieme ad un altro gruppo di personaggi, che comprende Maria Salomè, Maria di Cleofa e Giuseppe di Arimatea, sono costretti a lasciare Gerusalemme, ed a imbarcarsi verso l'Europa. È da questo punto in poi, dunque, che tutte le varie leggende legate alla stirpe e al Graal prendono fondamento. La Maddalena, insieme alle altre due Marie, approdò in Francia, in un luogo della Provenza chiamato Ratis, ma che successivamente divenne Les-Saintes-Maries-de-la-Mer. Nella cripta della chiesa dedicata alla "Saintes Maries" si trova l'enigmatica statua di Santa Sara, detta "la Nera" per il colore della sua pelle. È opinione di molti che essa fosse in realtà riferita alla figlia di Gesù e Maria Maddalena, Tamar Sara. Nel frattempo, dopo il primo parto, gli sposi dinastici dovevano rispettare un periodo di separazione e di astinenza dai rapporti sessuali per un periodo di sei anni, riducibile a tre se il primogenito fosse stato una femmina, come effettivamente avvenne. Fu così che Joshua (detto anche Gesù o Giosuè), il secondogenito, nacque dopo questo periodo, nel settembre del 37 d.C. Egli venne appellato "il Giusto" per distinguerlo dal padre che era chiamato "il Cristo", ed è nominato nei romanzi del Graal come "Gais". Sarà questo fanciullo che Giuseppe di Arimatea porterà in seguito con sé in Inghilterra, un luogo che egli conosceva bene avendovi precedentemente commerciato in minerali di stagno e di zinco. Intanto, dopo il secondo parto, Gesù è obbligato a rispettare un secondo periodo di celibato, della durata, stavolta intera, di sei anni. I due coniugi, dunque, tornarono insieme soltanto nel dicembre del 43, quando Maria Maddalena concepì nuovamente un figlio, che vedrà la luce nel settembre del 44, e che verrà chiamato Josephes, o Josephos. Maria Maddalena morì nel suo eremo a La-Sainte-Baume, dove si era ritirata, nell'anno 64 circa. Nel frattempo, Giuseppe di Arimatea prese con sé il piccolo Gesù Giusto e lo portò in Inghilterra, presso Glastonbury. Fu qui, infatti, che il re Arvirago di Siluria, fratello di Caractaco il Pendragone, gli assegnò 1440 acri di terreno presso il quale sorgerà la primitiva cappella di fango e paglia che diventerà la Lady Chapel e il primo nucleo della potente Abbazia di Glastonbury. Qui si trova la Famosa Pietra con l'iscrizione "JESUS MARIA" che attesterebbe la dedicazione di Gesù Giusto alla madre Maria Maddalena, un'ipotesi più in linea con la cronologia fin qui delineata piuttosto che quella ufficiale che ritiene fosse stata dedicata dal piccolo Gesù di Nazareth alla madre Maria, cosa tra l'altro improbabile in quanto all'epoca di Gesù, ancora ragazzo, Giuseppe di Arimatea non poteva aver già edificato la cappella per un culto che doveva ancora nascere! Ecco perché le leggende del Graal sono generalmente divise in due filoni: la Maddalena che lo porta in Francia e Giuseppe di Arimatea che lo porta in Bretagna: il calice, secondo queste teorie, sarebbe solo una metafora, una rappresentazione del Sangue Reale, della discendenza di Gesù. Da questi eventi si diparte la successiva storia dei Desposyni, termine con cui si indicava la discendenza (genealogia) di Gesù e di Maria Maddalena. Tamar non si sposò mai e non ebbe figli, mentre Gesù Giusto genererà un figlio, chiamato Galains (o Alano) nei romanzi del Graal. Galains osserverà però il celibato e questo ramo della famiglia si estinse con lui. Tutta la discendenza, dunque, prosegue con Josephes, che genererà Giosuè e da lui la stirpe proseguirà in Francia fino ad arrivare ai re Merovingi. Attraverso matrimoni ed unioni la Dinastia si allargherà in tutta Europa, generando numerosi casati nobiliari, che nel tempo e più o meno deliberatamente vanteranno la discendenza per linea di sangue dai re Merovingi, ovvero dalla stirpe di Davide.

Il Santo Graal. Tra Mito e Simbolismo. La Cerca e le Chansons de Geste.


Uno dei miti più affascinanti e longevi di tutta la cultura dal Medioevo in poi è senza dubbio quello del Santo Graal. Le origini del mito si perdono nella storia: con tutta probabilità le leggende legate a "Coppe" o "Vasi Sacri" erano già tramandate da lungo tempo per via orale da cantori, trovatori e menestrelli di corte, prima che lo scrittore Chretien de Troyes, alla fine del XII secolo., lo inserisse in uno dei suoi romanzi, dando vita al cosiddetto "ciclo del Graal". Infatti, attorno al 1190 egli scrisse "Perceval le Gallois ou le Compte du Graal", ispirandosi alla ridda di leggende ed aneddoti preesistenti su coppe ed altri recipienti di carattere magico (di cui abbondava, ad esempio, la mitologia celtica: si pensi, ad esempio, al calderone magico di Bran). Nel romanzo, il cavaliere Parsifal, ospite nel castello del "Re Pescatore" Anfortas, assiste ad una strana processione in cui appare per la prima volta un mistico oggetto definito "Graal", realizzato in oro puro e tempestato di pietre preziose. L'etimologia della parola viene fatta derivare dal latino "gradalis", a sua volta desunto da un arcaico termine celtico che significa "calice". Fu solo successivamente, intorno al 1202, con "Le Roman de l'Estoire du Graal" di Robert de Boron, che il Graal assume una connotazione cristiana, essendo identificato come il calice utilizzato da Gesù durante l'Ultima Cena, nel quale successivamente Giuseppe di Arimatea raccolse il sangue di Gesù crocefisso. Questa caratteristica conferisce al calice delle straordinarie virtù, come quella di guarire ogni male ed, addirittura, di donare l'immortalità a colui che ne beve e, soprattutto, che ne sia degno. Secondo una delle leggende più diffuse, il Primo Detentore del Santo Graal fu Giuseppe di Arimatea. Quest'uomo (Parente di Gesù), era un ricco ebreo, membro del Sinedrio, del quale non aveva condiviso la condanna di Gesù (Luca, 23, 50 e seg.); era egli stesso un discepolo di Gesù, "ma di nascosto, per timore dei Giudei" (Giovanni, 19, 38). Dopo la morte di Gesù, vinta la paura, si recò da Pilato e ne chiese ed ottenne la salma. Dopo che un altro uomo, Nicodemo, ebbe provveduto a cospargere il cadavere di aromi quali l'aloe e la mirra, Giuseppe lo avvolse in un lenzuolo (la Sacra Sìndone) e lo depose nel sepolcro. Questo è quanto riportato dai Vangeli ufficiali. La leggenda aggiunge che egli raccolse anche alcune gocce del suo sangue in un calice, che poi portò con sé in Bretagna durante la sua predicazione del Vangelo. Secondo una versione inglese, Giuseppe si spinse con i suoi uomini fino all'isola di Avalon, l'odierna Glastonbury, e lì depose il calice. Esso passò poi nelle mani dei Templari, che l'avrebbero custodito nel castello di Montsalvat, dove sarebbe stato accessibile solo ai puri di cuore predestinati, che ne avrebbero tratto la salvezza celeste o, secondo altre tradizioni, l'immortalità. L'ultima e più enigmatica versione del mito è il "Parzival" del tedesco Wolfram Von Eschenbach (1200-1210 ca.). Parsifal irrompe nella Wolfram Von Eschenbach - Parsifal viene presentato come un giovane rozzo, perfetto rappresentante di una cavalleria dai modi brutali. Raggiunto il castello del Graal, fallisce nel tentativo di liberare il suo Guardiano, il Re Pescatore, misteriosamente ferito. Soltanto quando è allo stremo delle forze, umiliato, dopo aver abbandonato il mondo materiale e messo da parte il suo orgoglio, può chiedere pietà, liberare il Re Pescatore e trovare il suo Graal. In questo romanzo il Graal viene definito "Lapis exillis", un'espressione che a lungo si è cercato di interpretare. Le ipotesi più diffuse sono due: la prima secondo cui si tratta dell'errata trascrizione di "Lapis exiliis", cioè "Pietra dell'esilio", a sottolineare il cammino spirituale cui deve giungere l'uomo per trasformarsi completamente e diventare degno di possedere il Graal. Altri autori, invece, ipotizzano che si tratta di una contrazione di "Lapis ex coelis", ovvero "Pietra dal cielo", riferendosi alla leggenda narrata dallo stesso Eschenbach secondo cui il Graal sarebbe stato intagliato da uno smeraldo caduto in terra dalla testa di Lucifero durante la precipitazione agli Inferi dopo la rivolta verso il Creatore. Tutto il filone legato a queste interpretazioni del Graal ha dato origine ad un vero e proprio ciclo di romanzi chiamato "ciclo del Graal". Questo ciclo si inserisce e compènetra, a sua volta, un filone ancora più grande costituito da tutta la letteratura cavalleresca brètone, avente per protagonista il Re Artù, diventato sovrano dopo essere riuscito ad estrarre la famosa "Spada nella Roccia", ed i suoi Cavalieri della Tavola Rotonda: Parsifal, Lancillotto, Galahad, Tristano, ecc. Il ruolo dei Catari. La Rocca di Montsegur. Una delle numerose tradizioni riferite al Graal, maggiormente diffusa tra la maggior parte degli studiosi moderni, è quella secondo cui le origini delle leggende sul Sacro Calice vanno ricercate nell'antica eresia gnostica dei Catari, una minaccia ed una crisi senza precedenti per la Chiesa, che sfociò in una guerra sanguinosa e brutale che ebbe il suo tragico epilogo a Montségur, ultimo rifugio e baluardo di difesa degli esponenti di questa dottrina. I Catari, o Perfetti, raccoglievano l'eredità degli antichi Gnostici che vivevano ad Alessandria d'Egitto all'inizio della nostra era, i cui principi e fondamenti religiosi ci sono pervenuti grazie al ritrovamento, nel 1945, di un mucchio di pergamene nascoste, agli albori del Cristianesimo a Nag Hammadi, nei pressi del Mar Morto. Gli Gnostici ritenevano che il Dio biblico, creatore del Cielo e della Terra, fosse in realtà un dio minore, un falso dio, creatore soltanto della materia con la quale aveva oscurato il mondo reale, quello veramente divino. Creando l'uomo, egli l'ha imprigionato nella materia, e l'ha costretto ad una vita di sofferenza che termina con la morte. L'uomo, creato a sua immagine e somiglianza, è talmente indaffarato a creare cose sempre nuove che non vede la scintilla divina che è in lui. Egli è però in grado di ritrovare la luce del divino se non in questa vita, in un'altra: gli Gnostici credevano nella reincarnazione. Per questo motivo, essi non riconoscevano alcuna autorità ecclesiastica, convinti della possibilità e della capacità dell'uomo di seguire esclusivamente la gnosi del proprio cuore, in un percorso così interiore e personale da non poter essere assolutamente delegato. Con il consiglio di Nicea, indetto dall'imperatore Costantino nel 324 dopo Cristo, la dottrina gnostica viene condannata come eretica e cominciarono le persecuzioni. Nel giro di un secolo, i seguaci di questa dottrina vennero letteralmente spazzati via. Alcuni si rifugiarono sulle montagne dell'Armenia, che li proteggerà per più di 500 anni; altri migrarono verso l'Europa: in Bulgaria, in Bosnia, ma soprattutto nel sud della Francia, in Linguadoca, dove trovarono nuovo terreno fertile. Siamo agli inizi del XI secolo: mentre il resto dell'Europa è ancora avvolto nelle tenebre del Medioevo, la Linguadoca è una regione fiorente e libera; vi si praticano le arti e si coltiva la letteratura. In questo clima libero e permissivo, si costituisce la comunità dei Catari, che predicano il loro messaggio di amore spirituale. Rifiutano il benessere e il matrimonio e conducono una vita austera, che solo in pochi riescono a seguire, ma in un'epoca in cui all'uomo è assegnato uno scarsissimo valore essi predicano una via individuale per giungere a Dio. In queste regioni cominciano anche a diffondersi la poesia e la canzone; nascono i trovatori, che diffondono di corte in corte le loro storie di armi e di amori (le cosiddette chansons de geste), e cominciano a diffondersi quelle tradizioni e quelle leggende che permeeranno tutta la letteratura del Graal. La Chiesa, preoccupata dell'eccessivo rifiorire dell'eresie che già avevano lungamente ed a fatica represso, non tardò a reagire. In quel periodo vennero istituiti alcuni ordini religiosi fondamentali per ripristinare la vera dottrina: nacquero i Francescani, istituiti nel 1209 per riconquistare il cuore dei poveri, ma fu soprattutto con l'ordine dei Domenicani, fondato da Domenico di Guzman nel 1215, che la Chiesa ideò il più terribile strumento di persecuzione delle eresie: la Santa Inquisizione. Contro i Catari venne scatenata una vera e propria crociata, che culminò, nel 1244, nella capitolazione, dopo un lungo assedio che era durato quasi un anno, della fortezza di Montségur, l'ultima roccaforte catara. Qui, secondo molti autori, s'innesta la leggenda del Graal: si tramanda che pochi giorni prima della capitolazione finale, alcuni esponenti della comunità catara riuscissero a fuggire dal castello ed a portare in salvo il loro tesoro più grande, che custodivano con grande ardore: il Santo Graal. I Catari avrebbero ricevuto il calice da Maria Maddalena che, sempre secondo la tradizione, l'avrebbe portato con sé da Gerusalemme. La Maddalena approdò, al termine del suo viaggio, proprio nel Sud della Francia, in un paesino della Provenza di nome Ratis, diventato poi noto come Les-Saintes-Maries-de-la-Mer. La storia dei Catari e dei loro presunti rapporti con il Graal rimase dimenticata e nascosta per molti secoli, fino a che, agli inizi del XIX secolo, non tornò alla ribalta, soprattutto grazie all'opera di numerose società occulte e gruppi esoterici legati alla dottrina catara, che avevano maturato un grande interesse per il Graal, simbolo di una ricerca segreta ed incarnazione della propria missione. In questo ambiente si distinse un giovane studioso tedesco, Otto Rahn, rampollo di una nazione divisa tra sogni di gloria e di potenza e il rancore di una guerra perduta. Raccogliendole testimonianze di esponenti di quelle stesse società segrete, Rahn scrisse un libro, destinato a sollevare un gran polverone: "Kreuzzug gegen der Graal" («Crociata contro il Graal», Saluzzo, 1979). Rahn, mentre si documentava per un saggio che doveva scrivere, lesse il "Parzival" e ne rimase affascinato. Wolfram Von Eschenbach era un cavaliere templare del XII secolo, e nel "Parzival" i Templari erano dipinti come i "Custodi del Graal". Le ricerche attorno a Montségur avevano portato Rahn a scoprire, in una grotta nella regione di Sabarthez, dei graffiti Templari accanto a emblemi Catari, che secondo le sue teorie confermava l'ipotesi, già da tempo avanzata, delle relazioni che, almeno per un certo periodo di tempo, esistettero tra i due gruppi. Nel suo libro Rahn sostenne che la tradizione secondo cui il Graal sarebbe stato custodito dai Templari nel Castello di Munsalvaesche, o Montsalvat, (nome che significa "Monte Salvato") indicasse in realtà che esso si trovava Otto Rahn (1904/1938) proprio in mano ai Catari, che lo nascondevano nei sotterranei del loro castello di Montségur (che significa, letteralmente, "Monte Sicuro"). Le sue teorie affascinarono gli alti esponenti del partito Nazista, molto interessati alle questioni esoteriche e, soprattutto, alle due più grandi reliquie della Cristianità: il Graal e la Lancia di Longino. Heinrich Himmler lo arruolò nelle SS. C'è chi dice che Rahn abbia veramente ritrovato il Graal, e che l'abbia portato in Germania dove fu custodito e venerato nel castello di Wewelsburg, centro esoterico e sede del dell'Ordine Nero dei Cavalieri di Himmler. In realtà nel castello l'oggetto venerato era probabilmente un simbolico calice di cristallo. Nel 13 Marzo del 1939 il corpo di Rahn venne ritrovato in fondo ad una scarpata tra le montagne dell'Austria, a Kitzbühel. L'episodio non fu mai ben chiarito: le tesi ufficiali parlano di suicidio, ma si è ipotizzato che si trattasse di un'esecuzione, dovuta al fatto che Rahn si era rivelato un personaggio scomodo. Sua nonna, infatti, era di origine ebrea e non possedeva la necessaria "purezza di razza" richiesta agli appartenenti dell'esclusiva elite delle SS. Il Graal e le vicende di Rennes-le-Château. Una delle ultime ipotesi formulate a proposito del Graal, recentemente rilanciata dal successo del romanzo "Il Codice Da Vinci", bestseller mondiale di Dan Brown, considera il Graal non come oggetto materiale, ma come simbolo. Gli scrittori M. Baigent, H. Lincoln e R. Leigh, nel libro "Il Santo Graal" ("The Holy Blood And The Holy Grail", Londra, 1982) ipotizzano che la dicitura francese che da sempre ha identificato questo oggetto, "San Greal", tradotta in Santo Graal, andrebbe in realtà letta come "Sang Real", cioè "Sangue Reale". Attraverso una serie di ragionamenti e di interpolazioni di fatti storici e di interpretazioni di passi dei Vangeli (sia, canonici, sia apocrifi) essi ipotizzano che Maria Maddalena fosse stata la moglie di Gesù, e da questi abbia avuto una discendenza. In quest'ottica, la tradizione secondo cui la Maddalena, dopo la morte di Gesù, sia emigrata in Francia portando con sé il Graal, andrebbe interpretata dicendo che ella fuggì in Europa portando con sé, in grembo, il figlio avuto da Gesù. La teoria, contrastata dalla Chiesa che naturalmente la ritiene eretica, ha ricevuto molti consensi in ambito esoterico, ed è salita alla ribalta con l'esplosione del caso legato alle vicende di Rennes-le-Château. Su questo argomento ormai esiste una La chiesetta di Rennes-le-Château vasta letteratura che ne analizza e ne sviscera ogni più piccola sfaccettatura. In questa sede ci limitiamo soltanto ad un breve accenno. Tra le numerose teorie sviluppate attorno agli avvenimento accaduti nel piccolo paese francese sul finire del XIX secolo, spicca quella secondo cui un misterioso ordine segreto, legato ai Templari, sia sopravvissuto attraverso i secoli sotto vari nomi e aspetti diversi con lo scopo di proteggere e tramandare i discendenti di Gesù e Maria Maddalena, dai quali fu originata la stirpe dei Merovingi ed alla quale erano imparentate molte delle famiglie nobili d'Europa. Il nome di questo gruppo esoterico era Priorato di Sion; fondato da Goffredo di Buglione nel 1099, avrebbe vantato tra i suoi Gran Maestri figure di spicco come Nicolas Flamel, Sandro Botticelli, Leonardo Da Vinci, Robert Fludd, Isaac Newton e, per finire, ai giorni nostri, Victor Hugo, Claude Debussy e Jean Cocteau. Alcune recenti inchieste sulla vicenda hanno portato a scoprire che il Priorato di Sion, almeno quello (ri)fondato nel 1956 da Pierre Plantard ed i suoi soci, non sarebbe altro che una mistificazione, come falsi sarebbero anche i testi delle due pergamene ritrovate dall'abate Berenger Sauniere all'interno di un pilastro mentre si accingeva al restauro della piccola chiesa della Maddalena a Rennes. I due testi, che lasciavano intendere l'esistenza di un favoloso tesoro appartenente ai Merovingi ed al Priorato stesso, sarebbero opera di Philippe De Cherisey, amico di Plantard, come egli stesso avrebbe rivelato in un manoscritto reso pubblico soltanto venti anni dopo la sua morte, nel 2005. Ma al di là delle mistificazioni e dell'intorbidamento della vicenda avvenuto nel secolo scorso, non può essere escluso che nei secoli sia esistito davvero un gruppo esoterico clandestino convinto della reale discendenza del Cristo (il vero Graal) ed in base a queste convinzioni (vere o false che siano) abbia agito ed operato nella clandestinità, lasciando indizi ai pochi iniziati in grado di comprenderli, nelle loro opere (libri, dipinti, composizioni musicali, ecc.).

http://digilander.libero.it/vicit.leo/index.htm

Il movimento internazionale del Gral movimenti profetici. Associazione per la Realizzazione del Sapere del Gral Movimento Internazionale del Gral


Il Movimento Internazionale del Gral (con una sola a, in luogo della consueta dizione Graal) è nato intorno a Oskar Ernst Bernhardt (1875-1941), che firma le sue opere esoteriche con il nome di Abd-ru-shin (da una terminologia di derivazione arabo-persiana: Figlio della Luce). Nato a Bischofswerda, in Sassonia, in una famiglia di artigiani, Bernhardt consegue un diploma commerciale e inizia in questo ramo la sua attività. A partire dal 1900, convinto che il viaggiare completi la sua formazione, comincia a visitare l’Oriente, gli Stati Uniti, l’Inghilterra, e a scrivere racconti, novelle e brani teatrali. Sorpreso dalla Prima guerra mondiale in territorio alleato, in Inghilterra, è internato nell’Isola di Man. In questo periodo di prigionia comincia ad approfondire i quesiti spirituali ed esoterici. Liberato nel 1919, riprende le sue attività commerciali e letterarie a Dresda, parallelamente alla sua vocazione più profonda che è ormai di tipo spirituale. Firma i suoi scritti con il nome di Abd-ru-shin, che avrebbe avuto in un’esistenza precedente in seno al popolo degli ismani. Nel 1923 comincia a diffondere le prime parti del Messaggio del Gral, la cui pubblicazione prosegue fino al 1937. Il Messaggio è accolto con particolare interesse in Germania, Francia, Cecoslovacchia e in Austria, dove si stabilisce definitivamente fissando la sua residenza al Vomperberg (nel Tirolo austriaco), dopo avere divorziato e avere sposato in seconde nozze Maria Freyer (1887-1957), nata Taubert, ma in seguito adottata dalla ricca famiglia Kauffer, e anch’essa al suo secondo matrimonio. Al Vomperberg completa la stesura del Messaggio del Gral e crea con le persone che gli si sono affiancate un centro di diffusione e approfondimento spirituale. Nel 1938, con l’Anschluss, il Messaggio del Gral è proscritto dalle autorità naziste, il centro del Vomperberg è chiuso e Abd-ru-shin è arrestato nel mese di marzo. Liberato in settembre, è assegnato al confino prima a Schlauroth (presso Görlitz, in Sassonia) e quindi a Kipsdorf, dove vive sempre sotto stretta sorveglianza. In questo periodo edita una stesura definitiva dei tre volumi del Messaggio del Gral, cui lavora fino alla morte, che lo sorprende al confino nel 1941. È sepolto nella città natale, Bischofswerda.
Nel 1949, dopo la liberazione dell’Austria e la restituzione dei suoi beni alla vedova, le sue spoglie sono trasferite al Vomperberg, dove riposa in una tomba a forma di piramide. La moglie Maria prosegue e mantiene viva l’opera del marito, aiutata dai sostenitori del Messaggio che traducono gli scritti in più lingue e ne diffondono il contenuto in molti paesi. I tre figli che Maria aveva avuto dal primo matrimonio Irmgard (1908-1990), Alexander (1911-1968) ed Elizabeth (1912-2002) ottengono il cambiamento legale del loro cognome da Freyer a Bernhardt. Maria muore nel 1957; gli succedono prima Alexander e poi Irmgard (che firma Irmingard). La successione dei figli a Maria non è però riconosciuta dalla consistente branca brasiliana del movimento, che sotto la guida di Roselis von Sass (1906-1997) dà vita allo scisma dell’Ordem do Graal na Terra, mentre altri scismi si manifestano nell’attuale Repubblica Ceca. Irmgard (o Irmingard) Bernhardt muore nel 1990. Il suo testamento è alle origini di tutte le ulteriori controversie all’interno del movimento. Irmgard lascia le proprietà immobiliari intestate al Movimento, compreso il Vomperberg, che per i discepoli di Abd-ru-shin è per antonomasia la Montagna, a Claudia-Maria (1948-1999), figlia naturale della figlia adottiva di Irmgard, Marga. Claudia-Maria e il marito Siegfried (nato nel 1955 e tuttora vivente) ottengono anch’essi la modifica legale del loro cognome in Bernhardt, così come Irmgard aveva desiderato. La stessa Irmgard lascia invece i diritti d’autore sulle opere di Abd-ru-shin, compreso il Messaggio del Gral per i discepoli, il Libro a una Fondazione Internazionale del Gral presieduta da Herbert Vollmann (1903-1999), il marito della sorella di Irmgard, Elizabeth. Irmgard divide così la Montagna da il Libro, e il Movimento dalla Fondazione, augurandosi un’armoniosa collaborazione. Le cose vanno diversamente, e alla morte di Vollmann nel 1999 la rottura si consuma: la Fondazione che, a complicare le cose, detiene il marchio International Grail Movement, nella maggioranza dei paesi di lingua inglese si separa dal Movimento, che Siegfried Bernhardt continua a guidare dal Vomperberg. La maggioranza dei membri tedeschi seguono la Fondazione, mentre in altri paesi Italia compresa il Movimento del Vomperberg continua a essere il principale punto di riferimento. La Montagna e il Libro sono oggi nelle mani di organizzazioni diverse, che nel loro insieme riuniscono circa ventimila membri, anche se il numero dei lettori del Messaggio nel mondo è certamente molto più ampio. Il Messaggio del Gral consta di 168 conferenze nelle quali è spiegata la struttura della creazione e le leggi che la reggono. Con le parole Sia fatta la Luce, atto d’amore di Dio verso ciò che non poteva divenire cosciente entro la linea della sua diretta emanazione nella sfera divina, è emessa una parte di Luce dalla Luce originaria all’esterno di questa regione. Questo atto segna l’inizio del divenire della creazione, nell’ambito della quale lo spirito umano ha la sua origine e la sua collocazione. Il confine della sfera divina è segnato dal Castello del Gral, dove dall’eternità è custodita la sacra coppa in cui come polo estremo si raccoglie l’irradiazione diretta di Dio, che si rinnova nel riflusso all’origine. Con il mutamento radiante, che ha determinato l’inizio della creazione, i raggi sono stati emessi oltre tale confine e, discendendo, per via della diminuzione della pressione della Luce originaria, hanno subito un progressivo raffreddamento, dando luogo a diverse sedimentazioni (secondo uno schema analogo a quello teosofico). Si sono così formati via via i diversi piani sui quali hanno avuto sviluppo altre coscienze o i germi di esse. Primo fra tutti il piano spirituale originario, poi quello spirituale e così via fino alla materialità.
Al mutamento radiante dal piano divino partecipa anche la Regina originaria, che Parsifal Re dei re all’apice della Creazione spirituale primordiale chiama anche Madre originaria. A intervalli regolari la Forza sgorga dal Gral per il mantenimento e la continuità della creazione. La parte più densa e pesante della creazione materiale comprende la Terra, mentre l’uomo ha in sé una scintilla che gli ricorda la sua origine spirituale. Còmpito dell’uomo attraverso esistenze successive è di evolvere il suo nucleo spirituale attraverso i piani della materia fino a raggiungere la sua più alta auto-coscienza spirituale e quindi compiutezza; questa ascensione gli permetterà infine di ritornare alla sua patria celeste, sempre che ignaro delle leggi di Dio non smarrisca la strada. Alle svolte fatali, quando gli uomini hanno dimenticato la verità sulla loro origine, questa è loro ricordata attraverso degli inviati. Gli inviati principali per l’umanità sono il Figlio di Dio, Gesù, che ritorna interamente al Padre, e il Figlio dell’Uomo l’Emanuele , che è legato alla creazione. L’identificazione delle due figure in una sola persona, Gesù il Cristo, è considerata la fonte di molti errori teologici. Emanuele, il Figlio dell’Uomo, ha un legame speciale con Parsifal, e lo stesso Abd-ru-shin ha un ruolo messianico collegato a queste vicende.
Al Vomperberg e in altri luoghi del mondo si celebrano tuttora tre grandi feste spirituali: la Festa della Santa Colomba (Pentecoste), il 30 maggio, la Festa del Giglio Puro, il 7 settembre, e la Festa della Stella Radiosa, nel periodo natalizio, il 29 dicembre. In tutto il mondo i Circoli del Gral offrono ai sostenitori e a chi lo desìderi delle ore di raccoglimento domenicali. In Italia un’Associazione per la realizzazione del sapere del Gral è stata costituita nel 1994, e fa parte del network internazionale che fa capo al Movimento e al Vomperberg.
B.: Del messaggio esiste un’edizione italiana: Abd-ru-shin, Nella luce della Verità. Messaggio del Gral, 3 voll., Stiftung Gralsbotschaft, Stoccarda 1968. In traduzione. pure Abd-ru-shin, I dieci comandamenti di Dio e il Padre Nostro, Stiftung Gralsbotschaft, Stoccarda 1958; Erich Wendland, La lotta carica di tensione contro la Voce della Verità, Erich Wendland, Vomperberg (Tirolo) 1993; e Richard Steinpach, Perché viviamo dopo la morte e qual è il senso della vita, Stiftung Gralsbotschaft, Stoccarda 1982.

La Morte di Federico II e la Maledizione degli Hohenstaufen

Il pensiero della morte non pare di quelli che frequentassero la mente di Federico di Svevia. Eppure quest'uomo, che per tutta la vita si comportò come se non dovesse morire mai, si era preparata la tomba da qualche tempo: un sarcofago di porfido rosso fatto venire a Palermo da Cefalù dove l'aveva trovato vuoto, con le tombe che il nonno Ruggero II aveva dato a sé e ai suoi, quando vi aveva eretto quel duomo, in scioglimento d'un voto. Una specie di timpano triangolare sormonta la base a semicerchio poggiata su quattro leoni. Strani simboli pagani decorano quell'arca imponente. La salma vi fu deposta dopo una sosta a Messina. Al saio dei cistercensi che primo la ricopri, furono sostituiti gli ornamenti imperiali. Sul camice di lino dal collare e i polsini adorni d'iscrizioni in caratteri cufici, una funicella di seta scarlatta ricoperta dal manto ricamato di perle e chiuso da un gioiello prezioso. Anche le scarpe, di seta rossa; alla mano destra l'anello d'oro con un grosso smeraldo; a lato, il cinturone in oro e argento che sostiene la spada decorata. Sul capo una corona sobria, simile a cuffia, di bronzo e d'oro; deposto vicino alla testa il globo imperiale d'oro, adorno d'un cerchio di piccoli smeraldi e di una perla enorme. La tomba fu aperta nel 1781. Il volto era ben conservato "come quello d'un santo" osservò uno dei presenti. Si prese nota del contenuto, si fecero rilievi e disegni. Ancora nel 1962 fu compiuta un'altra ricognizione. La leggenda che diceva Federico sprofondato col cavallo nell'Etna era dimenticata. La morte tolse a Federico di Svevia la possibilità di vincere. Ma il trionfo dei suoi nemici non durò a lungo. "L'idea dell'indipendenza dello Stato dalla Chiesa - scrive Benedetto Croce - fu ripresa da altri sovrani di Europa e dagli stessi comuni, non più nella forma dell'invecchiato Impero, né dell'assolutismo cesareo-bizantino-islamitico, ma dei nuovi stati nazionali, i quali, volessero o non volessero i pontefici, si ricordarono sempre di Federico svevo, e, con Dante, lo dannarono e lo ammirarono, e, per conto loro lo imitarono." Quello da lui portato al fastigio fu il primo stato opera d'arte, com'ebbe a dire il Burckhardt. Di Federico - ricorda ancora il Croce - "sono state sempre e giustamente celebrate la legislazione ricondotta ad altezza romana e a sistema, l'amministrazione e la giurisdizione commesse a ufficiali regi,... il favore alla cultura e all'intelligenza, la costante tendenza razionalistica opposta al superstizioso e barbarico e passionale procedere che ancora perdurava in altre parti d'Europa". L'Italia perse con lui, per secoli, la speranza dell'unità. Il nascere attorno a lui di leggende che soltanto in seguito furono riferite al nonno Barbarossa mostra quale alta luce promanasse al mondo dal fascino della sua idea imperiale. "Distruggere sino agli ultimi discendenti questa razza di vipere che mai più cingeranno corone imperiali e reali" era stato il giuramento di papa Innocenzo IV, nel condannare, con Federico, i suoi figli e nipoti. E la tremenda condanna doveva compiersi nel giro di pochi anni dalla morte dell'imperatore. Abbandonata la lotta in Germania, Corrado IV scendeva in Italia a riconquistarvi la Puglia e Napoli. La morte lo colse a Lavello il 10 ottobre 1253; lasciava un figlio di due anni, Corradino. Enrico, il giovane figlio che Federico aveva avuto da Isabella, la sposa inglese, era morto anche lui, un anno dopo suo padre. A tener alta la bandiera degli imperiali rimaneva il solo Manfredi. Sedici anni riuscì a contrastare le forze del Papa, padrone del regno e di parte dell'Italia settentrionale finché anche lui dovette soccombere. Andò incontro alla morte il 26 febbraio 1266 sul campo di battaglia di Benevento, nell'estrema lotta contro Carlo d'Angiò, tanto diverso dal suo santo fratello, il re Luigi IX di Francia. L'aveva chiamato, dandogli in feudo il regno di Sicilia, il francese Gui Faucoi, Clemente IV, eletto alla cattedra di Pietro nel febbraio 1265. Era il terzo pontefice romano dopo che Innocenzo era morto, nel 1254, ma la maledizione contro gli Hohenstaufen non si spegneva. Né miglior sorte toccava più tardi al figlio di Corrado. A quindici anni era sceso dalla Germania a reclamare l'eredità del grande nonno, di cui la leggenda diceva che non era morto, ma dormiva il lungo sonno, in attesa di risorgere a restaurare la gloria dell'Impero. Caduto prigioniero a Tagliacozzo il 21 agosto 1268, Corradino era fatto decapitare da Carlo d'Angiò sulla piazza del mercato di Napoli, il 29 ottobre dello stesso anno. Aveva sedici anni. Testimone lontano di quei tragici eventi era l'unico figlio superstite di Federico, Enzo, nella sua dorata prigionia di Bologna. Le sue poesie s'erano fatte d'anno in anno più tristi: “Và, canzonetta mia... Salutami Toscana quella ched è sovrana in cüi regna tutta cortesia: e vanne in Puglia piana, la magna Capitana, là dov'è lo mio core nott'e dia”. Alla sua morte, nel 1272, i bolognesi lo onorarono come un re. Il sogno di Federico era ormai un ricordo lontano. Con lui era scesa nella tomba quella forza che sola avrebbe potuto unire l'Italia e, insieme, era morto, come sistema effettivo di governo, il Sacro Romano Impero.

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I Cavalieri Templari - Il Jolly Roger e il simbolismo del "Teschio ed Ossa"


Il Jolly Roger - Molti oggi conoscono l'emblema del Jolly Roger, reso celebre dai tantissimi romanzi e film sui pirati: è la classica bandiera nera sulla quale spiccano un teschio che sovrasta due tibie incrociate. Pochi, però, sanno che questo emblema ebbe con molta probabilità un'origine templare. Come molti altri termini legati alla tradizione templare (v. beauceant o Baphomet), anche nel caso del Jolly Roger l'etimologia del termine appare controversa. Secondo la teoria più diffusa esso deriverebbe dalla locuzione francese "Joli Rouge", nome dato dai Pirati francesi alla loro bandiera, originariamente di colore rosso (rouge, in francese). Il termine joli si riferiva invece al fatto che essa veniva sventolata dall'albero di bompresso, che in francese veniva chiamato "Joli Mât". I marinai ed i pirati inglesi che successivamente adottarono lo stesso simbolo masticavano molto poco di francese, e così lo steso termine anglofonizzato divenne "Jolly Roger". La tradizione vuole che questo vessillo venisse utilizzato anche a bordo delle navi dei "Poveri Soldati di Cristo e del Tempio di Salomone", come i Templari erano conosciuti originariamente. I Templari combattevano le loro battaglie anche in mare, abbordando ed affondando le navi nemiche: di qui l'analogia coi Pirati e l'adozione della bandiera col teschio e le ossa. Secondo un'altra teoria, invece, il termine Roger faceva riferimento ad un nome vero e proprio, che in italiano corrisponde a Ruggero. Nel suo libro "Pirates & The Lost Templar Fleet", David Hatcher Childress afferma che il termine fu coniato a partire dal nome del primo uomo ad aver mostrato la bandiera, re Ruggero II di Sicilia (1095-1154). Ruggero era un famoso Templare che ebbe una disputa col Papa in seguito alla conquista della Puglia e di Salerno nel 1127. Childress dichiara che, molti anni dopo lo scioglimento dell'ordine Templare, una flotta di seguaci dell'Ordine si separò in quattro unità indipendenti e si diete alla pirateria, bersagliando le navi amiche di Roma. La bandiera quindi era una eredità, e le sue ossa incrociate rappresentavano un chiaro riferimento al logo templare della croce rossa con le estremità ingrossate. C'è ancora un'altra leggenda relativa alla bandiera, sempre legata ai Cavalieri Templari. La notte del 13 Ottobre 1307, prima dell'arresto di massa, in gran segreto, 18 galee templari navigarono lungo la Senna e presero il mare, dirette a La Rochelle, dov'era pronta una flotta templare. I Templari, segretamente avvertiti del tranello teso nei loro confronti dal Re, avevano portato in salvo il loro Tesoro e le reliquie più preziose. Le loro vele erano state annerite con del catrame per non essere visti nella notte. Durante il viaggio in mare, i Templari superstiti si riunirono in consiglio per decidere sotto quale segno avrebbero navigato, non potendo più utilizzare la classica croce rossa in quanto ormai bandita. Al termine, fu decisa l'adozione dell'antico simbolo di pericolo, il teschio con le tibie incrociate, con il fondo mutato in nero in riferimento al colore delle vele: da quel momento nacque la classica bandiera pirata.

Misteri della Provenza: le Tre Marie e Sara la Kalì

La chiesa. Punto centrale della piccola città di Saintes Maries de la Mer, ha più l’aspetto di una fortezza che di una chiesa propriamente detta. Le origini sono antichissime. In origine c'era una antica oppidum priscum, Ra Priscum = antico Ra = Dio egiziano? No, dobbiamo qui vedere il suffisso di Sancta Maria de Ratis cioè radeau in francese cioè isolotto o barca a punta. Stabilito così che la chiesa risale al VI secolo Dopo Cristo. dobbiamo accennare che si parla anche in questo luogo di antichi maestri forse in numero di tre che in epoca celto ligure erano venerati dagli abitanti. Il passaggio da Maitre a Maries è breve. E qui arriviamo alle tre Marie. Chi erano? In Italia noi non abbiamo un culto specifico della Maddalena ma questo è diciamo così, di casa in terra di Francia. Si racconta allora che nell’anno 48 Dopo Cristo Maria Maddalena con Maria Giacoba, la sorella della madre di Gesù, e Maria Salomè, la madre dei due apostoli Giacomo e Giovanni, accompagnate dalla serva Sara, Làzzaro il resuscitato, Marta e Maximino, fuggiti dalla Palestina, sbarcarono qui dopo un avventuroso viaggio in una barca senza vele e senza remi. Esse avevano portato con se le teste di Giacomo il maggiore e di tre altri innocenti martiri. Reminiscenza dei riti celtici delle teste tagliate? Comunque sia Maria Maddalena se ne andò e rimasero così nel luogo le due altre Marie. Fu fondato prima un oratorio e poi la chiesa odierna. In questa furono effettuati degli scavi nel 1448 per ordine del re René d’Anjoù. La chiesa allora era divisa in tre parti. Una navata, una cappella allungata e un coro cui si accedeva solo dalla cappella. Gli scavi furono effettuati nel sottosuolo, si trovò un pozzo e una sorgente di acqua dolce (Sempre si trova dell’acqua in questi antichi santuari) poi fu trovata una testa grossa di uomo racchiusa in un (reliquario?) di piombo, ed infine una piccola grotta con un tumulo, ancora resti di un muro e una piccola colonna di pietra bianca, i resti evidenti del primo oratorio: là c’erano i resti di due corpi che emanavano un odore dolce. Si incominciò allora la venerazione. La grotta era quello che ora è la cripta. Il culto si è perpetuato fino a oggi, Il 25 Maggio e il 22 ottobre le casse e le effigi delle sante vengono riportate al mare e benedette (in una barca che diventa anche arca, che custodisce arcani segreti). La chiesa possiede un camino di ronda costruito nel XIV secolo la navata e il coro rientrato sono invece del XII e cosi la cappella superiore che sovrasta il coro ed è dedicata a San Michele. Nell’àbside corre una serie di arcatelle che sono paragonabili al chiostro dell’ala nord di Arles. Torniamo allora alle Marìe; poiché la Maddalena se ne era andata e resterà fonte di una venerazione autonoma alla Sainte Baume, si dovette ricostruire la triade delle tre Marìe. Ecco allora entrare in ballo Santa Sara, la loro serva, di cui però con gli scavi non si era trovata traccia. La chiesa ha sempre riservato un atteggiamento ambiguo di fronte a questa santa non canonizzata che puzza lievemente di zolfo. Essa è sempre dimorata li, in Camargue, altri attribuiscono una origine egiziana alla sua persona (Ra…) Secondo una tradizione lei aspettò, calmando le acque, l’arrivo delle sante , furono scoperte anche le sue reliquie nel 1496 e per gli zigani diventò Sara la Kali reminiscenza della dea Kali venerata in India da cui gli zigani dovrebbero aver origine. E' curioso notare che le immagini delle sante rimaste in loco, sono amputate della testa. Curioso perché avevano avuto tanta cura nel riportare in Francia le teste dei martiri…La statua di Sara che si trova nella cripta è composta di due parti, la testa, di plastica e non di legno è più piccola e il corpo è stato dipinto di nero (vergine nera) e da veramente una impressione strana, claustrofobica , entrare in quella cripta calda, opprimente con il fumo dei ceri accesi, e questa immagine, quasi luciferina. Torniamo ora a Maria Maddalena e a Làzzaro. Essi se ne erano andati a predicare dalle parti di Marsiglia. Si dice anzi che la barca delle tre Marìe, molto più probabilmente , fosse attraccata inizialmente nell’ansa della Santa Croce a le Couronne, vicino Marsiglia . Sappiamo che Maria Maddalena andò a predicare alla Sainte Baume. Ai suoi ultimi giorni discese nella pianura e fu comunicata da San Maximin poi morì. i corpi di Maddalena e di San Maximin furono scoperti nel 1272 da Carlo II d’Anjoù principe di Salerno. Dopo aver aperto alcuni sarcòfagi tra cui quello di Maddalena, si volle andare più oltre. Fu scoperto un altro sarcofago da cui veniva un odore meraviglioso. Furono chiamati vescovi e alti prelati e si apri questa tomba, fu trovata una iscrizione in papiro che affermava che il corpo era stato sepolto qui in segreto nell’anno 710 per preservarlo dai saraceni. Carlo I , padre di Carlo II o di Salerno, che ancora regnava, fece adornare la testa della santa con una corona, che restò in loco sino al 1793 quando fu requisita da Barras. Carlo I fu poi fatto prigioniero in Sicilia nel 1282 e morì poi a 61 anni. Il principe di Salerno il futuro Carlo II, fu fatto prigioniero a sua volta e passò quattro anni in prigione in Aragona. Al suo ritorno al potere nel 1295 su beneplacito di Bonifacio VIII, costruì la famosa basilica di San Maximin. Torniamo ora approfonditamente su Sara. Secondo alcune tradizioni zigane Sara la nera regnava già in Camargue quando la barca con le tre Marìe approdò. Il nome stesso di Sara la Kali significa appunto La Nera o la Zigana. Ma gli zigani vennero in Provenza solo nel 1419 ed allora come spiegare questa tradizione e raccordarla con quella delle tre Marìe? A meno che non si tratti di un’altra tradizione quella che collega un’altra Maria, Maria l’egiziana o Maria la nera che si festeggia lo stesso giorno di San Zòsimo. La leggenda che li lega narra di una anima che gli apparve , interamente nuda, di una peccatrice, che ebbe la sua redenzione pregando Maria. San Zòsimo chiese aiuto al cielo, che gli fece arrivare un leone che con i suoi artigli apri la tomba dando la pace all'anima inquieta. Ci si può domandare allora se queste credenze arcaiche non si siano mischiate in qualche modo con quelle degli zingari, e dobbiamo ancora ricordare lo strano rapporto di queste genti con l’oriente. In sanscrito infatti Sara significa movimento e queste popolazioni si identificano proprio per il loro eterno movimento. Sara la kali , la nera era comunque una delle Madonne Nere , queste enigmatiche Madonne il cui culto sorse nel Medioevo e che creano ancora imbarazzo alla chiesa ortodossa . In genere le loro effigi si sono ritrovate per eventi miracolosi . Si spiegava la loro origine razionalmente con il fumo dei ceri o l’ossidazione ecc, cioè cause naturali ma invece molte erano intagliate volontariamente in legni neri e colorate deliberatamente. C’è da pensare allora che il loro culto sorpassi quello della madre di Dio e sia il retaggio di una devozione più antica legata alla fertilità alla gran madre Terra a quelle forze vivificatrici che tanto sentivano i nostri avi e li collegavano alle cavità interne della terra , alle caverne e alle effigi della Dea Madre.

I Templari nei Pirenèi: LUZ SAINT SAVEUR. Il Castello SAINTE MARIE

Luz in spagnolo vuol dire luce e davvero questo piccolo paesino, vicino a Gavarnie, è colmo di luce. La cosa più bella e caratteristica di Luz, è senz’altro la sua chiesa fortificata, che va proprio vista. Si sente un’atmosfera magica, rilassante, ad entrare qui.. Eppure era anche un luogo di difesa, con colatoie al di sopra della torre che da l’accesso. Le sculture dell’esterno hanno forme così bizzarre, da dare davvero l’impressione che le accuse rivolte ai templari fossero fondate, ma devo avvertire che solo la tradizione attribuisce a questi monaci la costruzione della chiesa.
Io ho visitato Luz nel 1991 e sono andato alla ricerca della cosa forse più caratteristica dell’interno di questa chiesa: purtroppo non sono riuscito a vederla; mi dissero che il quadro era in restauro ed era chiuso nella sagrestia. Si tratta della raffigurazione di un essere Trinitario, un vecchio con una testa che ha tre visi Quattro Occhi e tre nasi. E tiene tra le mani un triangolo nel cui centro appare la parola Deus. Ma di disegni misteriosi da vedere ce ne sono e tanti! Vicino a Luz c’è inoltre il castello de Sainte Marie famoso per dei disegni che ne fece Victor Hugo e per essere stato un riparo di briganti nel XV secolo. Vi parlo di questo perché c’è una leggenda che narra che il capo di questi briganti fosse un cattivissimo Cagòt . Anche gli uomini di questo bandito erano Cagot. Ad un certo momento questi rapì una bella fanciulla della valle che si chiamava Maria (da cui poi è venuto il nome del castello) e la rinchiuse nella torre più alta. Costei pregò tanto che ad un certo momento una nuvola avvolse la torre e portò in cielo la ragazza. Il bandito Cagòt accortosi della cosa si precipitò sugli spalti , ma fu accolto da un preciso tiro di fionda che gli fu indirizzato dal fidanzato della ragazza che si aggirava intorno al castello per liberarla: il Cagòt cadde morto ed il suo fidanzato di li a poco, in mancanza della sua bella , si fece eremita.

Il Castello di Montsegur e i Cavalieri Rossi

Montsegur, Montsalvat quante cose ci sono da scrivere su questo castello.
Qui è impossibile citarle tutte. Ci sono libri e libri sull’argomento, ognuno può scegliere i testi che preferisce, da quelli: di stretta osservanza storica, che ci raccontano allora la storia dei catari, che ne fecero un centro della loro religione, e resistettero per lungo tempio all’assedio, di come ad un certo punto a causa della conquista di un punto avanzato del monte da parte di montanari baschi, la difesa, divenuta ormai impossibile, i catari chiesero ed ottennero una lunga tregua che servì loro per festeggiare una loro particolare ricorrenza e, alcuni dicono, per prepararsi a mettere al riparo qualcosa di prezioso che poteva essere il Graal. E’ storicamente accertato che mentre praticamente tutti i catari andarono volentieri al rogo (si vede ancora oggi una radura che è chiamata il campo dei cremats) alcuni riuscirono a fuggire calandosi con delle corde lungo la vertiginosa parete nord.. Questo ha dato adito a molte dicerie, ad esempio che il Graal possa esser stato salvato e portato nel Castello di Usson o a Montreal de Sos o in altri luoghi. Sempre rigorosamente basati su rilevazioni reali ma col tempo divenuti datati in seguito a nuove scoperte che hanno messo in forse le osservazioni iniziali. Mi riferisco alle opere di Fernand Niel, che fu il primo a formulare l’ipotesi che Montsegur fosse una specie di tempio solare e che le sue dimensioni fossero state progettate ad arte proprio in questa funzione. Niel ha poi ritrovato (o creduto di trovare..) conferme della sua ingegnosa intuizione in altri castelli catari, tra cui Queribus: essendo uno storico di vaglia, ma volendo anche verificare esattamente i dati da lui intuiti si è anche calato, come fecero i catari fuggitivi, con l’aiuto delle corde, dalla parete nord. In sostanza egli, notando alcune posizioni particolari del sole in concomitanza dei solstizi che fornivano dei particolari allineamenti con dei punti particolari del castello e con l’ubicazione delle finestre, ha dedotto che i catari adorassero in qualche modo il sole e avessero bisogno di ritrovarlo anche in una giornata coperta di nubi, o magari in una sala completamente oscura (Vedi Queribus). Negli ultimi anni, prima della sua morte, alla luce di nuovi rilevamenti che hanno dimostrato come ben poca cosa rimane dell’epoca catara in tutti i castelli dei cosiddetti eretici, è stato costretto a rimangiarsi un poco le sue teorie, pur ribadendo l’esattezza delle sue misurazioni; le sue intuizioni restano quindi un campo affascinante di studio, peccato che espongono teorie incredibili pur fornendo anche elementi storici che sarebbe bene verificare. Sapete o dovreste sapere che Montsegur è stato identificato da Otto Rahn come il castello del Graal, nel suo fascinoso e ammaliante libro Crociata contro il Graal che è bellissimo; peccato che anche lui dice cose in parte inesatte. Rahn vede Monstsegur come il castello del Graal, in quanto ritrova delle assonanze tra alcuni nomi di personaggi storici e il nome stesso del castello, con quelli apparsi nel Parsifal di Wolfram von Eschenbach (MontsegurMontsalvat De Pereille.Perilla ecc) in cui come si ricorderà il graal era custodito dai cavalieri templari. Peccato non si sia accorto che il romanzo in versi è stato scritto prima (tra il 1195 e il 1216) degli avvenimenti della crociata anti catara. Di Otto Rahn si perdono le tracce alla fine della guerra ma Christian Bernadac pensa che la sua morte sia stata uno stratagemma e che possa essere riapparso nelle vesti di Rudolf Rahn ambasciatore tedesco a Roma poi morto nel 1974 .. (vedi Le mystère Otto Rahn, fascinoso ed introvabile volume di quasi 500 pagine che riporta anche molti pezzi di Antonin Gadal, il padre del catarismo). Comunque sia il libro di Rahn suscitò scalpore nella Germania nazista. Himmler stesso organizzò una spedizione nella Francia occupata ed il castello fu invaso dalle SS che fecero pare alcuni scavi ed ecco che compare un volume.. Che accanto a cose verissime ne descrive altre di difficile attendibilità: in Emerald cup, ark of Gold uscito nel 1991 il colonnello americano Howard Buechner, basandosi su fonti tedesche, afferma che le SS in breve tempo trovarono il Graal! Il capo della spedizione doveva essere Otto Skorzeny, colui che aveva liberato Mussolini dalla prigionia del gran sasso. Faccio qui notare che Buechner non fornisce alcuna prova che Skorzeny fosse stato al comando del gruppo nazista. Egli lo deduce solo da alcuni elementi. Comunque sia il ritrovamento del Graal è descritto in questi termini: Skorzeny, da uomo pratico, pensò subito che il tesoro dovesse essere nascosto nel posto più impensabile di tutti: poiché la fortezza era assediata da tre lati,i catari avevano solo la via di fuga della parete nord. (Vi dico a questo punto che non è vero: Montsegur sembra inaccessibile, ma Fernand Niel ha percorso la montagna in tutti i sensi e ha accertato che i catari potevano in ogni momento fuggire per vari sentieri, il monte è semplicemente troppo grande per poter essere assediato completamente senza alcuna via di fuga) Detto fatto, Skorzeny e i suoi uomini trovarono un sentiero che portava nelle montagne più alte. Ad una sconosciuta distanza da Montsegur, un’entrata fortificata ad una gran grotta: forse era quella di Bouan, famosa turisticamente parlando. Vicino a questa era il monte chiamato la Peyre e vicino alla vetta un’altra grotta ed è qui che fu trovato il tesoro il 15 marzo 1944! Skorzeny il giorno dopo lanciò questo criptico messaggio a Himmler Eureka firmato Scar.
Mi fermo qui: Se volete sapere le ulteriori vicissitudini di questo Graal e di dove potrebbe essere oggi, vi invito a leggere una critica al volume di cui ho appena parlato in Sacred tresure,.secret power (L’enigma dell’oro scomparso) di Guy Patton e Robin Mackness; costoro fanno entrare nella mitologia del Graal e di Rennes le Chateau anche la sistematica distruzione compiuta dai tedeschi del villaggio di Oradour, quattro giorni dopo lo sbarco in Normandia! Ma le fosche trame naziste non sono finite perché ?


A MONTSEGUR, ATTENTI AI CAVALIERI ROSSI!

Questa notizia può far sorridere, ma ha dell’incredibile: nel 1978 le agenzie giornalistiche battevano questo dispaccio: Le pietre del castello di Montsegur spariscono In effetti pare che ogni anno, esattamente il 22 maggio, anniversario della morte di Wagner, intorno a Montsegur si svolgono strani pellegrinaggi di uomini che vestono per lo più una tuta rossa e che arrivano con grosse auto con targa tedesca. Questi personaggi, denominati cavalieri rossi, vanno al castello e ne prelevano alcune pietre che poi portano via con le loro auto . Pare che la destinazione delle pietre asportate sia la Foresta nera dove questi strani figuri avrebbero intenzione di ricostruire il castello per i loro strani riti: Dunque se visitate Montsegur, guardatevi attorno!
(La notizia , oltre che nella stampa locale si può trovare anche nell’introduzione all’edizione italiana di La corte di Lucifero, il secondo libro di Otto Rahn, che è molto meno bello del primo, ma comunque meritevole di lettura)..


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